GIOBBE – Capitolo 25
TERZO DISCORSO DI BILDAD 1Bildad di Suach prese a dire:
2“Dominio e terrore sono con lui, che impone la pace nell'alto dei cieli. 3Si possono forse contare le sue schiere? E su chi non sorge la sua luce? 4Come può essere giusto un uomo davanti a Dio e come può essere puro un nato da donna? 5Ecco, la luna stessa manca di chiarore e le stelle non sono pure ai suoi occhi: 6tanto meno l'uomo, che è un verme, l'essere umano, che è una larva”.
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Approfondimenti
TERZO DISCORSO DI BILDAD (25,1-6) Questo terzo discorso di Bildad è particolarmente breve. Pertanto, alcuni commentatori hanno indicato in 26,2-4 e 26,5-14 rispettivamente l'introduzione e la continuazione del discorso, con una conseguente alterazione del significato delle singole unità , rispetto alla loro attuale collocazione. Noi seguiamo il TM, e riteniamo che l'assenza di un'introduzione non rappresenti un problema, considerando l'immediatezza e la crescente tensione a cui è pervenuto il dibattito e anche il progressivo ridursi, soprattutto nel terzo ciclo di discorsi, di preliminari e premesse, per dare maggiore spazio all'esposizione dei contenuti. Inoltre, la brevità del discorso di Bildad costituisce un forte segnale narrativo, l'esaurimento delle argomentazioni da parte degli amici, proprio mentre Giobbe accresce, invece, i suoi interrogativi e le sue considerazioni.
vv. 2-3. A Dio appartiene la sovranità indiscussa su tutto il creato (v. 2; cfr. Sal 103,19-22). Ma il dominio di Dio è per Bildad accompagnato dal terrore, dalla paura che incute. Il termine paḥad indica infatti quello stato emotivo caratterizzato da un senso di insicurezza, di smarrimento, di ansia, che, nell'ambito religioso, si può provare davanti a Dio (cfr. 23,15), in relazione con le potenti azioni divine nella storia (cfr. per es. Es 15,16) o che può essere provocato da Dio stesso (cfr. 13,11; 31,23) e, come in questo caso, è collegato alla maestà divina (cfr. anche Is 2,10.19.21). Il terrore, che Bildad mette in rilievo, costituisce dunque uno strumento con cui Dio esercita il suo dominio. Bildad riferisce inoltre l'azione pacificatrice divina nelle altezze celesti, nelle regioni eccelse (v. 2b; cfr. 16,19; 31,2; Sal 148,1). Essa richiama l'ordine stabilito da Dio nell'universo (Gn 1), oppure si può cogliere un riferimento alla corte celeste (cfr. 1,6; 2,1) che Dio presiede e di cui talvolta si avvale nel suo governo. Ciò che comunque è decisivo per Bildad, e che propone con un linguaggio metaforico, è che se Dio governa nell'alto dei cieli, inaccessibile all'uomo, a maggior ragione la sua luce raggiunge tutte le altre creature (v. 3b; cfr. 24,13). Benché gli empi agiscano nell'oscurità , nella notte, nelle tenebre (cfr. 24,14-17) che assicurano loro una maggiore impunibilità (cfr. 22,13; Es 22,1-2; 1Re 3,19-20; Is 29,15; Ger 49,9; Ez 8,12), essi non possono sottrarsi allo sguardo divino (cfr. Sal 11,2.4; Sir 23,18-21). Tutto ciò dimostra la suprema potenza di Dio che si estende sul creato in modo efficace, e a cui nulla si sottrae.
vv. 4-6. L'altra questione che Bildad reputa particolarmente importante riguarda l'impossibilità per l'uomo di essere giusto davanti a Dio. E Bildad lo asserisce con le stesse parole di Giobbe (cfr. v. 4a e 9,2b). Tuttavia, Giobbe lo esprimeva ritenendo pure che Dio conoscesse la sua giustizia (cfr. 10,7; 23,10-12). Certamente non così è per Bildad che, come Elifaz (cfr. 4,17; 15,14) e con lo stesso tipo di ragionamento a maiore ad minus (vv. 5-6; cfr. 4,18-19; 15,15-16), sostiene la sfiducia radicale verso l'uomo, la congenita tendenza dell'uomo verso il male (cfr. Gn 8, 21; Prv 20, 9; Sal 51,7), l'irriducibile distanza fra Dio e l'uomo. Bildad ed Elifaz, a loro insaputa, sono sulla stessa posizione del Satan, strenuo avversario dell'uomo (cfr. 1,9-11; 2,4-6), tutti impegnati a opporre Dio all'uomo, a umiliare l'uomo come neppure Dio ha mai fatto, a rendere Dio quale scrupoloso e diffidente sorvegliante dell'uomo pronto solo a premiare o a punire. Bildad pertanto riprende e ripropone questo argomento per contrastare la fiducia manifestata da Giobbe (cfr. 23,3-7.10-12), che, nonostante il tormento, resiste e che, invece di confessare la propria colpa pretende l'inaudito: un aperto confronto con Dio. Quindi, malgrado la brevità del discorso, Bildad ribatte all'amico con argomenti di grande rilievo che tuttavia non estinguono, ma accrescono, le questioni di Giobbe.
(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)
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