GIOBBE – Capitolo 26
RISPOSTA DI GIOBBE A BILDAD 1Giobbe prese a dire:
2“Che aiuto hai dato al debole e che soccorso hai prestato al braccio senza forza! 3Quanti consigli hai dato all'ignorante, e con quanta abbondanza hai manifestato la saggezza! 4A chi hai rivolto le tue parole e l'ispirazione da chi ti è venuta?
5Le ombre dei morti tremano sotto le acque e i loro abitanti. 6Davanti a lui nudo è il regno dei morti e senza velo è l'abisso. 7Egli distende il cielo sopra il vuoto, sospende la terra sopra il nulla. 8Rinchiude le acque dentro le nubi e la nuvola non si squarcia sotto il loro peso. 9Copre la vista del suo trono stendendovi sopra la sua nuvola. 10Ha tracciato un cerchio sulle acque, sino al confine tra la luce e le tenebre. 11Le colonne del cielo si scuotono, alla sua minaccia sono prese da terrore. 12Con forza agita il mare e con astuzia abbatte Raab. 13Al suo soffio si rasserenano i cieli, la sua mano trafigge il serpente tortuoso.
14Ecco, questi sono solo i contorni delle sue opere; quanto lieve è il sussurro che ne percepiamo! Ma il tuono della sua potenza chi può comprenderlo?“. _________________ Note 26,5-14 Questo inno di lode alla potenza di Dio secondo alcuni sarebbe da porre sulle labbra di Bildad e si collegherebbe allora con il testo di 25,1-6.
26,7-13 Egli distende il cielo: descrizione poetica della creazione del cosmo, che si ispira a immagini molto familiari agli antichi. Il serpente tortuoso (v. 13) è il Leviatàn (vedi la sua descrizione anche in 3,8; 40,25).
=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=
Approfondimenti
RISPOSTA DI GIOBBE A BILDAD (26,1-14) La replica di Giobbe contiene una critica radicale al contributo inefficace di Bildad (vv. 2-4), l'esaltazione della grandezza di Dio (v. 5-13), la constatazione del limite della conoscenza dell'uomo (v. 14).
vv. 5-13. Giobbe avanza nel discorso con un inno che magnifica la grandezza di Dio, ne mette in rilievo l'azione potente e la straordinaria opera creatrice. Per un momento è riattivata quella competizione simmetrica che si è già verificata nello svolgimento della Disputa, alla fine del primo e durante il secondo ciclo di discorsi. In questo caso, prima Bildad ha messo in rilievo l'onnipotenza divina (25,2-3), e adesso Giobbe gli risponde con una descrizione della potenza del Dio creatore. Evidentemente però non solo i tratti presi in considerazione sono diversi, ma soprattutto le conclusioni che essi traggono sono differenti. Per Bildad era importante affermare il carattere pervasivo ed efficace della potenza divina, per Giobbe dimostrare che l'uomo conosce solo dei frammenti della grandezza di Dio. Bildad aveva riferito l'onnipotenza divina in relazione all'opera di Dio nelle altezze celesti; Giobbe, con maggiori dettagli, ne evidenzia il governo sul mondo. Prima di tutto nota che la potenza divina raggiunge lo ṣɇ'ôl (vv. 5-6; cfr. Am 9,2; Sal 139,8; Prv 15,11), il mondo sotterraneo e il regno dei morti, i rɇpā’îm (cfr. Is 14,9; 26,14.19; ecc). Giobbe accenna poi all'azione creatrice di Dio nel mondo: qui l'uso in ebraico del participio sembra voler sottolineare che si tratta di un'azione divina che ancora continua (vv. 7-9). Ma la potenza creatrice di Dio manifesta, per Giobbe, anche i suoi tratti vigorosi sulla natura e sugli esseri viventi. Così Dio, tracciando l'orizzonte, ha separato la luce dalle tenebre (v. 10; cfr. Prv 8,27) e con il suo rimprovero ha reso stabili le colonne del cielo (v. 11). Altrove si parla delle fondamenta del cielo (cfr. 1Sam 22,8), e delle colonne della terra, sulle quali, secondo un'altra concezione, si appoggia la terra (cfr. 1Sam 2,8; Sal 75,4; 104,5): Giobbe riferisce inoltre che Dio, con la sua forza, ha agitato il mare (v. 12; cfr. Is 51,15; Ger 31,35) e ha colpito Raab, che a una prima lettura sembra indicare un mostro marino (cfr. 3,8; 7,12; 9,13). In tal modo dunque Giobbe esalta il dominio di Dio sulle forze della natura, anche quelle ostili all'uomo (così pure nel v. 13). Tuttavia l'associazione fra il movimento del mare provocato da Dio e il fatto che pure ha schiacciato Raab, altrove usato come designazione dell'Egitto per la sua insolenza (cfr. Is 30,7; Sal 87,4; 89,11), insieme all'uso, nel testo ebraico, dei verbi al perfetto (che descrivono dunque delle azioni già compiute), induce a cogliere in questa affermazione di Giobbe (come in Is 51,9-10) una raffinata allusione anche al passaggio del mare, all'esodo (cfr. Es 14, 15-31), evento inaudito che Dio ha compiuto per Israele.
v. 14. Nella visione cosmologica di Giobbe tutto deriva ed è sottomesso alla potenza di Dio creatore. Giobbe, a conclusione, considera però che l'uomo percepisce solo una traccia, un sussurro (cfr. 4,12) del potente agire divino. La conoscenza dell'uomo è limitata, in gran parte non comprende le vie, le opere, le ragioni di Dio.
(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)