GIOBBE – Capitolo 35

Il comportamento dell'uomo e Dio 1 Eliu prese a dire: 2“Ti pare di aver pensato correttamente, quando dicesti: “Sono giusto davanti a Dio”? 3Tu dici infatti: “A che serve? Quale guadagno ho a non peccare?“. 4Voglio replicare a te e ai tuoi amici insieme con te. 5Contempla il cielo e osserva, considera le nubi, come sono più alte di te. 6Se pecchi, che cosa gli fai? Se aumenti i tuoi delitti, che danno gli arrechi? 7Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? 8Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d'uomo la tua giustizia! 9Si grida sotto il peso dell'oppressione, si invoca aiuto contro il braccio dei potenti, 10ma non si dice: “Dov'è quel Dio che mi ha creato, che ispira nella notte canti di gioia, 11che ci rende più istruiti delle bestie selvatiche, che ci fa più saggi degli uccelli del cielo?“. 12Si grida, allora, ma egli non risponde a causa della superbia dei malvagi. 13È inutile: Dio non ascolta e l'Onnipotente non vi presta attenzione; 14ancor meno quando tu dici che non lo vedi, che la tua causa sta innanzi a lui e tu in lui speri, 15e così pure quando dici che la sua ira non punisce né si cura molto dell'iniquità. 16Giobbe dunque apre a vuoto la sua bocca e accumula chiacchiere senza senso”. _________________ Note

35,9-16 Il testo ebraico è di difficile interpretazione e non sempre è possibile renderlo con la dovuta chiarezza. Il tema centrale sembra essere: Dio ascolta solo se lo si invoca con cuore umile.

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Approfondimenti

Il comportamento dell'uomo e Dio (35,1-16) Questo nuovo discorso è molto breve e continua l'argomentazione precedente. Eliu attribuisce a Giobbe la questione sul vantaggio che proviene dalla rettitudine dell'uomo (vv. 2-4) e ribatte asserendo che nessuna azione umana può influenzare Dio (vv. 5-9), pertanto ogni pressione su Dio è inutile (vv. 10-16).

vv. 1-4. Eliu riporta, secondo la sua consuetudine, alcuni richiami alle affermazioni di Giobbe, ma con una interpretazione di nuovo provocatoria. Per Eliu, Giobbe avrebbe rivendicato una giustizia superiore a quella di Dio (v. 2). Questo è anche il motivo, riferito dal narratore, che aveva alimentato l'ira di Eliu (cfr. 32,2) e la decisione di intervenire per confutare Giobbe. In realtà Giobbe ha dichiarato ripetutamente la sua innocenza e ha interpellato Dio riguardo al suo agire, senza mai misurare la giustizia di entrambi. Inoltre, benché Eliu continui ad attribuire a Giobbe la questione dell'interesse per l'uomo nella relazione con Dio (v. 3; cfr. 34,9), essa appartiene agli amici (cfr. per es. 22,2-5), ed è anche il motivo della scommessa del Satan (cfr. 1,9). Intatti Giobbe vi ha alluso riportando i pensieri dei malvagi (cfr. 21,15), mentre ha lasciato intendere la tenace speranza di chi nella sventura può attingere alla relazione di comunione vissuta con Dio (cfr. 27,8-10). Peraltro Eliu stavolta annuncia di rispondere non solo a Giobbe, ma anche agli amici (v. 4).

vv. 5-8. La piccolezza dell'uomo non può raggiungere la grandezza di Dio. Pertanto né la rettitudine, né la malvagità influenzano in alcun modo Dio. L'infinita superiorità di Dio rende inconcepibile che il peccato o l'integrità dell'uomo tocchino Dio. Eliu condivide la concezione presentata da Elifaz (cfr. 22,2) secondo la quale è esclusivo interesse dell'uomo accogliere e vivere l'insegnamento divino (cfr. 22,22). Eliu nota che la rettitudine e la malvagità dell'uomo raggiungono e colpiscono i propri simili. Certamente tali argomentazioni rafforzano il concetto dell'imparzialità dell'azione divina, ma anche sottolineano una lontananza estrema fra Dio e l'uomo.

vv. 9-16. L'empietà perpetrata dai malvagi causa il grido degli oppressi; tuttavia, per Eliu, se ad essi Dio non risponde c'è una ragione. Probabilmente gridano per la gravità dell'oppressione (e Dio interviene, cfr. Es 3,7-9), ma, secondo Eliu, non invocano il Dio che li ha creati (cfr. Sal 50,15), che dà loro motivi di canto e di lode nella notte (cioè, nelle avversità, v. 10; con lo stesso senso cfr. Sal 77,7; 119,54) e una capacità di comprendere superiore a tutti gli altri esseri viventi. Così per Eliu, che pure introduce delle distinzioni per opportunità (per contrastare le resistenze di Giobbe), è una menzogna sostenere che Dio non vede o non tiene conto di ciò che avviene. Pertanto Giobbe, che asserisce di non vedere Dio (cfr. 23,8-9), dovrebbe sapere che il giudizio, la sua causa, è già davanti a Dio (contro quello che invece pensa, cfr. 23,3-7) e perciò ora egli dovrebbe attendere le consolazioni divine. Infatti non il giudizio supremo si è abbattuto su Giobbe, ma una punizione tale da indurlo a riconoscere i suoi peccati. Eliu ritiene quindi sproporzionata, fuori luogo, e dunque vana, la contesa di Giobbe con Dio, poiché Dio ha i suoi tempi e le modalità di intervenire, mentre, secondo Eliu, Giobbe deve solo prendere atto della propria colpa.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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