Lettera a Tito – Capitolo 2

Regolamento comunitario 1Tu però insegna quello che è conforme alla sana dottrina. 2Gli uomini anziani siano sobri, dignitosi, saggi, saldi nella fede, nella carità e nella pazienza. 3Anche le donne anziane abbiano un comportamento santo: non siano maldicenti né schiave del vino; sappiano piuttosto insegnare il bene, 4per formare le giovani all’amore del marito e dei figli, 5a essere prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non venga screditata. 6Esorta ancora i più giovani a essere prudenti, 7offrendo te stesso come esempio di opere buone: integrità nella dottrina, dignità, 8linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti svergognato, non avendo nulla di male da dire contro di noi. 9Esorta gli schiavi a essere sottomessi ai loro padroni in tutto; li accontentino e non li contraddicano, 10non rubino, ma dimostrino fedeltà assoluta, per fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore.

Motivazione cristologica del regolamento 11È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini 12e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, 13nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. 14Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. 15Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità. Nessuno ti disprezzi!

Approfondimenti

(cf LETTERA A TITO – Introduzione, traduzione e commento a cura di Rosalba Manes © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

Regolamento comunitario Il v. 1 svolge una triplice funzione: introduce il contesto rispetto alle posizioni degli eretici di 1,10-16, si presenta come il titolo dell'intero capitolo e costituisce una sorta di inclusione con 2,15.

Al v. 2 inizia un catalogo di sei virtù. La prima categoria a essere interpellata è quella degli uomini anziani. Ad essa sono riferite nonne che riguardano il modo di essere (devono essere seri, sobri, assennati); altre riguardano invece il modo di incarnare la fede (devono essere saldi nella fede, nell'amore e nella pazienza).

Alle donne anziane è richiesto un comportamento santo, che coinvolga la totalità della loro vita, spaziando in tutti gli aspetti della quotidianità (come abitudini alimentari personali e caratteristiche della relazione e del dialogo interpersonale) e facendo di questa una sorta di cattedra, da cui insegnare alle giovani ciò che conviene. Il loro insegnamento relativo al bene ha una dimensione familiare che tocca anche la sfera comunitaria e si risolve in un'autentica edificazione della famiglia e della Chiesa.

Seguono nel codice i requisiti tipici della donna credente sposata, che si caratterizza essenzialmente per l'amore al marito e ai figli. Da essi emerge un'alta concezione della fedeltà coniugale che esige la sottomissione: ciò che fonda l'esortazione alle mogli a essere sottomesse ai loro mariti non si trova nella relazione coniugale, ma nella necessità di evitare che l'assenza di sottomissione sortisca effetti negativi sull'intera comunità. Manca l'elemento della reciprocità (che richiede all'uomo un comportamento corrispondente).

Sorprende la laconicità dell'esortazione rivolta agli uomini più giovani. L'invito a essere assennati, comune anche agli anziani e alle giovani, mostra che questa direttiva dev'essere ritenuta vincolante per tutti. La stringatezza con cui si descrive questa categoria è un artificio retorico impiegato al fine di far emergere la figura di Tito. Torna in primo piano il capo della comunità e la centralità dell'incarico a lui affidato. Si evoca un altro strumento pedagogico per istruire la comunità, oltre a quello di fornire orientamenti comportamentali precisi: l'esemplarità della vita. Tito può istruire la comunità in un duplice modo: con le parole e con le opere. Egli deve presentare se stesso come «esempio di opere buone» che all'interno della lettera sono il segno distintivo della retta fede. L'esemplarità di vita è uno degli elementi caratteristici delle lettere Pastorali: per l'episcopo (cfr. lTm 3,2-7; Tt 1,7-9), per i diaconi (cfr. l Tm 3,8-12) e per i presbiteri (cfr. Tt 1,5-6). Essa non svolge solo una funzione parenetica, ma appartiene al dinamismo vitale della successione apostolica: Tito dev'essere modello, alla maniera dell'apostolo.

Segue a sorpresa un'esortazione che sembra fuori posto, forse a dare maggiore enfasi all'importanza della sottomissione e del silenzio, in chiave apologetica contro i dissidenti. L'intenzione dell'autore è di proporre la solidità delle strutture sociali come tratto distintivo delle comunità cristiane, per presentare la Chiesa come fattore stabilizzante per la società. I tratti caratteristici di uno schiavo autenticamente discepolo di Gesù sono la fedeltà e l'affidabilità nell'amministrare il patrimonio del suo padrone. Emerge così dal testo una visione secondo cui, testimoniando la fede, gli schiavi mostrano la loro disponibilità ad accettare la propria posizione sociale come conforme alla volontà di Dio.

Motivazione cristologica del regolamento Dopo il piccolo regolamento che cerca di disciplinare i vari stati di vita in 2,2- 1O, segue il fondamento che lo sorregge, o meglio la motivazione cristologica da cui esso sgorga. Nei vv. 2-1O si enuncia «ciò che è conforme alla sana dottrina», cioè l'agire derivante da una giusta conoscenza, nei vv. 11-14 si chiarisce invece il contenuto della «sana dottrina», cioè i fondamenti dell'insegnamento che Tito deve trasmettere.

Il verbo «rendere visibile», ripreso poi in 3,4, suggerisce il carattere repentino dell'apparizione ed esprime un chiaro riferimento al mistero dell'incarnazione. Con l'espressione «a tutti gli uomini» appare la dimensione universale del progetto salvifico di Dio in consonanza con la visione presente anche in 1Tm 2,1.4.6. La grazia di Dio che si è manifestata presenta quattro caratteristiche:

  1. proviene da Dio; è «salvifica» (qualità che ricorda l'attribuzione a Cristo dell'appellativo «salvatore»);
  2. è «universale», cioè per tutti;
  3. si presenta come capace di «insegnare», opera che il Risorto condivide con gli uomini, affidandola ai predicatori del Vangelo come Paolo (cfr. Tt 1,3);
  4. è per «noi», per i credenti, coloro che si impegnano a imparare.

La pedagogia della grazia presenta un duplice aspetto: quello negativo della rinuncia alle passioni mondane e quello positivo di un nuovo stile di vita. Rinnegando le passioni, l'uomo non è più schiavo del peccato per vivere nella grazia, coltivando i valori della sapienza, della giustizia e di quella pietà che corrisponde alla religiosità più genuina. L'opera pedagogica della grazia si realizza così nel promuovere nella storia presente del credente le stesse qualità di Dio.

Appaiono i due poli della vita cristiana: il presente dell'etica, segnato dalla prima epifania, come tempo che scorre e passa, e il futuro escatologico della beatitudine e della gloria, segnato dalla seconda epifania, che è eterno. Tra i due tempi si colloca l'attesa e la speranza che è detta «beata» perché ha per oggetto la seconda venuta di Cristo. Essa riceve lo stesso attributo di Dio e si potrebbe dire che la «beata speranza» è Cristo stesso, che rivelerà al tempo stabilito la gloria del Padre.

L'espressione «grande Dio e salvatore» risveglia la memoria storica del popolo d'Israele riportandolo all'esodo. In 2,14, poi, è come se si spezzasse l'ordine cronologico del racconto epifanico, ormai proteso al futuro, per rievocare un episodio trascorso che torna vividamente alla memoria: «ha dato se stesso per noi». Dal futuro della «manifestazione della gloria» nella venuta del Cristo si verifica una sorta di flashback, per trasferirsi con la mente a un momento passato della storia, segnato da una consegna, da un dono. In Tt 2,14 la voce del discepolo fa spazio al maestro, perché sembra che qui sia Paolo a parlare, con un'espressione a lui tanto cara, presente nella lettera ai Galati, ma che ricorre poi in altri passi dell'epistolario paolino divenendo una formula che conferisce al testo un tono squisitamente liturgico. Tt 2,14 evoca quindi l'idea della morte di Gesù e rinvia all'annuncio legato alla tradizione dell'ultima cena (cfr. Lc 22,19-20; 1Cor 11,23-25), con le sue connotazioni di rappresentatività, di sacrificio e di riconciliazione.

Cristo riscatta l'umanità ferita dal male del peccato e la sposa facendola «sua». Non la riscatta con denaro, ma a prezzo del suo sangue. La sposa riscattata dal Cristo è il popolo cristiano, che è stato reso puro attraverso il sacrificio sulla croce e che appartiene a lui in una dimensione di intimità e comunione tipica dell'alleanza, di quel matrimonio tra Dio e il suo popolo che stimola nell'uomo il fiorire delle «opere buone». Queste sono il segno caratteristico dell'elezione, la cartina al tornasole della salvezza accolta e del cristianesimo incarnato, garanzia di una fede autentica e di una «conoscenza della verità intimamente unita a un'autentica vita religiosa» (cfr. Tt 1,1). Lo zelo per le opere buone diviene, a sua volta, l'epifania della dimensione fondamentale della vita cristiana: il dinamismo della fede che opera per mezzo dell'amore (cfr. Gal 5,6). Appare qui la profonda connessione tra cristologia ed etica. Alle «opere buone» l'autore della lettera conferisce un valore normativo in rapporto alla fede: sono un segno distintivo, proprio del cristiano autentico.

A conclusione dell'esposizione dottrinale viene espressa l'urgenza impellente di illustrare un tale insegnamento senza esitazione alcuna. All'interno del popolo cristiano un ruolo speciale spetta a Tito che deve usare «ogni» autorità conferitagli. Il v. 15 è così importante nell'economia dell'intera lettera da rappresentare la chiave di volta funzionale, poiché apporta una sorta di intensificazione o potenziamento della valenza retorica del messaggio. Esso appare una sorta di spartiacque tra i cc. 1-2, il cui tema dominante è la «sana dottrina», e il c: 3, il cui cuore è l'esercizio delle «opere buone». Paolo comunica l'urgenza delle istruzioni epistolari e svela il segreto di ciò che tiene unite l'ortodossia e l'ortoprassi: l'autorità intesa come canale comunicativo privilegiato. L'espressione «con ogni autorità» e il monito «nessuno ti disprezzi!» presentano l'autorità di Tito come assoluta. Si può pensare che a causa dei dissidenti l'autorità apostolica sia contrastata. Perciò l'autore della lettera la rilancia con forza e con espressioni molto incisive.


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