Lettera agli Ebrei – Capitolo 1

Introduzione 1Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, 2ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. 3Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, 4divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.

Cristo glorificato, Figlio di Dio superiore agli angeli 5Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio? 6Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio. 7Mentre degli angeli dice: Egli fa i suoi angeli simili al vento, e i suoi ministri come fiamma di fuoco, 8al Figlio invece dice: Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli; e: Lo scettro del tuo regno è scettro di equità; 9hai amato la giustizia e odiato l’iniquità, perciò Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di esultanza, a preferenza dei tuoi compagni. 10E ancora: In principio tu, Signore, hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani. 11Essi periranno, ma tu rimani; tutti si logoreranno come un vestito. **12Come un mantello li avvolgerai, come un vestito anch’essi saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso e i tuoi anni non avranno fine. 13E a quale degli angeli poi ha mai detto: Siedi alla mia destra, finché io non abbia messo i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi? 14Non sono forse tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza?

Approfondimenti

(cf LETTERA AGLI EBREI – Introduzione, traduzione e commento a cura di Filippo Urso © EDIZIONI SAN PAOLO, 2014)

La lettera agli Ebrei, secondo una ormai nota espressione di E. Grasser, «non è una lettera, non è di Paolo, né è stata inviata agli ebrei». È invece un magnifico e dotto «discorso di esortazione» (cf. Eb 13,22) sul sacerdozio di Cristo, messo per iscritto e poi inviato a cristiani vittime di opposizioni e persecuzioni, bisognosi di una parola di incoraggiamento e di consolazione per rimanere saldi in Gesù, «autore e perfezionatore» della loro fede (12,2), unico mediatore tra Dio e gli uomini.

Il titolo «Agli Ebrei» non fa parte dell'opera, ma è stato aggiunto successivamente. Infatti, non c'è alcun riscontro nel testo di questo nome o di quello di «giudei» oppure di «Israeliti», né ci sono allusioni a pratiche loro proprie come la circoncisione. Inoltre, non è indicata la regione in cui i destinatari vivono, né le loro origini etniche. Non si sottolinea, altresì, alcuna distinzione tra giudei e pagani. Ciò che è certo è che il predicatore si rivolge a dei cristiani (cf. 3,14) – e cristiani di lunga data (cf. 5,12) – i quali sono esortati a rimanere saldi nella fede in Cristo contro tendenze giudaizzanti di ritorno. Proprio questo aspetto, insieme a una conoscenza approfondita del culto giudaico, ha fatto pensare che l'autore si rivolgesse a una comunità di ebrei.

** Introduzione** L'autore dirige subito l'attenzione dei suoi uditori verso il cuore di tutta la rivelazione biblica e, cioè, l'iniziativa di Dio di dialogare con l'uomo per entrare in comunione con lui e renderlo partecipe della sua santità (cf. 12,10). È questa volontà di Dio che egli sottolinea subito fin dall'inizio e in modo energico; per questa ragione non mira tanto a parlare dei contenuti del messaggio, quanto alla comunicazione in sé, attraverso tutti i protagonisti di questo processo: «Dio» che parla, i «padri» prima e «noi» ora, ai quali è rivolta questa parola e, infine, i mediatori della rivelazione, cioè i «profeti» nel tempo antico e il «Figlio» nella pienezza dei tempi. Colui che si rivela è sempre Dio: nel primo periodo ha parlato attraverso i profeti, in quello decisivo e finale mediante il Figlio. Questo Figlio unigenito – definitivo mediatore della parola di Dio nella seconda fase della storia della salvezza – , il Padre lo ha costituito «erede» di tutto e mediatore dell'atto creatore di Dio (cf. Gv 1,3.10; 1Cor 8,6; Col 1,16-17). Nella seconda parte dell'introduzione vengono considerati dapprima il Figlio nei rapporti con il Padre e con il mondo (1,3a); poi le due fasi della sua opera redentrice (1,3b); infine è presentata la dignità del Figlio successiva all'opera della redenzione (1,4). Il predicatore, dopo aver presentato il Figlio nella sua gloria di erede universale e di mediatore della creazione, ora lo contempla in sé, nella sua divinità. Per rivelare l'essere del Figlio, lo rapporta con la persona divina del Padre con due sostantivi «irradiazione» e «impronta». Dopo la relazione con il Padre l'autore passa alla relazione del Figlio con ogni altra realtà, che è da lui sorretta e sostenuta con la potenza della sua parola. Dunque, il Figlio, oltre a essere all'origine della creazione, è anche colui che conserva l'universo nella sua esistenza (cf. Col 1, 16-17). Il predicatore conclude al v. 4 il suo esordio con una frase sulla superiorità di Cristo sugli angeli che prepara la prima parte della lettera (da 1,5 a 2,18).

Cristo glorificato, Figlio di Dio superiore agli angeli Il confronto tra Cristo e gli angeli permette di delimitare questa prima parte della lettera agli Ebrei: il vocabolo «angeli», oltre a racchiudere i due capitoli in un'inclusione (cf. 1,5 e 2,16), vi ricorre undici volte.

Attraverso un paragone in tre momenti, il predicatore spiega in questo brano la superiorità di Cristo nei confronti degli angeli. Il motivo di tale confronto sta nel fatto che gli angeli venivano venerati come dei mediatori importanti, perché Dio aveva donato la Legge a Mosè attraverso loro (cf. At 7,38.53; Gal 3,19; Eb 2,2); inoltre, erano considerati più vicini a Dio (cf. Tb 12,15) e capaci di influenzare la storia degli uomini, poiché regolavano gli astri (cf. la relazione molto stretta tra angeli e astri in Gb 38,7). Tuttavia, c'era il pericolo, nella mentalità culturale e religiosa del I secolo d.C., di un culto errato degli angeli, secondo il quale Cristo, in quanto uomo, non aveva la loro stessa capacità di mediazione. Dinanzi a queste idee false il predicatore reagisce (cf. la medesima reazione dell'apostolo Paolo in Gal 4,9-10 e Col 2,18) per affermare la supremazia di Cristo, Figlio di Dio fatto uomo e glorificato e quindi con una capacità di mediazione più grande di quella degli angeli, perché più vicino a Dio e più unito agli uomini. In 1,5 l'oratore inizia il paragone con due domande contenenti due citazioni anticotestamentarie (Sal 2,7 e 2Sam 7,14), al fine di dimostrare la subordinazione degli angeli a Cristo. Le domande sono retoriche e tali da stimolare la partecipazione degli uditori, che conoscono molto bene i testi evocati.

Il secondo aspetto del confronto tra il Figlio di Dio e gli angeli riguarda la rispettiva relazione con Dio. Degli angeli il predicatore specifica che essi sono servitori di Dio, dei quali dispone per qualsiasi missione e, citando il Sal 103,4 LXX (TM 104,4), fa comprendere che sono instabili, poiché Dio se ne serve ora secondo una forma (cf. «come venti») ora secondo un'altra (cf. «come fiamme di fuoco»).

Il terzo confronto inizia con una domanda retorica sugli angeli che suppone una risposta negativa: a nessuno degli angeli Dio ha mai detto di sedere alla sua destra. Questa domanda introduce, con tono di sfida, un oracolo contenuto nel Sal 109,1 LXX (TM 110,1). Il Salmo in origine probabilmente si riferiva all'intronizzazione dei successori di David che sedevano in trono alla destra di Dio, cioè, alla destra del tempio di Gerusalemme. Al re, così costituito, veniva riconosciuta una grande autorità, perché era il rappresentante di Dio sulla terra. Tuttavia, questa autorità terrena non poneva mai il re al di sopra degli angeli; il salmo riferito a Cristo glorificato, invece, vuole significare che egli è superiore agli angeli. Si tratta di un salmo messianico, tra i più importanti, che Gesù stesso riferì a sé (cf. Mt 22,41-46; Mc 12,35-37; Lc 20,41-44) e che la Chiesa primitiva applicò a Cristo (cf. At 2,34-36; 1Cor 15,25). Il Figlio è Signore intronizzato alla destra della Maestà nei cieli; gli angeli, invece, sono soltanto servi di Dio. Dunque, il Figlio è superiore agli angeli. Si conclude con questa serie di tre confronti il primo aspetto del nome di Cristo, che è quello di «Figlio» in relazione unica con Dio che lo ha generato, con il quale è coeterno, consustanziale (cf. Eb 1,3: «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza»), unito indissolubilmente e insieme distinto (cf. 1,13: «Siedi alla mia destra») e insieme al quale è creatore e Signore del mondo.


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