Libro dell’Apocalisse – Capitolo 17

GIUDIZIO E SALVEZZA (17,1-22,5)

Babilonia, la prostituta 1E uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe, venne e parlò con me: «Vieni, ti mostrerò la condanna della grande prostituta, che siede presso le grandi acque. 2Con lei si sono prostituiti i re della terra, e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione». 3L’angelo mi trasportò in spirito nel deserto. Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, che era coperta di nomi blasfemi, aveva sette teste e dieci corna. 4La donna era vestita di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle; teneva in mano una coppa d’oro, colma degli orrori e delle immondezze della sua prostituzione. 5Sulla sua fronte stava scritto un nome misterioso: «Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli orrori della terra». 6E vidi quella donna, ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Al vederla, fui preso da grande stupore. 7Ma l’angelo mi disse: «Perché ti meravigli? Io ti spiegherò il mistero della donna e della bestia che la porta, quella che ha sette teste e dieci corna. 8La bestia che hai visto era, ma non è più; salirà dall’abisso, ma per andare verso la rovina. E gli abitanti della terra il cui nome non è scritto nel libro della vita fino dalla fondazione del mondo, stupiranno al vedere che la bestia era, e non è più; ma riapparirà. 9Qui è necessaria una mente saggia. Le sette teste sono i sette monti sui quali è seduta la donna. E i re sono sette: 10i primi cinque sono caduti; uno è ancora in vita, l’altro non è ancora venuto e, quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco. 11La bestia, che era e non è più, è l’ottavo re e anche uno dei sette, ma va verso la rovina. 12Le dieci corna che hai visto sono dieci re, i quali non hanno ancora ricevuto un regno, ma riceveranno potere regale per un’ora soltanto, insieme con la bestia. 13Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia. 14Essi combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re; quelli che stanno con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli». 15E l’angelo mi disse: «Le acque che hai visto, presso le quali siede la prostituta, simboleggiano popoli, moltitudini, nazioni e lingue. 16Le dieci corna che hai visto e la bestia odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le carni e la bruceranno col fuoco. 17Dio infatti ha messo loro in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno alla bestia, finché si compiano le parole di Dio. 18La donna che hai visto simboleggia la città grande, che regna sui re della terra».

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

GIUDIZIO E SALVEZZA L'interpretazione di quest'ultima parte del libro è tra le più controverse. Nel corso dei secoli le opinioni degli esegeti sono state disparate; ancora oggi le spiegazioni sono molto diverse. Nella linea ermeneutica proposta, il finale può essere letto come la rivelazione festosa e commossa della novità: l'assemblea liturgica rilegge gli oracoli profetici contro la nemica Babilonia e quelli sulla Gerusalemme messianica e, in quanto comunità del Cristo, celebra con entusiasmo la realizzazione già iniziata delle promesse; allo stesso tempo, tiene vivo il desiderio e l'attesa del compimento finale. Quest'ultima sezione, dunque, riprende il tema del settenario delle coppe e ne sviluppa le conseguenze: il mistero pasquale di Cristo, in quanto intervento decisivo di Dio nella storia dell'umanità, rappresenta il giudizio contro il demoniaco potere del male e l'inaugurazione di una realtà nuova. La struttura letteraria di questa sezione si può determinare a partire da un vistoso fenomeno di inclusione. Infatti, il v. 1 si ripete in modo quasi identico in 21,9; in entrambi i casi viene solennemente introdotto come angelo interprete uno dei sette che hanno versato le coppe. Essi mostrano a Giovanni due realtà particolarmente importanti e contrapposte: la prostituta-Babilonia (17,1-18) e la sposa-Gerusalemme (21,9-22,5). Tra questi due estremi compaiono quattro unità tematiche, ciascuna introdotta dalla visione di un angelo diverso (18,1-20; 18,21-24; 19,17-21; 20,1-21,8); al centro domina la figura della «parola (lógos) di Dio» che scende dal cielo per il grande scontro (19,11-16). In tutto, dunque, sette scene: strutturazione abituale per l'Apocalisse. Dopo il terzo elemento, inoltre, prima del quadro centrale, un intermezzo lirico (19,1-10)interrompe lo schema e offre spunti di interpretazione. Ritroviamo la stessa modalità compositiva della sezione che precede il versamento delle coppe, dove sei angeli circondano il Figlio dell'uomo (14,6-20); se quella serie rappresentava la preparazione, questa è, in modo speculare, il complemento delle sette coppe. Attraverso il ruolo centrale del «Re dei re, Signore dei signori» (17,14; 19,16), la complessa struttura esprime un movimento di passaggio da una città all'altra, cioè da Babilonia a Gerusalemme, dalla prostituta alla sposa, dal vecchio al nuovo. Le due immagini fondamentali (la città e la donna), sono interscambiabili e riassumono l'idea di relazione. La città evoca una vita sociale, fatta di rapporti e contatti tra persone; la città è il segno della convivenza umana. In modo simile, la donna richiama la relazione personale ed è il segno tipico dell'amore e di una vita di comunione. Ma entrambi questi simboli hanno due risvolti: la città può essere Babilonia o Gerusalemme e la donna può essere la prostituta o la sposa. Il terreno della relazione è quello decisivo dell'intervento di Dio e il profeta apocalittico celebra l'operato del Cristo risorto che ha reso possibile una nuova vita di scambio tra Dio e l'umanità: ha segnato la fine di Babilonia, la prostituta (il potere del male), e ha dato vita a Gerusalemme, la sposa (la comunione con Dio).

Babilonia, la prostituta L'intero capitolo si presenta come composizione omogenea suddivisa in tre parti:

a) l'introduzione narrativa che riassume il tema da trattare (vv. 1-3): b) la descrizione della visione (vv. 3b-6); c) la spiegazione dei vari particolari a opera dell'angelo interprete (vv. 7-18).

La storica città di Babilonia, grande nemica di Israele, causa della rovina del tempio e della città santa, era divenuta nell'epoca giudaica – grazie ad alcuni poemi profetici (cfr. Is 13-14; 21: Ger 50-51) – il simbolo stesso del male e del potere demoniaco; nell'ambiente apocalittico la sua rovina divenne il segno della distruzione di ogni forza perversa. L'interpretazione di questo simbolo è stata molto varia nel corso dei secoli e ancora oggi non trova gli esegeti concordi; decisivo dunque è chiarire «il mistero della donna» (v. 7), tenendolo distinto dalla figura della bestia. Le principali spiegazioni si possono così riassumere:

a) coloro che lessero l'Apocalisse come previsione delle vicende future, riconobbero in Babilonia il simbolo di una potente realtà corrotta, futura rispetto all'autore, ma contemporanea a colui che la riconosceva (p. es. il Sacro Romano Impero degenerato; la corruzione della gerarchia ecclesiastica: la realtà islamica); b)come reazione a questo metodo scorretto, il sistema interpretativo chiamato «escatologico» vide in Babilonia una realtà demoniaca alleata dell'anticristo, ovvero la cifra mitica del nemico che, alla fine dei tempi, si opporrà a Dio e al Cristo; c) gli esegeti moderni invece, che danno grande peso all'ambiente storico in cui l'opera è stata composta, vedono nella simbolica prostituta un'allusione a falsi profeti che mettevano in crisi la comunità, inducendo al lassismo morale e al sincretismo religioso; d) molti ricercatori contemporanei, interpretando il libro come una polemica anti-imperiale, riconoscono in Babilonia un simbolo di Roma, dell'arrogante struttura di potere che vuole sottomettere tutti giungendo all'autodivinizzazione; e) altri studiosi, infine, considerando l'Apocalisse un saggio teologico anti-giudaico, interpretano Babilonia come una paradossale allusione a Gerusalemme, cioè alla corruzione di Israele, il cui potere religioso si è venduto al potere politico romano.

Ognuna di queste proposte interpreta un aspetto della grande immagine apocalittica, con maggiore o minore aderenza al testo, senza però mai esaurirne la potenza evocativa. Per questo motivo, la ricchezza del simbolo e il suo valore universale inducono a superare una precisa identificazione, in modo da giungere a un significato talmente profondo da poter essere attualizzato da ogni lettore, in qualunque epoca viva. Non è una spiegazione disincarnata o moralistica, ma intende collocare il simbolo nel grande quadro della storia salvifica, per evidenziare che con l'evento pasquale Cristo ha cambiato le sorti dell'umanità. Partendo da fatti e situazioni concrete della fine del I secolo, il poeta-teologo ha creato un'immagine nuova e mistica che, con linguaggio profetico, evoca la corruzione dell'umanità stessa, la quale tradisce il suo Signore per fare alleanza con la bestia. Per questo Giovanni adopera l'importante vocabolo «mistero» al v. 5 e al v. 7: la condanna della grande prostituta indica la rovina di ogni forza maligna che corrompe l'umanità (cfr. 2Ts 2,7). È possibile riconoscere un legame narrativo e simbolico tra la «donna» che nel deserto era perseguitata dal serpente (12,14) e questa «donna» che nel deserto ha fatto alleanza con la bestia (17,3): nell'ultima sezione (cc. 12-22) si può, pertanto, riconoscere un percorso simbolico che parte dalla donna del capitolo 12 e, attraverso quella del capitolo 17, culmina al capitolo 21 con la terza figura femminile che è la «donna dell'Anello» (21,9). Il simbolo richiama l'umanità stessa, ovvero la persona o la natura umana, caratterizzata da situazioni e atteggiamenti diversi: proprio su di lei si concentra l'azione divina per realizzare il suo «mistero» (cfr. 10,7).

L'introduzione narrativa (17,1-3a). Un vistoso collegamento con il precedente settenario delle coppe introduce l'angelo interprete che promette di mostrare al veggente «la condanna della grande prostituta». Essa viene caratterizzata da alcuni elementi descrittivi che sono un'antologia di allusioni scritturistiche. L'attenzione è riservata alla donna in sé, non alla sua condanna; solo verso la fine del capitolo l'angelo annuncerà la rovina della prostituta e accennerà alle sue modalità. A chiusura dell'introduzione conviene porre anche la prima parte del v. 3, in cui si narra un'azione dell'angelo che trasporta altrove il profeta, preparandolo alla visione. La formula «mi trasportò in spirito» costituisce un'ulteriore inclusione tra la prima e la settima scena di questa serie in 21,10. Tra i due quadri il contrasto è segnato dal luogo simbolico («deserto» in 17,3, «monte grande ed elevato» in 21,10); in comune hanno, invece, la menzione dello «spirito», come nei momenti significativi dell'opera(cfr. 1,10; 4,2).

La visione della donna (17.3b-6). La descrizione vera e propria, connotata dal racconto in prima persona del veggente, è inclusa dalla consueta formula («vidi») con la ripetizione dell'oggetto («la/una donna»: 17,3b.6a). La visione della donna non presenta alcuna azione, ma assomiglia all'esposizione di un'opera d'arte secondo un consueto procedimento ellenistico. Già in 13,1 con un identico linguaggio, era stata presentata e descritta una bestia che ha i medesimi elementi caratteristici (sette teste e dieci corna); nel corso della descrizione, inoltre, ritornano anche altri importanti particolari, quali la prodigiosa ripresa della bestia dopo essere stata colpita, il seguito da parte degli abitanti della terra il cui nome non è scritto nel libro della vita, l'annuncio di una guerra e di una vittoria future. È quindi opportuno leggere tale immagine in continuità narrativa e attribuirle lo stesso significato: la «bestia che sale dal mare», supporto storico del «serpente antico». costituisce il simbolo del potere politico corrotto. Il nome della città viene pronunciato soltanto al v. 5 è Babilonia, simbolo per eccellenza della superbia e del rifiuto di Dio, maestra d'infedeltà e idolatria fin dal principio (cfr. Gen 11.1-9). La descrizione della donna, partita in modo quasi realistico, si conclude con un puro simbolo. Una nuova formula di visione sottolinea l'ultimo particolare descrittivo: non solo ha ubriacato le nazioni (17,2), ma è lei stessa ubriaca. Tuttavia la causa di tale ubriacatura non può essere vista. Giovanni visualizza un'affermazione teologica: la donna si è ubriacata di sangue umano. La realtà che ella simboleggia ha versato il sangue dei santi e in particolare dei testimoni di Gesù (cfr. 16,6: 18,24). I riferimenti storici al giudaismo anti-cristiano e alle persecuzioni romane non riducono la portata più universale del simbolo. Con l'immagine della «donna ubriaca di sangue», che mira intenzionalmente a suscitare disgusto, si raggiunge il vertice, a cui segue la reazione meravigliata di Giovanni. Pur essendo un classico nel genere apocalittico, l'insistenza sulla meraviglia può servire a evidenziare lo strano e grave cambiamento che ha portato la donna del capitolo 12 – custodita da Dio nel deserto – a prostituirsi al potere, facendo alleanza con il nemico che prima la perseguitava.

La spiegazione dell'angelo (17,7-18). L'intervento dell'interprete consiste in un lungo discorso esplicativo che passa in rassegna cinque elementi evocati in precedenza. All'inizio l'angelo annuncia l'intenzione di spiegare «il mistero» relativo alla donna e alla bestia (17,7); poi nomina i vari particolari e li spiega allegoricamente, ripetendo con insistenza la formula che richiama l'esperienza visiva. Anzitutto la bestia è identificata con il simbolo del potere politico corrotto (13,1-10); solo in un secondo momento si passa all'interpretazione dei particolari. L'enigma delle sette teste e delle dieci corna ha impegnato nei secoli gli esegeti nello sforzo vano di trasformare queste allusioni in un preciso schizzo storico del I secolo. Tuttavia bisogna riconoscere che tali simboli non li ha inventati Giovanni per descrivere le vicende a lui contemporanee, ma sono stati tratti dal libro di Daniele (cfr. Dn 7,7.20.24): è quindi naturale che non combacino con la storia romana. Inoltre, poiché molti particolari descrittivi contengono vistose contraddizioni, ne deriva la necessità di rinunciare a un quadro logico e realistico. Seguendo proprio l'esempio di Daniele, l'autore presenta la successione dei singoli regnanti come una realtà transitoria, manifestazione dell'unico potere bestiale, emissario di satana, destinato all'annientamento. La bestia demoniaca del potere, che dapprima sorregge l'umanità corrotta, poi si ribella contro di lei e la abbatte. È comprensibile che la bramosia del potere a ogni costo (cfr. v. 13) si opponga alla mentalità dell'Agnello che offre la propria vita. È inevitabile, perciò, che il potere terreno faccia guerra all'Agnello. Tuttavia egli è il vero re e il vero signore (cfr. 19,16). La sua vittoria, infatti, supera la prepotenza effimera dei potenti (che regnano «per un'ora soltanto») e dona ai fedeli la stessa possibilità di trionfo. Il v. 15 interrompe la trattazione delle corna e delle loro bellicose azioni. Appare come una frase parentetica ed è da molti ritenuta una glossa, aggiunta per spiegare la formula che compare nelle parole introduttive dell'angelo (17,1). I quattro sostantivi («popoli, folle, genti e lingue», cfr. 5,9: 7,9) indicano, ancora una volta, tutta l'umanità in cui è radicata l'infedeltà e l'idolatria. La connivenza tra la donna e la bestia non dura: l'angelo interprete annuncia, infatti, una reazione violenta dei potenti contro la prostituta (v. 16). Le immagini derivano dai due poemi allegorici composti da Ezechiele (cc. 16 e 23) per spiegare la storia di Israele fino alla caduta di Gerusalemme. Il profeta in esilio rimproverava il suo popolo per l'infedeltà e l'idolatria, presentando Israele come una donna diventata prostituta e, infine, odiata e punita dai suoi ex-amanti; conqueste immagini allegoriche si alludeva alla distruzione di Gerusalemme a opera dei Babilonesi nel 586 a.C. (cfr. Ez 16,39-41; 23,25-29). Nell'ottica cristiana, infatti, la caduta di Gerusalemme nell'anno 70 d.C.era segno dell'intervento punitore di Dio contro l'infedeltà (prostituzione) del suo popolo; allo stesso modo era stata interpretata dagli antichi profeti la distruzione per opera dei Babilonesi nel VI secolo: il potere politico corrotto, con cui la donna aveva trescato, è divenuto strumento per il «compimento» delle divine parole. La storia resta saldamente nelle mani di Dio, anche se sembra dominata dal potere bestiale: la bramosia di potere, pur opponendosi allo stile di Dio, finisce tuttavia per realizzare il suo stesso progetto. Tutto tende al compimento della rivelazione divina. Quindi l'immagine apocalittica non si ferma a «una» vicenda storica, parla piuttosto della situazione di ogni uomo in ogni tempo e, per questo motivo, può avere un'infinità di applicazioni concrete.


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