Libro dell’Apocalisse – Capitolo 3

I MESSAGGI ALLE SETTE CHIESE 2/2

Alla Chiesa che è a Sardi 1All’angelo della Chiesa che è a Sardi scrivi: “Così parla Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle. Conosco le tue opere; ti si crede vivo, e sei morto. 2Sii vigilante, rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato perfette le tue opere davanti al mio Dio. 3Ricorda dunque come hai ricevuto e ascoltato la Parola, custodiscila e convèrtiti perché, se non sarai vigilante, verrò come un ladro, senza che tu sappia a che ora io verrò da te. 4Tuttavia a Sardi vi sono alcuni che non hanno macchiato le loro vesti; essi cammineranno con me in vesti bianche, perché ne sono degni. 5Il vincitore sarà vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli. 6Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”.

Alla Chiesa che è a Filadèlfia 7All’angelo della Chiesa che è a Filadèlfia scrivi: “Così parla il Santo, il Veritiero, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude e quando chiude nessuno apre. 8Conosco le tue opere. Ecco, ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, hai però custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. 9Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei, ma mentiscono, perché non lo sono: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato. 10Poiché hai custodito il mio invito alla perseveranza, anch’io ti custodirò nell’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. 11Vengo presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. 12Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, dal mio Dio, insieme al mio nome nuovo. 13Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”.

Alla Chiesa che è a Laodicèa 14All’angelo della Chiesa che è a Laodicèa scrivi: “Così parla l’Amen, il Testimone degno di fede e veritiero, il Principio della creazione di Dio. 15Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! 16Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. 17Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. 18Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista. 19Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti. 20Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. 21Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono. 22Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”».

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

Alla Chiesa che è a Sardi Il giudizio sulla Chiesa (vv. 1c e 4) è particolarmente severo poiché a un'apparenza di vita si contrappone una realtà di morte. Nella comunità è presente. tuttavia, un resto che non è ancora «morto» perché non si è contaminato con l'idolatria. L'esortazione (vv. 2-3) insiste sulla vigilanza, invitando la comunità a risvegliarsi dal torpore del conformismo idolatrico che la uccide e a prendere coscienza della vitale tradizione apostolica. La promessa al vincitore (v. 5) richiama l'immagine delle vesti (v. 4): coloro che non si sono abbandonati all'idolatria si rivelano strettamente uniti alla vita del Cristo risorto e il dono iniziale ricevuto è da conservare fino allo splendore finale nella gloria. Allo stesso modo la loro coerente adesione al Signore li conserva nel numero degli eletti e li farà riconoscere ufficialmente come tali nella manifestazione ultima. In questo messaggio si insiste sul termine «nome», che ricorre in 3.1 col senso di «fama» e ancora in 3,5 nella promessa di conservarlo nel «libro della vita»: questa immagine riprende un tema classico del giudaismo apocalittico (cfr. Ml 3,16; Dn 12,1), secondo cui esiste una specie di registro divino nel quale sono segnati i nomi degli eletti. Ritornerà più volte nel seguito dell'opera (13,8; 17,8; 20.12.15: 21,27). Il nome indica la persona in una dimensione di conoscenza: al «nome» – intende dire Giovanni – deve corrispondere una sostanza.

Alla Chiesa che è a Filadèlfia Il Cristo si presenta in modo nuovo rispetto alle formule dell'introduzione, utilizzando cioè titoli non ancora adoperati per ribadire il proprio ruolo messianico, potente e universale, che lo avvicina a Dio stesso. Il giudizio sulla Chiesa (vv. 8-10) è totalmente positivo. Punto di partenza è l'immensa possibilità che il Cristo le ha donato e l'irrilevanza sociale della comunità è tutt'altro che contraria a questa potenzialità: la sua forza sta, infatti, nel rapporto costante con la Parola e la persona del Cristo. Ciò che gli antichi profeti dicevano dei popoli pagani nei confronti di Gerusalemme (cfr. Is 45,14; 49,23; e soprattutto Is 60,14), ora viene applicato a sedicenti Giudei che «vengono e si prostrano» nella comunità cristiana. Tale cambiamento di prospettiva è molto significativo; la situazione della Chiesa è descritta con le caratteristiche della comunità di Israele nell'ottimistica fase della ricostruzione post-esilica e l'ingresso di alcuni Giudei nella comunità cristiana diventa segno escatologico di un progetto finalmente realizzato. L'esortazione (v. 11) è brevissima e corrisponde a un cordiale invito a perseverare nel bene. La promessa al vincitore (v. 12) rievoca l'immagine della costruzione di Gerusalemme e del tempio, ma il tutto è trasfigurato secondo la rilettura cristiana: Gesù Cristo è il tempio di Dio e il cristiano è strettamente unito a lui in una relazione definitiva con il Padre, in un rapporto personale assolutamente nuovo e donato. Va notata, infatti, la particolare insistenza sull'aggettivo «nuovo», che indica la novità qualitativa: è «nuova» Gerusalemme ed è «nuovo» il nome del Cristo. Tale novità viene scritta sul vincitore stesso che diventa una colonna nel nuovo tempio, ricevendo la possibilità di una nuova relazione con Dio.

Alla Chiesa che è a Laodicèa Il giudizio (vv. 15-17) sulla Chiesa è molto duro: in realtà è l'unico esclusivamente negativo. Il problema di Laodicèa è rappresentato dalla mediocrità, dall'incoerenza e dall'indecisione: un'orgogliosa ed erronea coscienza di sé non le permette di comprendere la sua reale miseria. L'esortazione (vv. 18-20) è, di conseguenza, molto articolata e incisiva. L'autosufficienza della Chiesa può essere superata solo con il riconoscimento della dipendenza da Cristo e con l'accoglienza dei suoi doni, simbolicamente espressi: l'autentica relazione con Dio («l'oro purificato»), la partecipazione al mistero della risurrezione («le vesti bianche»), l'intelligenza spirituale (l'unzione col «collirio»). Proprio perché le vuole bene, il Cristo si impegna a correggere la sua comunità e a educarla; da parte sua i fedeli devono accogliere questo intervento con entusiasmo e disponibilità. Se nella sesta lettera era comparsa la formula «vengo presto» (v. 11), ora viene aggiunta e sottolineata un'affermazione di presenza del Cristo, che con un tono di vivace provocazione tende all'incontro conviviale e alla comunione personale. L'evoluzione delle immagini anticotestamentarie sottese alle sette lettere e l'esplicito finale sulla comunione con il Cristo risorto fanno pensare a un riferimento alla condizione della comunità contemporanea dell'autore, orgogliosa e mediocre, chiusa all'autentica accoglienza del Messia e perciò destinata, in breve, a essere «vomitata dalla bocca» di Dio (v. 16). Partecipe di altre vicende della storia di Israele, la comunità cristiana è esposta al reale pericolo derivante dal tiepido rifiuto operato da una parte del giudaismo. La promessa al vincitore (v. 21)è di carattere cristologico ed espande l'immagine di comunione annunciando la partecipazione del cristiano alla vittoria stessa del Messia. Il discorso che il Cristo rivolge a Giovanni arriva al suo culmine con questa proclamazione di vittoria e di intronizzazione. Secondo l'uso della predicazione apostolica (Mc 16,19; Ef 1,20), è adoperata l'immagine di Sal 110,1 applicata al re Messia, risorto e asceso al trono. È importante notare l'annuncio della partecipazione del fedele alla stessa glorificazione del Cristo («come anch'io»), sullo stesso trono che è quello del Padre.

Termina qui il discorso diretto iniziato in 1,17. L'evocazione finale del trono e della intronizzazione di Cristo prepara in modo adeguato il passaggio alla seconda parte dell'opera, tutta centrata su quest'ultimo motivo.


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