LUMEN GENTIUM 18-23

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Chiesa LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964)

CAPITOLO III – COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA E IN PARTICOLARE DELL'EPISCOPATO

Proemio 18 Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza. Questo santo Sinodo, sull'esempio del Concilio Vaticano primo, insegna e dichiara che Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Gv 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e di comunione [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla Chiesa di Cristo Pastor aeternus: Dz 1821 (3050s.)]. Questa dottrina della istituzione, della perpetuità, del valore e della natura del sacro primato del romano Pontefice e del suo infallibile magistero, il santo Concilio la propone di nuovo a tutti i fedeli come oggetto certo di fede. Di più proseguendo nel disegno incominciato, ha stabilito di enunciare ed esplicitare la dottrina sui vescovi, successori degli apostoli, i quali col successore di Pietro, vicario di Cristo [Cf. CONC. DI FIRENZE, Decretum pro Graecis: Dz 694 (1307) [Collantes 7.159] e CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla Chiesa di Cristo Pastor aeternus: Dz 1826 (3059)] e capo visibile di tutta la Chiesa, reggono la casa del Dio vivente.

L'istituzione dei dodici 19 Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro (cfr. Gv 21 15-17). Li mandò prima ai figli d'Israele e poi a tutte le genti (cfr. Rm 1,16) affinché, partecipi del suo potere, rendessero tutti i popoli suoi discepoli, li santificassero e governassero (cfr. Mt 28,16-20; Mc 16,15; Lc 24,45-48), diffondendo così la Chiesa e, sotto la guida del Signore, ne fossero i ministri e i pastori, tutti i giorni sino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). In questa missione furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste (cfr. At 2,1-36) secondo la promessa del Signore: «Riceverete una forza, quella dello Spirito Santo che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e sino alle estremità della terra» (At 1,8). Gli apostoli, quindi, predicando dovunque il Vangelo (cfr. Mc 16,20), accolto dagli uditori grazie all'azione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale che il Signore ha fondato su di essi e edificato sul beato Pietro, loro capo, con Gesù Cristo stesso come pietra maestra angolare (cfr. Ap 21,14; Mt 16,18; Ef 2,20) [Cf. Liber Sacramentorum di S. GREGORIO, pref. nelle feste di S. Mattia e di S. Tommaso: PL 78, 51 e 152; cf. Cod. Vat. lat. 3548, f. 18. S. ILARIO, In Ps. 67,10: PL 9, 450; CSEL 22, p. 286. S. GIROLAMO, Adv. Iovin. 1, 26: PL 23, 247A. S. AGOSTINO, In Ps. 86, 4: PL 37, 1103. S. GREGORIO M., Mor. in Iob XXVIII, V: PL 76, 455-456. PRIMASIO, Comm. in Apoc. V: PL 68, 924BC. PASCASIO RADB., In Mt. L. VIII, cap. 16: PL 120, 561C. Cf. LEONE XIII, Lett. Et sane, 17 dic. 1888: ASS 21 (1888), p. 321].

I vescovi, successori degli apostoli 20 La missione divina affidata da Cristo agli apostoli durerà fino alla fine dei secoli (cfr. Mt 28,20), poiché il Vangelo che essi devono predicare è per la Chiesa il principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Per questo gli apostoli, in questa società gerarchicamente ordinata, ebbero cura di istituire dei successori.

Infatti, non solo ebbero vari collaboratori nel ministero [Cf. At 6,2-6; 11,30; 13,1; 14,23; 20,17; 1 Ts 5,12-13; Fil 1,1; Col 4,11 e passim] ma perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la loro morte, affidarono, quasi per testamento, ai loro immediati cooperatori l'ufficio di completare e consolidare l'opera da essi incominciata [Cf. At 20,25-27; 2 Tm 4,6s da confr. con 1 Tm 5,22; 2 Tm 2,2; Tt 1,5; S. CLEMENTE ROM., Ad Cor. 44, 3: ed. FUNK I, p. 156]. raccomandando loro di attendere a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo li aveva posti a pascere la Chiesa di Dio (cfr. At 20,28). Perciò si scelsero di questi uomini e in seguito diedero disposizione che dopo la loro morte altri uomini subentrassero al loro posto [Cf. S. CLEMENTE ROM., Ad Cor. 44,2: ed. FUNK I, 154s]. Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa, secondo la testimonianza della tradizione, tiene il primo posto l'ufficio di quelli che costituiti nell'episcopato, per successione che decorre ininterrotta fin dalle origini [Cf. S. CLEMENTE ROM., Ad Cor. 44,2: ed. FUNK I, 154s] sono i sacramenti attraverso i quali si trasmette il seme apostolico [Cf. TERTULLIANO, Praescr. Haer. 32: PL 2, 53] . Così, come attesta S. Ireneo, per mezzo di coloro che gli apostoli costituirono vescovi e dei loro successori fino a noi, la tradizione apostolica in tutto il mondo è manifestata [Cf. S. IRENEO, Adv. Haer. III, 3, 1: PG 7, 848A; HARVEY 2, 8; SAGNARD, p. 100s: “manifestata”.] e custodita [Cf. S. IRENEO, Adv. Haer. III, 2, 2: PG 7, 847; HARVEY 2, 7; SAGNARD, p. 100: “è custodita”; cf. ib. IV, 26, 2: col. 1053; HARVEY 2, 236, e IV, 33, 8: col. 1077: HARVEY 2, 262].

I vescovi dunque hanno ricevuto il ministero della comunità per esercitarlo con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi [S. IGNAZIO M., Philad., Praef: ed. FUNK I, p. 264]. Presiedono in luogo di Dio al gregge [S. IGNAZIO M., Philad., 1,1; Magn. 6,1: ed. FUNK I, 264 e 234.] di cui sono pastori quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa [S. CLEMENTE ROM., l.c. [nota 6], 42, 3-4; 44, 3-4; 57, 1-2: ed. FUNK I, 152, 156, 171s; S. IGNAZIO M., Philad. 2; Smyrn. 8; Magn. 3; Trall. 7: ed. FUNK I, p. 265s, 282, 232, 246s ecc.; S. GIUSTINO, Apol. I, 65: PG 6,428; S. CIPRIANO, Epist., passim]. Come quindi è permanente l'ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori, cosi è permanente l'ufficio degli apostoli di pascere la Chiesa, da esercitarsi in perpetuo dal sacro ordine dei Vescovi _[Cf. LEONE XIII, Encicl. Satis cognitum, 29 giug. 1896: ASS 28 (1895-96), p. 732]. Perciò il sacro Concilio insegna che i vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli [Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. De sacr. Ordinis, cap. 4: Dz 960 (1768) [Collantes 9.293]; CONC. VAT. I, Cost. dogm. I sulla Chiesa di Cristo Pastor aeternus, cap. 3: Dz 1828 (3061) [Collantes 7.186]. PIO XII, Encicl. Mystici Corporis, 29 giug. 1943: AAS 35 (1943), pp. 209 e 212 [Dz 3804; Collantes 7.200]. CIC can. 329 § 1 [nel nuovo Codice can. 375].] quali pastori della Chiesa, e che chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo (cfr. Lc 10,16) [Cf. LEONE XIII, Lett. Et sane, 17 dic. 1888: ASS 21 (1888), p. 321s].

Sacramentalità dell'episcopato 21 Nella persona quindi dei vescovi, assistiti dai sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Pur sedendo infatti alla destra di Dio Padre, egli non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici [Cf. S. LEONE M., Serm. 5, 3: PL 54, 154] in primo luogo, per mezzo dell'eccelso loro ministero, predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno (cfr. 1Cor 4,15) integra nuove membra al suo corpo con la rigenerazione soprannaturale; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine. Questi pastori, scelti a pascere il gregge del Signore, sono ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio (cfr. 1 Cor 4,1). Ad essi è stata affidata la testimonianza al Vangelo della grazia di Dio (cfr. Rm 15,16; At 20,24) e il glorioso ministero dello Spirito e della giustizia (cfr. 2Cor 3,8-9).

Per compiere cosi grandi uffici, gli apostoli sono stati arricchiti da Cristo con una effusione speciale dello Spirito Santo disceso su loro (cfr. At 1,8; 2,4; Gv 20,22-23), ed essi stessi con la imposizione delle mani diedero questo dono spirituale ai loro collaboratori (cfr. 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6-7), dono che è stato trasmesso fino a noi nella consacrazione Episcopale [Il CONC. DI TRENTO, Sess. 23, cap. 3, cita le parole di 2Tm 1,6-7 per dimostrare che l’Ordine è un vero sacramento: Dz 959 (1766)]. Il santo Concilio insegna quindi che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell'ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, realtà totale del sacro ministero [Nella Trad. Apost. 3, ed. BOTTE, Sources Chr., pp. 27-30, al Vescovo viene attribuito “il primato del sacerdozio”. Cf. Sacramentarium Leonianum, ed. C. MOHLBERG, Sacramentarium Veronense, Romae 1955, p. 119: “al ministero del sommo sacerdozio... Compi nei tuoi sacerdoti il culmine del tuo mistero...”. IDEM, Liber Sacramentorum Romanae Ecclesiae, Romae 1960, pp. 121-122: “Conferisci loro, Signore, la cattedra episcopale per reggere la tua Chiesa e tutto il popolo”. Cf. PL 78, 224]. La consacrazione episcopale conferisce pure, con l'ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare; questi però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e con le membra del collegio. Dalla tradizione infatti, quale risulta specialmente dai riti liturgici e dall'uso della Chiesa sia d'Oriente che d'Occidente, consta chiaramente che dall'imposizione delle mani e dalle parole della consacrazione è conferita la grazia dello Spirito Santo _[Cf. Trad. Apost. 2: ed. BOTTE, p. 27.] ed è impresso il sacro carattere [Cf. il CONC. DI TRENTO, che nella Sess. 23, cap. 4 insegna che il sacramento dell’Ordine imprime un carattere indelebile: Dz 960 (1767) [Collantes 9.291]. Cf. GIOVANNI XXIII, Disc. Iubilate Deo, 8 maggio 1960: AAS 52 (1960), p. 466. PAOLO VI, Omelia nella Bas. Vaticana, 20 ott. 1963: AAS 55 (1963), p. 1014] in maniera tale che i vescovi, in modo eminente e visibile, tengono il posto dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono in sua vece [S. CIPRIANO, Epist. 63, 14: PL 4, 386; HARTEL, IIIB, p. 713: “Il sacerdote compie veramente le funzioni di Cristo”. S. GIOV. CRISOSTOMO, In 2 Tim., Hom. 2, 4: PG 62, 612: Il sacerdote “symbolon” di Cristo. S. AMBROGIO, In Ps. 38, 25-26: PL 14, 1051-52: CSEL 64, 203-204. AMBROSIASTER, In 1 Tim. 5,19: PL 17, 479C e In Eph. 4, 11-12, col. 387C. TEODORO DI MOPS., Hom. Catech. XV, 21 e 24; ed. TONNEAU, pp. 497 e 503. ESICHIO DI GERUS., In Lev., L. 2, 9, 23: PG 93, 894B]. È proprio dei vescovi assumere col sacramento dell'ordine nuovi eletti nel corpo episcopale.

Il collegio dei vescovi e il suo capo 22 Come san Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, sono uniti tra loro. Già l'antichissima disciplina, in virtù della quale i vescovi di tutto il mondo vivevano in comunione tra loro e col vescovo di Roma nel vincolo dell'unità, della carità e della pace [Cf. EUSEBIO, Hist. Eccl., V, 24, 10: GCS II, 1, p. 495; ed. BARDY, Sources Chrét., II, p. 69. DIONIGI, in EUSEBIO, ib. VII, 5, 2: GCS II, 2, p. 638s; BARDY, II, p. 168s] e parimenti la convocazione dei Concili [Sugli antichi Concili cf. EUSEBIO, Hist. Eccl. V, 23-24; GCS II, 1, p. 488ss; BARDY, II, p. 66ss e passim. CONC. DI NICEA, can. 5: COD p. 7] per decidere in comune di tutte le questioni più importanti [Cf. TERTULLIANO, De Ieiunio, 13: PL 2, 972B; CSEL 20, p. 292, lin. 13-16] mediante una decisione che l'opinione dell'insieme [Cf. S. CIPRIANO, Epist. 56, 3: HARTEL IIIB, p. 650; BAYARD, p. 154] permetteva di equilibrare significano il carattere e la natura collegiale dell'ordine episcopale, che risulta manifestamente confermata dal fatto dei Concili ecumenici tenuti lungo i secoli. La stessa è pure suggerita dall'antico uso di convocare più vescovi per partecipare all elevazione del nuovo eletto al ministero del sommo sacerdozio. Uno è costituito membro del corpo episcopale in virtù della consacrazione sacramentale e mediante la comunione gerarchica col capo del collegio e con le sue membra.

Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli. Infatti il Romano Pontefice, in forza del suo Ufficio, cioè di Vicario di Cristo e Pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D'altra parte, l'ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa [Cf. la relazione ufficiale ZINELLI al CONC. VAT I: MANSI 52, 1109C] sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice. Il Signore ha posto solo Simone come pietra e clavigero della Chiesa (cfr. Mt 16,18-19), e lo ha costituito pastore di tutto il suo gregge (cfr. Gv 21,15 ss); ma l'ufficio di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro (cfr. Mt 16,19), è noto essere stato pure concesso al collegio degli apostoli, congiunto col suo capo (cfr. Mt 18,18; 28,16-20) [Cf. CONC. VAT I, Schema della Cost. dogm. II De Ecclesia Christi, c. 4:[176][176]NSI 53, 310. Cf. la relazione KLEUTGEN sullo Schema riformato: MANSI 53,321B-322B e la dichiarazione ZINELLI: MANSI 52, 1110A. Vedi anche S. LEONE M., Serm. 4,3: PL 54, 151A]. Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l'unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi, rispettando fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, esercitano la propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mente lo Spirito Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia. La suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa, è esercitata in modo solenne nel Concilio ecumenico. Mai può esserci Concilio ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro; ed è prerogativa del romano Pontefice convocare questi Concili, presiederli e confermarli [Cf. CIC, can. 222 e 227 (nel nuovo Codice can. 338)]. La stessa potestà collegiale insieme col papa può essere esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l'azione congiunta dei vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale.

Le relazioni all'interno del collegio episcopale 23 L'unità collegiale appare anche nelle mutue relazioni dei singoli vescovi con Chiese particolari e con la Chiesa universale. Il romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. Pastor aeternus: Dz 1821 (3050s)]. I singoli vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari [Cf. S. CIPRIANO, Epist. 66, 8: HARTEL III, 2, p. 733: “Il Vescovo nella Chiesa e la Chiesa nel Vescovo”] queste sono formate ad immagine della Chiesa universale, ed è in esse e a partire da esse che esiste la Chiesa cattolica una e unica [Cf. S. CIPRIANO, Epist 55,24: HARTEL, p. 642, lin. 13: “Un’unica Chiesa in tutto il mondo divisa in molte membra. Epist. 36, 4: HARTEL, p. 575, lin. 20-21]. Perciò i singoli vescovi rappresentano la propria Chiesa, e tutti insieme col Papa rappresentano la Chiesa universale in un vincolo di pace, di amore e di unità. I singoli vescovi, che sono preposti a Chiese particolari, esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né sopra la Chiesa universale. Ma in quanto membri del collegio episcopale e legittimi successori degli apostoli, per istituzione e precetto di Cristo sono tenuti ad avere per tutta la Chiesa [Cf. PIO XII, Encicl. Fidei Donum, 21 apr. 1957: AAS 49 (1957), p. 237] una sollecitudine che, sebbene non sia esercitata con atti di giurisdizione, contribuisce sommamente al bene della Chiesa universale. Tutti i vescovi, infatti, devono promuovere e difendere l'unità della fede e la disciplina comune all'insieme della Chiesa, formare i fedeli all'amore per tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cfr. Mt 5,10), e infine promuovere ogni attività comune alla Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità. Del resto è certo che, reggendo bene la propria Chiesa come una porzione della Chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure il corpo delle Chiese [Cf. S. ILARIO DI POIT., In Ps. 14,3: PL 9, 206; CSEL 22, p. 86. S. GREGORIO M., Moral. IV, 7, 12: PL 75, 643C. PSEUDO BASILIO, In Is. 15, 296: PG 30, 637C].

La cura di annunziare il Vangelo in ogni parte della terra appartiene al corpo dei pastori, ai quali tutti, in comune, Cristo diede il mandato, imponendo un comune dovere, come già papa Celestino ricordava ai Padri del Concilio Efesino [Cf. S. CELESTINO, Epist. 18, 1-2, al Conc. di Ef.: PL 50, 505AB; SCHWARTZ, Acta Conc. Oec. I, 1, 1, p. 22. Cf. BENEDETTO XV, Lett. Apost. Maximum illud: AAS 11 (1919), p. 440. PIO XI, Encicl. Rerum Ecclesiae, 28 febbr. 1926: AAS 18 (1926), p. 69. PIO XII, Encicl. Fidei Donum, l.c. (nota33)]. Quindi i singoli vescovi, per quanto lo permette l'esercizio del particolare loro dovere, sono tenuti a collaborare tra di loro e col successore di Pietro, al quale in modo speciale fu affidato l'altissimo ufficio di propagare il nome cristiano [Cf. LEONE XIII, Encicl. Grande munus, 30 sett. 1880: ASS 13 (1880), p. 145. Cf. CIC, can. 1327; can. 1350 § 2 (nel nuovo Codice: cf. can. 762)]. Con tutte le forze devono fornire alle missioni non solo gli operai della messe, ma anche aiuti spirituali e materiali, sia da sé direttamente, sia suscitando la fervida cooperazione dei fedeli. I vescovi, infine, in universale comunione di carità, offrano volentieri il loro fraterno aiuto alle altre Chiese, specialmente alle più vicine e più povere, seguendo in questo il venerando esempio dell'antica Chiesa.

Per divina Provvidenza è avvenuto che varie Chiese, in vari luoghi stabilite dagli apostoli e dai loro successori, durante i secoli si sono costituite in vari raggruppamenti, organicamente congiunti, i quali, salva restando l'unità della fede e l'unica costituzione divina della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un proprio patrimonio teologico e spirituale. Alcune fra esse, soprattutto le antiche Chiese patriarcali, quasi matrici della fede, ne hanno generate altre a modo di figlie, colle quali restano fino ai nostri tempi legate da un più stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri [Sui diritti delle Sedi patriarcali cf. CONC. DI NICEA, can. 6 per Alessandria e Antiochia, e can. 7 per Gerusalemme: Conc. Oec. Decr., p. 8 CONC. LATER. IV, anno 1215, Costit. V: De dignitate Patriarcharum: ibid. p. 212 (Dz 811). CONC. DI FERR.-FIR.: ibid., p. 504 (Dz 1307-08; Collantes 7.159-60)]. Questa varietà di Chiese locali tendenti all'unità dimostra con maggiore evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa. In modo simile le Conferenze episcopali possono oggi portare un molteplice e fecondo contributo acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente.

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Approfondimenti

I VESCOVI

  1. Premessa: Cristo stabilì nella Chiesa vari ministeri per servire ed incrementare il Popolo di Dio: gli Apostoli con a capo Pietro, e con essi i loro successori. Il Vaticano II, riproponendo la dottrina sul Primato e l’infallibile Magistero del Romano Pontefice, chiarisce quella relativa ai Vescovi, quali successori degli Apostoli (n. 18).
  2. Fu Cristo a scegliere e costituire pastori della sua Chiesa i dodici Apostoli (n. 19).
  3. Successori degli Apostoli (n. 20): a) Gli Apostoli, per diffondere e perpetuare la loro opera, si scelsero dei collaboratori, primi tra tutti i Vescovi, quali maestri, sacerdoti e pastori delle diverse Chiese; b) Come l’ufficio del Signore fu trasmesso a Pietro e quindi ai suoi successori, così «per istituzione divina» l’ufficio degli Apostoli viene trasmesso ai Vescovi.
  4. Sacramentalità episcopale: Attraverso la consacrazione episcopale, o pienezza del sacramento dell’Ordine, i Vescovi sono investiti dell’ufficio di santificare, insegnare e governare, da esercitare in comunione col Capo e le membra del Collegio (n. 21).
  5. Collegialità episcopale: a) Per volontà divina il Papa e i Vescovi costituiscono un unico Collegio, come Pietro e gli Apostoli di cui essi sono i successori (n. 22). b) Il Collegio episcopale ha autorità su tutta la Chiesa, solo però insieme al Papa, il quale invece conserva piena, suprema e universale tale potestà anche da solo (n. 22). c) La potestà collegiale può essere esercitata anche al di fuori del Concilio Ecumenico, quando il Papa solleciti o almeno accetti una azione collegiale (n. 22). d) I Vescovi in quanto membri del Collegio sono tenuti, (per istituzione), ed avere sollecitudine per il bene della Chiesa universale (n. 23).

Il capitolo III riveste una importanza particolare perché ridisegna quella piramide gerarchica ereditata dai secoli precedenti. Disegna infatti il rapporto tra la centralità del Papa e la collegialità dei vescovi sull’esempio dei Dodici. Contiene due trattati: uno sull’episcopato come soggetto collegiale e l’altro sulla funzione del singolo vescovo. Dalla trattazione globale sono estrapolati presbiteri e diaconi, cui sono dedicati due numeri molto sintetici. Queste figure, infatti, altro non sono che la presenza locale del vescovo.

La primissima nota inscrive la figura del vescovo nella categoria del servizio per un’unica figura di credente di pari dignità. La collegialità non è una strategia ma viene dalla volontà di Gesù che chiama gli apostoli come gruppo stabile. Solo il vescovo possiede la pienezza del sacramento dell’Ordine. A lui compete l’ufficio di santificare, insegnare e governare. Questo ufficio pubblico può essere esercitato solo in comunione con il collegio apostolico e con il suo capo. L’ordinazione episcopale immette nel collegio apostolico, per cui è quest’ultimo che decide della ammissione del nuovo membro, sempre nella piena comunione col capo. Il primato di Pietro è riaffermato, in continuità con il Concilio Vaticano I, ma viene ora integrato con l’intero collegio apostolico. Come non si da una autorità del collegio che non sia congiunta al Papa, così non si da autorità del Papa senza la presenza di una collegio apostolico. L’esempio più evidente sono i Concili Il n. 23 apre la nuova percezione della ecclesiologia. Ogni vescovo è visibile principio e fondamento di unità nella sua Chiesa particolare. Le chiese particolari son formate a immagine della Chiesa universale. In esse e da esse ha esistenza l’una e unica Chiesa: tutta la realtà ecclesiale sussiste nella singola chiesa e ogni chiesa è momento e parte dell’unica Chiesa. Come la chiesa particolare è una col suo vescovo, così le chiese particolari sono una col Papa.

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