LUMEN GENTIUM 24-29

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Chiesa LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964)

CAPITOLO III – COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA E IN PARTICOLARE DELL'EPISCOPATO

Il ministero episcopale 24 I vescovi, quali successori degli apostoli, ricevono dal Signore, cui è data ogni potestà in cielo e in terra, la missione d'insegnare a tutte le genti e di predicare il Vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini, per mezzo della fede, del battesimo e dell'osservanza dei comandamenti, ottengano la salvezza (cfr. Mt 28,18-20; Mc 16,15-16; At 26,17 ss). Per compiere questa missione, Cristo Signore promise agli apostoli lo Spirito Santo e il giorno di Pentecoste lo mandò dal cielo, perché con la sua forza essi gli fossero testimoni fino alla estremità della terra, davanti alle nazioni e ai popoli e ai re (cfr. At 1,8; 2,1 ss; 9,15). L'ufficio poi che il Signore affidò ai pastori del suo popolo, è un vero servizio, che nella sacra Scrittura è chiamato significativamente «diaconia», cioè ministero (cfr. At 1,17 e 25; 21,19; Rm 11,13; 1 Tm 1,12).

La missione canonica dei vescovi può essere data per mezzo delle legittime consuetudini, non revocate dalla suprema e universale potestà della Chiesa, o per mezzo delle leggi fatte dalla stessa autorità o da essa riconosciute, oppure direttamente dallo stesso successore di Pietro; se questi rifiuta o nega la comunione apostolica, i vescovi non possono essere assunti all'ufficio [Cf. Cod. Iuris Can., pro Eccl. Orient.: cc. 216-314 sui Patriarchi; cc. 324-339 sugli Arcivescovi maggiori; cc. 362-391 sugli altri dignitari; in specie c. 238 § 3; 216; 240; 251; 255: sulla nomina dei Vescovi da parte del Patriarca].

La funzione d'insegnamento dei vescovi 25 Tra i principali doveri dei vescovi eccelle la predicazione del Vangelo [Cf. CONC. DI TRENTO, Decr. De reform., Sess. V, c. 2, n. 9 e Sess. XXIV, can 4: Conc. Oec. Decr., pp. 645 e 739]. I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli; sono dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, la illustrano alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della Rivelazione cose nuove e vecchie (cfr. Mt 13,52), la fanno fruttificare e vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano (cfr. 2 Tm 4,1-4) . I vescovi che insegnano in comunione col romano Pontefice devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accettare il giudizio dal loro vescovo dato a nome di Cristo in cose di fede e morale, e dargli l'assenso religioso del loro spirito. Ma questo assenso religioso della volontà e della intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano Pontefice, anche quando non parla «ex cathedra». Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue affermazioni in conformità al pensiero e in conformità alla volontà di lui manifestatasi che si possono dedurre in particolare dal carattere dei documenti, o dall'insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi.

Quantunque i vescovi, presi a uno a uno, non godano della prerogativa dell'infallibilità, quando tuttavia, anche dispersi per il mondo, ma conservando il vincolo della comunione tra di loro e col successore di Pietro, si accordano per insegnare autenticamente che una dottrina concernente la fede e i costumi si impone in maniera assoluta, allora esprimono infallibilmente la dottrina di Cristo [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. Dei Filius, 3: Dz 1792 (3011) (Collantes 1.070). Cf. la nota aggiunta allo Schema I De Eccl. (desunta da S. ROB. BELLARMINO): MANSI 51, 579C; e lo Schema riformato della Cost. II De Ecclesia Christi, con il commento KLEUTGEN: MANSI 53, 313AB. PIO IX, Lett. Tuas libenter: Dz 1683 (2879) (Collantes 7.174)]. La cosa è ancora più manifesta quando, radunati in Concilio ecumenico, sono per tutta la Chiesa dottori e giudici della fede e della morale; allora bisogna aderire alle loro definizioni con l'ossequio della fede [Cf. CIC, cann. 1322-1323 (nel nuovo Codice: cann. 747-750)].

Questa infallibilità, della quale il divino Redentore volle provveduta la sua Chiesa nel definire la dottrina della fede e della morale, si estende tanto, quanto il deposito della divina Rivelazione, che deve essere gelosamente custodito e fedelmente esposto. Di questa infallibilità il romano Pontefice, capo del collegio dei vescovi, fruisce in virtù del suo ufficio, quando, quale supremo pastore e dottore di tutti i fedeli che conferma nella fede i suoi fratelli (cfr. Lc 22,32), sancisce con atto definitivo una dottrina riguardante la fede e la morale [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. Pastor Aeternus: Dz 1839 (3074) (Collantes 7.198)]. Perciò le sue definizioni giustamente sono dette irreformabili per se stesse e non in virtù del consenso della Chiesa, essendo esse pronunziate con l'assistenza dello Spirito Santo a lui promessa nella persona di san Pietro, per cui non hanno bisogno di una approvazione di altri, né ammettono appello alcuno ad altro giudizio. In effetti allora il romano Pontefice pronunzia sentenza non come persona privata, ma espone o difende la dottrina della fede cattolica quale supremo maestro della Chiesa universale, singolarmente insignito del carisma dell'infallibilità della Chiesa stessa [Cf. la spiegazione GASSER al CONC. VAT. I: MANSI 52, 1213AC]. L'infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel corpo episcopale quando esercita il supremo magistero col successore di Pietro. A queste definizioni non può mai mancare l'assenso della Chiesa, data l'azione dello stesso Spirito Santo che conserva e fa progredire nell'unità della fede tutto il gregge di Cristo [Cf. la spiegazione GASSER al CONC. VAT. I: MANSI 1214A].

Quando poi il romano Pontefice o il corpo dei vescovi con lui esprimono una sentenza, la emettono secondo la stessa Rivelazione, cui tutti devono attenersi e conformarsi, Rivelazione che è integralmente trasmessa per scritto o per tradizione dalla legittima successione dei vescovi e specialmente a cura dello stesso Pontefice romano, e viene nella Chiesa gelosamente conservata e fedelmente esposta sotto la luce dello Spirito di verità [Cf. la spiegazione GASSER al CONC. VAT. I: MANSI 1215CD, 1216-1217A]. Perché poi sia debitamente indagata ed enunziata in modo adatto [Cf. la spiegazione GASSER al CONC. VAT. I: MANSI 1213], il romano Pontefice e i vescovi nella coscienza del loro ufficio e della gravità della cosa, prestano la loro vigile opera usando i mezzi convenienti però non ricevono alcuna nuova rivelazione pubblica come appartenente al deposito divino della fede [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. Pastor aeternus, 4: Dz 1836 (3070)].

La funzione di santificazione 26 Il vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell'ordine, è «l'economo della grazia del supremo sacerdozio» [Orazione della consacrazione episcopale nel rito bizantino: Euchologion to mega, Romae 1873, p. 139] specialmente nell'eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire [Cf. S. IGNAZIO M., Smyrn. 8, 1: ed. FUNK I, p. 282] e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce. Questa Chiesa di Cristo è veramente presente nelle legittime comunità locali di fedeli, le quali, unite ai loro pastori, sono anch'esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento [Cf. At 8,1; 14,22-23; 20,17 e passim]. Esse infatti sono, ciascuna nel proprio territorio, il popolo nuovo chiamato da Dio nello Spirito Santo e in una grande fiducia (cfr. 1 Ts 1,5). In esse con la predicazione del Vangelo di Cristo vengono radunati i fedeli e si celebra il mistero della Cena del Signore, «affinché per mezzo della carne e del sangue del Signore siano strettamente uniti tutti i fratelli della comunità» [Orazione mozarabica: PL 96, 759B]. In ogni comunità che partecipa all'altare, sotto la sacra presidenza del Vescovo [Cf. S. IGNAZIO M., Smyrn. 8, 1: ed. FUNK I, p. 282] viene offerto il simbolo di quella carità e «unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza» [S. TOMMASO, Summa Theol. III, q. 73, a. 3]. In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere e disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica [Cf. S. AGOSTINO, C. Faustum, 12, 20: PL 42, 265; Serm. 57, 7: PL 38, 389, ecc]. Infatti «la partecipazione del corpo e del sangue di Cristo altro non fa, se non che ci mutiamo in ciò che riceviamo» [S. LEONE M., Serm. 63, 7: PL 54, 357C].

Ogni legittima celebrazione dell'eucaristia è diretta dal vescovo, al quale è demandato il compito di prestare e regolare il culto della religione cristiana alla divina Maestà, secondo i precetti del Signore e le leggi della Chiesa, dal suo particolare giudizio ulteriormente determinante per la propria diocesi. In questo modo i vescovi, con la preghiera e il lavoro per il popolo, in varie forme effondono abbondantemente la pienezza della santità di Cristo. Col ministero della parola comunicano la forza di Dio per la salvezza dei credenti (cfr. Rm 1,16), e con i sacramenti, dei quali con la loro autorità organizzano la regolare e fruttuosa distribuzione santificano i fedeli [92]. Regolano l'amministrazione del battesimo, col quale è concesso partecipare al regale sacerdozio di Cristo. Sono i ministri originari della confermazione, dispensatori degli ordini sacri e moderatori della disciplina penitenziale, e con sollecitudine esortano e istruiscono le loro popolazioni, affinché nella liturgia e specialmente nel santo sacrificio della messa compiano la loro parte con fede e devozione. Devono, infine, coll'esempio della loro vita aiutare quelli a cui presiedono, serbando i loro costumi immuni da ogni male, e per quanto possono, con l'aiuto di Dio mutandoli in bene, onde possano, insieme col gregge loro affidato, giungere alla vita eterna [Cf. il testo dell’esame all’inizio della consacrazione episcopale, e l’Orazione alla fine della Messa della consacrazione stessa, dopo il Te Deum].

La funzione di governo_** 27 I vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo [BENEDETTO XIV, Br. Romana Ecclesia, 5 ott. 1752, § 1: Bullarium Benedicti XIV, t. IV, Romae 1758, 21: “Il Vescovo l’immagine di Cristo e compie le sue funzioni”. PIO XII, Encicl. Mystici Corporis, l.c. [nota 15], p. 211: “I singoli nutrono e reggono i singoli greggi di Cristo loro assegnati” (Dz 3804; Collantes 7.200)], col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è il capo, come chi serve (cfr. Lc 22,26-27). Questa potestà, che personalmente esercitano in nome di Cristo, è propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in ultima istanza sottoposto alla suprema autorità della Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell'utilità della Chiesa o dei fedeli, possa essere ristretto. In virtù di questa potestà i vescovi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all'apostolato.

Ad essi è pienamente affidato l'ufficio pastorale ossia l'abituale e quotidiana cura del loro gregge; né devono essere considerati vicari dei romani Pontefici, perché sono rivestiti di autorità propria e con tutta verità sono detti «sovrintendenti delle popolazioni» che governano [ Cf. LEONE XIII, Encicl. Satis cognitum, 29 giugno 1896: ASS 28 (1895-96), p. 732. IDEM, Lett. Officio sanctissimo, 22 dic. 1887: ASS 20 (1887), p. 264. PIO IX, Lett. Apost. ai Vescovi della Germania, 12 marzo 1875, e Disc. Concist., 15 marzo 1875: Dz 3112-3117, solo nella nuova edizione]. La loro potestà quindi non è annullata dalla potestà suprema e universale [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. Pastor aeternus, 3: Dz 1828 (3061) [Collantes 7.186]. Cf. Relazione ZINELLI: MANSI 52, 1114D], ma anzi è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché è lo Spirito Santo che conserva invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita nella sua Chiesa.

Il vescovo, mandato dal padre di famiglia a governare la sua famiglia, tenga innanzi agli occhi l'esempio del buon Pastore, che è venuto non per essere servito ma per servire (cfr. Mt 20,28; Mc 10,45) e dare la sua vita per le pecore (cfr. Gv 10,11). Preso di mezzo agli uomini e soggetto a debolezza, può benignamente compatire gli ignoranti o gli sviati (cfr. Eb 5,1-2). Non rifugga dall'ascoltare quelli che dipendono da lui, curandoli come veri figli suoi ed esortandoli a cooperare alacremente con lui. Dovendo render conto a Dio delle loro anime (cfr. Eb 13,17), abbia cura di loro con la preghiera, la predicazione e ogni opera di carità; la sua sollecitudine si estenda anche a quelli che non fanno ancor parte dell'unico gregge e li consideri come affidatigli dal Signore. Essendo egli, come l'apostolo Paolo, debitore a tutti, sia pronto ad annunziare il Vangelo a tutti (cfr. Rm 1,14-15) e ad esortare i suoi fedeli all'attività apostolica e missionaria. I fedeli poi devono aderire al vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano concordi e unite [Cf. S. IGNAZIO M., Ad Ephes. 5, 1: ed. FUNK I, p. 216] e siano feconde per la gloria di Dio (cfr. 2 Cor 4,15).

I sacerdoti e i loro rapporti con Cristo, con i vescovi, con i confratelli e con il popolo cristiano 28 Cristo, santificato e mandato nel mondo dal Padre (cfr. Gv 10,36), per mezzo degli apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i vescovi a loro volta i vescovi [Cf. S. IGNAZIO M., Ad Ephes. 6, 1: ed. FUNK I, p. 218] hanno legittimamente affidato a vari membri della Chiesa, in vario grado, l'ufficio del loro ministero. Così il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi [Cf. CONC. DI TRENTO, De sacr. Ordinis, cap. 2: Dz 958 (1765) [Collantes 9.289], e can. 6: Dz 966 (1776) (Collantes 9.301)]. I presbiteri, pur non possedendo l'apice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro congiunti nella dignità sacerdotale [Cf. INNOCENZO I, Epist. ad Decentium: PL 20, 554A: MANSI 3, 1029: Dz 98 (215) [Collantes 9.075]: “I Presbiteri, pur essendo secondi nel sacerdozio, non hanno però la pienezza del pontificato”. S. CIPRIANO, Epist. 61,3: ed. HARTEL, p. 696] e in virtù del sacramento dell'ordine [Cf. CONC. DI TRENTO, l.c. [nota 63]: Dz 956a-968 (1763-1778) [Collantes 9.2889.303] e in specie can. 7: Dz 967 (1777) [Collantes 9.300]. PIO XII, Cost. Apost. Sacramentum Ordinis: Dz 2301 (3857-61) (Collantes 9.314-17)] ad immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote (cfr. Eb 5,1-10; 7,24; 9,11-28), sono consacrati per predicare il Vangelo, essere i pastori fedeli e celebrare il culto divino [Cf. INNOCENZO I, l.c. [nota 64]. S. GREGORIO NAZ., Apol. II, 22: PG 35,432B. PS. DIONIGI, Eccl. Hier., 1, 2: PG 3, 372D], quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento. Partecipi, nel loro grado di ministero, dell'ufficio dell'unico mediatore, che è il Cristo (cfr. 1 Tm 2,5) annunziano a tutti la parola di Dio. Esercitano il loro sacro ministero soprattutto nel culto eucaristico o sinassi, dove, agendo in persona di Cristo [Cf. CONC. DI TRENTO, Sess. 22: Dz 940 (1743) [Collantes 9.175]. PIO XII, Encicl. Mediator Dei, 20 nov. 1947: AAS 39 (1947), p. 553: Dz 2300 (3850) (Collantes 9.308)] e proclamando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio del loro capo e nel sacrificio della messa rendono presente e applicano fino alla venuta del Signore (cfr. 1 Cor 11,26), l'unico sacrificio del Nuovo Testamento, quello cioè di Cristo, il quale una volta per tutte offrì se stesso al Padre quale vittima immacolata (cfr. Eb 9,11-28) [Cf. CONC. DI TRENTO, Sess. 22: Dz 938 (1739-40) [Collantes 9.171-72]; CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 7 e n. 47: AAS 56 (1964), pp. 100-113 (pp. 21 e 45ss)]. Esercitano inoltre il ministero della riconciliazione e del conforto a favore dei fedeli penitenti o ammalati e portano a Dio Padre le necessità e le preghiere dei fedeli (cfr. Eb 5,1-4). Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l'ufficio di Cristo, pastore e capo [Cf. PIO XII, Encicl. Mediator Dei, l.c. alla nota 67], raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, per mezzo di Cristo nello Spirito [Cf. S. CIPRIANO, Epist. 11, 3: PL 4, 242B; HARTEL II, 2, p. 497] li portano al Padre e in mezzo al loro gregge lo adorano in spirito e verità (cfr. Gv 4,24). Si affaticano inoltre nella predicazione e nell'insegnamento (cfr. 1 Tm 5,17), credendo ciò che hanno letto e meditato nella legge del Signore, insegnando ciò che credono, vivendo ciò che insegnano [Cf. Pontificale Romanum, L’ordinazione dei Presbiteri, all’imposizione dei paramenti].

I sacerdoti, saggi collaboratori dell'ordine Episcopale [Cf. Pontificale Romanum, L’ordinazione dei Presbiteri, prefazione] e suo aiuto e strumento, chiamati a servire il popolo di Dio, costituiscono col loro vescovo un solo presbiterio [Cf. S. IGNAZIO M., Philad. 4: ed. FUNK I, p. 266. S. CORNELIO I, in S. CIPRIANO, Epist. 48, 2; HARTEL III, 2, p. 610] sebbene destinato a uffici diversi. Nelle singole comunità locali di fedeli rendono in certo modo presente il vescovo, cui sono uniti con cuore confidente e generoso, ne assumono secondo il loro grado, gli uffici e la sollecitudine e li esercitano con dedizione quotidiana. Essi, sotto l'autorità del vescovo, santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata, nella loro sede rendono visibile la Chiesa universale e portano un grande contributo all'edificazione di tutto il corpo mistico di Cristo (cfr. Ef 4,12). Sempre intenti al bene dei figli di Dio, devono mettere il loro zelo nel contribuire al lavoro pastorale di tutta la diocesi, anzi di tutta la Chiesa. In ragione di questa loro partecipazione nel sacerdozio e nel lavoro apostolico del vescovo, i sacerdoti riconoscano in lui il loro padre e gli obbediscano con rispettoso amore. Il vescovo, poi, consideri i sacerdoti, i suoi cooperatori, come figli e amici così come il Cristo chiama i suoi discepoli non servi, ma amici (cfr. Gv 15,15). Per ragione quindi dell'ordine e del ministero, tutti i sacerdoti sia diocesani che religiosi, sono associati al corpo episcopale e, secondo la loro vocazione e grazia, servono al bene di tutta la Chiesa.

In virtù della comunità di ordinazione e missione tutti i sacerdoti sono fra loro legati da un'intima fraternità, che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale, pastorale e personale, nelle riunioni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità.

Abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l'insegnamento (cfr. 1 Cor 4,15; 1 Pt 1,23). Divenuti spontaneamente modelli del gregge (cfr. 1 Pt 5,3) presiedano e servano la loro comunità locale, in modo che questa possa degnamente esser chiamata col nome di cui è insignito l'unico popolo di Dio nella sua totalità, cioè Chiesa di Dio (cfr. 1 Cor 1,2; 2 Cor 1,1). Si ricordino che devono, con la loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine, presentare ai fedeli e infedeli, cattolici e non cattolici, l'immagine di un ministero veramente sacerdotale e pastorale, e rendere a tutti la testimonianza della verità e della vita; e come buoni pastori ricercare anche quelli (cfr. Lc 15,4-7) che, sebbene battezzati nella Chiesa cattolica, hanno abbandonato la pratica dei sacramenti o persino la fede.

Siccome oggigiorno l'umanità va sempre più organizzandosi in una unità civile, economica e sociale, tanto più bisogna che i sacerdoti, consociando il loro zelo e il loro lavoro sotto la guida dei vescovi e del sommo Pontefice, eliminino ogni causa di dispersione, affinché tutto il genere umano sia ricondotto all'unità della famiglia di Dio.

I diaconi 29 In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani «non per il sacerdozio, ma per il servizio» [Constitutiones Ecclesiae Aegyptiacae, III, 2: ed. FUNK, Didascalia, II, p. 103; Statuta Eccl. Ant. 37-41: MANSI 3, 954]. Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nella «diaconia» della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio. È ufficio del diacono, secondo le disposizioni della competente autorità, amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l'eucaristia, assistere e benedire il matrimonio in nome della Chiesa, portare il viatico ai moribondi, leggere la sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, presiedere al rito funebre e alla sepoltura. Essendo dedicati agli uffici di carità e di assistenza, i diaconi si ricordino del monito di S. Policarpo: «Essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti» [S. POLICARPO, Ad Phil. 5, 2: ed. FUNK I, p. 300: Cristo detto “fatto diacono di tutti”. Cf. Didach 15, 1: ib., p. 32. S. IGNAZIO M., Trall. 2,3: ib., p. 242; Constitutiones Apostolorum, 8, 28, 4: ed. FUNK, Didascalia, I, p. 530].

E siccome questi uffici, sommamente necessari alla vita della Chiesa, nella disciplina oggi vigente della Chiesa latina in molte regioni difficilmente possono essere esercitati, il diaconato potrà in futuro essere ristabilito come proprio e permanente grado della gerarchia. Spetterà poi alla competenza dei raggruppamenti territoriali dei vescovi, nelle loro diverse forme, di decidere, con l'approvazione dello stesso sommo Pontefice, se e dove sia opportuno che tali diaconi siano istituiti per la cura delle anime. Col consenso del romano Pontefice questo diaconato potrà essere conferito a uomini di età matura anche viventi nel matrimonio, e così pure a dei giovani idonei, per i quali però deve rimanere ferma la legge del celibato.

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Approfondimenti

I VESCOVI

  1. Il ministero.

a) L'ufficio episcopale è servizio, cioè diaconia. Si riceve direttamente dal Signore, si esercita nella comunione apostolica (n. 24). b) Il primo degli uffici è quello d’insegnare. Viene precisata la dottrina della «infallibilità» applicata al Papa e ai Vescovi (n. 25). c) Segue il compito di santificare con la parola, i sacramenti, la preghiera, il lavoro, l’esempio (n. 26). d) Altro ministero episcopale è quello di governare le Chiese particolari in qualità di legati di Cristo, e quindi con autorità propria, ordinaria e immediata. Il suo esercizio resta però limitato all’Autorità suprema (n. 27).

B) I Sacerdoti (n. 28).

  1. Sia diocesani che religiosi, i Sacerdoti sono i primi collaboratori del Vescovo e formano con lui un unico Corpo sacerdotale. Non possiedono la pienezza del sacerdozio e dipendono dal proprio Vescovo. In virtù però dell’Ordine sacro partecipano realmente del sacerdozio ministeriale e degli annessi compiti pastorali.
  2. Dai Vescovi siano considerati cooperatori, figli ed amici.
  3. Tra di loro viga intima fraternità; verso i fedeli mostrino pastorale sollecitudine; dei lontani siano instancabili ricercatori.

C) I Diaconi (n. 29). 1. Sono collaboratori dei sacerdoti nella liturgia, nella predicazione e nella carità. 2. Il Diaconato viene costituito come grado a se stante. 3. Esso potrà essere conferito a uomini di matura età, anche nel matrimonio.

Il ministero del vescovo, pur nella sua condizione di autorità, è definito come servizio (diaconia) per la sua chiesa. Il primo compito è magisteriale. Il vescovo, come il Papa, insegna con autorità sotto due aspetti: • In modo ordinario con magistero autentico che richiede rispetto e obbedienza ma non coinvolge la fede. • In modo straordinario con magistero infallibile, vincolante la fede, se propone la dottrina e della Parola con sentenza definitiva.

Nel primo caso occorre discernere il grado di importanza del pronunciamento senza elevare ogni cosa a dogma e senza ridurre tutto a opinione. Il secondo si qualifica solo se emesso o assunto dal collegio apostolico con il Papa a garanzia e di valore per l’intera Chiesa. Ogni magistero è interno alla rivelazione e alla azione dello Spirito santo.

La funzione sacerdotale, ossia il compito di santificare, è pienamente realizzato nel vescovo. Egli non solo amministra i sacramenti, ma deve anche farli fare e così è la sola autorità per la disciplina dei sacramenti. La funzione di governo è propria (non delegata), ordinaria e immediata (diretto rapporto coi fedeli). I vescovi non sono i vicari del Papa ma posti sotto l’unico potere di Cristo che si manifesta nel collegio in unità tra sé e il Papa.

Il sacramento dell’ordine si articola in tre gradi.

  1. L’episcopato – la pienezza dell’ordine con tutte le caratteristiche dette;
  2. Il presbiterato – che manifesta le azioni episcopali di santificazione, insegnamento e governo del vescovo nelle comunità diffuse;
  3. Il diaconato – che manifesta l’ufficio di servizio del vescovo.

Non si parla di gerarchia ma solo di ministero ecclesiastico. Delle figure dei presbiteri e dei diaconi dice solo gli aspetti pastorali e rimanda poi ad altri documenti, conciliari e non, per la loro descrizione.

Il concilio distingue così ciò che è fondante – relativo alla volontà di Gesù, e ciò che è storico, pur se di elevatissimo valore.

https://www.chiesadilavenomombello.it/items/consiglio_pastorale/29/allegati/Lumen%20Gentium%20-%20riduzione%20ppt.pdf


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