LUMEN GENTIUM 48-51

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione dogmatica sulla Chiesa LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964)

CAPITOLO VII – INDOLE ESCATOLOGICA DELLA CHIESA PEREGRINANTE E SUA UNIONE CON LA CHIESA CELESTE

Natura escatologica della nostra vocazione 48 La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento se non nella gloria celeste, quando verrà il tempo in cui tutte le cose saranno rinnovate (cfr. Ap 3,21), e col genere umano anche tutto l'universo, il quale è intimamente congiunto con l'uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, troverà nel Cristo la sua definitiva perfezione (cfr. Ef 1,10; Col 1,20).

E invero il Cristo, quando fu levato in alto da terra, attirò tutti a sé (cfr. Gv 12,32 gr.); risorgendo dai morti (cfr. Rm 6,9) immise negli apostoli il suo Spirito vivificatore, e per mezzo di lui costituì il suo corpo, che è la Chiesa, quale sacramento universale della salvezza; assiso alla destra del Padre, opera continuamente nel mondo per condurre gli uomini alla Chiesa e attraverso di essa congiungerli più strettamente a sé e renderli partecipi della sua vita gloriosa col nutrimento del proprio corpo e del proprio sangue. Quindi la nuova condizione promessa e sperata è già incominciata con Cristo; l'invio dello Spirito Santo le ha dato il suo slancio e per mezzo di lui essa continua nella Chiesa, nella quale siamo dalla fede istruiti anche sul senso della nostra vita temporale, mentre portiamo a termine, nella speranza dei beni futuri, l'opera a noi affidata nel mondo dal Padre e attuiamo così la nostra salvezza (cfr. Fil 2,12).

Già dunque è arrivata a noi l'ultima fase dei tempi (cfr. 1Cor 10,11). La rinnovazione del mondo è irrevocabilmente acquisita e in certo modo reale è anticipata in questo mondo: difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di vera santità, anche se imperfetta. Tuttavia, fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora (cfr. 2Pt 3,13), la Chiesa peregrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo; essa vive tra le creature, le quali ancora gemono, sono nel travaglio del parto e sospirano la manifestazione dei figli di Dio (cfr. Rm 8,19-22).

Congiunti dunque con Cristo nella Chiesa e contrassegnati dallo Spirito Santo «che è il pegno della nostra eredità» (Ef 1,14), con verità siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo veramente (cfr. 1Gv 3,1), ma non siamo ancora apparsi con Cristo nella gloria (cfr. Col 3,4), nella quale saremo simili a Dio, perché lo vedremo qual è (cfr. 1Gv 3,2). Pertanto, «finché abitiamo in questo corpo siamo esuli lontani dal Signore» (2Cor 5,6); avendo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente (cfr. Rm 8,23) e bramiamo di essere con Cristo (cfr. Fil 1,23). Dalla stessa carità siamo spronati a vivere più intensamente per lui, il quale per noi è morto e risuscitato (cfr. 2Cor 5,15). E per questo ci sforziamo di essere in tutto graditi al Signore (cfr. 2Cor 5,9) e indossiamo l'armatura di Dio per potere star saldi contro gli agguati del diavolo e resistergli nel giorno cattivo (cfr. Ef 6,11-13). Siccome poi non conosciamo il giorno né l'ora, bisogna che, seguendo l'avvertimento del Signore, vegliamo assiduamente, per meritare, finito il corso irrepetibile della nostra vita terrena (cfr.Eb 9,27), di entrare con lui al banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati (cfr. Mt 25,31-46), e non ci venga comandato, come a servi cattivi e pigri (cfr. Mt 25,26), di andare al fuoco eterno (cfr Mt 25,41), nelle tenebre esteriori dove «ci sarà pianto e stridore dei denti» (Mt 22,13 e 25,30). Prima infatti di regnare con Cristo glorioso, noi tutti compariremo «davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno il salario della sua vita mortale, secondo quel che avrà fatto di bene o di male» (2Cor 5,10), e alla fine del mondo «usciranno dalla tomba, chi ha operato il bene a risurrezione di vita, e chi ha operato il male a risurrezione di condanna» (Gv 5,29, cfr Mt 25,46). Stimando quindi che «le sofferenze dei tempo presente non sono adeguate alla gloria futura che si dovrà manifestare in noi» (Rm 8,18; cfr 2Tm 2,11-12), forti nella fede aspettiamo «la beata speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e Salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13) «il quale trasformerà allora il nostro misero corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso» (Fil 3,21), e verrà «per essere glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che avranno creduto».

La Chiesa celeste e la Chiesa peregrinante 49 Fino a che dunque il Signore non verrà nella sua gloria, accompagnato da tutti i suoi angeli (cfr. Mt 25,31) e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose (cfr. 1Cor 15,26-27), alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri, compiuta questa vita, si purificano ancora, altri infine godono della gloria contemplando «chiaramente Dio uno e trino, qual è» [CONC. DI FIRENZE, Decretum pro Graecis: Dz 693 (1305) (Collantes 0.023)]. Tutti però, sebbene in grado e modo diverso, comunichiamo nella stessa carità verso Dio e verso il prossimo e cantiamo al nostro Dio lo stesso inno di gloria. Tutti infatti quelli che sono di Cristo, avendo lo Spirito Santo, formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in lui (cfr. Ef 4,16). L'unione quindi di quelli che sono ancora in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata; anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dallo scambio dei beni spirituali [Oltre ai documenti più antichi contro qualunque forma di evocazione spiritistica da Alessandro IV (27 sett. 1258) in poi, cf. Encicl. della S. S. C. del S. Uffizio De magnetismi abusu, 4 ag. 1856: ASS 1 (1865), pp. 177-178; Dz 1653-54 (2823-25); risposta della S. S. C. del S. Uffizio del 24 apr. 1917: AAS 9 (1917), p. 268; Dz 2182 (3642).]. A causa infatti della loro più intima unione con Cristo, gli abitanti del cielo rinsaldano tutta la Chiesa nella santità, nobilitano il culto che essa rende a Dio qui in terra e in molteplici maniere contribuiscono ad una più ampia edificazione (cfr. 1Cor 12,12-27) [Si veda l’esposizione sintetica di questa dottrina paolina in: PIO XII, Encicl. Mystici Corporis: AAS 35 (1943), p. 200 e passim.]. Ammessi nella patria e presenti al Signore (cfr. 2Cor 5,8), per mezzo di lui, con lui e in lui non cessano di intercedere per noi presso il Padre [Cf. per es. S. AGOSTINO, Enarr. in Ps. 85, 24: PL 37, 1099. S. GIROLAMO, Liber contra Vigilantium, 6: PL 23, 344. S. TOMMASO, In IV Sent., d. 45, q. 3, a. 2. S. BONAVENTURA, In IV Sent. d. 45, a. 3, q. 2; ecc.] offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini (cfr. 1Tm 2,5), servendo al Signore in ogni cosa e dando compimento nella loro carne a ciò che manca alle tribolazioni di Cristo a vantaggio del suo corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24) [Cf. PIO XII, Encicl. Mystici Corporis AAS 35 (1943), p. 245]. La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine.

Relazioni della Chiesa celeste con la Chiesa peregrinante 50 La Chiesa di coloro che camminano sulla terra, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana coltivò con grande pietà la memoria dei defunti e, «poiché santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti [Cf. parecchie iscrizioni nelle Catacombe romane] perché siano assolti dai peccati», ha offerto per loro anche suffragi. Che gli apostoli e i martiri di Cristo, i quali con l'effusione del loro sangue diedero la suprema testimonianza della fede e della carità, siano con noi strettamente uniti in Cristo, la Chiesa lo ha sempre creduto; li ha venerati con particolare affetto insieme con la beata vergine Maria e i santi angeli [Cf. GELASIO I, Decretale De libris recipiendis, 3: PL 59, 160; Dz 165 (353)] e ha piamente implorato il soccorso della loro intercessione. A questi in breve se ne aggiunsero anche altri, che avevano più da vicino imitata la verginità e la povertà di Cristo [Cf. S. METODIO, Symposion, VII, 3: GCS (BONWETSCH), p. 74] e infine altri, il cui singolare esercizio delle virtù cristiane [Cf. BENEDETTO XV, Decretum approbationis virtutum in Causa beatificationis et canonizationis Servi Dei Ioannis Nepomuceni Neumann: AAS 14 (1922), p. 23; diversi Discorsi di PIO XI sui Santi: Inviti all’eroismo, in Discorsi e Radiomessaggi, tt. 1941-1942, passim; PIO XII, Discorsi e Radiomessaggi, t. X, 1949, 37-43] e le grazie insigni di Dio raccomandavano alla pia devozione e imitazione dei fedeli [Cf. PIO XII, Encicl. Mediator Dei: AAS 39 (1947), p. 581].

Il contemplare infatti la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la città futura (cfr. Eb 13,14 e 11,10); nello stesso tempo impariamo la via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo e secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno [Cf. Eb 13,7; Sir 44-50; Eb 11,3-40. Cf. anche PIO XII, Encicl. Mediator Dei: AAS 39 (1947), p. 582-583], potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità. Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo (cfr. 2Cor 3,18), Dio manifesta agli uomini in una viva luce la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci dà un segno del suo Regno [Cf. CONC. VATICANO I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 3: Dz 1794 (3013) (Collantes 1.072)] verso il quale, avendo intorno a noi un tal nugolo di testimoni (cfr. Eb 12,1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati.

Non veneriamo però la memoria degli abitanti del cielo solo per il loro esempio, ma più ancora perché l'unione della Chiesa nello Spirito sia consolidata dall'esercizio della fraterna carità (cfr. Ef 4,1-6). Poiché, come la cristiana comunione tra i cristiani della terra ci porta più vicino a Cristo, così la comunità con i santi ci congiunge a lui, dal quale, come dalla loro fonte e dal loro capo, promana ogni grazia e la vita dello stesso popolo di Dio [Cf. PIO XII, Encicl. Mystici Corporis: AAS 35 (1943), p. 216 (Collantes 8.161)]. È quindi sommamente giusto che amiamo questi amici e coeredi di Gesù Cristo, che sono anche nostri fratelli e insigni benefattori, e che per essi rendiamo le dovute grazie a Dio [Circa la riconoscenza verso i Santi, cf. E. DIEHL, Inscriptiones latinae christianae veteres, I, Berolini 1925, nn. 2008, 2382 e passim], «rivolgiamo loro supplici invocazioni e ricorriamo alle loro preghiere e al loro potente aiuto per impetrare grazie da Dio mediante il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro, il quale solo è il nostro Redentore e Salvatore» [CONC. DI TRENTO, Decr. De invocatione... Sanctorum: Dz 984 (1821) (Collantes 7.343)]. Infatti ogni nostra vera attestazione di amore fatta ai santi, per sua natura tende e termina a Cristo, che è «la corona di tutti i santi» [Breviario romano, Invitatorio nella festa di Tutti i Santi] e per lui a Dio, che è mirabile nei suoi santi e in essi è glorificato [Cf. per es. 2 Ts 1,10].

La nostra unione poi con la Chiesa celeste si attua in maniera nobilissima, poiché specialmente nella sacra liturgia, nella quale la virtù dello Spirito Santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali, in fraterna esultanza cantiamo le lodi della divina Maestà tutti [CONC. VATICANO II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, cap. 5, n. 104: AAS 56 (1964), pp. 125-126], di ogni tribù e lingua, di ogni popolo e nazione, riscattati col sangue di Cristo (cfr. Ap 5,9) e radunati in un'unica Chiesa, con un unico canto di lode glorifichiamo Dio uno in tre Persone Perciò quando celebriamo il sacrificio eucaristico, ci uniamo in sommo grado al culto della Chiesa celeste, comunicando con essa e venerando la memoria soprattutto della gloriosa sempre vergine Maria, del beato Giuseppe, dei beati apostoli e martiri e di tutti i santi _[Messale romano, Canone (Preghiera Eucaristica I) della Messa].

Disposizioni pastorali del Concilio 51 Questa veneranda fede dei nostri padri nella comunione di vita che esiste con i fratelli che sono nella gloria celeste o che dopo la morte stanno ancora purificandosi, questo sacrosanto Concilio la riceve con grande pietà e nuovamente propone i decreti dei sacri Concili Niceno II [CONC. DI NICEA II, Sess. VII: Dz 302 (600) (Collantes 7.336)] Fiorentino [CONC. DI FIRENZE, Decretum pro Graecis: Dz 693 (1304) (Collantes 0.022)] e Tridentino [ONC. DI TRENTO, Decr. de invocatione, veneratione et reliquiis Sanctorum et sacris imaginibus: Dz 984-88 (1821-24) [Collantes 7.343-47]; Decr. de Purgatorio; Dz 983 (1820) [Collantes 0.029]; decr. De iustificatione, can. 30: Dz 840 (1580) (Collantes 8.113)]. E allo stesso tempo con pastorale sollecitudine esorta tutti i responsabili, perché, se si fossero infiltrati qua e là abusi, eccessi o difetti, si adoperino per toglierli o correggerli e tutto ristabiliscano per una più piena lode di Cristo e di Dio. Insegnino dunque ai fedeli che il vero culto dei Santi [Messale romano, dal prefazio dei Santi concesso alle diocesi di Francia] non consiste tanto nel moltiplicare gli atti esteriori, quanto piuttosto nell'intensità del nostro amore fattivo, col quale, per il maggiore bene nostro e della Chiesa, cerchiamo «dalla vita dei santi l'esempio, dalla comunione con loro la partecipazione alla loro sorte e dalla loro intercessione l'aiuto». E d'altra parte insegnino ai fedeli che il nostro rapporto con gli abitanti del cielo, purché lo si concepisca alla piena luce della fede, non diminuisce affatto il culto di adorazione reso a Dio Padre mediante Cristo nello Spirito, ma anzi lo arricchisce [Cf. S. PIETRO CANISIO, Catechismus Maior seu Summa Doctrinae christianae, cap. III (ed. crit. F. STREICHER), Pars I, pp. 15-16, n. 44 e pp. 100-101, n. 49].

Tutti quanti infatti, noi che siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola famiglia (cfr. Eb 3), mentre comunichiamo tra noi nella mutua carità e nell'unica lode della Trinità santissima, rispondiamo all'intima vocazione della Chiesa e pregustando partecipiamo alla liturgia della gloria perfetta [Cf. CONC. VATICANO II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, cap. I, n. 8: AAS 56 (1964), p. 401]. Poiché quando Cristo apparirà e vi sarà la gloriosa risurrezione dei morti, lo splendore di Dio illuminerà la città celeste e la sua lucerna sarà l'Agnello (cfr. Ap 21,24). Allora tutta la Chiesa dei santi con somma felicità di amore adorerà Dio e «l'Agnello che è stato ucciso» (Ap 5,12), proclamando a una voce: «A colui che siede sul trono e all'Agnello, benedizione onore, gloria e dominio per tutti i secoli dei secoli» (Ap 5,13-14).

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Approfondimenti

Cap. VII. — Indole escatologica della Chiesa pellegrinante e sua unione con la Chiesa celeste

La Chiesa ha il suo compimento nel Regno, compimento che coinvolge l’intero genere umano e lo stesso universo.

Il compimento è iniziato nella Pasqua di Cristo.

Questo compimento è anticipato, in modo imperfetto, dalla Chiesa nella quale c’è ancora il segno della caduta (chiesa peccatrice) insieme alla speranza della piena redenzione (chiesa santa).

Richiama i “novissimi” tradizionali: morte, giudizio, inferno e paradiso, riaffermando la resurrezione dei corpi.

Alle categorie di militante, purgante e trionfante, preferisce quella di pellegrinante e celeste.

Queste ultime costituisco l’unica Chiesa caratterizzata dalla comunione dei santi, siano essi ancora nella carne o già alla presenza del Padre.

Questa comunione è comunione di preghiera che parte da due diverse situazioni per convergere ad un unico mediatore, Cristo, ed un unico fine (il Padre).

https://www.chiesadilavenomombello.it/items/consiglio_pastorale/29/allegati/Lumen%20Gentium%20-%20riduzione%20ppt.pdf


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