NOSTRA AETATE 3-4
DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane NOSTRA AETATE (28 ottobre 1965)
La religione musulmana 3 La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra (5), che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.
Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.
La religione ebraica 4 Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo.
La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti.
Essa confessa che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede (6), sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell'esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l'Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell'ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvatico che sono i gentili (7). La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso (8). Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell'apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe: « ai quali appartiene l'adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine.
Essa ricorda anche che dal popolo ebraico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo.
Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata (9); gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione (10). Tuttavia secondo l'Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento (11). Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e « lo serviranno sotto uno stesso giogo » (Sof 3,9) (12).
Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.
E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (13), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.
E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.
La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la croce di Cristo come segno dell'amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia. _______________________ NOTE
(5) Cf. S. GREGORIO VII, Epist., III, 21, ad Anazir (Al-Nãþir), regem Mauritaniae, ed. E. CASPAR in MGH, Ep. sel. II, 1920, I, p. 288, 11-15; PL 148, 451A.
(6) Cf. Gal 3,7.
(7) Cf. Rm 11,17-24.
(8) Cf. Ef 2,14-16.
(9) Cf. Lc 19,44.
(10) Cf. Rm 11,28.
(11) Cf. Rm 11,28-29; CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 151ss].
(12) Cf. Is 66,23; Sal 64,4; Rm 11,11-32.
(13) Cf. Gv 19,6.
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Approfondimenti
Cristiani – musulmani: dimenticare il passato: voltare pagina! Si potrebbe sintetizzare così il n.3 della Nostra Aetate. Dietro questa dichiarazione ci sono secoli di diffidenza, di paure, di crociate, fino alle più recenti espressioni di una incomprensione storica che conosce forme aggressive, che certo non esprimono, né sul versante musulmano né su quello cristiano, il migliore e più autorevole volto delle due religioni. La breve descrizione che il Concilio fa dell’islam, dichiarando la sua stima per i musulmani, parte dalla visione di Dio, continua con il senso dell’islam come sottomissione ai decreti di Dio sull’esempio di Abramo. Si rintracciano anche due elementi di incontro nella venerazione di Gesù come profeta e nell’onore che i musulmani riservano a Maria. Altrettanto si rileva per l’escatologia e l’impegno nella vita morale. Rimane confermato, in questo quadretto, il principio ermeneutico della ricerca di ciò che è comune, al di là di ciò che divide.
Il paragrafo sugli ebrei è quello più corposo della NAe. E non a caso, dato che il documento stesso si era delineato e sviluppato a partire da questo interesse specifico. Com’era da attendersi, è soprattutto questo lo spazio dei frequenti rimandi biblici. La storia di una lunga antitesi, iniziata fin dalla prima ora dei rapporti tra ebrei e giudeo-cristiani, anticipata in qualche modo dalle polemiche di Gesù con farisei, scribi e l’establishment sacerdotale e culminata con la sua morte, dopo duemila anni che hanno visto i pogrom e la shoah, torna ad una pacata rilettura della storia della salvezza e dei testi neotestamentari. Il nuovo clima di dialogo – direi l’imperativo del dialogo – aiuta a ricercare, tra i testi, quelli che meglio possono favorire l’incontro. Ma non è questione di pura etica di un rapporto che vuol tornare ad essere di buon vicinato e quindi opta per le buone maniere! È, piuttosto, e più fondamentalmente, una vera e propria questione di identità che riguarda i discepoli di Cristo. Il cristianesimo del Vaticano II si riscopre radicato nell’humus ebraico con una relazione che non si pone soltanto nel passato, dunque come qualcosa di “archiviabile”, ma è piuttosto un obiettivo, costitutivo e insuperabile rapporto. Lo sviluppo evidente di quel primo rapporto non può essere inteso come una totale alternativa, una “sostituzione” del cristianesimo all’ebraismo, ma piuttosto come una crescita. Riprendendo le affermazioni di Paolo in Rm 11, 17-24, la Chiesa del Vaticano II dichiara di «nutrirsi della radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i popoli pagani». Certo, essa verrebbe meno alla sua identità se non facesse proprio il dolore di Gesù su Gerusalemme, per il fatto che “non ha conosciuto il tempo quando è stata visitata” (cf Lc 19,44). È un dato innegabile, semplicemente storia, che «gli ebrei, in gran parte, non hanno accettato il vangelo e anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione». E tuttavia, continua la dichiarazione, «gli ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui chiamata sono senza pentimento (Rm 11, 28-29)». Chiesa ed ebrei condividono pertanto un “patrimonio comune”, che chiede reciproca conoscenza e stima. Parole inequivocabili, che spazzano via secoli di ostilità. Di portata storica è poi il superamento di quella “vulgata” del popolo “deicida” che ha favorito, se non fomentato, un secolare antisemitismo aperto o strisciante nel mondo cristiano e cattolico. La verità è finalmente ristabilita: se le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (Gv 19,6), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo. Un impegno nuovo è quello che assume così la catechesi ecclesiale a dare una versione rispettosa dei fatti, nella consapevolezza, peraltro sempre coltivata nei secoli, che la vera causa della passione di Cristo è stato il peccato di tutti gli uomini. Di qui la deplorazione ed esecrazione di tutti gli odi, le persecuzioni e le manifestazioni di antisemitismo “dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque”. La dichiarazione NAe fa qui, se non una rivoluzione copernicana, una svolta storica: il mistero dell’elezione torna ad essere un mistero di misericordia per tutti e non più una infinita contesa di primogenitura.