OSEA – Capitolo 6

Liturgia penitenziale 1“Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. 2Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza. 3Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra”. 4Che dovrò fare per te, Èfraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce. 5Per questo li ho abbattuti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: 6poiché voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.

Tradimenti e cospirazioni 7Ma essi come Adamo hanno violato l’alleanza; ecco, così mi hanno tradito. 8Gàlaad è una città di malfattori, macchiata di sangue. 9Come banditi in agguato una ciurma di sacerdoti assale e uccide sulla strada di Sichem, commette scelleratezze. 10Orribili cose ho visto a Betel; là si è prostituito Èfraim, si è reso immondo Israele. 11Anche a te, Giuda, io riserbo una mietitura, quando ristabilirò la sorte del mio popolo.

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Approfondimenti

Liturgia penitenziale 6,1-6 Quale risposta all'attesa del Signore (5,15), si legge in 6,1-3 un canto di penitenza messo in bocca al popolo o a un sacerdote, comprendente un duplice invito a ritornare a JHWH e a riconoscere la sua signoria, seguito da dichiarazioni fiduciose nella salvezza. La sofferenza della nazione è considerata come un castigo del Signore; probabilmente è supposta la catastrofe del 732 a.C., quando furono strappate dall'Assiria al regno del Nord le regioni settentrionali del paese. Nei vv. 4-6 Osea, a nome di Dio, risponde con un lamento che l'atteggiamento del popolo non corrisponde alle attese divine. I canti penitenziali erano usati in tempi di crisi nazionale, quando il popolo si riuniva per digiunare, pregare e offrire sacrifici (cfr. Gs 7,6s.; Gdc 20,23.28). È da notare che in questa liturgia penitenziale manca l'espressione della colpa e del pentimento.

v. 1. Dopo la catastrofe del 732 il popolo riconosce di essere come un malato (5,13) che cerca la guarigione presso Dio (cfr. 7,1; 11,3; Is 30,26; Ez 34,16). Il ritorno a Dio (cfr. 2,9; 3,5; 5,4; Ger 3,7) è l'unica via di salvezza. Le parole sembrano implicare una conversione, ma non è così; si tratta di un calcolo interessato e di uno sfruttamento egoistico della potenza divina.

v. 2. L'espressione numerica: «dopo due giorni... il terzo» indica un breve intervallo di tempo. Questo testo ha forse ispirato la comunità cristiana primitiva, che annunciava la risurrezione del Signore al terzo giorno (cfr. 1Cor 15,4; Lc 24,7). Viene espressa una presuntuosa fiducia che JHWH risponderà presto alle suppliche del popolo.

v. 3. Probabilmente il verbo «conoscere» è usato in senso liturgico, cioè di invocare Dio nel culto (cfr. 8,1s.). Le piogge di autunno (ottobre-novembre) permettono la semina, quelle di primavera (marzo-aprile) assicurano la maturazione dei cereali. Il dono della pioggia veniva celebrato nei culti cananei della fertilità. Le immagini tratte dal mito vengono trasferite a JHWH, senza tener conto della libertà divina e dei suoi interventi nella storia della salvezza.

v. 4. Nella risposta divina redatta in seconda persona c'è un lamento circa la passeggera lealtà e l'incostanza del popolo. Le immagini della rugiada e della nube indicano qualcosa di passeggero e superficiale.

v. 5. La parola di Dio, annunciata dai profeti, è come una spada che colpisce a morte (Is 49,2; Eb 4,12), ma il giudizio divino ha lo scopo di condurre alla conversione, perciò ha un senso salvifico.

v. 6. Solenne formula lapidaria e concisa, composta di affermazioni e negazioni, che riassume l'insegnamento etico profetico e farà fortuna nella letteratura biblica posteriore (Is 1,10-20; 58; Ger 7; Am 5,18-24; Zc 7; Prv 21,3.27; 15,18; Sir 34,18-35,10). L'amore e la conoscenza di Dio sono opposti ai sacrifici e agli olocausti. Non si tratta del ripudio puro e semplice di ogni sacrificio, ma del rigetto del culto contaminato, praticato nella religione cananea; si insiste sull'adesione totale al vero Dio e sulla fedeltà ai precetti dell'alleanza. La sentenza che esprime perfettamente la natura della religione spirituale, viene citata da Gesù in Mt 9,13; 12,7. Nella pericope vengono usati insieme diversi termini teologici importanti: «ritornare a Dio» (v. 1), «conoscere il Signore» (v. 3.6), l'amore (v. 4.6). In 10 testi oseani il verbo «ritornare» indica la conversione. Applicato al popolo indica il ripristino del rapporto originale di alleanza con JHWH (2,9), la ricerca di Dio (3,5), la conversione del cuore (12, 7; 14, 25.8). In senso negativo il mancato ritorno indica il peccato (5,4; 7,10.16), e il castigo considerato come «ritorno in Egitto» (8,3; 9,3; 11,5). Nel nostro testo il verbo ritornare ha un significato particolare: indica un tentativo di conversione che è illusorio. Anche i termini della conoscenza e dell'amore perdono il loro significato profondo e vitale, perché il rapporto con Dio, che essi suppongono, non è fondato sulla storia salvifica e sull'alleanza, ma sulle forze della natura, per cui Dio viene paragonato ai Baal. Solamente sulla bocca di Dio la conoscenza e l'amore (v. 6) assumono quel valore ricco e pregnante che è tipico della concezione oseana.

Tradimenti e cospirazioni 6,7-7,7 Il brano è un'unità tematica che comprende tre detti oseani:

  1. un oracolo divino in prima persona, contenente un catalogo di crimini commessi in varie località (6,7-11);
  2. una nuova breve rassegna di vizi con l'annuncio indiretto del castigo (7,1-2)
  3. entrando nel campo politico, la descrizione dei frequenti intrighi e complotti caratteristici della fine del regno d'Israele (7,3-7). Si nota la presenza di testi difficili e di allusioni ambigue.

v. 7. «come Adamo»: espressione enigmatica. Si potrebbe intendere come un riferimento alla rottura del “patto originale” avvenuta nell'Eden (Gn 3). Altri traducono «come un uomo», cioè in modo umano, alludendo alla fragilità dell'uomo nell'osservare i patti. Altri studiosi leggono «sulla terra»; infine alcuni preferiscono identificare il termine con una località della valle del Giordano (Tel-ed-Damijeh), dove si praticava un culto straniero (Gs 3,16). Per la prima volta appare nella letteratura profetica il termine «alleanza» (cfr. 8,1), che indica quella del Sinai. Osea non ne parla in modo specifico, ma asserisce più volte che il rapporto tra Dio e Israele è iniziato al tempo dell'esodo (9,10; 11,1; 12,9; 13,4). Il v. sottolinea anche che l'infedeltà di Israele ha radici profonde.

v. 8. «Galaad» è una località situata sull'altipiano transgiordano che porta lo stesso nome (cfr. Gdc 10,17). Si allude forse ai sacrifici di bambini offerti al dio Milcom (2Sam 12,30; 1Re 11,5.33) o alla rivoluzione cruenta contro Pekach (2Re 15,25).

v. 9. Versetto oscuro; «Sichem», città levitica, a differenza di Dan e Betel (1Re 12,31), era rimasta un centro culturale ortodosso (cfr. Dt 27; Gs 8,30ss.). È probabile che i sacerdoti legati ai culti cananei impedissero, anche con la violenza, l'accesso dei fedeli a questo santuario e ne violassero il diritto d'asilo.

v. 10. Il versetto riprende l'accusa di 5,4. JHWH esprime la sua sdegnata ripulsa; «cose orribili» (cfr. Ger 5,30; 18,13; 23,14) sono l'apostasia e il culto degli dei stranieri collegato coi riti della prostituzione sacra; «in Betel»: correzione dettata dal contesto; il testo ebraico ha: «in Israele».

v. 11. Versetto discusso e oscuro. La mietitura è una metafora che indica l'atto finale di Dio nel corso della storia (Am 8,12; Ger 51,33; Gl 4,13); «ristabilirò» indica la restaurazione dell'integrità del rapporto di alleanza. Il tono consolatorio del versetto e la menzione di Giuda sembrano in contraddizione con il contesto. Si tratterebbe di una glossa dovuta ad un redattore giudaico che applica a Giuda le accuse fatte a Israele (cfr. 1,7; 3,5; 4,15; 5,5).

(cf. STEFANO VIRGULIN, Osea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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