📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

Il pigro 1Il pigro è simile a una pietra insudiciata, tutti fischiano in suo disprezzo. 2Il pigro è simile a una palla di sterco, chi la raccoglie scuote la mano.

I figli e l’onore della famiglia 3Un figlio maleducato è la vergogna di un padre, se è una figlia il danno è più grave. 4Una figlia sensata troverà marito, la svergognata è un dolore per chi l'ha generata. 5La figlia sfacciata disonora il padre e il marito, dall'uno e dall'altro sarà disprezzata. 6Un discorso inopportuno è come musica in caso di lutto, ma frusta e correzione sono saggezza in ogni tempo. 7I figli che hanno di che vivere con una vita onesta fanno dimenticare l'umile origine dei loro genitori. 8I figli che millantano superbia e cattiva educazione disonorano la nobiltà delle loro famiglie.⌉

Lo stolto 9Chi ammaestra uno stolto è come uno che incolla cocci, ⌈che sveglia un dormiglione da un sonno profondo.⌉ 10Parlare a uno stolto è parlare a chi ha sonno; alla fine dirà: “Cosa c'è?”. 11Piangi per un morto perché ha perduto la luce, piangi per uno stolto perché ha perduto il senno. Piangi meno per un morto perché ora riposa, ma la vita dello stolto è peggiore della morte. 12Il lutto per un morto dura sette giorni, per uno stolto ed empio tutti i giorni della sua vita. 13Con uno stolto non prolungare il discorso, e non frequentare l'insensato: ⌈nella sua insipienza ti disprezzerà in ogni modo.⌉ Guàrdati da lui, per non avere noie e per non contaminarti al suo contatto. Evitalo e troverai pace, non sarai disgustato dalla sua insipienza. 14Che c'è di più pesante del piombo? E qual è il suo nome, se non quello di stolto? 15Sabbia, sale e massa di ferro si portano meglio che un insensato.

Invito alla fermezza 16Una travatura di legno ben connessa in una casa non viene scompaginata per un terremoto, così un cuore consolidato da matura riflessione non si scoraggia nel momento critico. 17Un cuore sorretto da sagge riflessioni è come un bel fregio su parete levigata. 18Ciottoli posti su un'altura di fronte al vento non resistono, così un cuore meschino, basato su stolti pensieri, non regge di fronte a un qualsiasi timore.

Come comportarsi con gli amici 19Chi punge un occhio lo fa lacrimare, chi punge un cuore ne scopre il sentimento. 20Chi scaglia un sasso contro gli uccelli li mette in fuga, chi offende un amico rompe l'amicizia. 21Se hai sguainato la spada contro un amico, non disperare: può esserci un ritorno. 22Se hai aperto la bocca contro un amico, non temere: può esserci riconciliazione, tranne il caso d'insulto, di arroganza, di segreti svelati e di un colpo a tradimento; in questi casi ogni amico scompare. 23Conquìstati la fiducia del prossimo nella sua povertà, per godere con lui nella sua prosperità. Nel tempo della tribolazione restagli vicino, per avere parte alla sua eredità. ⌈L'apparenza infatti non è sempre da disprezzare né deve meravigliare che un ricco non abbia senno.⌉ 24Prima del fuoco c'è vapore e fumo di fornace, così prima del sangue ci sono le ingiurie. 25Non mi vergognerò di proteggere un amico, non mi nasconderò davanti a lui. 26Se mi succederà il male a causa sua, chiunque lo venga a sapere si guarderà da lui.

Preghiera per la vigilanza 27Chi porrà una guardia alla mia bocca, e alle mie labbra un sigillo guardingo, perché io non cada per colpa loro e la mia lingua non sia la mia rovina?

_________________ Note

22,3-8 Sullo sfondo di queste massime sui figli va colta la mentalità dell’antico mondo orientale che, pregiudizialmente, preferiva il figlio alla figlia.

22,6 frusta e correzione: si riferisce a un metodo educativo che non risparmiava le punizioni corporali.

22,15 Sabbia, sale e ferro: erano considerati gli elementi più pesanti da trasportare.

22,27-23,6 Preghiera per la vigilanza

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Approfondimenti

Il c. 22 presenta un riferimento iniziale all'uomo pigro (vv. 1-2), seguito da quattro tematiche principali: il comportamento dei figli e l'onore familiare (vv. 3-8), l'utilità di non avere a che fare con lo stolto (vv. 9-15), il confronto tra il cuore deciso e quello incerto (vv. 16-18), l'amicizia che finisce e quella che dura (vv. 19-26). L'ultimo v. avvia la pericope iniziale del c. 23.

vv. 1-2. Il tema della pigrizia è legato a quello della sporcizia, forse per allusione alla miseria cui conduce (cfr. Pr 24,30-34). In Ez 4,12.15 lo sterco è usato come combustibile in un contesto di precarietà.

vv. 3-8. Se un figlio senza disciplina è motivo di vergogna, una figlia è comunque un guaio più grande. L'Ebreo del tempo considerava una sventura la nascita di una figlia: nella preghiera quotidiana ringraziava Dio per non averlo fatto nascere donna (cfr. Menahôt 43b). In caso di donna prudente, il suo valore viene considerato in base al beneficio che ne riceve il marito (cfr. 26,1-4.13-18; Pr 12,4; 18,22; 31,10-12.23-28); se si rivela svergognata, allora diventa causa di dolore per il padre che l'ha educata male (vv. 3-5; cfr. 42,9-14). Genitore e marito la disprezzeranno. Disciplina e correzione corporale (vv. 3a.6b) hanno ampio spazio nella sapienza tradizionale: chi usa spesso la frusta gioisce alla fine (30,1; cfr. Pr 13,24; 19,18; 22,15; 23,13-14), mentre un giovane lasciato a se stesso finisce per disonorare la madre (Pr 29,15). Ben Sira ribadisce il principio secondo cui la “stirpe buona” si vede nel comportamento onesto e nell'educazione (vv. 7-8). Achikar assiro afferma: «Il ricco non dica: “Grazie alla mia ricchezza io sono illustre”» (109).

vv. 9-15. L'inutilità di correggere lo stolto è resa con immagini eloquenti: è come incollare cocci, svegliare un dormiglione (v. 9) o parlare ad uno che ha sonno (v. 10); lo stolto è peggiore di un morto, che viene pianto solo sette giorni e non tutta la vita (vv. 11-12). L'invito finale riassume l'intento del brano: evitare a tutti i costi l'insensato (v. 13), che stanca più della sabbia, del sale e di una palla di ferro (v. 15). È facile indovinare che lo stolto è più pesante del piombo (v. 14). Considerazioni simili si trovano nella Storia di Achikar 2,45-46: «Figlio mio, ho portato sale e trasportato piombo, e non ho visto nulla di più pesante del debito che uno deve pagare quando non aveva preso a prestito. Figlio mio, ho portato sale e trasportato pietre, e mi hanno valutato come un uomo che va ad abitare nella casa di suo suocero» (cfr. anche 3,58).

vv. 16-18. Tema centrale è il contrasto tra il cuore deciso del saggio (vv. 16c.17a) e quello incerto dello stolto (v. 18c). Tre immagini sono prese dall'arte del costruire: il legno che puntella e resiste (v. 16a), l'intonaco (v. 17b) e i sassi su di un muro elevato (v. 18a). L'ultima immagine forse ricorda l'uso di mettere sui muretti di cinta sassi la cui caduta richiama l'attenzione del custode.

vv. 19-26. L'amicizia – di cui Ben Sira ha parlato in 6,5-17 e 12,8-18 – corre rischi. Cause della sua fine sono l'offesa (v. 20b), l'insulto e l'arroganza, lo svelamento dei segreti e il tradimento (v, 22cde). L'insulto precede la violenza, come il fumo il fuoco (v. 24). Il quadro è realistico. Altre colpe contro l'amicizia, dovute alla spada (v. 21) e alla bocca (v. 22ab), sono sanabili. Anche di fronte alle disgrazie dell'amico non bisogna arretrare (v. 23ac) né vergognarsi (v. 25): ne verrà bene nel momento propizio (v. 23bd). L'apparenza del povero e del ricco ingannano spesso (v. 23ef). In caso di guai, tutti si guarderanno da tale amicizia (v. 26).

Conclusione. Il noto realismo di Ben Sira si muove in campi consueti: la critica sociale della pigrizia, l'onore procurato dall'educazione e dall'onestà dei figli, la saggezza di non perdere tempo con lo stolto, la capacità di vivere amicizie dignitose e durature. Tuttavia il pragmatismo della lezione di Ben Sira sull'amicizia è ben lontano dal “premio grande” che l'Altissimo darà a chi segue l'insegnamento di Gesù ed impara ad amare i nemici e a fare del bene “senza sperarne nulla” (cfr. Lc 6, 27-30).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Fuggire il peccato 1Figlio, hai peccato? Non farlo più e chiedi perdono per le tue colpe passate. 2Come davanti a un serpente, fuggi il peccato: se ti avvicini, ti morderà. Denti di leone sono i suoi denti, capaci di distruggere vite umane. 3Ogni trasgressione è spada a doppio taglio, non c'è guarigione alle sue ferite. 4Spavento e violenza disperdono la ricchezza, ⌈così la casa del superbo sarà devastata.⌉ 5La preghiera del povero sale agli orecchi di Dio e il giudizio di lui sarà a suo favore. 6Chi odia il rimprovero segue le orme del peccatore, ma chi teme il Signore si converte nel cuore. 7Da lontano si conosce chi è abile nel parlare, ma l'assennato avverte quando inciampa. 8Chi costruisce la sua casa con ricchezze altrui è come chi ammucchia pietre per il sepolcro. 9Ammasso di stoppa è una riunione di iniqui, la loro fine è una fiammata di fuoco. 10La via dei peccatori è ben lastricata, ma al suo termine c'è il baratro infernale.

Il saggio e lo stolto 11Chi osserva la legge domina il suo istinto, il timore del Signore conduce alla sapienza. 12Chi non è perspicace non può essere istruito, ma c'è anche una perspicacia ⌈che riempie di amarezza.⌉ 13La scienza del saggio cresce come un diluvio e il suo consiglio è come sorgente di vita. 14L'intimo dello stolto è come un vaso frantumato, non può contenere alcuna scienza. 15Se un assennato ascolta un discorso intelligente, lo approva e vi aggiunge dell'altro; se l'ascolta un dissoluto, se ne dispiace e lo getta via, dietro le spalle. 16Le spiegazioni dello sciocco sono come un fardello nel cammino, ma il parlare del saggio reca diletto. 17La parola del prudente è ricercata nell'assemblea, sui suoi discorsi si riflette seriamente.

18Per lo stolto la sapienza è come casa in rovina, e la scienza dell'insensato è un insieme di parole astruse. 19Ceppi ai piedi è l'istruzione per l'insensato e come catene alla sua destra. 20Lo stolto alza la sua voce quando ride, ma l'uomo saggio sorride appena sommessamente. 21Come ornamento d'oro è l'istruzione per chi ha senno, è come un monile al braccio destro. 22Il piede dello stolto entra subito in una casa, ma l'uomo prudente è rispettoso verso gli altri. 23Lo stolto spia dalla porta dentro una casa, l'uomo educato invece se ne sta fuori. 24È cattiva educazione origliare alla porta, l'uomo prudente ne resterebbe confuso. 25Le labbra degli stolti raccontano sciocchezze, ma le parole dei prudenti sono pesate sulla bilancia. 26Il cuore degli stolti sta sulla loro bocca, mentre bocca dei saggi è il loro cuore. 27Quando un empio maledice l'avversario, maledice se stesso. 28Chi mormora diffama se stesso ed è detestato dal suo vicinato⊥.

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Approfondimenti

Il c. 21 si divide in due parti: la prima, di intonazione religiosa, invita a evitare il peccato e a prendere la via della conversione (vv. 1-10); la seconda, più a carattere sociale, mette a confronto il saggio e lo stolto (vv. 11-28). Numerose le immagini in tutto il capitolo. Sono da notare due hapax: kataplēgmos (v. 4a) e satanas (v. 27a). Il primo, reso con “spavento”, sembra indicare la capacità di intimorire ostentando ricchezza e forza; il secondo, reso con “avversario”, è detto dell'uomo pio che viene maledetto dall'empio. In base a Gn 12,3, Ben Sira forse intende che l'empio, maledicendo il pio Ebreo, in realtà maledice sé stesso ed il suo istinto cattivo. Probabilmente l'ebraico aveva qui il termine yēṣer, con significato ancora neutro (cfr. 15,14). Va notato che all'epoca di Ben Sira il termine “satana” non aveva più il senso generico di avversario militare o politico (cfr. Nm 22,22.32; 1Sam 29,4; 2Sam 19,23; 1Re 5,18; 11,25; Sal 109,6), ma era già considerato come un essere personale malefico (cfr. Gb 1-2; 1Cr 21,1). L'immagine del leone (v. 2c) e dell'avversario/diavolo sono collegate in 1Pt 5,8-9.

** vv.1-10**. Il tema del peccato lega gli undici distici: all'inizio le immagini del serpente, del leone e della spada a doppio taglio ne rendono plasticamente i pericoli (vv. 1-2; cfr. 27,10; Pr 5,4; 23,32); alla fine la minaccia degli inferi per i peccatori, che camminano su pietre lisce, fa riflettere sulle conseguenze per la retribuzione personale (v. 10; cfr. 2,10); al centro chi rifiuta il rimprovero per seguire le orme dei peccatori è posto in contrasto con colui che, temendo Dio, imbocca la strada della conversione (v. 6). Vi sono, poi, alcuni richiami tematici: la trasgressione della legge (anomia), malattia senza medicina, si collega con i trasgressori, che finiscono presto, come stoppa che avvampa nel fuoco (vv. 3.9; cfr. Prol 36; 23,11; 41,18); il superbo, la cui casa va in rovina, richiama colui che ricorre a ricchezze altrui per costruire non una casa ma un sepolcro (vv. 4.8); la preghiera del pentito rimanda a quella del povero, subito esaudita da Dio (vv. 1.5); lo scivolare dell'assennato contrasta con quello del linguacciuto (v. 7; cfr. 20,18a).

vv. 11-28. Nel ritratto del saggio figurano vari elementi, per lo più noti: anzitutto l'osservanza della legge e il timore del Signore (v. 11; cfr. 19,23); poi scienza abbondante e sorgiva (v. 13), che apprezza e completa quella altrui (v. 15), si fa ricercare per grazia (v. 16), prudenza (v. 17) e capacità di silenzio (v. 20). La saggezza è visibile come splendidi ornamenti (v. 21), ma anche nascosta e rispettosa: frena piedi, occhi, orecchie e labbra dal mancare di rispetto (vv. 22-25) e guida la bocca nel cuore (v. 26). Lo stolto è come un vaso rotto che non trattiene la scienza (v. 14); non impara da quella altrui (v. 15cd) e disprezza la sapienza come fosse una casa in rovina (v. 19); parla a voce alta (v. 20) ed è pesante come un fardello (v. 16); è precipitoso, curioso e maleducato (vv. 22-25). Poiché la bocca comanda il cuore (v. 26), non si rende conto che sbaglia a prendersela con l'avversario e con gli altri, invece che con se stesso (vv. 27-28). Nel v. 12 il concetto di panourgia è ambivalente: la capacità può portare al bene o al male (cfr. 19,23; 37,19).

Conclusione. Il c. colleziona massime ispirate a tematiche tradizionali, sia religiose (peccato e trasgressione della legge, preghiera e conversione), che sapienziali. Provvisorietà e ironia accompagnano le conquiste degli stolti e degli empi. Sullo sfondo c'è una società attraversata da varie inquietudini, anche se vengono ribaditi concezioni e atteggiamenti già noti. Viene riaffermata la fiducia in un Dio che “presto” fa giustizia al povero (v. 5b), ristabilendo il diritto secondo la sapienza tradizionale.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La preziosità del silenzio 1C'è un rimprovero che è fuori tempo⊥, c'è chi tace ed è prudente. 2Quanto è meglio rimproverare che covare l'ira! 3Chi si confessa colpevole evita l'umiliazione. 4Come un eunuco che vuol deflorare una ragazza, così chi vuole fare giustizia con la violenza.⊥ 5C'è chi tace ed è ritenuto saggio, e chi è riprovato per la troppa loquacità. 6C'è chi tace, perché non sa che cosa rispondere, e c'è chi tace, perché conosce il momento opportuno. 7L'uomo saggio sta zitto fino al momento opportuno, il millantatore e lo stolto non ne tengono conto. 8Chi esagera nel parlare si renderà riprovevole, chi vuole imporsi a tutti i costi sarà detestato. ⌈Com'è bello quando chi è biasimato mostra pentimento, perché così tu sfuggirai a un peccato volontario.⌉

Non fidarsi delle apparenze 9Nelle disgrazie qualcuno può trovare un vantaggio, ma c'è un profitto che si può cambiare in perdita. 10C'è una generosità che non ti arreca vantaggi e c'è una generosità che rende il doppio. 11C'è un'umiliazione che viene dalla gloria e c'è chi dall'abbattimento alza la testa. 12C'è chi compra molte cose con poco e chi le paga sette volte il loro valore. 13Il saggio si rende amabile con le sue parole, ma le cortesie degli stolti sono sciupate.

14Il dono di uno stolto non ti giova, ⌈e ugualmente quello dell'invidioso, perché è frutto di costrizione;⌉ i suoi occhi, infatti, sono molti invece di uno. 15Egli dà poco, ma rinfaccia molto; apre la sua bocca come un banditore. Oggi fa un prestito e domani lo richiede; quanto è odioso un uomo del genere! 16Lo stolto dice: “Non ho un amico, non c'è gratitudine al bene che faccio”. Quelli che mangiano il suo pane sono lingue cattive. 17Quanti si burleranno di lui, e quante volte! Poiché non accoglie l'avere con spirito retto, e il non avere gli è ugualmente indifferente.

Guardarsi dal parlare intempestivo e dalla menzogna 18Meglio inciampare sul pavimento che con la lingua; è così che la caduta dei cattivi giunge rapida. 19Un discorso inopportuno è come un racconto inopportuno: è sempre sulla bocca dei maleducati. 20Non si accetta un proverbio dalla bocca dello stolto, perché non lo dice mai a proposito.

Rispetto umano e menzogna 21C'è chi è trattenuto dal peccare a causa della miseria e quando riposa non avrà rimorsi. 22C'è chi si rovina per rispetto umano e di fronte a uno stolto si dà perduto⊥. 23C'è chi per rispetto umano fa promesse a un amico, e in tal modo gratuitamente se lo rende nemico.

24Brutta macchia nell'uomo la menzogna, è sempre sulla bocca dei maldicenti. 25Meglio un ladro che un mentitore abituale, tutti e due avranno in sorte la rovina. 26L'abitudine del bugiardo è un disonore, la vergogna che si merita è sempre con lui.

Massime varie sulla sapienza 27Chi è saggio nel parlare si apre una strada e l'uomo prudente piace ai grandi. 28Chi lavora la terra accresce il suo raccolto⊥, chi piace ai grandi si fa perdonare i suoi torti. 29Regali e doni accecano gli occhi dei saggi, come bavaglio sulla bocca soffocano i rimproveri. 30Sapienza nascosta e tesoro invisibile: a che servono l'una e l'altro? 31Meglio l'uomo che nasconde la sua stoltezza di quello che nasconde la sua sapienza. 32⌈È meglio perseverare nella ricerca del Signore che essere un libero auriga della propria vita.⌉

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Approfondimenti

Il c. 20 torna sul profilo del saggio in apertura (v. 1-8) e in chiusura (vv. 27-32). Al centro una raccolta di massime sull'ambivalenza degli avvenimenti della vita (vv. 9-20), sul rispetto umano e sulla menzogna (vv. 21-26).

vv. 1-8. Ben Sira sembra indicare due regole per agire saggiamente: sapere ciò che è “bene” fare (vv. 2.8c: hōs kalon) e «conoscere il momento propizio» (vv. 6b-7: kairos; cfr. v. 1a) per farlo. La prima regola, resa con un'inclusione tra il GrI (v. 2) e il GrII (v. 8c), afferma che è un “bene” rimproverare piuttosto che covare l'ira (v. 2); è un “bene” veder fare penitenza uno che è stato ripreso, così da imparare a fuggire il peccato volontario (v. 8cd). La seconda regola è applicata all'arte del “tacere” (il verbo siōpan torna in questo c. 5 volte, su un totale di 6 ricorrenze in tutto il libro). C'è il silenzio riprovevole di chi non ha una risposta (v. 6a) o di chi non risponde al saluto (41,20). Ma c'è il silenzio di chi conosce il momento propizio per parlare (vv. 6b-7a). Il millantatore e lo stolto “non prendono in considerazione” tale momento (v. 7b). Il saggio, comportandosi «come uno che sa ma che tace» (32,8b), parla con brevità: non si fa odiare per la loquacità (v. 5b), ma compendia in poche parole molte cose (32, 8a). Ben Sira insegna l'arte di disciplinare la bocca (cfr. la paideia stomatos di 23,7), perché è «meglio scivolare sul pavimento che non con la lingua» (20,18a). Sul tema cfr. 1,22-24; 11,7-9; 19,7-12; 27,11.

vv. 9-20. Non tutto il male viene per nuocere e non tutto il bene rimane sempre tale: questa sapienza popolare sembra sottesa all'insegnamento di Ben Sira sull'ambivalenza delle scelte umane. Ci può essere guadagno nella sventura (vv. 9a.21a) e perdita nel profitto (v. 9b). Lo confermano gli esiti paradossali della generosità (v. 10), della gloria (v. 11) e del commercio (v. 12). Ma ciò non autorizza un atteggiamento sconsiderato. Con un lungo “contrasto” tra l'amabilità del saggio e l'isolamento dello stolto (vv. 13-17), Ben Sira ribadisce la sua lezione: al primo basta poco (v. 13a); le cortesie dell'altro si sprecano (v. 13b). Lo stolto, se dà in prestito, lo grida ai quattro venti ed esige molto di più (vv. 14-15): ha molti occhi per guardare la ricompensa. La VL parla di «sette occhi» (cfr. v. 14c). In questo modo lo stolto si rende odioso (v. 15d) e senza amici (v. 16a); i suoi beni e il suo pane non trovano gratitudine, ma derisione (v. 16bc), perché gli manca un retto sentire di fronte al possedere come al non avere (v. 17). L'uso della lingua lo fa scivolare peggio del selciato (v. 18), perché lo rivela privo di grazia e di disciplina (v. 19) e lo fa intervenire nel momento non opportuno (v. 20; cfr. v. 7).

vv. 21-26. In conclusione Ben Sira applica la massima generale (v. 9a) alla sfera religiosa: anche la miseria può rivelarsi utile, se impedisce il peccato e tiene lontano il rimorso che toglie il riposo (v. 21). Uno stesso termine (aischynē: vv. 22.23.26), reso con rispetto umano e vergogna, lega questi vv. Il primo è causa di rovina per i singoli (v. 22) e per le amicizie (v. 23); l'altra è compagna stabile dell'uomo che mente sempre (cfr. endelechizein nei vv. 24-25 ed endelechōs nel v. 26). Se il ladro eredita la rovina (v. 25), l'uomo menzognero vi aggiunge anche il disonore e la vergogna (v. 26). Sulla vergogna cfr. 4,21; 41,16-42,8.

vv. 27-32. Anche il saggio può contraddirsi: se da un lato può essere segno di prudenza piacere ai grandi (v. 27b), dall'altro lato ciò espone a lasciarsi chiudere occhi e bocca con ospitalità e doni (v. 29). L'esito è amaro: la sapienza nascosta è inutile come i tesori invisibili (v. 30; cfr. 41,14bc); anzi, nascondere la stoltezza è meglio che nascondere la sapienza (v. 31; cfr. 41,15). Il GrII marca religiosamente il contrasto: è saggio chi fa girare la ruota della vita non a caso (letteralmente: senza padrone), ma per cercare pazientemente il Signore (v. 32).

Conclusione. La meditazione sul saggio, in questo c., è più centrata sugli aspetti sociali e giuridici. Ben Sira invita a conoscere il “momento opportuno” per parlare, poiché gli avvenimenti della vita, come pure le persone sagge, sono ambivalenti. Trapela una critica sotterranea contro ogni forma di ipocrisia, di bene fatto per forza o per interesse, e una sollecitazione a rendere visibile la sapienza tradizionale, vero tesoro, insieme con la conversione dopo il rimprovero (vv. 3.8c).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Un operaio ubriacone non arricchirà, chi disprezza le piccole cose cadrà a poco a poco. 2Vino e donne fanno deviare anche i saggi, ancora più temerario è chi frequenta prostitute. 3Putredine e vermi saranno la sua sorte, ⌈chi è temerario sarà eliminato.⌉

Prudenza nel parlare 4Chi si fida troppo presto, è di animo leggero, chi pecca, danneggia se stesso. 5Chi si compiace del male, sarà condannato; ⌈chi resiste ai piaceri, corona la propria vita. 6Chi domina la lingua, vivrà senza liti⌉ chi odia la loquacità, riduce i guai. 7Non ripetere mai la parola udita e non ne avrai alcun danno. 8Non parlare né riguardo all'amico né riguardo al nemico, e se puoi farlo senza colpa, non svelare nulla, 9poiché chi ti ascolta si guarderà da te e all'occasione ti detesterà. 10Hai udito una parola? Muoia con te! Sta' sicuro, non ti farà scoppiare. 11Per una parola va in doglie lo stolto, come la partoriente per un bambino. 12Una freccia conficcata nella coscia: tale una parola in seno allo stolto.

Saper discernere prima di parlare 13Chiedi conto all'amico: forse non ha fatto nulla, e se ha fatto qualcosa, perché non continui più. 14Chiedi conto al prossimo: forse non ha detto nulla, e se ha detto qualcosa, perché non lo ripeta. 15Chiedi conto all'amico, perché spesso si tratta di calunnia; non credere a ogni parola. 16C'è chi scivola, ma non di proposito; e chi non ha peccato con la sua lingua? 17Chiedi conto al tuo prossimo, prima di minacciarlo; da' corso alla legge dell'Altissimo. 18Il timore del Signore è il principio dell'accoglienza, la sapienza procura l'amore presso di lui. 19La conoscenza dei comandamenti del Signore è educazione alla vita, chi fa ciò che gli è gradito raccoglie i frutti dell'albero dell'immortalità.⌉

La pratica della legge 20Ogni sapienza è timore del Signore e in ogni sapienza c'è la pratica della legge ⌈e la conoscenza della sua onnipotenza. 21Il servo che dice al padrone: “Non farò ciò che ti piace”, anche se dopo lo fa, irrita colui che gli dà da mangiare⌉. 22Non c'è sapienza nella conoscenza del male, non è mai prudenza il consiglio dei peccatori. 23C'è un'astuzia che è abominevole, c'è uno stolto cui manca la saggezza. 24Meglio uno di scarsa intelligenza ma timorato, che uno molto intelligente ma trasgressore della legge. 25C'è un'astuzia fatta di cavilli, ma ingiusta, c'è chi intriga per prevalere in tribunale, ⌈ma il saggio è giusto quando giudica⌉. 26C'è il malvagio curvo nella sua tristezza, ma il suo intimo è pieno d'inganno; 27⊥abbassa il volto e finge di essere sordo, ma, quando non è osservato, avrà il sopravvento su di te. 28E se per mancanza di forza gli è impedito di peccare, all'occasione propizia farà del male. 29Dall'aspetto si conosce l'uomo e chi è assennato da come si presenta. 30Il vestito di un uomo, la bocca sorridente e la sua andatura rivelano quello che è.

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Approfondimenti

Il c. 19 prosegue con tre brani: il silenzio, segno di saggezza (vv. 4-12), la correzione fraterna nel rapporto con gli amici (vv. 13-19), il legame tra la legge del-l'Altissimo e la vera sapienza (vv. 20-30).

vv. 4-12. I vv. 4-6 sviluppano i contenuti del brano sul domino di sé (18,30-19,3), specie con l'aggiunta del GrII. Il riferimento al cuore fa da cornice ai sei participi: un cuore leggero (v. 4a) e un cuore piccolo, gretto (v. 6b). Vengono messi sotto accusa la facile fiducia, il peccato ed il compiacersi del male, cose tutte che causano guai (vv. 4-5a); dall'altro lato il GrII annuncia ottimi risultati a chi combatte i piaceri e tiene a freno la lingua (vv. 5b-6a). Il v. 6b, nella lezione preferita, afferma che chi odia il parlare – forse il dialogo più che la loquacità – causa il “rimpicciolimento” del cuore. Nei vv. 7-10 si raccomanda il segreto: la parola udita deve morire in noi (v. 10a), a meno che non ci esponga al peccato (v. 8b). Un doppio parallelismo presenta in chiusura due immagini di rara efficacia: lo stolto che non sa trattenere la parola è simile ad una partoriente che ha le doglie (v. 11) o a un soldato ferito che vuole togliersi la freccia dalla coscia (v. 12).

vv. 13-19. Ben Sira invita a indagare personalmente e a cercare le prove, prima di ritenere colpevole – di un'azione o di una parola – un amico (vv. 13.15) o un vicino (v. 14.17). I] verbo interrogare e appurare (elegchein: vv. 13-15.17) indica anche l'azione di Dio, che rimprovera l'uomo peccatore (18,13c). La formulazione di un giudizio deve essere ispirata a un saggio realismo: non bisogna credere a ogni parola (v. 15b), si può sbagliare senza volerlo (v. 16a), si deve dare spazio alla legge dell'Altissimo (v. 17b; cfr. Lv 19,17). I vv. 18-19, provenienti dal GrII, indicano obiettivi più ampi rispetto al contesto socio-giuridico precedente: l'essere accolti e amati, l'imparare a vivere e a nutrirsi di frutti di immortalità. Tutto questo è possibile nel timore di Dio, scuola di sapienza, e nell'osservanza dei comandamenti e di ciò che a lui piace. In questo modo il GrII raccorda la «legge dell'Altissimo» del v. 17 con la «pratica della legge» del v. 20.

vv. 20-30. I vv. 20-22 introducono al discernimento della vera sapienza, sempre legata al timor di Dio e alla pratica della legge. Siamo nel cuore del giudaismo (cfr. 1,11-30; 6,32-37; 15,1; 21,6; Pr 1,7; 9,10; 15,33; Gb 28,28; Sal 111,10). Non può essere detto sapiente l'agire dei peccatori (v. 22), dei servi indecisi (v. 21) o dei dotti che non temono Dio (v. 24): meglio mancare di intelligenza, che di timor di Dio. Non ogni abilità è saggia: Ben Sira smaschera l'ingiusta scaltrezza (panourgia: vv. 23.25) di chi cerca di piegare le situazioni a proprio vantaggio (v. 25b). I vv. 26-28 commentano il modo di presentarsi del malvagio: appare dimesso e disinteressato, ma appena non è osservato (v. 27b), coglie l'occasione (v. 28b) per fare del male, perché il suo intimo è pieno di inganno (v. 26b). I vv. 29-30 enunciano un principio generale: un uomo si fa conoscere già da come si presenta.

Conclusione. Ben Sira è maestro di vita sociale: ironizza sulle “doglie dello stolto”, sempre pronto a ripetere quello che ha udito, ed insegna l'arte del silenzio e della verifica personale. Amici e vicini vanno prudentemente tutelati contro le calunnie e gli apprezzamenti ingiusti. Il suo «chi non ha peccato con la sua lingua?» (v. 16b) sembra aprire uno spiraglio sul detto di Gesù: «Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra» (Gv 8,7). Ma Ben Sira è maestro soprattutto di vita religiosa: il saggio teme Dio e ne osserva i comandamenti. Così da Dio riceve vita e amore, accoglienza e frutti immortali. Al contrario i falsi sapienti, pieni di inganno, non temono di trasgredire la legge del Signore e credono di salvarsi con le apparenze. Ma proprio l'apparenza tradisce la verità su di un uomo, lasciandola trasparire dal volto e dal vestire, dal sorriso e dall'incedere. L'intreccio di insegnamenti sociali e religiosi fa intuire una situazione fluida e insidiosa, che rende necessaria l'educazione al diritto e ai valori della tradizione come garanzia contro disavventure politiche e culturali, morali e religiose. È il legame, caro a Ben Sira, tra la sapienza e la legge dell'Altissimo.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Le grandezze di Dio 1Colui che vive in eterno ha creato l'intero universo. 2Il Signore soltanto è riconosciuto giusto ⌈e non c'è altri al di fuori di lui. 3Egli regge il mondo con il palmo della mano e tutto obbedisce alla sua volontà; con il suo potere egli è il re di tutte le cose e in esse distingue il sacro dal profano.⌉ 4A nessuno è possibile svelare le sue opere e chi può esplorare le sue grandezze? 5La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? Chi riuscirà a narrare le sue misericordie? 6Non c'è nulla da togliere e nulla da aggiungere, non è possibile scoprire le meraviglie del Signore. 7Quando l'uomo ha finito, allora comincia, quando si ferma, allora rimane perplesso.

La condizione dell’uomo 8Che cos'è l'uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male? 9Quanto al numero dei giorni dell'uomo, cento anni sono già molti, ⌈ma il sonno eterno di ognuno è imprevedibile a tutti.⌉ 10Come una goccia d'acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell'eternità. 11Per questo il Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua misericordia. 12Vede e sa che la loro sorte è penosa, perciò abbonda nel perdono.⌉ 13La misericordia dell'uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente. Egli rimprovera, corregge, ammaestra e guida come un pastore il suo gregge. 14Ha pietà di chi si lascia istruire e di quanti sono zelanti per le sue decisioni.

Invito alla generosità 15Figlio, nel fare il bene non aggiungere rimproveri e a ogni dono parole amare. 16La rugiada non mitiga forse il calore? Così una parola è migliore del dono. 17Ecco, una parola non vale più di un dono ricco? Ambedue si trovano nell'uomo caritatevole. 18Lo stolto rimprovera senza riguardo, il dono dell'invidioso fa lacrimare gli occhi.

_L'uomo saggio e previdente _ 19⊥Prima di parlare, infórmati, cùrati ancor prima di ammalarti. 20Prima del giudizio esamina te stesso, così al momento del verdetto troverai perdono. 21Umìliati, prima di cadere malato, e quando hai peccato, mostra pentimento. 22Nulla ti impedisca di soddisfare un voto al tempo giusto, non aspettare fino alla morte per sdebitarti⊥. 23Prima di fare un voto prepara te stesso, non fare come un uomo che tenta il Signore. 24Ricòrdati della collera nei giorni della fine, del tempo della vendetta, quando egli distoglierà lo sguardo da te. 25Ricòrdati della carestia nel tempo dell'abbondanza, della povertà e dell'indigenza nei giorni della ricchezza. 26Dal mattino alla sera il tempo cambia, tutto è effimero davanti al Signore. 27Un uomo saggio è circospetto in ogni cosa, nei giorni del peccato si astiene dalla colpa. 28Ogni uomo assennato conosce la sapienza e rende omaggio a colui che la trova. 29Quelli istruiti nel parlare, anch'essi diventano saggi⊥, effondono come pioggia massime adeguate. ⌈Vale più la fiducia in un unico Signore che aderire a un morto con un cuore morto.⌉

Invito al dominio di sé 30Non seguire le passioni, poni un freno ai tuoi desideri. 31Se ti concedi lo sfogo della passione, essa ti renderà oggetto di scherno per i tuoi nemici. 32Non rallegrarti per i molti piaceri, per non impoverirti con i loro costi. 33Non ridurti in miseria per i debiti dei banchetti, quando non hai nulla nella borsa, perché sarà un'insidia alla tua propria vita.

_________________ Note

18,21 Umìliati, prima di cadere malato: era diffusa l’idea che la malattia fosse castigo dei peccati; il pentimento e la conversione potevano dunque allontanarla.

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Approfondimenti

Il c. 18 presenta un inno a Dio creatore e pastore (vv. 1-14), un'esortazione all'amore del prossimo (vv. 15-18) e un profilo dell'uomo previdente (vv. 19-29). Gli ultimi quattro vv. , riguardanti il dominio delle passioni sensuali, vanno letti insieme all'inizio del c. successivo (18,30-19,3).

vv. 1-14. Un inno a colui che vive in eterno. Nei primi vv. domina lo stupore di fronte al creatore (v. 1), che ha il timone dell'universo (v. 3a) ed è ben al di là della capacità umana di scoprirlo e lodarlo (vv. 1-7). Giunto alla fine, l'uomo deve ancora cominciare (v. 7). Ma non nel senso frustrante inteso da Qoelet (Qo 3,11-14): l'uomo limitato di Ben Sira fa risaltare di più la grandezza di Dio. Lo conosce, ma non lo esaurisce (cfr. Rm 1,19s.). Di fronte a tanta meraviglia cresce il contrasto con l'uomo e con i suoi interrogativi di fondo: chi è? a che serve? quale è il suo bene e quale il suo male? cosa sono cento anni di fronte a un giorno dell'eternità? (vv. 8-9). Gocce d'acqua nel mare e granelli di sabbia (v. 10a). Conoscendo la sorte misera dell'uomo, Dio si manifesta ancora più paziente e ricco di misericordia (vv. 11-12). In ciò supera l'uomo (v. 13): l'universalismo della sua misericordia – messaggio recente dell'AT (cfr. Gn 4,11; Sal 145,9; Sap 11,25-26; 12,19-22; 2Mac 6,13-16) – si rivela nella sua opera di educatore e di pastore universale (v. 13-14).

vv. 15-18. Entra in scena l'uomo generoso e tornano i consigli morali. Bisogna saper donare, unendo alla cosa donata la carità (v. 17b; cfr. 12, 3) della parola ed eliminando ciò che affligge (v. 15b) o nasce dall'invidia (v. 18b). La charis dell'uomo – ha già detto Ben Sira – è preziosa come una pupilla per Dio (17, 22).

vv. 19-29. L'uomo previdente (vv. 19-23) gioca le sue carte in anticipo sia nella sfera sociale (parola, malattia, giudizio: vv. 19-20; cfr. 38, 9-10), che in quella religiosa (umiltà prima e dopo il peccato; ponderatezza e puntualità nel fare voti: vv. 21-23). Evita così di trovarsi a disagio sia con gli altri che con Dio (v. 23b). Il v. 21, seguendo la sapienza tradizionale, lega la malattia al peccato e sollecita la “conversione” (epistrophē) per non ammalarsi e per evitare che il Signore “giri il suo volto” nel giorno del giudizio (apostrophē: v. 24). Il concatenamento verbale e tematico tra la conversione dell'uomo che vuole evitare lo sguardo rivolto (a-versione) di Dio giudice (epistrophē / apostrophē / conversio / aversio) è tipico anche della predicazione profetica. L'invito a “pensare alla morte” (vv. 24.26) è intrecciato con la sapienza pratica di chi, da ricco, non dimentica la povertà (v. 25). Il brano si chiude con un ritratto generico dell'uomo saggio: si astiene dal peccato (v. 27), onora chi trova la sapienza (v. 28) e riversa una pioggia di insegnamenti (v. 29). Il GrII specifica: il saggio sa confidare nell'unico padrone e non si appoggia su ciò che non ha vita (v. 29cd; cfr. 23,1a).

vv. 18,30-19,3. Il titolo, presente in gr. e in vari mss. latini, rende bene il senso del brano: il dominio di sé di fronte alla sensualità (l'epithymia: vv. 30-31; donne e prostitute: 19,2), al lusso sfrenato (vv. 32-33) e al vino (19, 1a.2a). È necessario dominarsi per evitare la rovina (19, 1b.3b). C'è l'invito ad essere moderati e soprattutto non temerari (19, 2). Quest'ultimo aggettivo (tolmeros) è esclusivo del Siracide in tutta la Bibbia: in Sir 8,15 indica l'avventuriero che trascina altri nella rovina; in 19,2b.3b indica l'atteggiamento sfacciato e volgare che il libro dei Proverbi condanna nelle prostitute (cfr. Prv 7,13 nella versione di Simmaco; ma tutto il brano della seduzione: Prv 7,4-27). In Rm 15, 15 – unica ricorrenza nel NT – l'avverbio indica l'audacia di Paolo nel ministero.

Conclusione. Dio è grande: il “timone” dell'universo è nel palmo della sua mano (18,3a). L'uomo non giunge mai alla fine nel cercare le sue tracce, contemplare le sue meraviglie e lodarlo. Al confronto, che cosa è l'uomo? Una creatura limitata nel tempo e fragile moralmente. In essa si rivela ancor di più la magnanimità di Dio pastore: la sua misericordia verso tutti si manifesta in atteggiamenti di rimprovero, istruzione e guida. L'uomo saggio impara da lui la charis del dono e della parola, della previdenza e del dominio di sé.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Il Signore creò l'uomo dalla terra e ad essa di nuovo lo fece tornare. 2Egli assegnò loro giorni contati e un tempo definito, dando loro potere su quanto essa contiene. 3Li rivestì di una forza pari alla sua e a sua immagine li formò. 4In ogni vivente infuse il timore dell'uomo, perché dominasse sulle bestie e sugli uccelli. 5Ricevettero l'uso delle cinque opere del Signore, come sesta fu concessa loro in dono la ragione e come settima la parola, interprete delle sue opere.⌉ 6Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro per pensare. 7Li riempì di scienza e d'intelligenza e mostrò loro sia il bene che il male. 8Pose il timore di sé nei loro cuori, per mostrare loro la grandezza delle sue opere, e permise loro di gloriarsi nei secoli delle sue meraviglie. 9Loderanno il suo santo nome 10per narrare la grandezza delle sue opere. 11Pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita, ⌈affinché riconoscessero che sono mortali coloro che ora esistono.⌉ 12Stabilì con loro un'alleanza eterna e fece loro conoscere i suoi decreti. 13I loro occhi videro la grandezza della sua gloria, i loro orecchi sentirono la sua voce maestosa. 14Disse loro: “Guardatevi da ogni ingiustizia!” e a ciascuno ordinò di prendersi cura del prossimo.

Dio conosce le vie e le opere dell’uomo 15Le loro vie sono sempre davanti a lui, non restano nascoste ai suoi occhi. 16Fin dalla giovinezza le loro vie vanno verso il male, e non sanno cambiare i loro cuori di pietra in cuori di carne. 17Nel dividere i popoli di tutta la terra⌉ su ogni popolo mise un capo, ma porzione del Signore è Israele, 18che, come primogenito, egli nutre istruendolo e, dispensandogli la luce del suo amore, mai abbandona.⌉ 19Tutte le loro opere sono davanti a lui come il sole, e i suoi occhi scrutano sempre la loro condotta. 20A lui non sono nascoste le loro ingiustizie, tutti i loro peccati sono davanti al Signore. 21Ma il Signore è buono e conosce le sue creature, non le distrugge né le abbandona, ma le risparmia.⌉ 22La beneficenza di un uomo è per lui come un sigillo e il bene fatto lo custodisce come la pupilla, ⌈concedendo conversione ai suoi figli e alle sue figlie.⌉ 23Alla fine si leverà e renderà loro la ricompensa, riverserà sul loro capo il contraccambio. 24Ma a chi si pente egli offre il ritorno, conforta quelli che hanno perduto la speranza⊥.

Invito alla conversione 25Ritorna al Signore e abbandona il peccato, prega davanti a lui e riduci gli ostacoli. 26Volgiti all'Altissimo e allontanati dall'ingiustizia; ⌈ egli infatti ti condurrà dalle tenebre alla luce della salvezza.⌉ Devi odiare fortemente ciò che lui detesta.⊥ 27Negl'inferi infatti chi loderà l'Altissimo, al posto dei viventi e di quanti gli rendono lode?⊥ 28Da un morto, che non è più, non ci può essere lode, chi è vivo e sano loda il Signore.⊥ 29Quanto è grande la misericordia del Signore, il suo perdono per quanti si convertono a lui! 30Non vi può essere tutto negli uomini, poiché un figlio dell'uomo non è immortale. 31Che cosa c'è di più luminoso del sole? Anch'esso scompare. Così l'uomo, che è carne e sangue, volge la mente al male. 32Egli passa in rassegna l'esercito nel più alto dei cieli, ma gli uomini sono tutti terra e cenere.

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Approfondimenti

vv. 16,24-17,14. Dopo l'invito all'ascolto (vv. 24-25), comincia la rielaborazione del racconto sacerdotale dell'opera creatrice di Dio nei primi quattro giorni (vv. 26-28; cfr. Gn 1). Dalla creazione di «ogni genere di viventi» (vv. 29-30) si passa poi a quella dell'uomo (17,1-4), in cui si segue il racconto jahvista (Gn 2,7). Viene descritto, poi, l'uomo nelle sue facoltà e finalità (vv. 5-10). Da ultimo la “legge della vita”, data a Israele e rivolta a tutti gli uomini (vv. 11-14). Nell'introduzione Ben Sira ricorda che la sapienza comincia dall'ascolto e dall'attenzione del cuore (v. 24a; cfr. 23,7a; Pr 1,5.8; 8,6.33). Il maestro si accinge a rendere manifesto e ad annunciare la disciplina e la scienza (v. 25; cfr. 50,27c con l'immagine del “riversare/far piovere la sapienza”, presente anche altrove, come in 18,29; 24,28-29.31; 39,6.8). L'iniziativa di Dio, creatore (v. 26a: ktisis) e fattore (v. 26b: poiēsis), viene espressa con una ventina di verbi all'aoristo. Qui come nei testi poetici in genere dei LXX, l'aoristo rivela valori universali nell'opera di Dio: verso il cosmo e la terra (vv. 26b.27a.29.30a) e soprattutto verso l'uomo (vv. 17,1-3.5-8); ma anche verso gli esseri viventi dominati dall'uomo (17,4) e verso Israele e i popoli tutti (17,11-12.14). Vale la pena ricordare che nel brano ricorrono termini significativi del vocabolario di Siracide: ordinare (kosmein: 16,27a; cfr. 25,1; 29,6); riempire (empimplēmi: 16,29b; 17,7; cfr. 2,16; 39,6; 47,14), creare (ktizein: 17,1; cfr. 1,4.9; 24,9), timore (phobos: verso l'uomo e verso Dio, rispettivamente in 17,4 e in 17,8); lodare (ainein: 17,10: cfr. vv. 27.28; 15,9-10; 51,17.22.29). I due piani tradizionali, cielo e terra, si riflettono in due gruppi di creature, quelle celesti e quelle terrestri. L'uomo, al centro, partecipa delle une col suo dominio e delle altre con la sua natura mortale. Le sue caratteristiche creaturali sono presentate con un ordine inverso rispetto a quello abituale: la condizione mortale (17,1), il dominio sulla terra (17,2) e l'immagine di Dio (17,3). Segue ciò che è proprio dell'uomo (vv. 5-10). Nel v. 6 le facoltà morali e intellettuali – il discernimento (diaboulion: 15,14b) e il cuore capace di comprendere – si collegano con quelle sensoriali e fisiche (lingua, occhi e orecchi). Tutta la composizione esalta la grandezza dell'uomo, come avviene nel Sal 8. In Sir 43, invece, la vera protagonista è la creazione stessa. L'apertura alla cultura greca, particolarmente a quella stoica, che elenca otto elementi nell'uomo (lo spermatikon è da aggiungere a quelli indicati in 17,5-6), non offusca l'equilibrio religioso del testo; anzi allarga la base con cui rispondere alle obiezioni etiche e spirituali di 15,11 e 16,17. La concezione dell'uomo presente in 17,5-10 non rinnega, ma attualizza quella presente in 17,1-4.

Conclusione. La riflessione partita dai figli «inutili» (16,1) è approdata al senso biblico dell'uomo e della storia. Narrazione e teodicea si intrecciano, cultura e fede si cercano. La creazione e la rivelazione del Sinai preparano il lettore anche ad una formulazione più radicale degli interrogativi: «a che può servire l'uomo?» (18,8; cfr. 10,4b). La risposta qui anticipata ribadisce che il «timore di Dio» (16,2; 17,8) è radice dell'utilità e dell'identità dell'uomo. Chi teme Dio impara a riconoscere il suo agire misericordioso e giusto nella vita personale e comunitaria e diventa capace di ridare vita, anche da solo, a un'intera città. Un tale uomo non è insipiente come Adamo (cfr. Gn 3,9-10) e come tutti coloro che pensano di nascondersi da Dio (cfr. Eb 4,13); al contrario si apre alla comunione con tutte le altre creature, vive il suo ruolo specifico di interlocutore e cantore cosciente del «nome santo», evita ogni ingiustizia e si prende cura del prossimo. Con la lingua del suo tempo e con la lingua della Bibbia, Ben Sira proclama la dignità dell'uomo, fragile creatura mortale, che Dio ha “reso signore”, , unico per creazione ed elezione. Il cosmo stoico viene “aperto” prima e dopo, rispettivamente in direzione del Dio creatore e del Dio signore della storia di Israele e di tutti gli uomini. Con la “parola” del Sinai (17,13b.14), questo poema della creazione e della storia va oltre il cerchio dell'umanesimo stoico. L'uomo, pieno della scienza che viene da Dio, distingue il bene e il male e si eleva dalla natura a un Dio trascendente e creatore di tutto (17,7-8; cfr. Sap 13,1; At 14,17; Rm 1,19-20).

vv. 17,15-24. Si riprende il tema dell'impossibilità di “nascondersi”: Dio vede sempre le vie e i peccati di tutti (vv. 15b.20; cfr. la situazione di Caino in Gn 4, 14). Ben Sira ribadisce due aspetti importanti dell'agire di Dio: il bene fatto dall'uomo è come un sigillo e come una pupilla per Dio, che certamente ricompensa (vv. 22-23); al peccatore che vuole tornare egli apre la via del ritorno (v. 24). Il v. 17bc parla di una guida data da Dio ad ogni nazione: può alludere al fatto che Israele non ha altro monarca che Dio (cfr. 1 Sam 8, 5-7) o all'angelo che il giudaismo recente attribuisce ad ogni nazione o città (Dn 10,13.20-21; cfr. Ap 7,1; 1,20). Il testo del GrII accentua ancor più l'amore tenero e comprensivo di Dio verso gli uomini, incapaci di liberarsi da soli dal male.

vv. 17,25-32. L'invito alla conversione, intesa come ritorno a Dio e rifiuto del peccato (vv. 25-26), si trasforma in una presa di coscienza: l'uomo, fatto di carne e di sangue, è mortale (vv. 30-32) e non ha che questa vita per lodare Dio (vv. 27-28). Non c'è lode per l'Altissimo nello šᵉ’ôl (9,12; 14,12.16; 17,27; 21,10; 28,21; 41,4; 48,5; 51,5-6; cfr. Sal 6,6; Is 38,18; Bar 2,17).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il valore dei figli 1Non desiderare molti figli buoni a nulla, non rallegrarti dei figli che sono empi. 2Siano pur molti, non gioire se sono privi del timore del Signore. 3Non contare sulla loro giovane età e non confidare nel loro numero, ⌈perché tu gemerai per un dolore prematuro e d'improvviso conoscerai la loro fine;⌉ poiché è preferibile uno a mille e morire senza figli che averne di empi. 4La città sarà ripopolata per opera di un solo saggio, mentre la stirpe degli iniqui verrà distrutta.

Il castigo degli empi 5Il mio occhio ha visto molte cose simili, il mio orecchio ne ha sentite anche di più gravi. 6Nell'assemblea dei peccatori un fuoco si accende, contro un popolo ribelle è divampata l'ira. 7Egli non perdonò agli antichi giganti, che si erano ribellati per la loro forza. 8Non risparmiò i concittadini di Lot, che egli aveva in orrore per la loro superbia. 9Non ebbe pietà di un popolo maledetto, che fu scacciato per i suoi peccati. ⌈Tutto questo egli fece a nazioni dal cuore duro e per il numero dei suoi santi non fu consolato.⌉ 10Così trattò i seicentomila fanti che avevano congiurato per la durezza del loro cuore. ⌈Flagellando, avendo pietà, percuotendo, guarendo, il Signore ha custodito nella pietà e nell'istruzione.⌉

Certezza della retribuzione 11Ci fosse anche un solo uomo di dura cervice, sarebbe inaudito se restasse impunito, poiché in lui c'è misericordia e ira, potente quando perdona e quando riversa la sua ira. 12Tanto grande è la sua misericordia, quanto grande il suo rimprovero; egli giudicherà l'uomo secondo le sue opere. 13Non sfuggirà il peccatore con la sua preda, né la pazienza del giusto sarà delusa. 14Egli riconoscerà ogni atto di misericordia, ciascuno riceverà secondo le sue opere⊥. 15Il Signore ha indurito il faraone perché non lo riconoscesse, perché fossero note le sue opere sotto il cielo. 16A tutta la creazione la sua misericordia è manifesta, ha dispensato la luce e le tenebre agli uomini.

Nessuno può sottrarsi allo sguardo del Creatore 17Non dire: “Mi nasconderò al Signore! Lassù chi si ricorderà di me? Fra tanta gente non sarò riconosciuto, chi sarò io in mezzo a una creazione immensa?“. 18Ecco il cielo e il cielo dei cieli, l'abisso e la terra sussultano quando egli appare. ⌈Tutto l'universo è stato creato ed esiste per la sua volontà.⌉ 19Anche i monti e le fondamenta della terra tremano di spavento quando egli li scruta. 20Ma nessuno riflette su queste cose⊥; al suo modo di agire chi presta attenzione? 21Come un uragano che l'uomo non vede, così molte sue opere sono nascoste. 22“Chi annuncerà le sue opere di giustizia? O chi aspetterà? L'alleanza infatti è ancora lontana, e il rendiconto di tutto sarà solo alla fine”. 23Queste cose pensa chi ha il cuore meschino; lo stolto, che si lascia ingannare, pensa sciocchezze.

Il creato è opera di Dio 24Ascoltami, figlio, e impara la scienza⊥, e nel tuo cuore tieni conto delle mie parole. 25⌈Manifesterò con ponderazione la dottrina, con cura annuncerò la scienza.⌉ 26Quando il Signore da principio creò le sue opere, dopo averle fatte ne distinse le parti. 27Ordinò per sempre le sue opere e il loro dominio per le generazioni future. Non soffrono né fame né stanchezza e non interrompono il loro lavoro. 28Nessuna di loro urta la sua vicina, mai disubbidiranno alla sua parola. 29Dopo ciò il Signore guardò alla terra e la riempì dei suoi beni. 30Ne coprì la superficie con ogni specie di viventi e questi ad essa faranno ritorno.

_________________ Note

16,5-10 Vengono rievocati alcuni episodi dai quali traspare come Dio detesti i peccatori e non esiti a punirli. Si ricordano la ribellione d’Israele nel deserto (v. 6, vedi Nm 11,1-3; 16,1-35), la rivolta degli antichi giganti (v. 7, vedi Gen 6,1-4), l’arroganza dei concittadini di Lot (v. 8, vedi Gen 19), l’idolatria degli abitanti della terra di Canaan (v. 9,), gli stessi Israeliti (chiamati nel v. 10 i seicentomila fanti) che, usciti dall’Egitto, si ribellarono più volte a Dio e perirono nel deserto (vedi Nm 14,20-23).

16,18 il cielo e il cielo dei cieli: espressione che ricorre anche in Dt 10,14 e 1Re 8,27; qui probabilmente è da intendere come immagine dell'altezza del cielo, in contrasto con la terra e l'abisso.

16,24-30 Ha inizio una grande celebrazione del creato che, ispirandosi a Gen 1-2, presenta l'armonia e l'equilibrio dell'opera di Dio creatore e la gioia di cui egli ha pervaso ogni creatura. Questo inno si conclude in 18,14.

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Approfondimenti

Il c. 16 comincia con una riflessione polemica sull'autentico valore dei figli (vv. 1-4), seguita dalla rilettura della storia di Israele, nella quale si rivela la misericordia e la severità di Dio (vv. 5-16). La pericope successiva è una difesa dell'operato di Dio davanti a chi lo accusa di lontananza e disinteresse (vv. 17-23). Quasi come risposta viene presentato un poema sulla sapienza di Dio creatore e signore: egli si fa conoscere nel cosmo, al cui centro c'è l'uomo, e nella storia di Israele, mediante il dono di una legge di vita rivolta a tutti i popoli (16,24-17,14). Il c. 17 presenta, poi, due brevi pericopi su Dio che vede e giudica (vv. 15-24) e sulla conversione (25-32).

vv. 1-4. A proposito del numero dei figli (vv. 1-4), Ben Sira assume un atteggiamento critico verso la mentalità tradizionale e corrente: meglio morire senza discendenza, che avere figli empi (v. 3f) e «buoni a nulla» (v. 1a: inutile). L'aggettivo (achrestos) indica anche colui che insegna agli altri, ma non fa del bene a se stesso (cfr. 37,19). Se manca il timore del Signore (v. 2b), non è da desiderare un gran numero di figli (v. 1a): non è motivo sufficiente né per gioirne (vv. 1b.2a) né per farci affidamento (v. 3b). Una città si riempie con un solo uomo saggio e pio, mentre una razza di iniqui si trasforma in deserto (v. 4; cfr. 40,15). Meglio uno, piuttosto che mille (v. 3e) con le caratteristiche suddette. Anzi – altro aspetto della polemica – neanche la vita lunga dei figli è garantita (v. 3a), visto che dolori prematuri e morti improvvise incombono sempre (v. 3cd). Cfr. 41,5-13; 21,10; Gb 27,14-15.

vv. 5-16. Dai figli empi e dalla razza dei “senza legge” (v. 4b) al modo con cui Dio ha trattato l'empietà nella storia di Israele. Dopo un solenne riferimento a ciò che ha visto e udito (v. 5), Ben Sira richiama avvenimenti della storia di Israele severamente giudicati da Dio (vv. 6-10), espone i criteri della sua azione verso tutti gli uomini (vv. 11-14) e ricorda, infine, il suo agire verso il faraone e verso i figli di Adamo (vv. 15-16). Si parte con il riferimento ad una «assemblea dei peccatori» (v. 6): si allude forse a Core, Datan e Abiron (cfr. 45,18; Nm 16,1-31)? Segue la presentazione, sempre in negativo, dell'atteggiamento divino: non ha perdonato i giganti ribelli (v. 7: cfr. Gn 6,1-7; Sap 14,6), non ha risparmiato i concittadini di Lot (v. 8: cfr. Gn 19,1-29), non ha avuto pietà di gente dal cuore duro, come i Cananei (v. 9: cfr. Nm 33,51-56; Sap 12,3-7) e come i seicentomila Ebrei, che non entrarono nella terra promessa (v. 10: cfr. 46,8; Es 12,37). Le aggiunte del GrII attenuano l'impressione di durezza lasciata dai “no” del GrI: Dio ha a che fare con popoli dal cuore duro (v. 9c) e unisce sempre ferita e medicina, compassione e disciplina (v. 10cd). Nei vv. 11-14 Ben Sira tira le conclusioni: Dio giudica l'agire di ogni uomo (vv. 12b.14b; cfr. 15,19b) usando in egual misura misericordia e ira (v. 12); non lascia impunito neanche un solo peccatore (vv. 11a. 13a) e non delude la pazienza del pio (v. 13b). Farà posto a tutta la sua generosità (v. 14a). Infine, nei vv. 15-16, presenti in ebr. (ms A), GrII e Siriaca, viene amplificato il precedente riferimento all'esodo (v. 10ab), richiamando l'indurimento del faraone, che ha permesso di rivelare al mondo intero l'opera liberatrice del Signore. Ai figli di Adamo è toccata un'uguale porzione di luce e di tenebre per riconoscere la misericordia di Dio (v. 16).

vv. 17-23. Dalla storia di Israele, si passa «a una creazione senza numero» (v. 17d). Si annuncia un tema di notevole densità letteraria e teologica. Il proposito di nascondersi davanti a Dio (v. 17a) e vari interrogativi religiosi (può Dio ricordarsi di ogni uomo? chi gli racconterà le opere dei giusti? vale la pena attendersi il compimento delle promesse?) mettono in moto la teodicea di Ben Sira in questo brano (vv. 17-23) e specialmente nella pericope sulla creazione (16, 24-17, 14). La cultura e la fede dell'autore ammoniscono a «Non dire!» (v. 17a; cfr. 15, 11.12). Le dimensioni sovrumane dell'universo e la radicalità delle obiezioni non lo scoraggiano: la visita di Dio fa tremare tutto (v. 18b). Gli estremi della realtà – i cieli e gli abissi, i monti e le fondamenta della terra – sono sotto il suo sguardo di creatore (vv. 18-19). Ben Sira, che ha definito beato chi «penetra con la mente i segreti» della sapienza (14, 21), si chiede ora chi mai presta attenzione alle «vie» del Signore (v. 20b). Il suo è un lamento di fronte a quanti hanno il «cuore perverso» e pensano «sciocchezze» (v. 23); ma soprattutto è un invito a considerare il «mistero» che avvolge «la maggior parte delle sue opere» (v. 21b). Egli pensa allo scriba che «indaga il “senso recondito” dei proverbi» (39, 3a) e «mediterà sui misteri di Dio» (39, 7b). E un'attività senza fine, poiché «ci sono molte “cose nascoste» più grandi di queste; noi contempliamo solo poche delle sue opere» (43, 32).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La sapienza madre e sposa 1Chi teme il Signore farà tutto questo, chi è saldo nella legge otterrà la sapienza. 2Ella gli andrà incontro come una madre, lo accoglierà come una vergine sposa; 3lo nutrirà con il pane dell'intelligenza e lo disseterà con l'acqua della sapienza. 4Egli si appoggerà a lei e non vacillerà, a lei si affiderà e non resterà confuso. 5Ella lo innalzerà sopra i suoi compagni e gli farà aprire bocca in mezzo all'assemblea⊥. 6Troverà gioia e una corona di esultanza e un nome eterno egli erediterà. 7Gli stolti non raggiungeranno mai la sapienza⊥ e i peccatori non la contempleranno mai. 8Ella sta lontana dagli arroganti, e i bugiardi non si ricorderanno di lei⊥. 9La lode non si addice in bocca al peccatore, perché non gli è stata concessa dal Signore. 10La lode infatti va celebrata con sapienza⊥ ed è il Signore che la dirige.

Elogio della libertà 11Non dire: “A causa del Signore sono venuto meno”, perché egli non fa quello che detesta. 12Non dire: “Egli mi ha tratto in errore”, perché non ha bisogno di un peccatore. 13Il Signore odia ogni abominio: esso non è amato da quelli che lo temono. 14Da principio Dio creò l'uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere. 15Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti; l'essere fedele dipende dalla tua buona volontà.⌉ 16Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. 17Davanti agli uomini stanno la vita e la morte⊥: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. 18Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. 19I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini. 20A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare.

_________________ Note

15,11-20 È uno dei testi dell’AT in cui si afferma chiaramente la libertà dell’uomo e si cerca di conciliare l’onnipotenza di Dio con questa libertà.

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Approfondimenti

Due parti compongono il c. 15: nella prima continua la pericope sulla sapienza ospitale (14,20- 15,10); nella seconda si parla della responsabilità del peccatore, dotato, come tutti, di “libero arbitrio” (vv. 11-20).

vv. 1-10. Il discorso sulla sapienza si allarga alle caratteristiche esplicitamente giudaiche: il timore del Signore e la legge sono necessari sia per mettersi in ricerca (v. 1a), che per arrivare a buon fine. Il verbo «raggiungere/impadronirsi» (katalambanein: vv. 1b.7a) divide coloro che conseguono l'obiettivo (v. 1-6), da coloro che falliscono (vv. 7-8). La prima cosa da fare è temere il Signore ed essere padrone della legge: allora la sapienza stessa si muove incontro come una madre e come una sposa (v. 2). Finiscono la fame e la sete (v. 3; cfr. 24,21). Sul piano sociale instabilità e vergogna hanno termine (v. 4), mentre sale il prestigio della persona e della sua parola tra i vicini e nelle assemblee (v. 5). In questo modo la sapienza prepara, come eredità, una corona di gioia ed un nome duraturo (v. 6). Al contrario gli stolti e i peccatori, tenendosi lontano dal timore del Signore e dalla legge, non conseguono la sapienza e non la contemplano (v. 7); la superbia e la menzogna li tengono lontani, al punto che perdono la memoria stessa della sapienza (v. 8). Perciò – siamo alla chiusura, con tonalità liturgica – la loro bocca non è credibile quando si apre per lodare il Signore. Una lode autentica, che il Signore stesso distribuisce (v. 9b), fiorisce solo sulle labbra del saggio: essendo anche scriba, egli sa insegnarla agli altri (v. 10b; cfr. 24,30s.). E saggio, per Ben Sira, significa anche pio. E l'Israelita che fa scelte ispirate dal buon senso e dalla buona volontà, come evitare il male, per non esserne dominato (7,1), e cercare la giustizia, sicuro di raggiungerla (27,8); ma è soprattutto l'uomo che non cerca di abbracciare troppe cose (11,10) e si rimette al Signore, che libera da ogni schiavitù (23,6) e dona ogni cosa insieme con la sapienza (1,9-10; 11,14-15).

vv. 11-20. Il confronto tra coloro che temono il Signore (v, 13b.19a; cfr. v. 1) e i peccatori (vv. 12b.20) porta Ben Sira a riflessioni generali sulla libertà umana. Per contestare due affermazioni con cui i peccatori tendono ad attribuire a Dio la responsabilità delle proprie colpe (vv. 11a.12a), Ben Sira elabora la sua apologia. Con una triplice argomentazione, egli fa questo percorso: Dio non ha bisogno di peccatori, anzi odia il peccato (vv. 11-13); l'uomo, libero sin dalla creazione, è responsabile nelle scelte di fede e di morale (vv. 14-17); Dio, sapiente e potente, rimane comunque giudice che vede l'agire dell'uomo, a cui non ha dato il permesso di peccare (vv. 18-20). La responsabilità dell'uomo è affermata con i termini eudokia-eudokeo (vv. 15.17: ciò che si vuole, che piace) e soprattutto diaboulion (v. 14: consiglio). Quest'ultimo termine rimanda all'ebraico yēşer (l'azione e il frutto del plasmare: cfr. Is 29,16; Sal 103,14), col senso di “ciò che si forma nella mente, nell'immaginazione” inclinazione, volontà (Gn 6,5; 8,21; Dt 31,21; Is 26,3). I rabbini lo useranno nel senso peggiorativo di istinto cattivo dell'uomo, che solo lo studio della legge guarisce. In Siracide indica la “volontà umana libera di scegliere il bene o il male” (cfr. 27,6b; 37,3). Nei vv. 15-17 troviamo la spiegazione di tale libertà di fronte ai comandamenti (v. 15), alle cose preferite (v. 16b), ai binomi radicali di fuoco e acqua / vita e morte (vv. 16a.17a; cfr. Dt 11,26-28). I vv. 11 e 20 fanno inclusione: Dio non vuole il peccato.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La serenità di coscienza 1Beato l'uomo che non ha peccato con la sua bocca e non è tormentato dal rimorso dei peccati. 2Beato chi non ha nulla da rimproverarsi e chi non ha perduto la sua speranza.

Grettezza e invidia 3A un uomo gretto non va bene la ricchezza, a che cosa servono gli averi a un uomo avaro? 4Chi accumula a forza di privazioni, accumula per altri; con i suoi beni faranno festa gli estranei. 5Chi è cattivo con se stesso con chi sarà buono? Certo non godrà delle sue ricchezze. 6Nessuno è peggiore di chi danneggia se stesso, e questa è la ricompensa della sua malizia: 7anche se fa il bene, lo fa per distrazione, e alla fine sarà manifesta la sua malizia. 8È malvagio l'uomo dall'occhio invidioso, volge lo sguardo altrove e disprezza la vita altrui. 9L'occhio dell'avaro non si accontenta della sua parte, una malvagia ingiustizia gli inaridisce l'anima. 10Un occhio cattivo è invidioso anche del pane ed è proprio questo che manca sulla sua tavola.

Saper godere 11Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene e presenta al Signore le offerte dovute. 12Ricòrdati che la morte non tarderà e il decreto degli inferi non ti è stato rivelato⊥. 13Prima di morire fa' del bene all'amico, secondo le tue possibilità sii generoso con lui. 14Non privarti di un giorno felice, non ti sfugga nulla di un legittimo desiderio. 15Non lascerai forse a un altro i frutti del tuo lavoro, e le tue fatiche per essere divise fra gli eredi? 16Regala e accetta regali, e divèrtiti,⊥ perché negli inferi non si ricerca l'allegria. 17Ogni corpo invecchia come un abito, ⌈è una legge da sempre: “Devi morire!”.⌉ 18Come foglie verdi su un albero frondoso, alcune cadono e altre germogliano, così sono le generazioni umane: una muore e un'altra nasce.

19Ogni opera corruttibile scompare e chi la compie se ne andrà con essa.⊥ 20Beato l'uomo che si dedica alla sapienza e riflette con la sua intelligenza⊥, 21che medita nel cuore le sue vie e con la mente ne penetra i segreti. 22La insegue come un cacciatore, si apposta sui suoi sentieri. 23Egli spia alle sue finestre e sta ad ascoltare alla sua porta. 24Sosta vicino alla sua casa e fissa il picchetto nelle sue pareti, 25alza la propria tenda presso di lei e si ripara in un rifugio di benessere, 26mette i propri figli sotto la sua protezione e sotto i suoi rami soggiorna; 27da lei è protetto contro il caldo, e nella sua gloria egli abita.

_________________ Note

14,11-19 La saggezza consiglia di compiere il bene e, allo stesso tempo, di godere di quanto offre la vita. Anche il Siracide, come quasi tutti gli autori dell’AT, pensa l’aldilà come dimora indifferenziata per tutti, buoni e cattivi, ricchi e poveri (vedi Gb 3,17 e nota).

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Approfondimenti

Le due parti del c. 14 (vv. 1-19 e 20-27) sono introdotte dall'aggettivo «beato»: la beatitudine di chi non ha peccati sulla coscienza sfocia in quella del saggio, che medita sulla sapienza. La prima parte presenta tre scansioni: la condizione beata di chi non pecca (vv. 1-2), la miopia dell'uomo gretto (3-10), l'uso dei beni e la morte (11-19).

vv. 1-2. Dopo il legame tra volto e cuore (13,25-26), si analizza quello tra bocca e coscienza. Per Ben Sira è beato (makarios) chi non si è rovinato con la lingua e non è tormentato dai rimorsi del peccato; è beato chi non viene rimproverato dalla coscienza e, pertanto, non ha perso la speranza. È una beatitudine legata, mediante la sapienza (v. 20), al timore del Signore: «Beata l'anima di chi teme il Signore» (34,17), poiché «chi teme il Signore non ha paura di nulla (...), egli è la sua speranza» (34,16). In Ben Sira parla lo scriba, prima che il sapiente. Beatitudine e speranza giudaica vanno insieme. Per contrasto sembra che Ben Sira alluda a coloro che, allontanandosi dal Dio di Israele, nostra “speranza”, “sono caduti dalla speranza” (v. 2b), procurandosi una felicità illusoria, insidiata dalla “tristezza del peccato” (v. 1b) e dal rimprovero della coscienza (v. 2a). Beatitudine e storia di Israele si intrecciano: l'autore esulta per la “felicità” di «coloro che videro il profeta Elia e si sono addormentati nell'amore» (cfr. 48,11). Beatitudine e storia quotidiana: Ben Sira torna presto a insegnare la felicità anche con l'esperienza della vita. Nella sua sapienza pratica, definisce beato chi si guarda dai “colpi della lingua” (28,18), chi scopre la prudenza (25,9), chi vive con una moglie assennata (25,8) e buona (26,1), perfino chi è ricco, a condizione che sia «trovato senza macchia» (31,8). A conclusione del libro, Ben Sira garantisce la “beatitudine” di chi mediterà i suoi insegnamenti e, fissandoli bene nel cuore, diventerà saggio della via Parola di uno che crede e di uno che è esperto 14, 3-10. Bozzetto sarcastico dell'uomo gretto, che non sa servirsi delle ricchezze accumulate a forza di privazioni (vv. 3-4); altri si pasceranno dei suoi beni (v. 4b; cfr. v. 15a) mentre egli risparmia perfino il pane sulla sua mensa (v. 10). Chi è cattivo con se stesso è inaffidabile anche quando dovesse, per distrazione, fare del bene agli altri (v. 7a; cfr. Pr 11,17). La finale del brano si concentra sull'occhio di un tale personaggio: è pieno di invidia e disprezzo (v. 8), di avarizia insaziabile (v. 9) e di gelosa malevolenza (v. 10). L'aggettivo mikrologos («gretto»: v. 3a) è un hapax del GrI e dei LXX. L'ebraico usa «cuore piccolo». Il messaggio di Ben Sira è chiaro: bisogna imparare a usare la ricchezza per il proprio e l'altrui bene. Cfr. Pr 13,22; Lc 12,16-21.

vv. 11-19. Un'ammonizione invita a raccogliere l'insegnamento del brano precedente: se possiedi, fai del bene a te stesso, presenta degne offerte al Signore, aiuta l'amico secondo le tue forze (vv. 11.13); non ti privare di giorni felici o della tua parte in un buon desiderio (v. 14). Dal momento che fatiche e sacrifici (c'è un'assonanza: ponous/ kopous) vanno in eredità ad altri (v. 15; cfr v. 4b), la regola del vivere è questa: «Regala e accetta regali, distrai l'anima tua» (v. 16a). Una simile filosofia pratica si nutre di un ricordo e di una convinzione: la morte, certa per tutti, non tarda e nell'aldilà non c'è gioia da cercare (vv. 12.16b.17b). Perciò bisogna «distrarre/ingannare» (v. 16a) la propria anima. Ben Sira, rispetto a Qoelet, rifiuta sia la visione tragica della morte – qui considerata “antidoto dell'avarizia” – sia la spinta edonistica verso la vita (cfr. Qo 3,17-19; 9,9-10). La concezione dello šᵉ’°ôl è quella tradizionale: dimora indifferenziata per buoni e cattivi. La caducità dell'esistenza, legge valida per tutti, è resa con l'immagine dell'abito che si logora (v. 17a). Altrove la stessa immagine, per contrasto, fa risaltare la fortezza del servo che JHWH assiste (cfr. Is 50,9) e la salvezza di Dio che dura sempre (cfr. Is 51,6; Sal 102,27). Prima di mettere una sorta di pietra tombale a chiusura del brano (v. 19; cfr. la diversa visione di Ap 14,13), Ben Sira accosta la vita delle piante a quella degli esseri di carne e di sangue: le foglie che cadono e spuntano sugli alberi sono specchio delle generazioni che muoiono e nascono (v. 18; Cfr. Qo 1,4; Is 64,5; Sal 1,3). L'immagine pare essere in comune con l'Iliade: «Gli uomini vanno e vengono come le foglie anno dopo anno sugli alberi» (VI,146-149). Per l'espressione «carne e sangue» (14,18c; 17,31b), cfr. Mt 16,17; 1Cor 15,50; Gal 1,16.

vv. 20-27. Questo brano va letto insieme con 15,1-10: diciotto versetti sulla ricerca della sapienza e sui benefici per chi l'ottiene. Questa prima parte è legata a quanto precede mediante l'aggettivo «Beato»: Ben Sira collega colui che non ha peccati e che ha conservato la speranza (vv. 1-2) con colui che medita sulla sapienza (v. 20), la insegue come un cacciatore (v. 22), gode della sua intimità e protezione (vv. 25-27). Costui è l'uomo che teme il Signore e possiede saldamente la legge e la sapienza (15,1). Una grande varietà di immagini caratterizza l'intera pericope: le vie della sapienza (v. 21), la caccia (v. 22), la casa con finestre e porte, chiodi e pareti (v. 23-24), la tenda (v. 25), l'albero (v. 26a), il nido (v. 26a dell'ebraico), la madre (v. 26a; 15,2a), il caldo (v. 27a), la sposa (15,3b), il pane e l'acqua (15,3). Il brano si conclude con il verbo «sostare, trovare alloggio» (katalyein: vv. 24.25.27), che la Bibbia greca normalmente non usa nei sapienziali. Ben Sira torna nel ruolo dello scriba. La sapienza riveste i panni della tradizionale ospitalità biblica e offre un alloggio (v. 25: katalyma è hapax) pieno di beni e di sicurezza. La casa della sapienza è come quella dei patriarchi: ha un posto per “passare la notte”. Sulla sua soglia sembrano presentarsi i personaggi itineranti del Pentateuco (Gn 19,2; 24,23.25; Es 4,24) e dei libri storici (Gs 2,1; 3,1; Gdc 19,9.15.20). Ancor di più questo “alloggio” sembra rimandare all”età dell'amorosa convivenza” tra il Signore e il suo popolo (Ez 16,8; cfr. Sir 51,20-21) e mettere in guardia contro l'infedeltà dei figli di Israele che «si affollano nelle case di prostituzione» (Ger 5,7e). Chi cerca la sapienza – conclude Ben Sira – appartiene a quel popolo che il Signore ha liberato e guidato verso la «santa dimora» (katalyma agion: Es 15,13); chi cerca la sapienza avrà la stessa avventura di Elia, che incontra Dio sull'Oreb, davanti alla caverna in cui ha passato la notte (1Re 19,9).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Non essere ingenuo con i ricchi e i potenti 1Chi maneggia la pece si sporca, chi frequenta il superbo diviene simile a lui. 2Non portare un peso troppo grave per te, non associarti a uno più forte e più ricco di te. Perché accostare una brocca alla pentola? Se questa cozza, l'altra si spezza. 3Il ricco commette ingiustizia e per di più grida forte, il povero subisce ingiustizia e per di più deve scusarsi. 4Se gli sei utile, si approfitta di te; se hai bisogno, ti abbandonerà. 5Se possiedi, starà con te, e ti impoverisce senza alcun rimorso. 6Se ha bisogno di te, ti imbroglierà, ti sorriderà e ti farà sperare, ti rivolgerà belle parole e chiederà: “Di che cosa hai bisogno?”. 7Con i suoi banchetti ti farà vergognare, finché non ti avrà spremuto due o tre volte tanto. Alla fine ti deriderà, poi vedendoti ti eviterà e scuoterà il suo capo davanti a te.⊥ 8Sta' attento a non lasciarti imbrogliare e a non farti umiliare per la tua stoltezza.⊥ 9Quando un potente ti chiama, allontànati, ed egli insisterà nel chiamarti. 10Non essere invadente per non essere respinto, non stare appartato per non essere dimenticato. 11Non credere di trattare alla pari con lui e non dare credito alle sue chiacchiere, perché parla molto per metterti alla prova e anche sorridendo indagherà su di te. 12Non ha pietà chi non mantiene la parola, non ti risparmierà maltrattamenti e catene. 13Guàrdati e sta' molto attento, perché cammini sull'orlo del precipizio. 14Quando ascolti queste cose nel sonno, svégliati: per tutta la tua vita ama il Signore e invocalo per la tua salvezza.

Giusti e peccatori, ricchi e poveri 15Ogni vivente ama il suo simile e ogni uomo il suo vicino. 16Ogni essere si accoppia secondo la sua specie, l'uomo si associa a chi gli è simile. 17Che cosa può esserci in comune tra il lupo e l'agnello? Così tra il peccatore e il giusto. 18Quale pace può esservi fra la iena e il cane? Quale intesa tra il ricco e il povero? 19Sono preda dei leoni gli asini selvatici nel deserto, così pascolo dei ricchi sono i poveri. 20Per il superbo l'umiltà è obbrobrio, così per il ricco è obbrobrio il povero. 21Se il ricco vacilla, è sostenuto dagli amici, ma l'umile che cade è respinto dagli amici. 22Il ricco che sbaglia ha molti difensori; se dice sciocchezze, lo scusano. Se sbaglia l'umile, lo si rimprovera; anche se dice cose sagge, non ci si bada. 23Parla il ricco, tutti tacciono e portano alle stelle il suo discorso. Parla il povero e dicono: “Chi è costui?”; se inciampa, l'aiutano a cadere. 24Buona è la ricchezza, se è senza peccato; la povertà è cattiva sulla bocca dell'empio.

25Il cuore di un uomo cambia il suo volto sia in bene sia in male. 26Segno di buon cuore è un volto sereno, ma trovare dei proverbi è un lavoro faticoso.

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Approfondimenti

Il c. 13 richiama l'attenzione sulle differenze economiche e politiche, mettendo in guardia contro l'impossibile fusione tra il ricco e il povero (vv. 1-8 e 15-24), tra chi ha il potere e chi ne subisce la violenza (vv. 9-14). Spesso si usa il termine koinonia: da un lato indica la pericolosa frequentazione dell'uomo superbo o comunque più forte (vv. 1b.2b), dall'altro evidenzia che non è secondo natura un legame tra la creta e il metallo, tra un lupo ed un agnello (vv. 2c.17a). Ben Sira, tuttavia, non condanna la ricchezza in quanto tale, ma dichiara buona quella senza peccato (v. 24) e si appella al ruolo decisivo del cuore umano nella scelta del bene o del male (vv. 25-26).

vv. 1-8. Di fronte alle diversità socio-economiche, Ben Sira ha una lezione da ribadire: il ricco rende gli altri simili a sé nell'arroganza oppure li umilia (vv. 1b.8b). Si comporta come la pece che inevitabilmente sporca (v. 1a) oppure imbroglia e schiaccia (v. 8). Perciò la raccomandazione a non fare lega con uno più forte e più ricco: cosa può aspettarsi una brocca di coccio dallo stare con una pentola di metallo (v. 2)? Con un amaro parallelismo antinomico, Ben Sira sentenzia: il ricco fa l'ingiustizia ed alza la voce, il povero la subisce e deve chiedere scusa (v. 3). Segue la descrizione dei rapporti falsi che un ricco crea: si avvicina a chi può essergli utile e non a chi ha bisogno (vv. 4-5); suo intento è solo imbrogliare e spogliare; trova parole buone e sorrisi di incoraggiamento (v. 6), finché non giunge a spremere due o tre volte l'altro e a umiliarlo (vv. 7-8).

vv. 9-14. Il contrasto si sposta dal piano economico a quello socio-politico: di fronte a colui che ha potere, bisogna scegliere un rapporto di giusta distanza. Né troppo vicino, per non essere allontanato, né troppo lontano per non essere dimenticato (v. 10). Evitare di gareggiare con lui, mettendosi alla pari o cimentandosi con la forza delle sue parole. Sorridente e spietato, è pronto ad esaminare, incatenare e rovinare. Bisogna stare davvero attenti. Bisogna svegliarsi dal sonno, amare il Signore in tutte le circostanze della vita ed invocare da lui la salvezza (v. 14).

vv. 15-24. Anche questa pericope presenta il contrasto ricco-povero. Parte dal fatto che ogni vivente ama il suo simile: per natura (kata genos: v. 16a), dunque, non possono vivere insieme il lupo e l'agnello, la iena e il cane, i leoni e gli asini selvatici. Allo stesso modo non possono stare insieme peccatori e giusti, ricchi e poveri (vv. 17-19). Dalla vicinanza e dal confronto il povero esce sempre perdente. Gli amici e la maggioranza della gente reagiscono a seconda dei beni: un ricco viene soccorso e aiutato, un povero è respinto e rimproverato (vv. 21-22); le parole del ricco, anche prive di senso, sono lodate e portate alle stelle, mentre ai discorsi saggi del povero nessuno bada (vv. 22-23). Il povero è uno sconosciuto. Eppure – conclude Ben Sira – c'è una ricchezza buona, quella senza peccato; così come c'è una povertà cattiva, quella di chi vive empiamente (v. 24). Questa finale dice che lo schema ricco=cattivo e povero=buono non è l'ultima parola della sapienza popolare e religiosa di Ben Sira. Alcuni motivi (creta e metallo, lupo e agnello) riecheggiano Esopo (ca. 600 a.C.) e comunque la letteratura sapienziale del Vicino Oriente antico. Non vi sono esplicite allusioni alle oppressioni sociali della Palestina sotto i greci nel III sec. a.C. Ben Sira mette in guardia, da un lato, i poveri contro gli abusi dei ricchi e di chi ha il potere, ma dall'altro non si accontenta di una lettura solo socio-politica del problema. Va al cuore, alla radice morale e religiosa.

vv. 25-26. E per arrivare al cuore di un uomo, egli parte dal volto: bene e male vi si disegnano (v. 25). Tuttavia un volto gioioso non annulla la fatica per scoprire il senso dei detti sapienziali (v. 26). Il legame volto-cuore, pur così importante, non annulla il mistero dell'uomo, la sua realtà nascosta. Anche Gesù si riferirà al volto, ma consiglierà di “lavarlo”. Farà da schermo contro la tentazione dell'ipocrisia e lascerà che “solo” il Padre «che è nel segreto» (Mt 6, 18), legga il cuore dell'uomo e lo ricompensi.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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