📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

I benefici della sapienza 1 Figlio mio, non dimenticare il mio insegnamento e il tuo cuore custodisca i miei precetti, 2perché lunghi giorni e anni di vita e tanta pace ti apporteranno. 3Bontà e fedeltà non ti abbandonino: légale attorno al tuo collo, scrivile sulla tavola del tuo cuore, 4e otterrai favore e buon successo agli occhi di Dio e degli uomini. 5Confida nel Signore con tutto il tuo cuore e non affidarti alla tua intelligenza; 6riconoscilo in tutti i tuoi passi ed egli appianerà i tuoi sentieri. 7Non crederti saggio ai tuoi occhi, temi il Signore e sta' lontano dal male: 8sarà tutta salute per il tuo corpo e refrigerio per le tue ossa. 9Onora il Signore con i tuoi averi e con le primizie di tutti i tuoi raccolti; 10i tuoi granai si riempiranno oltre misura e i tuoi tini traboccheranno di mosto. 11Figlio mio, non disprezzare l'istruzione del Signore e non aver a noia la sua correzione, 12perché il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto.

La sapienza è albero di vita 13Beato l'uomo che ha trovato la sapienza, l'uomo che ottiene il discernimento: 14è una rendita che vale più dell'argento e un provento superiore a quello dell'oro. 15La sapienza è più preziosa di ogni perla e quanto puoi desiderare non l'eguaglia. 16Lunghi giorni sono nella sua destra e nella sua sinistra ricchezza e onore; 17le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri conducono al benessere. 18È un albero di vita per chi l'afferra, e chi ad essa si stringe è beato. 19Il Signore ha fondato la terra con sapienza, ha consolidato i cieli con intelligenza; 20con la sua scienza si aprirono gli abissi e le nubi stillano rugiada.

Il Signore protegge il giusto 21Figlio mio, custodisci il consiglio e la riflessione né mai si allontanino dai tuoi occhi: 22saranno vita per te e ornamento per il tuo collo. 23Allora camminerai sicuro per la tua strada e il tuo piede non inciamperà. 24Quando ti coricherai, non avrai paura; ti coricherai e il tuo sonno sarà dolce. 25Non temerai per uno spavento improvviso, né per la rovina degli empi quando essa verrà, 26perché il Signore sarà la tua sicurezza e preserverà il tuo piede dal laccio.

Doveri verso il prossimo 27Non negare un bene a chi ne ha il diritto, se hai la possibilità di farlo. 28Non dire al tuo prossimo: “Va', ripassa, te lo darò domani”, se tu possiedi ciò che ti chiede. 29Non tramare il male contro il tuo prossimo, mentre egli dimora fiducioso presso di te. 30Non litigare senza motivo con nessuno, se non ti ha fatto nulla di male. 31Non invidiare l'uomo violento e non irritarti per tutti i suoi successi, 32perché il Signore ha in orrore il perverso, mentre la sua amicizia è per i giusti. 33La maledizione del Signore è sulla casa del malvagio, mentre egli benedice la dimora dei giusti. 34Dei beffardi egli si fa beffe e agli umili concede la sua benevolenza. 35I saggi erediteranno onore, gli stolti invece riceveranno disprezzo.

_________________ Note

3,8 Le ossa senza refrigerio, cioè inaridite, sono immagine di sofferenza e di grande dolore.

3,9 con le primizie: l’offerta delle primizie era prescritta dalla legge. Esse erano destinate al mantenimento dei ministri del culto e al sostentamento delle categorie più bisognose (forestieri, orfani, vedove: Nm 18,12-13; Dt 26,1-15)

3,18 albero di vita: l’allusione a Gen 2,9 e 3,22.24 è chiara; ma qui non si tratta dell’immortalità, quanto piuttosto di una condizione di felicità, propria dell’uomo che possiede la sapienza.

3,23-24 camminerai... ti coricherai: i due verbi “camminare” e “riposarsi”, qui, come altrove nella Bibbia, abbracciano tutte le attività dell’uomo (ad es. Dt 6,7; Sal 139,2-3).

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Approfondimenti

Pr 3,1-35. Per la divisione interna del capitolo sono state avanzate diverse proposte. Osserviamo anzitutto alcuni aspetti formali, integrandoli con quelli di contenuto. L'aspetto più rilevante dal punto di vista formale è la differenza tra i vv. 13-20 e il resto del capitolo: nei vv. 1-12 e 21-35 troviamo costantemente verbi alla forma imperativa o iussiva, fuorché nelle frasi causali (di motivazione, vv. 2.4.8.10.12.22-24.26.32), mentre il tono dei vv. 13-20 è più descrittivo e apparenta questi versetti all'inno. Si possono perciò confrontare i vv. 1-12 e 21-35 con le precedenti istruzioni, mentre il brano racchiuso nei vv. 13-20 sembra costituire una pausa riflessiva, quasi una motivazione ampliata in forma di encomio della sapienza. Nelle tre parti è presente il riferimento a JHWH: mentre però nelle due istruzioni JHWH è presentato in definitiva come il garante della riuscita del saggio (e perciò la riflessione riguarda la relazione saggio/JHWH), nei vv. 13-20 si sottolinea invece la relazione sapienza/JHWH, risalendo addirittura all'opera creatrice divina. Va rilevata infine la stretta affinità formale e contenutistica dei vv. 27-32: precetti in forma negativa riguardanti le relazioni con il prossimo, seguiti da una motivazione (v. 32). I vv. 32-34 rappresentano una conclusione che ancora una volta espone l'antitesi tra la sorte del malvagio e quella del saggio. Dividiamo perciò il capitolo nel modo seguente: vv. 1-12; 13-20; 21-26; 27-35.

vv. 1-12. Un'istruzione in cui il maestro sottolinea dapprima l'importanza di aderire all'insegnamento sapienziale (vv. 1-4), intervallando imperativi a motivazioni espresse in forma di promessa; si passa quindi, pur mantenendo la stessa forma (imperativo-motivazione/promessa), a sottolineare il rapporto personale che il discepolo deve mantenere con JHWH (attingendo anche a espressioni religiose tipiche della pietà dell'AT, cfr. v. 9). Ai vv. 11-12, la versione non è convincente, perché nonostante i diversi accenni nel libro alla correzione paterna (cfr. Prv 13,24; 19,18; 22,13; 29,17), il collegamento tra questa e quella divina non ha corrispondenze, quindi il v. 12b si potrebbe tradurre meglio così: «punisce il figlio prediletto».

vv. 13-20. A un macarismo iniziale, che non è un augurio, ma un'assicurazione (la certezza che, attraverso la sapienza, si riesce nella vita), segue una descrizione innica delle prerogative della sapienza, il cui valore è superiore ai monili (vv. 14-15), da cui la persona attinge vita e benessere (šālôm; vv. 16-18) e che integra positivamente l'uomo nella realtà creata, collegandolo al principio che da sempre determina il retto funzionamento del cosmo (vv. 19-20). Il testo non permette di vedere in questa descrizione della sapienza una personificazione simile a quella già incontrata in 1,20-33 e che riapparirà in Prv 8; 9,1-6, tuttavia è degno di nota il fatto che anche in questo caso la sapienza stessa diventa tema della riflessione e non soltanto prerequisito per la stessa.

v. 18. «albero di vita» (cfr. Gn 2,9): la sapienza è assimilata all'albero della vita, cioè significa lunga vita per chi la possiede. Il tema dell'albero della vita è ripreso altrove nel libro: esso è ciò che il giusto produce, e si trasforma nella sua ricompensa (cfr. 11,30-31); come simbolo generale di vita e di gioia, esso può assimilarsi anche a un desiderio soddisfatto (13,12) o a una lingua dolce (15,4).

vv. 19-20. «con la sapienza» (cfr. Sal 104,24): si passa dalla descrizione della strutturazione degli elementi fondamentali del cosmo (v. 19: terra/cielo) alle conseguenze derivanti da essa (v. 20) soprattutto per la vita sulla terra (sia dall'abisso che dalle nubi giunge l'acqua sulla terra). La sapienza non è tanto uno strumento di cui Dio si serve, ma una qualificazione dell'agire divino: l'azione creatrice di Dio è definita sapiente perché risulta in una moltitudine infinitamente varia di creature e fissa le leggi in vista del funzionamento armonioso dei fenomeni naturali. Pur non potendosi assimilare questo testo a Prv 8,22-31, esso rappresenta di fatto, dal punto di vista dell'orientamento, una contemplazione della presenza della sapienza durante la creazione del mondo, il cui scopo è aiutare a riconoscere nel mondo un ordine, mostrando inoltre che il discepolo della sapienza è anche colui che accede a una dimensione che rende il mondo l'opera «ben fatta» di Dio.

vv. 21-26. In questi versetti si riprende anzitutto l'ammonizione con cui è iniziato il capitolo (vv. 21-22), esplicitando come l'acquisto della sapienza consenta di realizzare un'esistenza serena: sia lungo la strada (v. 23), sia nel sonno (v. 24) sia in caso di pericolo improvviso (v. 25) il saggio può star tranquillo. Di fronte alle realtà imponderabili dell'esistenza JHWH protegge chi fa della sapienza la sua norma di condotta.

vv. 27-35. Significativi sono i riferimenti alla condotta verso il prossimo: la sapienza aiuta anche a individuare le rette relazioni tra le persone che consentono a tutta la società di edificarsi armoniosamente.

(cf. FLAVIO DALLA VECCHIA, Proverbi di Salomone – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La sapienza è dono di Dio 1Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti, 2tendendo il tuo orecchio alla sapienza, inclinando il tuo cuore alla prudenza, 3se appunto invocherai l'intelligenza e rivolgerai la tua voce alla prudenza, 4se la ricercherai come l'argento e per averla scaverai come per i tesori, 5allora comprenderai il timore del Signore e troverai la conoscenza di Dio, 6perché il Signore dà la sapienza, dalla sua bocca escono scienza e prudenza. 7Egli riserva ai giusti il successo, è scudo a coloro che agiscono con rettitudine, 8vegliando sui sentieri della giustizia e proteggendo le vie dei suoi fedeli. 9Allora comprenderai l'equità e la giustizia, la rettitudine e tutte le vie del bene, 10perché la sapienza entrerà nel tuo cuore e la scienza delizierà il tuo animo.

La sapienza è una difesa 11La riflessione ti custodirà e la prudenza veglierà su di te, 12per salvarti dalla via del male, dall'uomo che parla di propositi perversi, 13da coloro che abbandonano i retti sentieri per camminare nelle vie delle tenebre, 14che godono nel fare il male e gioiscono dei loro propositi perversi, 15i cui sentieri sono tortuosi e le cui strade sono distorte; 16per salvarti dalla donna straniera, dalla sconosciuta che ha parole seducenti, 17che abbandona il compagno della sua giovinezza e dimentica l'alleanza con il suo Dio. 18La sua casa conduce verso la morte e verso il regno delle ombre i suoi sentieri. 19Quanti vanno da lei non fanno ritorno, non raggiungono i sentieri della vita. 20In tal modo tu camminerai sulla strada dei buoni e rimarrai nei sentieri dei giusti, 21perché gli uomini retti abiteranno nel paese e gli integri vi resteranno, 22i malvagi invece saranno sterminati dalla terra e i perfidi ne saranno sradicati.

_________________ Note

2,12-13 via del male e vie delle tenebre: immagini di una condotta non buona; i retti sentieri: il comportamento di chi è fedele a Dio. Questa terminologia ricorre con frequenza nei libri sapienziali.

2,16 donna straniera: la donna che appartiene a un popolo straniero (quindi dedita all’idolatria) o a un altro marito (quindi adultera).

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Approfondimenti

Pr 2, 1-22. La seconda istruzione del maestro occupa tutto il capitolo. Si differenzia dal discorso della sapienza di 1, 20-33 soprattutto per il tono: non più l'invettiva, ma la riflessione argomentativa. Alcuni indizi formali permettono di delimitarne le singole parti: tre introduzioni condizionali («se», vv. 1.3.4), due espressioni consequenziali («allora», vv. 5.9) entrambe seguite dalla motivazione («perché», vv. 6.10), tre frasi finali (vv. 12.16.20), una frase causale (vv. 21-22) che presenta due conclusioni antitetiche, sul modello di 1,32-33. Dapprima si invita il discepolo ad aderire all'insegnamento sapienziale, presentato come un bene prezioso che va ricercato (vv. 1-4) e che consente di ottenere due relazioni fondamentali per la riuscita nella vita: il retto rapporto con JHWH (vv. 5-8) che è il donatore della sapienza (v. 6) e nello stesso tempo il protettore del saggio (vv. 7-8); il possesso della sapienza, la quale come JHWH è colei che protegge il saggio (v. 11). Colui che si è impegnato nella ricerca della sapienza, ha appreso il rispetto di JHWH e ha fatto della sapienza la sua norma di condotta potrà evitare due pericoli sempre all'erta sul cammino (si noti ancora una volta il vocabolario della strada): la condotta e le macchinazioni dei malvagi (vv. 12-15); la seduzione della donna straniera (vv. 16-19). Sul primo pericolo siamo già edotti dalla prima istruzione (cfr. Prv 1,11-16), mentre il secondo è qui indicato per la prima volta: la donna straniera (’iššâ zārâ) e forestiera (nokriyyā), un personaggio che ritornerà a più riprese in Prv 1-9 (cfr. 5,3-20; 6,24-35; 7,5-27). Gli aggettivi usati per definire questo personaggio femminile non implicano necessariamente che si tratti di una donna appartenente a un popolo diverso; essi ne designano piuttosto lo status sociologico, indicando in tal modo una persona che si trova ai margini di un contesto sociale o i cui comportamenti non si adeguano alle norme accettate. Di qui l'incertezza degli interpreti nella sua identificazione. Molti vedono in questo personaggio una prostituta e rinvengono nelle esortazioni a guardarsi dalla «straniera» un topos ricorrente anche negli insegnamenti sapienziali egiziani (dove la femme fatale è tipicamente una straniera o almeno una outsider rispetto alla società), ma pure il riferimento a culti di carattere sessuale che potrebbero minare la condotta religiosa del giovane Ebreo. Altri vi vedono un'adultera (cfr. il v. 17), cioè la «donna di un altro» (per cui «straniera» sarebbe una metafora), colei che con la sua condotta minaccia la solidità di una comunità, disgregandone uno degli istituti fondamentali, la famiglia. Altri infine vedono riflessa nel testo la condizione sociale del postesilio, così come è documentata nel libri di Esdra e Neemia e in Ml 2,10-16: la comunità giudaica rimpatriata dopo l'esilio è costretta, per preservare la sua identità culturale e il suo status economico, a praticare l'endogamia, rifiutando dunque l'ingresso degli stranieri nella società giudaica, perché li sente come una minaccia alla propria indipendenza. Va osservato infine che la vera contrapposizione tra questa figura negativa e quella della sapienza si gioca a livello di linguaggio: in molti casi la «straniera» usa il linguaggio della sapienza, ma per negarne le conclusioni. L'insegnamento sapienziale è l'illustrazione di una via che produce un risultato positivo e vantaggi per l'esistenza, e si contrappone perciò ad altre vie che ritiene esiziali per la persona. La «straniera» non ha un diverso insegnamento, ma parole che seducono, capaci cioè di stravolgere il ragionamento del saggio: essa non intende insegnare che ciò che è cattivo è invece buono, ma piuttosto convincere che la condotta cattiva non ha necessariamente conseguenze negative (lo stesso stratagemma usato dal serpente in Gn 3).

(cf. FLAVIO DALLA VECCHIA, Proverbi di Salomone – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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INTRODUZIONE (1,1-7) 1 Proverbi di Salomone, figlio di Davide, re d'Israele, 2per conoscere la sapienza e l'istruzione, per capire i detti intelligenti, 3per acquistare una saggia educazione, equità, giustizia e rettitudine, 4per rendere accorti gli inesperti e dare ai giovani conoscenza e riflessione. 5Il saggio ascolti e accrescerà il sapere, e chi è avveduto acquisterà destrezza, 6per comprendere proverbi e allegorie, le massime dei saggi e i loro enigmi. 7Il timore del Signore è principio della scienza; gli stolti disprezzano la sapienza e l'istruzione.

LA SAPIENZA E I SUOI CONSIGLI (1,8-9,18) Non accettare gli inviti dei malvagi 8Ascolta, figlio mio, l'istruzione di tuo padre e non disprezzare l'insegnamento di tua madre, 9perché saranno corona graziosa sul tuo capo e monili per il tuo collo. 10Figlio mio, se i malvagi ti vogliono sedurre, tu non acconsentire! 11Se ti dicono: “Vieni con noi, complottiamo per spargere sangue, insidiamo senza motivo l'innocente, 12inghiottiamoli vivi come fa il regno dei morti, interi, come coloro che scendono nella fossa; 13troveremo ogni specie di beni preziosi, riempiremo di bottino le nostre case, 14tu tirerai a sorte la tua parte insieme con noi, una sola borsa avremo in comune”, 15figlio mio, non andare per la loro strada, tieniti lontano dai loro sentieri! 16I loro passi infatti corrono verso il male e si affrettano a spargere sangue. 17Invano si tende la rete sotto gli occhi di ogni sorta di uccelli. 18Ma costoro complottano contro il proprio sangue, pongono agguati contro se stessi. 19Tale è la fine di chi è avido di guadagno; la cupidigia toglie di mezzo colui che ne è dominato.

La sapienza invita a seguirla 20La sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udire la voce; 21nei clamori della città essa chiama, pronuncia i suoi detti alle porte della città: 22“Fino a quando, o inesperti, amerete l'inesperienza e gli spavaldi si compiaceranno delle loro spavalderie e gli stolti avranno in odio la scienza? 23Tornate alle mie esortazioni: ecco, io effonderò il mio spirito su di voi e vi manifesterò le mie parole. 24Perché vi ho chiamati ma avete rifiutato, ho steso la mano e nessuno se ne è accorto. 25Avete trascurato ogni mio consiglio e i miei rimproveri non li avete accolti; 26anch'io riderò delle vostre sventure, mi farò beffe quando su di voi verrà la paura, 27quando come una tempesta vi piomberà addosso il terrore, quando la disgrazia vi raggiungerà come un uragano, quando vi colpiranno angoscia e tribolazione. 28Allora mi invocheranno, ma io non risponderò, mi cercheranno, ma non mi troveranno. 29Perché hanno odiato la sapienza e non hanno preferito il timore del Signore, 30non hanno accettato il mio consiglio e hanno disprezzato ogni mio rimprovero; 31mangeranno perciò il frutto della loro condotta e si sazieranno delle loro trame. 32Sì, lo smarrimento degli inesperti li ucciderà e la spensieratezza degli sciocchi li farà perire; 33ma chi ascolta me vivrà in pace e sarà sicuro senza temere alcun male”. _________________ Note

1,1 In questi versetti iniziali è contenuta l’introduzione a tutto il libro che, in sintonia con la tradizione sapienziale, si propone la formazione completa dell’uomo.

1,8 Gli insegnamenti qui contenuti vengono presentati come un’esortazione rivolta dai genitori ai figli o dalla sapienza stessa a tutti gli uomini. Si può notare la forma letteraria del parallelismo, che la letteratura sapienziale usa frequentemente nel comunicare il suo insegnamento.

1,12 regno dei morti: in ebraico sheol, è luogo sotterraneo dove si riteneva dimorassero i morti; a volte il termine ebraico è tradotto con “inferi”.

1,20-33 Alla sapienza vengono attribuite le caratteristiche della predicazione profetica. Essa viene come personificata e assume il ruolo di annunciatrice di un autorevole insegnamento. Strade, piazze, porte della città: i luoghi in cui si svolgeva la vita quotidiana, dove venivano dati gli annunci importanti ed era amministrata la giustizia.

1,29 il timore del Signore: non va inteso come sentimento di paura, ma come atteggiamento che si nutre di venerazione, obbedienza, fiducia, amore.

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Approfondimenti

Pr 1,1-33. Si divide agevolmente in tre parti, facilmente individuabili per lo stile e per alcuni indizi letterari. Anzitutto abbiamo l'introduzione al libro intero (vv. 1-7) ove si espone lo scopo delle collezioni dei Proverbi e si esorta a prestarvi ascolto; a questo segue una prima istruzione (vv. 8-19) introdotta dalla tipica espressione «figlio mio», che ben si addice sia al padre di famiglia, sia al maestro di scuola e che è un invito a mettersi alla scuola dei genitori (quindi ad accogliere l'insegnamento tradizionale); infine si presenta il primo discorso della sapienza personificata (vv. 20-23), che minaccia ed esorta allo stesso tempo il suo uditorio. Accomuna i tre brani l'insistenza sull'invito a prestare ascolto a un insegnamento di cui si lodano le qualità, senza tuttavia definirne ancora i contenuti.

Possiamo suddividere i versetti 1-7 in tre momenti: v. 1: titolo del libro; vv. 2-6: scopo del libro; v. 7: detto programmatico.

v. 1. L'attribuzione dell'intera raccolta a Salomone corrisponde all'immagine che di lui è proposta nella storiografia biblica (cfr. 1Re 3,11-28; 5,9-14; 10,1-9). Sulla base dell'introduzione, possiamo affermare che si tratta di un caso di pseudonimia, parallelo all'attribuzione a Mosè del Pentateuco e a Davide dei Salmi.

vv. 2-6. Una serie di verbi all'infinito reggono una molteplicità di vocaboli che sono tutti sinonimi del vocabolo fondamentale che definisce la sapienza (ḥokmâ): l'accento non cade tanto sulle specifiche differenze tra i vocaboli, ma sulle molteplici sfaccettature della sapienza, che si vogliono indicare come racchiuse in queste raccolte che si stanno scorrendo. I destinatari del libro sono definiti secondo due coppie parallele: vi sono gli inesperti/giovani, cioè coloro che ancora non sanno padroneggiare la vita e quindi abbisognano di un orientamento (v. 4), ma troviamo pure il saggio/accorto, il quale, pur essendo già formato, può tuttavia trarre da questi insegnamenti un accrescimento al suo sapere (v. 5).

v. 7. «Il timore del Signore»: la prima parte del versetto esprime uno dei principi che reggono la riflessione sapienziale israelitica, evidenziata sia dalle successive ricorrenze nella letteratura sapienziale (cfr. Gb 28,28; Sal 111,10; Sir 1,14.20; 19,20), sia dal fatto che funge da inclusione a tutta la prima collezione del libro (cfr. 9,10), pur ricorrendo anche in seguito (cfr. 15,33). Anche se è ormai tradizionale, la resa del vocabolo ebraico yir’â con «timore» non risulta affatto adeguata: esso è meglio interpretato con il vocabolo «rispetto». Dire che «il rispetto di JHWH» è «principio» (rē’šît) della sapienza, significa porre come presupposto di ogni tragitto che porta all'acquisizione della sapienza la relazione con Dio, cioè il fare posto a lui, che si esprime in un atteggiamento umile e accogliente nei suoi confronti. Con «principio» si esprime sia l'«inizio» (il primo momento in ordine cronologico), sia la «primizia» (la prima acquisizione in senso qualitativo), sia la «cifra» che illumina quanto segue (il fondamento); «gli stolti»: non tutti prestano attenzione e accolgono i detti della sapienza. Vi è una categoria di persone che si oppone, che disprezza e che di conseguenza orienta le proprie scelte su basi differenti. Anche a costoro (definiti con molteplici sinonimi) il testo riserverà la propria attenzione: rappresentano in un certo senso la controfigura in negativo del saggio, incarnando il progetto alternativo a quello sapienziale (e talvolta opponendovisi con violenza).

vv. 8-19. La prima istruzione rappresenta un ammonimento a non lasciarsi allettare da compagnie che potrebbero distogliere dall'acquisizione della sapienza. Si suddivide in quattro momenti, ben evidenziati dal fatto che a due ammonizioni seguite dalla motivazione (vv. 8-9; 15-16) si succedono due descrizioni della pista seguita dai peccatori (vv. 10-14; 17-19). Si noti l'insistenza, tipica della riflessione sapienziale, sul vocabolario legato allo spazio (cammino/strada) per indicare l'esistenza. Dal punto di vista retorico si possono osservare due fatti:

1) la qualificazione del discepolo come figlio, posto a confronto con l'insegnamento parentale (padre e madre nel v. 8): ciò dipende certamente dal fatto che l'ambito primario dell'educazione era anticamente quello familiare e solo a una certa età si era affidati a un maestro, anche se la definizione del rapporto maestro-discepolo con tale lessico derivante dalle relazioni familiari era ormai convenzionale nella letteratura sapienziale del Vicino Oriente Antico.

2) La duplice caratterizzazione dei peccatori, dapprima citando direttamente i loro discorsi (vv. 11-14), e poi esponendo il punto di vista del maestro sulla loro sorte (v. 17-19). Significativa è qui la ripresa del vocabolo «sangue» nei vv. 11.16.18: gli intenti omicidi dei malvagi si ritorcono contro di loro, secondo uno schema di retribuzione che dà l'impressione di un certo automatismo, ma che intende invece esprimere che la pena corrisponde al delitto commesso. Essi complottano «senza alcuna motivazione»: ḥinnām; non «impunemente», come traduce BC, contro l'innocente (v. 11), ma tale agire gratuito, sorretto solo dalla bramosia e dalla cupidigia, è anche quello che li perderà, dato che ogni ammonimento (la «rete», v. 17) risulta inutile (ḥinnām, v. 17) per chi non si lascia educare, e quindi è mosso solo dai propri appetiti come un volatile.

vv. 20-33. Per la prima volta a parlare non sono né i genitori, né un maestro, ma la sapienza in persona, che pronuncia un discorso altamente retorico, la cui struttura può essere definita come segue: il discorso è introdotto da una descrizione dell'ambiente in cui la sapienza prende la parola (vv. 20-21).

L'allocuzione vera e propria si divide nettamente in due parti, a motivo del pronome con cui gli interlocutori sono appellati (vv. 22-27 «voi»; vv. 28-33 «essi»). Si noti l'uso della terza persona singolare nel v. 22bc; si tratta probabilmente di una glossa, per cui si può leggere il v. 22a unito al v. 23 (che formano in tal modo due versetti di due stichi, secondo il modello dell'intero discorso) e scorgere qui l'introduzione al discorso: appello all'uditorio e annuncio del tema. Alla fine (vv. 32-33) si può notare la tonalità riflessiva della conclusione, ma soprattutto la contrapposizione tra la minaccia rivolta agli sciocchi e la promessa positiva rivolta a chi aderisce alla sapienza. Il centro del discorso si divide in due parti di quattro versetti ciascuna: vv. 24-27 “voi”; vv. 28-31 “essi”). Qui l'elemento tematico è la relazione tra colpa e castigo in un alternarsi costante tra verbi al passato e al futuro, secondo la seguente progressione: vv. 24-27, successione passato (la colpa, vv. 24-25) futuro (il castigo, vv. 26-27) in parallelismo; vv. 28-31, successione futuro (castigo, v. 28) passato (colpa, vv. 29-30) futuro (castigo, v. 31) in forma chiastica.

vv. 20-21. La sapienza parla in pubblico, nello slargo (la piazza) attiguo alle porte civiche, dove l'uditorio non è selezionato, ben diverso dunque da quello presente sui banchi di una scuola.

vv. 22-33. Anche il tono adottato dalla sapienza mal si addice a quello di un maestro (benché adirato), come mostrano i castighi annunciati (sciagura, terrore, tempesta, turbine, tribolazione) che sarebbero davvero iperbolici se rivolti a scolari. Molti aspetti del discorso hanno fatto propendere verso l'identificazione della sapienza con i profeti (per il luogo, cfr. Ger 17,19; per l'espressione «fino a quando?», cfr. Ger 4,14; 23,26; 31,22; Os 8,5; per il ridere, cfr. Ez 23,32; per il v. 28, cfr. Ger 11,11; Os 5,6; Am 8,12; Mic 3,4), ma tale accostamento è solo parzialmente esatto. Senza dubbio la sapienza si esprime come i profeti (pur servendosi anche di espressioni tipicamente sapienziali); essa tuttavia, a differenza dei profeti, non si presenta come portavoce di qualcuno (cfr. “la formula del messaggero” che introduce i discorsi profetici), ma parla a nome proprio. In tal senso la sapienza parla alla maniera di JHWH, così come si esprime nei discorsi profetici e di conseguenza essa assume un ruolo che supera quello dei profeti e che la colloca decisamente nella sfera del divino.

(cf. FLAVIO DALLA VECCHIA, Proverbi di Salomone – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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DA TUTTO IL CREATO SALGA LA LODE A DIO

1 Alleluia.

Lodate Dio nel suo santuario, lodatelo nel suo maestoso firmamento.

2 Lodatelo per le sue imprese, lodatelo per la sua immensa grandezza.

3 Lodatelo con il suono del corno, lodatelo con l'arpa e la cetra.

4 Lodatelo con tamburelli e danze, lodatelo sulle corde e con i flauti.

5 Lodatelo con cimbali sonori, lodatelo con cimbali squillanti. 6 Ogni vivente dia lode al Signore.

Alleluia. _________________ Note

150,1 Nel tempio, dove pulsa il cuore della fede d’Israele, convergono la preghiera, la lode e il canto dell’intera creazione. E poi dal tempio questo immenso coro di voci, di suoni e di musica, modulato al ritmo dell’alleluia, si espande a tutto l’universo. Vi è qui la sintesi di tutto il Salterio: la raccolta dei 150 salmi si conclude con questo maestoso inno, che si eleva a Dio da tutto il creato.

150,3-5 Vengono elencati i vari strumenti musicali in uso nel servizio cultuale del tempio di Gerusalemme. Il corno è tuttora usato nella liturgia ebraica.

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Approfondimenti

Ogni vivente dia lode al Signore Inno

Il salmo è una solenne dossologia a Dio per gli interventi salvifici e «per la sua immensa grandezza». Chiude l'Hallel finale (Sal 146-149), la quinta parte del libro del Salmi e l'intero Salterio. Con il Sal 150 i vari tipi di preghiera dei precedenti salmi, che rispecchiano gli stati d'animo dell'uomo, si trasformano in purissima lode a Dio da parte di «ogni essere vivente», la cui eco racchiusa nell'Alleluia finale ritorna e si propaga all'infinito. Il salmo è di composizione recente come il gruppo dell'Hallel finale (Sal 146-150). Il ritmo nel TM è di 3 + 3 accenti ed è più marcato dalla cadenza dei dieci «lodate» (halᵉlû) inizianti i dieci emistichi dei primi cinque versetti, e dall'Alleluia iniziale e finale del salmo. I versetti del carme corrispondono a domande implicite; così nel v. 1 si indica l'oggetto e il luogo della lode: Dio (’el) e il firmamento, nel v. 2 se ne dà la motivazione, nei vv. 3-5 si dice la modalità (= con strumenti musicali), e nel v. 6 si esprime il soggetto della lode (= ogni essere vivente).

Divisione:

  • v. 1: destinatario e luogo della lode;
  • v. 2: motivazione;
  • vv. 3-5: modalità della lode;
  • v. 6: soggetto della lode.

v. 1. «Lodate il Signore»: alla lett. «Dio» (’el). Dio è chiamato con un nome comune a tutto l'Antico Oriente (aspetto universalistico del salmo). Ma alla fine del carme «Dio» (’el) è identificato con il Signore (JHWH) che si è rivelato a Israele, non essendoci che un solo Dio. «nel suo santuario»: si allude al tempio celeste, da dove, si crede, Dio governi l'universo, e implicitamente al tempio di Gerusalemme, con esso collegato.

v. 2. «per i suoi prodigi»: sono quelli della creazione e della storia salvifica, ricordati numerose volte nei salmi.

v. 3. «con squilli di tromba»: alla lett. «con suono di corno». Il «corno» (šopar) è lo strumento derivato dal corno di capra o di ariete tuttora in uso presso gli Ebrei. Originariamente era uno strumento di guerra; era poi diventato strumento di pace e adoperato per il culto.

v. 4. «con timpani»: la voce ebraica tōp (timpano) è onomatopeica. Ricorda più il tamburello che il timpano usato nella moderna orchestra. Era usato per lo più dalle donne, e accompagnava le danze rituali o dopo la vittoria.

v. 6. «ogni vivente»: alla lett. «ogni respiro». Il vocabolo nᵉšāmâ è usato solo per l'uomo e per Dio nella Bibbia (Gn 2,7; 2Sam 22,16). In Gs 11,11 indica l'uomo. Mentre l'essere umano ha in comune con l'animale la rûaḥ (= lo spirito, l'alito di vita), solo l'uomo e Dio hanno la nᵉšāmâ, segno del loro più stretto legame, cfr. Prv 20,27. Nel v. 6 il vocabolo si riferisce chiaramente alla creatura umana, essendo il Signore oggetto della lode. Tuttavia, per estensione, anche il mondo animale (cfr. Gn 7,22) è chiamato a suo modo a dare lode al Signore.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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INNO DI LODE A DIO PER LE SUE VITTORIE

1 Alleluia.

Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell'assemblea dei fedeli.

2 Gioisca Israele nel suo creatore, esultino nel loro re i figli di Sion.

3 Lodino il suo nome con danze, con tamburelli e cetre gli cantino inni.

4 Il Signore ama il suo popolo, incorona i poveri di vittoria.

5 Esultino i fedeli nella gloria, facciano festa sui loro giacigli.

6 Le lodi di Dio sulla loro bocca e la spada a due tagli nelle loro mani,

7 per compiere la vendetta fra le nazioni e punire i popoli,

8 per stringere in catene i loro sovrani, i loro nobili in ceppi di ferro,

9 per eseguire su di loro la sentenza già scritta. Questo è un onore per tutti i suoi fedeli.

Alleluia.

_________________ Note

149,1 L’invito alla lode è rivolto soprattutto ai fedeli (probabilmente quanti, nell’epoca maccabaica, si battevano per mantenere vive le tradizioni religiose e la fede del popolo d’Israele, perseguitato dai sovrani ellenistici). Nel suo contesto liturgico, questo salmo si presenta come una viva preghiera della comunità radunata, che implora la vittoria definitiva di Dio su tutte le forze del male e il trionfo del suo regno sull’arroganza dei potenti.

149,3 Lodino il suo nome con danze: la danza era considerata parte integrante del rito liturgico.

149,6 spada a due tagli: un’arma micidiale, molto temuta nell’antichità.

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Approfondimenti

Inno trionfale di Dio e dei fedeli Inno

Il salmo può avere come sfondo storico l'epoca di Neemia (cfr. Ne 3-4) (V sec.) o, più probabilmente, quella dei Maccabei (II sec.). C'è infatti una stretta corrispondenza con il movimento degli ḥasîdîm (i pii, i fedeli) e 1Mac 2,42. La voce stessa ḥasîdîm, in forma assoluta, facendo pensare a una categoria di persone, ricorre solo nel Sal 149 ai vv. 1 e 5 in tutto l'AT; inoltre, la lingua è piuttosto recente e offre contatti con testi del postesilio e soprattutto con il Tritoisaia. La stessa espressione «canto nuovo» è postesilica (cfr. Sal 33,3; 96,1; 98,1). Il salmo, sebbene di carattere nazionalistico, oltrepassa le circostanze storiche precise per allargarsi al contesto universale escatologico della lotta tra il bene e il male, il cui esito è la vittoria del bene e l'avvento del regno di Dio. Il contesto liturgico del salmo è indicato tra l'altro dall'espressione «assemblea dei fedeli» (v. 1) e dalla menzione della danza e degli strumenti musicali (v. 3). Il v. 3 è costruito in modo chiastico. Il Sal 149 conclude di fatto il Salterio, data la chiara funzione dossologica del Sal 150, che chiude, oltre il quinto libro dei Salmi, anche l'intero Salterio. Il ritmo nel TM è dato da 3 + 3 accenti. Tra gli elementi di struttura ricordiamo i sette appellativi alla lode, la voce «fedeli» (ḥasîdîm) (vv. 1.5.9), che facendo inclusione divide il salmo in due parti, le tre proposizioni finali: «per compiere» (v. 7), per «stringere» (v. 8), «per eseguire» (alla lett. «per fare») (v. 9), che sono costruite simmetricamente nella seconda parte. Nel salmo prevale una simbolica musicale, laudativa e marziale.

Divisione:

  • I parte: vv. 1- 4: a) vv. 1-3: invitatorio solenne; b) v. 4: motivazione;
  • II parte: vv. 5-9: a') vv. 5-6; invitatorio solenne; b') vv. 7-9: i tre compiti dei «fedeli».

v. 1. «canto nuovo»: è chiamato «nuovo» non in quanto è ultimo, ma in quanto è il canto escatologico delle salvezza definitiva, cfr. Ger 31,31; Ez 36,26; Gdt 16,13. «assemblea dei fedeli»: è la qᵉhal ḥasîdîm = assemblea dei fedeli) (1Mac 2,42). Sono i pii Israeliti, che fedeli a Dio e alle tradizioni dei padri, lottarono a fianco di Giuda Maccabeo (cfr. 1 e 2 Mac), ma nell'economia del salmo l'espressione acquista valore simbolico universale. Si tratta di tutti coloro che lottano per la vittoria del bene sul male.

v. 2. «Creatore»: alla lett. «creatori»: si tratta di un plurale di eccellenza o di intensità come «Dio» (’elōhîm).

v. 4. «incorona gli umili di vittoria»: l'espressione poetica, che rievoca l'immagine della regalità (cfr. v. 2), esprime l'abbondante e completa salvezza (vittoria) che gli umili (‘anāwîm) ottengono dal Signore, sì da partecipare con lui alla gloria regale del trionfo (cfr. Is 60,1.19-20; 61,10).

v. 5. «sorgano lieti dai loro giacigli»: alla lett. «facciano festa sui loro giacigli». L'espressione è variamente interpretata. Più probabilmente, in senso traslato, si vuole alludere alla gioia, alla lode incessante di Dio vincitore sul male da parte dei suoi fedeli, che non deve venir meno neanche di notte (cfr. Sal 63,7-8; Dt 6 7). La traduzione della BC con il verbo «sorgere» allude alla prontezza e disponibilità a collaborare con Dio nella lotta contro il male.

v. 6. «Le lodi di Dio... la spada a due tagli»: è indicato l'atteggiamento da tenersi da parte dei fedeli. Essi non solo devono lodare il Signore con la bocca, ma anche con l'operato, collaborando a questa battaglia contro l'ingiustizia e per la vittoria del bene. «spada a due tagli»: è l'arma offensiva più micidiale e pericolosa del tempo (cfr. Gdc 3,16; Prv 5,4; Is 41,15).

v. 7. «compiere la vendetta... e punire»: i due termini designano la realizzazione del giudizio di Dio sulle nazioni che opprimono Israele e lottano contro il bene. Tale giudizio, già compito esclusivo di Dio (Is 34,8; 35,4; 61,2), è ora demandato al vero popolo d'Israele, al gruppo dei «fedeli». Per questo concetto cfr. Zc 9,13-15.

v. 8. Come conseguenza dell'agire punitivo del popolo di Dio, ogni altra regalità e altro potere contro Dio verrà incatenato, annullato, soccombendo a quello divino.

v. 9. «per eseguire su di essi il giudizio già scritto»: i «fedeli», nell'agire contro ogni ingiustizia e prevaricazione, non fanno altro che eseguire una sentenza già scritta contro i nemici di Dio e del suo popolo. Il «giudizio già scritto» si riferisce, oltre alla metafora del «libro della vita», agli oracoli profetici contro i pagani (cfr. Is 13-23.34; Ger 46-51; Ez 25-32.35; Am 1,3-2,15; Na 1,1-3,19).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LODE ALLA GRANDEZZA DI DIO, SIGNORE DEL CREATO

1 Alleluia.

Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell'alto dei cieli.

2 Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere.

3 Lodatelo, sole e luna, lodatelo, voi tutte, fulgide stelle.

4 Lodatelo, cieli dei cieli, voi, acque al di sopra dei cieli.

5 Lodino il nome del Signore, perché al suo comando sono stati creati.

6 Li ha resi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà.

7 Lodate il Signore dalla terra, mostri marini e voi tutti, abissi,

8 fuoco e grandine, neve e nebbia, vento di bufera che esegue la sua parola,

9 monti e voi tutte, colline, alberi da frutto e voi tutti, cedri,

10 voi, bestie e animali domestici, rettili e uccelli alati.

11 I re della terra e i popoli tutti, i governanti e i giudici della terra,

12 i giovani e le ragazze, i vecchi insieme ai bambini

13 lodino il nome del Signore, perché solo il suo nome è sublime: la sua maestà sovrasta la terra e i cieli.

14 Ha accresciuto la potenza del suo popolo. Egli è la lode per tutti i suoi fedeli, per i figli d'Israele, popolo a lui vicino.

Alleluia.

_________________ Note

148,1 Inno che si esprime in un crescendo di lode alla grandezza di Dio, creatore e Signore dell’universo. Con questo salmo, la numerazione del testo ebraico e quella delle antiche versioni greca e latina coincidono nuovamente (vedi l’introduzione al paragrafo “L’origine”).

148,4 cieli dei cieli: la parte più elevata del cielo, dove si pensava fosse la dimora di Dio. Le acque al di sopra dei cieli sono quelle al di sopra del firmamento, dagli antichi ritenute il deposito delle piogge.

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Approfondimenti

Dio creatore e signore dell'universo Inno

Il salmo è una lode solenne a Dio creatore e Signore dell'universo, da parte di tutte le creature animate e inanimate, del cielo e della terra, grandi e piccole, invitate a far parte di un unico grande coro. Come paralleli biblici, si deve considerare Gn 1,1-2,4a; Gb 38-39; Sir 43. L'inno di Dn 3,52-90 (LXX), più simile al Sal 148, in verità sembra essere un suo sviluppo midrascico tardivo. La datazione è bassa (IV sec.). Gli accenti nel TM sono per lo più 3 + 3. Come parallelo letterario profano, per il catalogo degli esseri e perfino per un certo ordine di successione, è più indicato la Sapienza di Amenemope, opera egiziana che ha avuto anche un probabile influsso su Gb 38-39 e Prv 22,17-23,14. Il Sal 148 si differenzia dalla struttura innica degli altri salmi simili per la posizione delle motivazioni introdotte da «perché» (kî). Queste infatti sono date solo alla fine di ogni parte delle due, in cui si divide il salmo, e senza sviluppi: vv. 5-6, e vv. 13-14a. La brevità delle motivazioni contrasta con l'ampio sviluppo degli invitatori delle due parti: vv. 1-4 e vv. 7-13a. La struttura binaria parallela ha come scenario il cielo da una parte e la terra dall'altra (v. 1 e v. 7a). Dal punto di vista stilistico l'autore fa ricorso a coppie antitetiche (merismi ed espressioni polari) come: cielo-terra, re-popoli, giovani-fanciulle, vecchi-ragazzi. Non rinuncia a qualche filone sapienziale. Il primo emistichio del v. 5 seguito da (= perché) è identico a quello del v. 13, formando così un'inclusione e chiudendo con le motivazioni le due parti parallele del salmo. Nel TM è presente la rima nei vv. 3-4 e il chiasmo nel v. 11. Ma in tutto il salmo le voci «cieli» e «terra» sono strutturate chiasticamente: «cieli» (vv. 1.4), «terra» (v. 11), «terra + cieli» (v. 13c). Il v. 14a e il v. 14bc forse sono un aggiunta tardiva, che attualizza il salmo. Per qualche autore il v. 14bc è addirittura il titolo del salmo seguente. È evidente che senza l'intero v. 14 il salmo, data l'inclusione chiastica di «terra» e «cieli», è più organico e strutturalmente più ordinato.

Divisione:

  • vv. 1-6: I parte: lode dei cieli: a) vv. 1-4: invitatorio; b) vv. 5-6: motivazioni;
  • vv. 7-14a: Il parte: lode della terra: a') vv. 7-13a: invitatorio; b) vv. 13b-14a: motivazioni;
  • v. 14bc: appendice (aggiunta posteriore).

v. 2. «angeli»: sono i ministri di Dio (Sal 91,11; 103,20-21; 104,4b). La fede nell'esistenza negli angeli è entrata un po' tardi nella teologia ebraica, quando non poteva creare ostacoli per il rigido monoteismo. Dal punto di vista letterario e storico, la Bibbia circa la rappresentazione degli angeli è dipendente dalle concezioni del Vicino Oriente. «sue schiere»: alla lett. «suo esercito». L'espressione si può riferire, per la legge del parallelismo, agli stessi angeli del primo emistichio, ma destinati ad un altro ufficio, quello di difesa della divinità, come i cherubini babilonesi (cfr. Gn 3,24), e incaricati di realizzare il giudizio di Dio(2Mac 3,24ss.) sebbene partecipino anche alla liturgia celeste (Sal 29,1; 150,1; Tb 12,12-15). In Gn 2,1 e Is 40,26 le schiere del Signore sono le stelle (cfr. Bar 3,34-35; Gb 38,7) che costituiscono l'esercito di Dio. Ma qui non si possono identificare con esse, poiché le stelle sono nominate espressamente nel v. 3.

v. 4. «cieli dei cieli»: l'espressione è un superlativo semitico. Indica i penetrali più segreti della volta celeste, l'area stessa della presenza divina. «acque al di sopra dei cieli»: sono le «acque superiori», quelle al di sopra del firmamento secondo la cosmologia biblica (Gn 1,6-8).

vv. 5b-6. «disse e furono creati»: si sottolinea l'efficacia della parola autorevole di Dio (cfr. Sal 33,6.9). «li ha stabiliti per sempre... una legge diede e non passa»: il salmista afferma la stabilità e l'ordine provvidente della creazione. Dio attraverso le leggi costanti del cosmo impedisce che il creato ripiombi nel caos o nel nulla da cui l'aveva tratto (cfr. Gn 1,1-2,4a).

v. 7b. «mostri marini e voi tutti abissi»: i «mostri marini» (tannînîm) già sono stati menzionati nel Sal 74,13 e sono comuni nelle mitologie orientali. Gli «abissi» (tᵉhōmôt) indicano più propriamente «il mare» (cfr. Sal 107,26) l'oceano primordiale indicato di solito al singolare tehôm.

v. 8. «nebbia»: alla lett. «fumo» (qiṭor). «vento di bufera che obbedisce...»: il vento è visto come messaggero divino che obbedisce alla parola di Dio. Difatti aleggia sulle acque nella creazione (Gn 1,2), nella notte dell'esodo fa dividere il Mare dei Giunchi (Es 14,21), è strumento delle comunicazioni divine (Sal 104,4), è segno della presenza di Dio al profeta Elia (1Re 19,12-13).

v. 11 «I re della terra...»: il salmista, nell'ambito del riferimento all'uomo (vv. 11-12), segue la via gerarchica discendente come nella prima parte, ove è partito dagli angeli (v. 2). Tutti i vocaboli del versetto sono in sostanza sinonimi per indicare le autorità costituite.

v. 12 «i giovani e le fanciulle...»: queste due coppie antitetiche «giovani-fanciulle» e «vecchi-ragazzi» si riferiscono a tutta l'umanità senza differenza di età e di sesso.

v. 14a. «la potenza del suo popolo»: lett.: «il corno» del suo popolo. Il corno (qeren) è simbolo di potenza (Sal 18,3; 75,11; 132,17).

v. 14c. «che egli ama»: alla lett.: «a lui vicino». L'espressione qᵉrobô può intendersi sia in senso soggettivo che in senso oggettivo. Può esprimere sia la vicinanza del popolo al Signore, sia quella del Signore al suo popolo per effetto dell'alleanza (Dt 4,7).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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INNO ALLA BONTÀ DI DIO VERSO GLI UOMINI E VERSO ISRAELE

1 Alleluia.

È bello cantare inni al nostro Dio, è dolce innalzare la lode.

2 Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d'Israele;

3 risana i cuori affranti e fascia le loro ferite.

4 Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome.

5 Grande è il Signore nostro, grande nella sua potenza; la sua sapienza non si può calcolare.

6 Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi.

7 Intonate al Signore un canto di grazie, sulla cetra cantate inni al nostro Dio.

8 Egli copre il cielo di nubi, prepara la pioggia per la terra, fa germogliare l'erba sui monti,

9 provvede il cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano.

10 Non apprezza il vigore del cavallo, non gradisce la corsa dell'uomo.

11 Al Signore è gradito chi lo teme, chi spera nel suo amore.

12 (147,1) Celebra il Signore, Gerusalemme, loda il tuo Dio, Sion,

13 (147,2) perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte, in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

14 (147,3) Egli mette pace nei tuoi confini e ti sazia con fiore di frumento.

15 (147,4) Manda sulla terra il suo messaggio: la sua parola corre veloce.

16 (147,5) Fa scendere la neve come lana, come polvere sparge la brina,

17 (147,6) getta come briciole la grandine: di fronte al suo gelo chi resiste?

18 (147,7) Manda la sua parola ed ecco le scioglie, fa soffiare il suo vento e scorrono le acque.

19 (147,8) Annuncia a Giacobbe la sua parola, i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.

20 (147,9) Così non ha fatto con nessun'altra nazione, non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

Alleluia.

_________________ Note

147,1 Sebbene diviso in due composizioni dalle antiche versioni greca e latina, questo inno va compreso come una lode unitaria che sale a Dio per la sua azione prodigiosa e paterna nei confronti di tutta l'umanità (vv. 1-11) e, in particolare, nei confronti d'Israele (identificato con la città di Gerusalemme, vv. 12-20).

147,2 Si accenna al ritorno dall’esilio babilonese.

147,4 Espressioni che vogliono indicare la signoria di Dio sull’intero universo.

147,13 ha rinforzato le sbarre delle tue porte: forse vi è qui un riferimento all'opera di ricostruzione intrapresa da Neemia (Ne 3,3.6.13-15)

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Approfondimenti

Il Signore onnipotente, misericordioso e provvidente protegge il suo popolo Inno

Sebbene diviso in due dai LXX e Vg, il salmo mostra di essere abbastanza unitario, trasparente ed elegante (cfr. i richiami strutturali tra le parti). L'autore attinge da altri testi biblici, ma dopo averli assimilati, sì da far venir fuori un'opera originale, poetica e ben compaginata. Per la concezione teologica si avvicina al pensiero del Deuteroisaia (storia e creazione considerate in prospettiva unitaria), perciò la sua datazione non può che esservi posteriore. Il salmo rivela un sottile rapporto con Ne 12,27-43, ove si celebra la dedicazione delle mura di Gerusalemme (il v. 13 sembra ricordare tale evento). I LXX attribuiscono il carme ad Aggeo e Zaccaria come il precedente. La simbologia teologica mostra Dio nella sua onnipotenza ed eternità (abbraccia spazio e tempo), ma che si abbassa anche a sopperire alle necessità agricole e pastorali dell'uomo (trascendenza e condiscendenza di Dio). Le tre parti in cui si divide il salmo sono abbastanza simmetriche tra loro. Ognuna è introdotta dall'invitatorio (vv. 1.7.12) seguito dalle motivazioni inniche, che alternano l'intervento di Dio nella storia e nel cosmo. Il ritmo nel TM è dato dagli accenti 3 + 3. Vi sono molti participi innici che richiamano motivi storici e cosmici. Tra i vv. 1 e 7 c'è un'inclusione («cantare al nostro Dio») e così anche tra i vv. 15 e 18 («mandare la parola»). Nel TM la voce «parola» (dābār) e il suo sinonimo «messaggio» (’imrâ) ricorrono nei vv. 15-19 quattro volte.

Divisione:

  • vv. 1-6: I parte: a) v. 1: invitatorio; b) vv. 2-3: Dio nella storia; c) vv. 4-5: Dio nel cosmo; d) v. 6: Dio nella storia;
  • vv. 7-11: II parte: a') v. 7: invitatorio; b') vv. 8-9: Dio provvidente nel cosmo; c') v. 10-11: Dio nella storia;
  • vv. 12-20: III parte: a”) v. 12: invitatorio; b”) vv. 13-14: Dio nella storia; c”) vv. 15-18: Dio nel cosmo; d') vv. 19-20: Dio nella storia.

v. 3. «i cuori affranti»: lett. «gli spezzati di cuore». Sono quelli che più degli altri hanno sofferto intimamente oltre che esteriormente a causa della sciagura e delle umiliazioni dell'esilio. Si possono identificare con gli «umili» del v. 6.

v. 4. «conta il numero delle stelle...»: è un'immagine poetica per indicare la regalità e sovranità di Dio. Le stelle non sono divinità, ma ancelle ubbidienti al Signore, cfr. Is 40,26; Bar 6,59. «Chiamare per nome» qualcuno significa conoscere, deciderne il destino ed esserne il padrone, cfr. Gn 2,19-20; 17,5.

v. 6. «sostiene gli umili... abbassa fino a terra...»: è una verità teologica costante nella Bibbia. Il Signore abbassa i superbi e innalza gli umili (Lc 1,52).

v. 9. «ai piccoli del corvo che gridano a lui»: è una pennellata di alta poesia, cfr. Gb 38,41; Sal 104,21.27.

v. 13. «le sbarre delle tue porte»: le «porte» indicano per sineddoche l'intera città. Le sbarre e le porte sono segno di sicurezza, la quale viene propriamente da Dio che «le rinforza». Le sbarre e le porte di Gerusalemme sono nominate dettagliatamente in Ne 3,3.6.13-14.15ss.

v. 13b. «ha benedetto i tuoi figli»: la benedizione di Dio (cfr. Gn 1,28) alla città, come una forza fecondatrice, comporta la moltiplicazione dei figli, il dono della pace e la fertilità del suolo. Per il ripopolamento di Gerusalemme cfr. Ne 7,4s.; 11-12; Esd 10,3.15-17. «con fior di frumento»: il «fior di frumento» (alla lett. «grasso di frumento») indica il miglior frumento, quello con le spighe più piene (cfr. Sal 81,17; Dt 32,14; Is 55,2). La benedizione di Dio riguardante la fertilità del suolo produce a sazietà grano di ottima qualità.

v. 18. «fa soffiare il vento»: il vento (rûaḥ) è considerato il soffio di Dio, cfr. Gb 37, 10.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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INVITO A CONFIDARE NEL SIGNORE

1 Alleluia.

Loda il Signore, anima mia:

2 loderò il Signore finché ho vita, canterò inni al mio Dio finché esisto.

3 Non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare.

4 Esala lo spirito e ritorna alla terra: in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni.

5 Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe: la sua speranza è nel Signore suo Dio,

6 che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contiene, che rimane fedele per sempre,

7 rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri,

8 il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti,

9 il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l'orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi.

10 Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

Alleluia.

_________________ Note

146,1 Con le dodici acclamazioni che motivano l’invito a confidare nel Signore (vv. 6-10), questo inno apre la raccolta dell'Hallel finale o “terzo” Hallel (“inno di lode”), racchiusa nei Sal 146-150, parallela alla collezione dei Sal 113-118 e a Sal 136. Nella convinzione del salmista la fiducia in Dio è il caposaldo della sua esistenza di credente e della sua preghiera di lode.

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Approfondimenti

Il Signore, re potente e misericordioso Inno

È un salmo alleluiatico che apre il gruppo dell'Hallel finale (Sal 146-150) in parallelo con il Piccolo Hallel (Sal 113-118) e al Grande Hallel (Sal 136). Il salmista presenta diverse categorie di persone che beneficiano dell'amore misericordioso di Dio eccetto gli empi che gli resistono. L'inno è di epoca recente (III sec. a.C.), date le numerose citazioni di testi biblici e la lingua aramaizzante. Nei LXX è attribuito ai profeti Aggeo e Zaccaria. Evidenzia qualche venatura sapienziale e deuteronomica pur nella compattezza del genere innico. È armonico nel ritmo e presenta una rima molto marcata nei vv. 6-8. Gli accenti nel TM sono 3 + 3. Il carme ha 22 stichi in una forma quasi alfabetica come il Sal 33 e Lam 5. La beatitudine del v. 5 regge la sequenza di nove participi innici di grande solennità. La simbologia sociale è particolarmente rilevante con il mostrare i vari tipi di indigenti sollevati e salvati dal Signore (sono i ḥasidîm, i poveri di JHWH del postesilio).

Divisione:

  • vv. 1-2: invitatorio;
  • vv. 3-10: corpo dell'inno (le due fiducie): a) vv. 3-4: la fiducia nell'uomo; b) vv. 5-9: la fiducia nel Signore che rende beati;
  • v. 10: conclusione.

vv. 3-4. «Non confidate nei potenti..»: lett. «nei principi». Il salmista, con questa esortazione di carattere sapienziale, si rivolge ai partecipanti all'assemblea liturgica per esortarli a non fidarsi delle potenze terrene, militari, economiche, o politiche che siano, ciò che è stata una frequente tentazione per Israele (cfr. Is 30,1-18; 31,1-3). I potenti, infatti, sebbene dotati di autorità e di forza sono sempre «uomini» (ben-’ādām) tratti dalla terra, e quando Dio ritira il suo soffio vitale (rûaḥ) ritornano alla terra da cui sono stati tratti (Gn 2,7; 3,19).

v. 5. «il Dio di Giacobbe»: è un appellativo arcaizzante di Dio (cfr. Sal 46,8) per sottolineare la fede genuina dei patriarchi e la fedeltà di Dio alle promesse fatte a loro.

v. 6. «creatore del cielo e della terra, del mare...»: si esalta Dio creatore. La distinzione di cielo, terra e mare (sotterraneo) corrisponde alla cosmologia tripartita biblica. «Egli è fedele per sempre»: lett. «che custodisce la fedeltà per sempre». È la verità base dell'alleanza. In relazione alla creazione la sua fedeltà è provvidenza (Sal 104).

v. 7. «libera i prigionieri»: si allude alla liberazione dall'Egitto e anche a quella avvenuta sotto Ciro, dopo la schiavitù babilonese.

v. 9. «protegge lo straniero»: cfr. Es 22,20; Dt 10,18. Sacra è la legge dell'ospitalità. «sostiene l'orfano e la vedova»: sono le due categorie di persone più indifese, prive del difensore gō’ēl, ma di cui Dio si assume più direttamente la difesa, cfr. Es 22,21; Dt 10,18. «ma sconvolge le vie degli empi»: in contrapposizione con la protezione dello straniero, dell'orfano e della vedova il Signore scombina e sconvolge chi si oppone a lui e al suo piano di pace, di luce e di felicità per l'uomo.

v. 10. La regalità eterna di Dio è garanzia della sua azione creatrice e provvidente nei riguardi dell'uomo. Il versetto fa anche da inclusione con i vv. 1-2. Il «mio Dio» del v. 2 del solo salmista, diventa nel v. 10 «tuo Dio» rivolto a Sion (comunità israelita raccolta intorno al santuario di Gerusalemme), che si è resa cosciente, sotto suggerimento del salmista, della salvezza che viene solo da Dio regnante in eterno; perciò deve sempre lodarlo.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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INNO ALLA POTENZA E ALLA PROVVIDENZA DI DIO 1 Lode. Di Davide.

Alef O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.

Bet 2 Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre.

Ghimel 3 Grande è il Signore e degno di ogni lode; senza fine è la sua grandezza.

Dalet 4 Una generazione narra all'altra le tue opere, annuncia le tue imprese.

He 5 Il glorioso splendore della tua maestà e le tue meraviglie voglio meditare.

Vau 6 Parlino della tua terribile potenza: anch'io voglio raccontare la tua grandezza.

Zain 7 Diffondano il ricordo della tua bontà immensa, acclamino la tua giustizia.

Het 8 Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore.

Tet 9 Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Iod 10 Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli.

Caf 11 Dicano la gloria del tuo regno e parlino della tua potenza,

Lamed 12 per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno.

Mem 13 Il tuo regno è un regno eterno, il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.

Nun Fedele è il Signore in tutte le sue parole e buono in tutte le sue opere.

Samec 14 Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto.

Ain 15 Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.

Pe 16 Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente.

Sade 17 Giusto è il Signore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere.

Kof 18 Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità.

Res 19 Appaga il desiderio di quelli che lo temono, ascolta il loro grido e li salva.

Sin 20 Il Signore custodisce tutti quelli che lo amano, ma distrugge tutti i malvagi.

Tau 21 Canti la mia bocca la lode del Signore e benedica ogni vivente il suo santo nome, in eterno e per sempre. _________________ Note

145,1 Trascendenza e vicinanza all’uomo, regalità e paternità, potenza e provvidenza di Dio sono i motivi che si alternano in questo inno, composto mediante la tecnica della disposizione alfabetica (vedi nota a Sal 9).

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Approfondimenti

Il Signore, re eterno, buono e giusto Inno

L'inno è definito dal titoletto «Lode» (tᵉhillâ), ed è l'unica volta che tale parola, come titolo, ricorre nei salmi. La voce fa inclusione con «lode del Signore» del v. 21. È un salmo acrostico (alfabetico). Nel TM manca la lettera nun con il rispettivo versetto, ma si è trovata a Qumran e esiste nei LXX, Vg e Syr. Gli accenti nel TM sono per lo più 3 + 3. Per le frequenti citazioni o allusioni ad altri testi biblici, per la teologia piuttosto tardiva che esprime e gli aramaismi, il salmo è considerato di composizione tardiva (I-II sec.). L'autore dimostra notevoli capacità letterarie. Usa la tecnica dell'alternanza, passando dallo stile diretto a quello indiretto, dalla seconda alla terza persona; sa usare il chiasmo con abilità (cfr. vv. 2.10.11.12.20.21); il lessico è molto vario e ricco. Nel salmo è presente una struttura concentrica, attorno ai vv. 11-13, che formano a loro volta un miniacrostico, con la voce «regalità» (malkût), che ricorre quattro volte, e i singoli versetti inizianti per le lettere kaf, lamed, mem che danno in una visione speculare il verbo «regnare» (mlk). Allitterazioni si trovano nei vv. 17.18.19. La rima è presente nei vv. 7.11.14.17. Un'inclusione è data dal verbo «benedire» (brk), dalla voce «nome» (šēm) e dall'espressione temporale «in eterno e per sempre» (lᵉ‘ôlām wā‘ed) del v. 1 e del v. 21. La voce «tutto» (kōl) dal v. 9 in poi ricorre 17 volte nel testo ebraico. Il lessico teologico e antropologico è molto ricco.

Divisione:

I parte:

  • vv. 1-2: introduzione: invitatorio;
  • v. 3: I motivazione (tesi);
  • vv. 4-9: I sviluppo: a) le azioni salvifiche (vv. 4-7); b) gli attributi divini (vv. 8-9);

II parte:

  • vv. 10-12: introduzione: invitatorio;
  • v. 13: II motivazione (tesi);
  • vv. 14-20: II sviluppo: a') le azioni salvifiche (vv. 14-16); b') gli attributi divini (v. 17); c) le azioni salvifiche (vv. 18-20);
  • v. 21: conclusione: invitatorio.

Le due parti sono parallele e simmetriche tra loro.

v. 3. «Grande è il Signore...»: l'orante professa la fede nella grandezza del Signore, che è senza limiti, insondabile, al di là di ogni ricerca e perciò degna di ogni lode. II versetto funziona anche da tesi che verrà sviluppata nel corpo del salmo. «nome»: rappresenta la persona stessa di Dio (cfr. v. 21; Sal 8,2; 20,2).

v. 7. «il ricordo della tua bontà»: si richiama particolarmente la teologia dell'alleanza.

v. 17. Il versetto riporta la professione di fede riguardante gli attributi fondamentali di Dio: giustizia e fedeltà. Il Signore è «giusto... e fedele». Questi due appellativi appartengono alla teologia dell'alleanza, ma qui sono estesi a tutte le opere di Dio e a tutti i suoi progetti («tutte le sue vie»). I vv. 18-20 specificano questi due attributi.

v. 18. «con cuore sincero»: lett. «con verità». Si sottolinea la condizione di coloro che invocano Dio. Egli sta vicino a chi sinceramente e con rettitudine si rivolge a lui.

v. 21. Il versetto sta all'apice del crescendo dato dai vv. 1-2.10-12. Inoltre facendo inclusione con il v. 1 unisce la voce del solista (salmista) a quello del coro dei «fedeli» (v. 10), e allarga l'invito alla lode a ogni vivente, in un circolo e in un movimento ininterrotto. La voce del solista diventa così la voce dell'universo, in questa lode a Dio re.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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INNO DI LODE A DIO 1 Di Davide.

Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia,

2 mio alleato e mia fortezza, mio rifugio e mio liberatore, mio scudo in cui confido, colui che sottomette i popoli al mio giogo.

3 Signore, che cos'è l'uomo perché tu l'abbia a cuore? Il figlio dell'uomo, perché te ne dia pensiero?

4 L'uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa.

5 Signore, abbassa il tuo cielo e discendi, tocca i monti ed essi fumeranno.

6 Lancia folgori e disperdili, scaglia le tue saette e sconfiggili.

7 Stendi dall'alto la tua mano, scampami e liberami dalle grandi acque, dalla mano degli stranieri.

8 La loro bocca dice cose false e la loro è una destra di menzogna.

9 O Dio, ti canterò un canto nuovo, inneggerò a te con l'arpa a dieci corde,

10 a te, che dai vittoria ai re, che scampi Davide, tuo servo, dalla spada iniqua.

11 Scampami e liberami dalla mano degli stranieri: la loro bocca dice cose false e la loro è una destra di menzogna.

12 I nostri figli siano come piante, cresciute bene fin dalla loro giovinezza; le nostre figlie come colonne d'angolo, scolpite per adornare un palazzo.

13 I nostri granai siano pieni, traboccanti di frutti d'ogni specie. Siano a migliaia le nostre greggi, a miriadi nelle nostre campagne;

14 siano carichi i nostri buoi. Nessuna breccia, nessuna fuga, nessun gemito nelle nostre piazze.

15 Beato il popolo che possiede questi beni: beato il popolo che ha il Signore come Dio.

_________________ Note

144,1 La prima parte di questo inno (vv. 1-11) è dedicata alla lode a Dio che, rivestito della sua armatura cosmica, scende in battaglia come alleato del re, concedendogli la vittoria. La seconda parte (vv. 12-15) descrive i benefici della vittoria conseguita.

144,10 spada iniqua: simbolo dei nemici e delle forze del male.

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Approfondimenti

Il Signore dà vittoria al suo consacrato Salmo regale

Il salmo è attribuito a Davide dal titolo, ed è meglio contestualizzato dalla traduzione greca dei LXX con l'aggiunta «contro Golia»; ma si tratta di un'opera di natura composita ed è, secondo la maggior parte degli esegeti, del postesilio. A livello strutturale si evidenziano due blocchi di versetti. Il primo (vv. 1-11) è di natura più marcatamente antologica. Si attinge a piene mani dal Sal 18, arcaico e davidico. Il secondo (vv. 12-15) è più originale. Con una freschezza e plasticità di immagini, adoperando un lessico aramaizzante, si descrive l'era messianica. I due brani, sostanzialmente autonomi, sono ben concatenati tra loro. Inquadrato nel genere regale-messianico, il salmo abbraccia anche altri generi letterari. È sostanzialmente unitario, tenuto insieme dalla speranza di una totale liberazione e dell'avvento di un messianismo davidico. Nel TM nella prima parte (vv. 1-11) gli accenti sono 3 + 3, nella seconda (vv. 12-15) sono 4 + 4. A livello di struttura, c'è un'inclusione data dal nome «Signore» (JHWH) tra il v. 1 e il v. 15, e una precisa linea di demarcazione tra il v. 11 e il 12. La simbologia fondamentale è del contrasto, cui si aggiunge quella agricolo-pastorale-cittadina (nella seconda parte).

Divisione:

  • vv. 1-11: canto per la vittoria;
  • vv. 12-15: canto per la pace.

v. 1. «mia roccia»: cfr. Sal 18,3. «che addestra le mie mani...»: cfr. Sal 18,35a.

v. 2. «colui che mi assoggetta i popoli»: cfr. Sal 18,48b.

vv.3-4. «che cos'è un uomo...»: anche se ritorna la domanda del Sal 8,5, l'esito della risposta è diverso. Lì si esalta l'uomo come re e signore della creazione, qui si constata la sua miseria e fragilità secondo il modello delle lamentazioni. Per il v. 4 cfr. Sal 39,6-7.12.

v. 10. «vittoria al tuo consacrato»: lett. «salvezza ai re». Il versetto riecheggia Sal 18,51. Si accenna alla duplice motivazione dell'inno-ringraziamento: la vittoria ai «re» della dinastia davidica e a Davide suo capostipite, chiamato «servo del Signore» per antonomasia (Ger 33,21; Ez 34,23-24; 37,24). Si allude alla promessa davidica di 2Sam 7, di Sal 89; 132, che va oltre la stessa monarchia.

v. 12. «le nostre figlie come colonne d'angolo»: cfr. Ct 5,15; 118,22. La metafora della colonna in riferimento alle figlie esprime solidità, forza, sostegno e quindi allude alla capacità di generare per riempire la casa (cfr. Prv 31,10-31); ma rievoca anche l'idea di bellezza e di grazia femminile, dato che non erano rare nell'antichità le colonne scolpite con bassorilievi e fregi.

v. 13. «di frutti d'ogni specie»: lett. «di genere in genere». L'espressione è di origine persiana, cfr. 2Cr 16,14.

v. 14a. «siano carichi i nostri buoi»: «carichi» (mᵉsubbālîm) suppone l'idea di abbondanza, espressa nel v. 13, ma può tradursi anche con «vigorosi, ben nutriti...» (cfr. Gb 21,8-11.13) sottintendendo l'idea di essere in condizione ideale per la riproduzione, e quindi per l'incremento del numero di capi.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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