📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

Dalla tenebra alla luce 1Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, 2e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore. 3Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – 4né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! 5Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio. 6Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono. 7Non abbiate quindi niente in comune con loro. 8Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; 9ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 10Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. 11Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. 12Di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare, 13mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. 14Per questo è detto: «Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà».

Colmi di Spirito 15Fate dunque molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, 16facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. 17Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore. 18E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, 19intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, 20rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

Marito e moglie 21Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: 22le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; 23il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. 24E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. 25E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, 26per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, 27e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. 28Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. 29Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, 30poiché siamo membra del suo corpo. 31Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. 32Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! 33Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.


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L'unità ecclesiale nella diversità dei ministeri 1Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, 2con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, 3avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. 4Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; 5un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. 6Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. 7A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. 8Per questo è detto: Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. 9Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? 10Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose. 11Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, 12per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, 13finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo. 14Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. 15Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. 16Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.

Contrapposizione tra condotta passata e condotta nuova 17Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, 18accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. 19Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità. 20Ma voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, 21se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, 22ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, 23a rinnovarvi nello spirito della vostra mente 24e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. 25Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. 26Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, 27e non date spazio al diavolo. 28Chi rubava non rubi più, anzi lavori operando il bene con le proprie mani, per poter condividere con chi si trova nel bisogno. 29Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano. 30E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. 31Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. 32Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

Approfondimenti

(cf LETTERA AGLI EFESINI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Aldo Martin © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

Nel passaggio dal c. 3 al c. 4 l'argomentazione da specificamente speculativa si fa più concreta, giungendo a indicare la giusta condotta da tenere. Per essere più precisi: non scompaiono del tutto le considerazioni teologiche ma le sollecitazioni di tipo etico prendono il sopravvento. Si potrebbe dire che il «mistero» come realtà svelata da Dio e conosciuta (cc. 1-3) ora deve penetrare nell'esistenza dei battezzati e divenire vita vissuta (cc. 4-6). Anche il c. 4, come i precedenti, è consacrato al tema dell'unità: la molteplicità dei doni e dei servizi proviene da un 'unica fonte divina e concorre alla crescita unitaria e armoniosa dell'organismo ecclesiale (vv. 1-16). Da questa concezione unitaria della Chiesa derivano, poi, alcuni comportamenti concreti, che descrivono la vita nuova in Cristo (4, 17-5,20).

L'unità ecclesiale nella diversità dei ministeri La concordia ecclesiale non è solo il frutto di una strategia finalizzata a una convivenza pacifica; più precisamente, essa non è motivata da calcoli di opportunità, seppur legittimi, per pianificare rapporti sereni, secondo la spontanea aspirazione dell'uomo alla socialità. Di mezzo, invece, c'è l'iniziativa divina. L'unione dei credenti, dunque, proviene dalla chiamata di Dio. C'è, infatti, una vocazione originaria all'unità, insita nell'esperienza di fede, che precede ogni singolare specifica vocazione. Solo in seguito (dal v. 7) l'autore prenderà in considerazione la peculiarità delle singole chiamate, fondate sui diversi doni del Risorto; prima sente l'urgenza di mettere a tema il fondamento teologico dell'unità ecclesiale. Poi lo sguardo s'allarga, perché dalla Chiesa si passa a considerare il cosmo intero. Qui il pensiero si innalza fino a Dio, perché dal concreto si giunge all'universale: dall'unità della comunità ecclesiale e della sua esperienza battesimale le considerazioni si concentrano sull'unicità di Cristo e poi di Dio, sovrano dell'universo. In qualche modo si parte dagli effetti (l'unità sperata) per risalire alla causa (l'unicità di Dio). Dopo questo sguardo panoramico e onnicomprensivo, dalle dimensioni appunto universali, si torna a puntare sul dettaglio del dono personale. La struttura della comunità, infatti, articolata secondo una diversità di ruoli e di compiti, non è – ancora una volta – conseguenza di una strategia organizzativa, ma è frutto di un'iniziativa dall'alto, secondo un dono di grazia. Con una sola differenza: se prima l'attenzione si focalizzava in ultima battuta su Dio (v. 6), ora l'argomentazione è tutta centrata su Cristo, da cui proviene ogni dono (v. 8). All'interno della comunità ci sono, dunque, ruoli differenti: di governo (apostoli), di esortazione e discernimento (profeti), di annuncio (evangelisti, ma non nel senso degli autori dei quattro vangeli), di guida e di insegnamento autorevole (pastori e maestri), ma tutti sono orientati a un unico scopo, quello di rendere i credenti capaci di servire, perché i l fine è l'edificazione della comunità (v. 12). Quasi a dire che i ministeri nella Chiesa hanno come unica ragion d'essere l'abilitazione di tutti al servizio (diakonía).

Con l'immagine della tempesta si vuole alludere a quegli sconvolgimenti interiori e comunitari prodotti dalla comparsa di opinioni teologiche e morali («ogni vento d'insegnamento»), che mettevano continuamente in discussione il quadro dottrinale sicuro, cui i credenti erano invitati a far affidamento. La regola d'oro cui rifarsi è la «verità nell'amore» (v. 15), perché ortodossia e carità non possono procedere separate. Sia perché la scienza senza l'amore non vale nulla (cfr. lCor 13,2), dal momento che le istanze veritative (ortodossia) separate da quelle della carità non sono sufficienti per la crescita della comunità ecclesiale; sia perché la pratica fattiva dell'amore (ortoprassi) deve ispirarsi a un unico principio veritativo: Cristo stesso, traguardo verso il quale la comunità deve crescere. Interessante poi la dimensione di mutua interconnessione esistente tra i credenti, messa in luce dalla metafora del corpo che si sviluppa grazie all'apporto e allegarne reciproco di ogni singolo membro (v. 16). Solo così la comunità cristiana può edificarsi come corpo di Cristo in stato di perenne crescita.

Contrapposizione tra condotta passata e condotta nuova Il rischio di lasciarsi infantilmente sviare dai venti di dottrina (espresso al v. 14) viene ripreso nella raccomandazione a non condividere l'intelletto ottenebrato dei pagani. Come si può facilmente notare, l'esortazione, che ha di mira un certo tipo di prassi, in prima battuta si preoccupa dei pensieri: è da una certa mentalità che scaturiscono i comportamenti dissoluti (vv. 18-19). Il profilo, dunque, in prima istanza almeno, è dottrinale: prima pensavate in un certo modo, come i pagani, ora non pensate più così.

La metafora dell'indumento potrebbe apparire superficiale ed estrinseca, poiché indossare un abito piuttosto che un altro non cambia certo la persona. In realtà, invece, il messaggio offerto è che ci si debba svestire di un comportamento sbagliato precedente («l'uomo vecchio») per vestire una condotta inedita, originale («l'uomo nuovo»), che si fonda ultimamente su un atto creativo di Dio.

La metafora dell' «indossare», legata alla novità cristologica e variamente declinata a seconda dei diversi contesti, è un tema prettamente paolino: anche in questi casi, contrariamente al senso immediato di estrinsecismo che l'immagine dell'abito può trasmettere, essa veicola visivamente una trasformazione totale e profonda della persona.


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La rivelazione del mistero 1Per questo io, Paolo, il prigioniero di Cristo per voi pagani... 2penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: 3per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero, di cui vi ho già scritto brevemente. 4Leggendo ciò che ho scritto, potete rendervi conto della comprensione che io ho del mistero di Cristo. 5Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: 6che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo, 7del quale io sono divenuto ministro secondo il dono della grazia di Dio, che mi è stata concessa secondo l’efficacia della sua potenza. 8A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo 9e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, 10affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, 11secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, 12nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. 13Vi prego quindi di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra.

Preghiera e dossologia 14Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, 15dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, 16perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito. 17Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, 18siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, 19e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. 20A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi, 21a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.

Approfondimenti

(cf LETTERA AGLI EFESINI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Aldo Martin © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

L’apostolo prega perché la Chiesa conosca l’amore di Cristo (3,14-19) Paolo rivolge in preghiera richiesta fiduciosa “al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome”, di tre doni particolari per la comunità efesina.

Il primo dono consiste nel rafforzamento dell’uomo interiore: “perché conceda ai cristiani di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore”. Nella visione paolina, l’uomo “esteriore”, che è corporeità, sensitività o pura intellettualità umana, si differenzia dall’uomo “interiore”, che si lascia, invece, guidare e condurre dallo Spirito di Cristo, resiste alle passioni disordinate della “carne” (Rm 8,14) e sa penetrare sempre più nel “mistero di Dio”. È quindi colui che ha ricevuto un’esistenza nuova, un nuovo modo di vivere, passando, grazie al sacramento del Battesimo e alla partecipazione alla comunità cristiana, da una situazione di peccato e di morte alla libertà dei figli di Dio. In altre parole, l’uomo “interiore” è l’uomo “nuovo”, ricreato col Battesimo ad immagine del suo Creatore (Col 3,9-10) e posto nella condizione di poter agire secondo giustizia e verità, vale a dire “in santità di vita”.

Il secondo dono è espresso in forma di augurio: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza”. Nel cuore dei credenti, là dove già opera la forza dello Spirito di Dio, è indispensabile che Cristo dimori stabilmente. La sua presenza, del resto, inseparabile da quella dello Spirito Santo, deve rimanere e accompagnare l’intera esistenza cristiana. È, infatti, nello Spirito che il Signore Risorto realizza e manifesta la sua vicinanza. Pregare per avere il dono “ che Cristo abiti per la fede nei nostri cuori” e per essere ben “ radicati e fondati nella carità”, significa chiedere una più profonda conformità al Signore Gesù, un lasciarsi davvero illuminare dalla forza trasformante del suo amore verso il Padre celeste e verso i fratelli. La vita cristiana ha, infatti, nell’amore, la sua linfa e il sicuro e l’irrinunciabile fondamento della comunione ecclesiale. L’Apostolo augura quindi ai cristiani di Efeso di poter “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” del “mistero”, e “di conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza”. Il “comprendere quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” è un’espressione cara al mondo antico per indicare una dilatazione insondabile, qualcosa di incommensurabile per la mente umana. L’amore di Cristo, infatti, supera ogni conoscenza, cioè la comunione ecclesiale va al di là di qualsiasi forma di conoscenza, perché sostenuta dalla multiforme sapienza di Dio. Non significa contrapporsi al conoscere, ma permettere di abilitare in noi un nuovo modo di conoscere, con i parametri dell’amore di Cristo. Mettere la mente, l’intelligenza, tra parentesi, impedire di pensare, sarebbe sbagliato e disumano. Imparare a pensare bene, pensare ed agire secondo il pensiero di Cristo, è umanizzante. Paolo vuole sottolineare che solo nell’“amore”siamo in grado di conoscere Colui che altrimenti sarebbe inaccessibile alla nostra mente: soltanto col cuore si riesce veramente a comprendere!

Il terzo dono richiesto per gli Efesini è l’auspicio che possano essere “ricolmi di tutta la pienezza di Dio”. Ora questa “pienezza” non è altro che Dio stesso e la sua mirabile azione salvifica, la quale tende a realizzare ogni promessa di bene per l’umanità.

Preghiera di lode finale (Ef 3,20-21) La Lettera, iniziata con una preghiera di benedizione, termina questa “prima parte dottrinale” con una preghiera di lode, quasi conferendo all’insieme uno stile liturgico. Sembra suggerire quell’adorazione, arricchita di fervente gratitudine, dovuta a Colui che ha manifestato la sua onnipotenza straordinaria ed efficace verso di noi e per tutti noi. Questa preghiera di lode rivolta a Dio invita a riconoscere la sua visibile presenza, operante nella Chiesa e in Cristo. È una lode che si estende a tutte le generazioni e si prolunga per la durata dei secoli.


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1Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, 2nei quali un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. 3Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri. 4Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, 5da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. 6Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 7per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. 8Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; 9né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. 10Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo. 11Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, 12ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. 13Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. 14Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. 15Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. 17Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. 18Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. 19Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. 21In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; 22in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.


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Prescritto 1Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono a Èfeso credenti in Cristo Gesù: 2grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

Benedizione 3Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. 4In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, 5predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, 6a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. 7In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. 8Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, 9facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto 10per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. 11In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – 12a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. 13In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, 14il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

Rendimento di grazie e signoria di Cristo 15Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, 16continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, 17affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; 18illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi 19e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore. 20Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, 21al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. 22Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: 23essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.

Approfondimenti

In una battuta: quella che viene indicata come la «lettera di san Paolo apostolo agli Efesini», non ha lo stile di una “lettera”, non è stata dettata (né tantomeno scritta) da S. Paolo e non è destinata agli Efesini, tuttavia fa parte del canone del Nuovo Testamento ed è «Parola di Dio».

(cf LETTERA AGLI EFESINI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Aldo Martin © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

Lode a Dio per il suo mirabile piano di salvezza (Ef 1,3) L’inizio della Lettera agli Efesini è una lode solenne al Padre, ricalcando lo stile e il genere letterario delle benedizioni. L’Apostolo, commosso e rapito al pensiero del meraviglioso progetto di salvezza, architettato da Dio fin dall’eternità, prorompe in un suggestivo inno di lode al “Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, perché “ha benedetto con ogni benedizione spirituale” i credenti, collocandoli nella sfera celeste accanto a Sé e in unione con Cristo, unico intermediario fra Dio e gli uomini. È, dunque, giusto e doveroso lodare e “benedire” il Padre celeste: è Lui, il protagonista principale, che benedice, sceglie, destina, dona la grazia, fa conoscere e realizza il suo piano di salvezza, mantiene le promesse donando lo Spirito Santo. Ma, in questo stupendo inno di lode, viene ampiamente messo in risalto il secondo protagonista principale, legato al primo in un rapporto intimo e profondo come quello che unisce un figlio carissimo al padre: il “Signore nostro Gesù Cristo”. Tutto ciò che il Padre compie nel mondo e nella storia umana avviene attraverso Cristo: “in Lui ci ha benedetti”, “in Lui ci ha scelti”, “ci ha dato la sua grazia nel Figlio diletto”. Se il Padre ha l’iniziativa di tutto il progetto della salvezza, il Figlio è il Mediatore di tutte le benedizioni divine a favore dell’umanità. È in Cristo, infatti, che Dio Padre ha concepito, realizzato e portato a termine l’intero disegno della redenzione. Per questi motivi, per l’abbondanza dei doni “spirituali” ricevuti, la comunità cristiana di Efeso è chiamata e sollecitata a benedire il Signore.

Eletti per essere santi e figli (Ef 1, 4-6) L’elezione da parte di Dio avviene in Cristo e per mezzo di Cristo, il Figlio amato. È il frutto di un amore eterno, che ci precede e ci ricrea come “uomini nuovi” per mezzo del battesimo. Solo infatti uniti a Cristo si può essere davvero “santi e immacolati”. La vocazione alla santità coincide con il “nostro essere figli” e si raggiunge, si realizza con un vero amore filiale verso Dio e con una coerente testimonianza di fraterno e sincero amore verso il prossimo. La finalità del piano salvifico di Dio consiste, dunque, nell’esaltazione e nella celebrazione della “gloria”del Padre, rivelatasi soprattutto nell’amorevole benevolenza di aver donato all’umanità il suo stesso “Figlio diletto” come Redentore e Salvatore.

Nel Figlio avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo (Ef 1, 13-14) L’Apostolo, rivolgendosi ai destinatari della Lettera, che non appartenevano al popolo ebraico, sottolinea che anche i pagani possono entrano nel processo salvifico, la cui mèta è la liberazione definitiva promessa da Dio e garantita dal dono dello Spirito Santo. Afferma infatti che avendo ascoltato la “parola della verità”, il Vangelo della salvezza, e avendovi aderito con il loro atto di fede e di adesione a Cristo, anch’essi sono divenuti una proprietà esclusiva di Dio mediante il sigillo dello Spirito Santo, impresso dal sacramento del Battesimo. “Sigillo”, col quale sono stati consacrati “a popolo santo” di Dio, e “caparra” data in anticipo, come garanzia dell’immancabile eredità della vita eterna.


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1Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. 2Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo. 3Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso. 4Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto agli altri. 5Ciascuno infatti porterà il proprio fardello. 6Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce. 7Non fatevi illusioni: Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. 8Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. 9E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. 10Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede. 11Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, di mia mano. 12Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo. 13Infatti neanche gli stessi circoncisi osservano la Legge, ma vogliono la vostra circoncisione per trarre vanto dalla vostra carne. 14Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. 15Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. 16E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. 17D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. 18La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.


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1Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. 2Ecco, io, Paolo, vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. 3E dichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato ad osservare tutta quanta la Legge. 4Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella Legge; siete decaduti dalla grazia. 5Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata. 6Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità. 7Correvate così bene! Chi vi ha tagliato la strada, voi che non obbedite più alla verità? 8Questa persuasione non viene sicuramente da colui che vi chiama! 9Un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta. 10Io sono fiducioso per voi, nel Signore, che non penserete diversamente; ma chi vi turba subirà la condanna, chiunque egli sia. 11Quanto a me, fratelli, se predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? Infatti, sarebbe annullato lo scandalo della croce. 12Farebbero meglio a farsi mutilare quelli che vi gettano nello scompiglio! 13Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. 14Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 15Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! 16Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. 17La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. 18Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. 19Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, 20idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. 22Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23contro queste cose non c’è Legge. 24Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. 26Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri.


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1Dico ancora: per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, benché sia padrone di tutto, ma 2dipende da tutori e amministratori fino al termine prestabilito dal padre. 3Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo. 4Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, 5per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. 6E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: «Abbà! Padre!». 7Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio. 8Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, voi eravate sottomessi a divinità che in realtà non lo sono. 9Ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire? 10Voi infatti osservate scrupolosamente giorni, mesi, stagioni e anni! 11Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo. 12Siate come me – ve ne prego, fratelli –, poiché anch’io sono stato come voi. Non mi avete offeso in nulla. 13Sapete che durante una malattia del corpo vi annunciai il Vangelo la prima volta; 14quella che, nella mia carne, era per voi una prova, non l’avete disprezzata né respinta, ma mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù. 15Dove sono dunque le vostre manifestazioni di gioia? Vi do testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darli a me. 16Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità? 17Costoro sono premurosi verso di voi, ma non onestamente; vogliono invece tagliarvi fuori, perché vi interessiate di loro. 18È bello invece essere circondati di premure nel bene sempre, e non solo quando io mi trovo presso di voi, 19figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi! 20Vorrei essere vicino a voi in questo momento e cambiare il tono della mia voce, perché sono perplesso a vostro riguardo. 21Ditemi, voi che volete essere sotto la Legge: non sentite che cosa dice la Legge? 22Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. 23Ma il figlio della schiava è nato secondo la carne; il figlio della donna libera, in virtù della promessa. 24Ora, queste cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due alleanze. Una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, è rappresentata da Agar 25– il Sinai è un monte dell’Arabia –; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. 26Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la madre di tutti noi. 27Sta scritto infatti: Rallégrati, sterile, tu che non partorisci, grida di gioia, tu che non conosci i dolori del parto, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito. 28E voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di Isacco. 29Ma come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora. 30Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. 31Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma della donna libera.


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Polemica con i Galati 1O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! 2Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede? 3Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne? 4Avete tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano! 5Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede?

I credenti sono figli di Abramo – seconda tesi 6Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia, 7riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede.

La benedizione divina è veicolata dalla fede 8E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunciò ad Abramo: In te saranno benedette tutte le nazioni. 9Di conseguenza, quelli che vengono dalla fede sono benedetti insieme ad Abramo, che credette. 10Quelli invece che si richiamano alle opere della Legge stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della Legge per metterle in pratica. 11E che nessuno sia giustificato davanti a Dio per la Legge risulta dal fatto che il giusto per fede vivrà. 12Ma la Legge non si basa sulla fede; al contrario dice: Chi metterà in pratica queste cose, vivrà grazie ad esse. 13Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno, 14perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito.

Legge e promessa 15Fratelli, ecco, vi parlo da uomo: un testamento legittimo, pur essendo solo un atto umano, nessuno lo dichiara nullo o vi aggiunge qualche cosa. 16Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: «E ai discendenti», come se si trattasse di molti, ma: E alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo. 17Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso, non può dichiararlo nullo una Legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo, annullando così la promessa. 18Se infatti l’eredità si ottenesse in base alla Legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece ha fatto grazia ad Abramo mediante la promessa. 19Perché allora la Legge? Essa fu aggiunta a motivo delle trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore. 20Ma non si dà mediatore per una sola persona: ora, Dio è uno solo. 21La Legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se infatti fosse stata data una Legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla Legge; 22la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché la promessa venisse data ai credenti mediante la fede in Gesù Cristo.

Lo statuto garantito dalla fede 23Ma prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. 24Così la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. 25Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo. 26Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, 27poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. 28Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. 29Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.

Approfondimenti

(cf LETTERA AI GALATI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Stefano Romanello © EDIZIONI SAN PAOLO, 2014)


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La seconda visita a Gerusalemme 1Quattordici anni dopo, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Bàrnaba, portando con me anche Tito: 2vi andai però in seguito a una rivelazione. Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli, per non correre o aver corso invano.

La non circoncisione di Tito 3Ora neppure Tito, che era con me, benché fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere; 4e questo contro i falsi fratelli intrusi, i quali si erano infiltrati a spiare la nostra libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi; 5ma a loro non cedemmo, non sottomettendoci neppure per un istante, perché la verità del Vangelo continuasse a rimanere salda tra voi.

Comunione tra le autorità di Gerusalemme e Paolo sul suo Vangelo 6Da parte dunque delle persone più autorevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non guarda in faccia ad alcuno – quelle persone autorevoli a me non imposero nulla. 7Anzi, visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – 8poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti – 9e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. 10Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare.

Un forte contrasto ad Antiochia 11Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. 12Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. 13E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. 14Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?».

Vangelo, giustificazione e Legge 15Noi, che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, 16sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno. 17Se pertanto noi che cerchiamo la giustificazione in Cristo siamo trovati peccatori come gli altri, Cristo è forse ministro del peccato? Impossibile! 18Infatti se torno a costruire quello che ho distrutto, mi denuncio come trasgressore. 19In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, 20e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. 21Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano.

Approfondimenti

(cf LETTERA AI GALATI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Stefano Romanello © EDIZIONI SAN PAOLO, 2014)

La seconda visita a Gerusalemme Una seconda permanenza di Paolo a Gerusalemme avviene «dopo quattordici anni». Egli spiega così i motivi del viaggio: «presentai loro il Vangelo che annuncio tra le genti». Si noti il gioco di verbi: «presentai» (al passato) il Vangelo che «annuncio» (al presente)! Paolo non ha cambiato modo di annunciare il Vangelo, anche al presente lo annuncia con quelle stesse modalità su cui si è discusso a Gerusalemme, e il risultato di quella discussione interessa anche la Chiesa galata, evangelizzata da Paolo. Gal 2, 1-10 sembra la versione paolina di At 15,1-29, l'importante assise tenuta a Gerusalemme con Paolo e Barnaba, delegati della Chiesa di Antiochia, vertente proprio sulla questione della circoncisione per i pagani che aderivano al Vangelo: per Paolo si tratta di un incontro privato con le sole persone ragguardevoli della comunità. I due testi riferiscono lo stesso episodio da due prospettive diverse. La «rivelazione» che induce Paolo ad andare a Gerusalemme rimarca nuovamente la sua autorità di ricettore della volontà divina ed evidenzia come nessun soggetto ecclesiale gli abbia imposto la visita. In tal caso, infatti, la sua autorità sarebbe risultata irrimediabilmente subordinata. Pertanto è ovvio che egli non si sia recato nella città santa per ricevere una conferma della propria legittimità apostolica che, come appena chiarito, gli deriva da Dio stesso per la rivelazione del Figlio. Al contempo l'esposizione alle autorità gerosolimitane del proprio Vangelo implica una verifica dello stesso e una ricerca di comunione con queste. Le nuove comunità, in prevalenza composte di pagano-cristiani, non possono, per l'apostolo, considerarsi indipendenti dalla Chiesa madre giudeo-cristiana, e che una comunione tra le due dimensioni sia da ricercarsi assolutamente!

La non circoncisione di Tito Tito è un pagano-cristiano, al quale né Paolo e Barnaba prima, né la Chiesa di Gerusalemme, a seguito dell'incontro, hanno imposto la circoncisione. Questa verrebbe invece richiesta da «intrusi falsi fratelli»; dove? È difficile pensare a una loro intrusione a Gerusalemme, per cui si deve supporre una loro venuta ad Antiochia in conformità a quanto detto da At 15,1-2. È proprio l'acceso dibattito suscitato dalla richiesta della circoncisione in tale comunità da parte di persone esterne in essa sopraggiunte, infatti, a causare l'assemblea di Gerusalemme, ed è allora ad Antiochia che Paolo e Barnaba, ancora in atteggiamento congiunto, si oppongono fermamente alla pretesa della circoncisione. Siffatta opposizione non è motivata per ragioni di opportunità tattica, bensì perché in gioco vi è un qualcosa di sostanziale, la «verità» del Vangelo. Inoltre i Galati possono abbastanza esplicitamente rileggere la loro vicenda in quella qui riportata: se Tito non fu costretto a circoncidersi, nemmeno essi, pure pagano-cristiani, lo devono fare. Inoltre quelli che lo pretenderebbero da loro, annunciando un preteso Vangelo diverso (1,6-7), sono in realtà falsi fratelli.

Comunione tra le autorità di Gerusalemme e Paolo sul suo Vangelo Il v. 6 ritorna al confronto con i personaggi ragguardevoli della Chiesa gerosolimitana introdotto al v. 2, chiarendo il punto decisivo: essi non avanzarono richieste ulteriori all'annuncio paolino, ossia non pretesero la circoncisione dei pagani giunti alla fede in Cristo. L'unica richiesta formulata a Paolo non riguarda in alcun modo queste questioni fondamentali, ma lasolidarietà verso i credenti poveri di Gerusalemme, comunità che doveva avere maggiori ristrettezze rispetto a quelle della missione paolina. L'impegno paolino a questo proposito è comprovato dalla collett ache le sue comunità, dietro suo invito, hanno organizzato a tale fine (cfr. 1Cor 16,1-4; 2Cor 8-9; Rm 15,25-27).

Un forte contrasto ad Antiochia La comunione sancita a Gerusalemme si infrange ad Antiochia, ove Paolo prende posizione pubblica contro Pietro. Altri personaggi qui menzionati servono solo a circostanziare l'episodio, che iniziando con la menzione di Pietro e terminando con le parole a lui rivolte da Paolo, s'impernia sui due apostoli. Antefatto di tutto ciò è la commensalità tra pagani ed ebrei ad Antiochia, adottata in un primo momento dallo stesso Pietro. Paolo ci assicura che ad Antiochia Pietro mangiava abitualmente con i non ebrei, ma cambia repentinamente atteggiamento al sopraggiungere di giudeo-cristiani da Gerusalemme, tanto da indurre altri giudeo-cristiani di Antiochia, tra cui lo stesso Barnaba, a seguire la sua nuova scelta. Ciò è decisamente contestato da Paolo. La questione non è quella discussa a Gerusalemme: non si tratta di eventuale circoncisione di pagani, ma delle leggi di purità alimentare per ebrei. Secondariamente, coloro che sono sopraggiunti ad Antiochia non sono «inviati da Giacomo» (per controllare Paolo o quant'altro), ma sono «dalla parte di Giacomo», ossia giudeo-cristiani di Gerusalemme. Risulta che, per tale gruppo, l'accordo sulla non circoncisione dei pagano-cristiani non implicava conseguenze sulla prassi alimentare degli ebrei. È verosimile ipotizzare che a Gerusalemme, nell'assise narrata sopra, la questione alimentare non si fosse posta, avendo tutti i convenuti seguito la prassi di tale comunità. Nella comunità mista di Antiochia, invece, tale prassi non era seguita, di modo che l'arrivo di un gruppo legato all'osservanza delle norme di purità alimentare, che ha contagiato con tale scelta gli altri giudeo-cristiani, ha avuto un effetto dirompente, causando l'esclusione dei pagano-cristiani dalla comunione di mensa con gli altri. Ricordiamo anche che, parlando di mensa, dobbiamo probabilmente includervi la Cena del Signore, cosicché le divisioni che erano in tal modo provocate andavano al cuore di quello che dovrebbe essere il momento manifesto dell'unione comunitaria. E allora si comprende come la posta in gioco sia qui la stessa del dibattito a Gerusalemme. pur nella diversità della questione. Si tratta, cioè, di stabilire la portata fondante dell'evento-Cristo, che permette a chi crede in lui, a qualsiasi etnia appartenga, la vita di fede e di relazione con chi condivide la stessa fede senza discriminazioni di sorta. Nell'episodio di Antiochia Pietro non ha coraggio nel sostenere questa posizione e ciò comporta una relativizzazione di Cristo rispetto alle esigenze della Legge. Il suo atteggiamento è dettato da timore, e conduce altri alla «simulazione», rinnegando le convinzioni maturate sul rilievo dell'evento-Cristo che avevano già portato a ritenere del tutto legittima la commensalità con i pagani, giungendo in tal modo a compromettere la «verità del Vangelo» (cfr. 2,5). Questa va intesa in senso operativo, ossia in una prassi conformata alle esigenze dello stesso. Paolo rivendica per sé tale prassi, dimostrando ancora la sua relazione con il Vangelo, non determinata da criteri di convenienza umana (1,11).

Vangelo, giustificazione e Legge Paolo giunge qui a un'argomentazione concettualmente densa, il cui tenore la distacca da quella precedente, narrativa, e dall'esortazione successiva. Paolo, Pietro e gli altri Giudei che sono giunti a credere in Cristo, hanno operato una ridefinizione radicale delle loro convinzioni previe. Questo atto di fede, infatti, comporta la convinzione che la giustificazione non venga dalla Legge e dalle sue opere, ma dalla fede in Cristo, realtà che nel v. 16 sono continuamente poste in antitesi. Di conseguenza essi, i giudeo-cristiani, sono giunti anche alla convinzione che la distinzione tra ebrei e pagani peccatori non ha motivo di sussistere. Il verbo «giustificare» ha alla radice il concetto di «giustizia», che è, nell'accezione ebraica ma non solo, sicuramente relazionale. «Essere giusto con» un soggetto, infatti, significa che sono in relazione con lui, e che tale relazione comporta diritti e obbligazioni reciproci che il giusto osserva. Qui Paolo traspone la categoria della giustizia nella nostra relazione con Dio e, in maniera sorprendente, assicura che è Dio a introdurci in una giusta relazione con lui, e lo fa (il verbo ricorre qui sempre al passivo divino!) in maniera assolutamente gratuita, senza che ci venga richiesta alcuna condizione previa. È una convinzione che Paolo condivide con i giudeo-cristiani, e deriva dalla comprensione dell'agire di Dio in Cristo. Questi, infatti «ha dato se stesso per i nostri peccati, per sottrarci dal presente secolo malvagio secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (1.4), e così facendo rende a noi possibile la nostra relazione con Dio. Ne consegue che questa relazione non può instaurarsi per le «opere della Legge». Tale dinamica ci è resa invece possibile affidandoci a quello che Dio ha operato in Cristo, ossia dalla «fede in Cristo». Qui il termine «fede» è ambivalente: oltre alla nostra fede riposta in Cristo, potrebbe indicare pure la «fedeltà», «l'affidabilità» o persino «l'affidamento» al Padre dimostrato da Cristo nella sua vita obbediente sino alla morte. Inoltre, avendo già chiarito che l'opera della giustificazione parte da un agire incondizionato di Dio, sembra logico attendersi l'enunciazione del corrispettivo umano che permette di accogliere tale agire, e questa è la fede, ossia l'affidarsi ad esso. Infine in 3.2.5 «le opere della Legge» sono poste in antitesi con «l'ascolto della fede», locuzione che, nuovamente, ha come soggetto indiscusso i credenti. Tutto questo rappresentava una convinzione condivisa dei giudeo-cristiani. Ma Paolo, ai vv. 17-18, trae da essa delle conseguenze che non dovevano essere colte come tali da Kefa ad Antiochia, né dai cristiani della Galazia.


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