Prima lettera a Timoteo – Capitolo 2

Preghiera ecclesiale, preghiera universale 1Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, 2per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. 3Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, 4il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. 5Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, 6che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, 7e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.

Uomini e donne nella preghiera comunitaria 8Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche. 9Allo stesso modo le donne, vestite decorosamente, si adornino con pudore e riservatezza, non con trecce e ornamenti d’oro, perle o vesti sontuose, 10ma, come conviene a donne che onorano Dio, con opere buone. 11La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. 12Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. 13Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; 14e non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. 15Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con saggezza.

Approfondimenti

(cf LETTERE A TIMOTEO – Introduzione, traduzione e commento a cura di CARMELO PELLEGRINO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

Preghiera ecclesiale, preghiera universale Si raccomanda la preghiera per tut­ti, motivandola con l’universale volontà salvifica di Dio che si è resa manifesta nell’auto-donazione di Cristo e ha raggiunto i pagani grazie all’annuncio di Paolo, primo fruitore di tale benevolenza (cfr. 1,16). Secondo l'autore della lettera il primo mezzo per combattere l’eresia è la preghiera della Chiesa.

Il brano è segnato fin dall’inizio da un’evidente nota di totalità e universalismo. I quattro termini che descrivono la preghiera in questo brano vogliono significare ogni possibile forma di petizione e hanno come beneficiari «tutti gli uomini». Con questa precisazione si compie un passo in avanti straordinario ri­spetto al giudaismo, in cui la preghiera per altri era intesa per lo più a favore dei correligionari (ma cfr. la preghiera per le autorità pagane: Esd 6,10). Il concetto viene ribadito nei vv. 1-6 attraverso la quadruplice ripetizione del termine «tutti»; tale insistenza induce a ravvisare un intento polemico nei confronti dei falsi mae­stri, le cui eresie dovevano annoverare anche forme di esclusivismo giudaizzante: solo coloro che seguivano le loro dottrine avrebbero potuto conoscere la verità ed essere salvati! Tale atteggiamento sarebbe dilagato in seno alla Chiesa più tardi attraverso le sette gnostiche.

Dopo il v. 1 la linea logica del discorso continua con il v. 3. Il v. 2 appare piuttosto come una digressione, in cui l’autore specifica una particolare categoria di persone per le quali pregare: i re e tutti coloro che sono costituiti in autorità. Nel tono generalizzante del brano, questa precisazione sorprende. La preghiera per chi governa compariva già nel giudaismo della dia­spora, poiché assicurava al popolo prosperità sotto la dominazione pagana, a cui garantiva una certa lealtà; ciò, inoltre, evitava di dover tributare culto divino al governante. Nel NT la preghiera per le autorità è ben attestata (Rm 13,1-7; 1Pt 2,13-17; cfr. anche Tt 3,1) ed è connessa con la convinzione che il governo civile della società sia voluto da Dio. Il messaggio apostolico non mirava a destabi­lizzare l’ordine sociale, così come la cittadinanza dei cristiani non escludeva la dimensione civile e la novità evangelica non proponeva un modello specifico di organizzazione statale. La supplica per i governanti è pertanto finalizzata a pro­piziare l’adempimento della naturale funzione del governo, cioè l’assicurazione del bene comune, qui significato dai due sinonimi che descrivono una vita «calma e tranquilla» (v. 2). Bisogna pregare perché i responsabili della cosa pubblica garantiscano le condizioni che permettono a «tutti» di usufruire della salvezza e della conoscenza della verità (v. 4). In una società ove siano tutelate la giustizia e l’ordine sociale (Rm 13,1-7), i cristiani possono testimoniare in modo aperto e visibile, offrendo l’accesso ai beni salvifici; viceversa, nei conflitti viene seminato l’odio, che è nemico della propagazione della verità. Questi elementi indicano che, nel contesto storico dell’autore, la persecuzione da parte dello Stato restava un rischio concreto (2Tm 1,8; 2,3; 3,12).

È giusto pregare così – cioè a beneficio di tutti, delle autorità in particolare – perché piace a Dio! D’altron­de, Egli è il «salvatore nostro» (v. 3), cioè colui che libera e preserva dalla distruzione: non può che avere a cuore la salvezza di tutti (v. 4). I cristiani, con l’offerta sacrificale della loro preghiera, hanno la responsabilità di offrire l’occasione perché tale piano salvifico divino a favore dell’intera umanità si dispieghi.

L’affermazione di un solo Dio per Giudei e Gentili dimostra che i pagani hanno uguale accesso a Dio (cfr. anche 1Cor 8,6; Gal 3,20; Ef 4,5-6); il senso polemico potrebbe avere come bersaglio l’esclusivismo giudaizzante. Ciò è confermato anche dal carattere generalissimo della mediazione di Cristo, posta tra Dio e «gli uomini». Cioè, l’argomento dell’unicità come con­ ferma dell’universalità viene reiterato dalla menzione dell’unico mediatore, realtà che affonda le sue radici nell’unico Dio. In forza della sua morte, Cristo stabilisce una nuova relazione tra Dio e l’umanità. Almeno implicitamente, egli deve essere correlato con le due parti in causa. L’enfasi sull’umanità di Cristo («l’uomo Cristo Gesù») esprime chiaramente la sua appartenenza a una delle due parti in questione ma, soprattutto, introduce il v. 6, cioè il rimando alla redenzione guadagnata da Gesù con il dono di sé sulla croce. La sua umanità, quindi, significa la sua sofferenza salvifica. L’apostolato di Paolo, presentando fedel­mente la verità di Dio, può condurre a salvezza i suoi ascoltatori provenienti dal paganesimo.

Uomini e donne nella preghiera comunitaria L’annuncio della volontà salvifica universale di Dio, anticipato in 1,16 e pre­ sentato nella sezione 2,1-7, introduce all’applicazione generale delle prescrizioni di 2,8-15 che riguardano esplicitamente tutti, uomini e donne. È possibile suddivi­dere questa sezione in due brani:

Nei vv. 11-12 l’autore si sofferma sull’atteggiamento che la donna deve assumere nei confronti dell’uomo nell’assemblea cultuale: in breve, essa deve imparare (v. 11) e non può insegnare (v. 12). La cornice storica e il contesto delle Pastorali permettono di comprendere tali prescrizioni, agevolando anche l’interpretazione di certe espressioni distanti dalla nostra sensibilità.

Alcune donne delle prime comunità si erano dimostrate ozio­ se, pettegole e curiose (5,13-14), facendosi facilmente circuire dai falsi dottori (2Tm 3,6). Anche il divieto del matrimonio imposto dagli eretici (1Tm 4,3) aiuta a spiegare l’enfasi paolina sulla generazione dei figli, quale privilegiata via alla salvezza per la donna, peraltro strettamente collegata alla santificazione (1Tm 2,15).

Vi erano dunque delle tendenze di emancipazione femminile arbitraria – forse incoraggiate dal culto pagano della dea Artemide che proprio a Efeso aveva il suo cuore pulsante – che avevano indotto alcune donne delle comunità a ripudiare il matrimonio e la generazione dei figli. Fondamento pretestuoso per tale atteggiamento poteva essere una lettura distorta dei primi capitoli della Genesi.

Ciò che l’autore intende reprimere non è quindi il mondo femminile ma l’eresia, che qui è vista attecchire tra le donne, mentre prima e dopo viene notificata tra gli uomini. Sia la perturbazione di origine maschile sia quella di matrice femminile danneggiano la comunione dell’assemblea liturgica. Pertanto, la proibizione di insegnare rivolta alle donne non va intesa in senso assoluto, ma è relativa alle particolari circostanze dei destinatari; infatti, altrove l’autore esorta le donne anziane ad avviare le giovani all’amore familiare da «maestre di bontà» (Tt 2,3) e riconosce alle vedove uno specifico ruolo (1Tm 5,9-16).

Oltre alla dialettica imparare/insegnare, anche il ri­chiamo al «silenzio» aggancia la prescrizione positiva del v. 11 a quella negativa del v. 12, dove la proibizione dell’insegnamento alle donne è rinforzata dall’espressione «in piena sottomissione». Non si tratta di una sottomissione ai mariti bensì ai mae­stri: si descrive, infatti, l’atteggiamento o la postura appropriata all’apprendimento, implicante l’accettazione dell’insegnamento e dell’autorità del catecheta, che è un maschio.

L’autore aggiunge al precedente divieto di insegnare anche la proibizione a «dominare» sull’uomo che, quindi, riguarda la natura dell’insegnamento. Ciò induce a ritenere che vi fosse qualche forma di insegnamento femminile, probabil­mente propagato con arroganza; contro questa pratica reagisce 1 Timoteo.

Per suffragare le sue ingiunzioni, l’autore di 1Timoteo ricorre a un argomento rabbinico: il primo prevale sul successivo. Ora, l’uomo è stato creato per primo rispetto alla donna; dunque, l’uomo prevale sulla donna. Poteva trattarsi di una risposta a un argomento di parte femminile, che rimarcava l’espressione di Gen 3,20 dove Eva è definita «la madre di tutti i viventi». Alcune donne potevano così affermare la loro superiorità rispetto agli uomini. Paolo conosce bene questi ragionamenti. In 1Cor 11,12 egli rileva la pari dignità tra i sessi e la loro subor­dinazione a Dio proprio su questa scia: «Se infatti la donna deriva dall’uomo, anche l’uomo ha vita dalla donna, e tutto proviene da Dio». In 2Cor 11,3, inoltre, aveva fatto riferimento proprio al peccato di Eva: «E temo che, come il serpente nella sua malizia ha ingannato Eva, così i vostri pensieri vengano traviati dalla semplicità e dalla purezza che c’è in Cristo». D’altronde, in 1Tm 1,4 l’autore aveva già contrastato «miti e genealogie» che potevano coinvolgere un uso strumentale della Genesi nelle contese dottrinali tra uomini. Analogamente, è assai probabile che l’argomento di 2,13-14 miri a confutare argomentazioni artificiose sui primi capitoli biblici, questa volta di matrice femminile.


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