Prima lettera di Giovanni – Capitolo 1

Prologo: il fondamento della verità 1Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – 2la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, 3quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. 4Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.

LA VERA COMUNIONE CON DIO

Annuncio del tema: Dio è luce 5Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna.

La vera comunione con Dio si prova camminando nella luce 6Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. 7Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.

I cristiani e il peccato 8Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. 9Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. 10Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi.

Approfondimenti

(cf LETTERE DI GIOVANNI – introduzione, traduzione e commento di MATTEO FOSSATI © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

Prologo: il fondamento della verità Questo esordio è obiettivamente insolito per una lettera: non vi è infatti alcuna traccia dell'indirizzo e saluto, la classica apertura dell'epistola greco-romana. Qui si è invece di fronte a quello che viene unanimemente riconosciuto dalla critica come il «prologo» della 1Giovanni, e l'uso di questo termine non è casuale, in quanto intende sottolineare una vicinanza con l'apertura del maggiore tra gli scritti giovannei: il quarto vangelo. L'autore è abile nel creare in chi legge un forte senso di attesa mediante cinque frasi iniziali che rimangono sospese fino alla fine del primo versetto, quando specifica: «il Verbo della vita». Con queste parole, che s'inseriscono in modo anomalo nella sintassi del brano, egli chiarisce l'argomento dello scritto: ciò che era da principio e che è stato udito, visto, contemplato e toccato dagli apostoli, altri non è che il Verbo della vita. È la teologia giovannea nel suo complesso che permette di leggere l'espressione in modo cristologicamente alto: non si riferisce semplicemente al messaggio di vita contenuto nella rivelazione, bensì alla persona stessa del Figlio di Dio che la letteratura giovannea chiama il «Verbo» (Gv 1,1.14), il «Verbo di Dio» (Ap 19,13), la «Vita» (Gv 11,25; 14,6), la «Vita eterna» (1Gv 5,20). Dopo aver comunicato l'argomento dello scritto, l'autore ne specifica anche lo scopo, e lo fa mediante una subordinata finale posta esattamente al centro del v. 3: «perché anche voi siate in comunione con noi». L'intento della lettera è dunque quello di offrire ai destinatari la medesima comunione che il gruppo dei testimoni gode «con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo». Da un punto di vista teologico e interpretativo, anche se nel prologo non troviamo il vocabolario della verità/falsità – che è invece una presenza costante in tutto il resto dello scritto, finalizzato a fornire ai destinatari gli strumenti per discernere tra veri e falsi maestri, tra veri e falsi insegnamenti e, in definitiva, tra il vero Dio e i falsi dèi –,l'interesse per tale tema non deve sfuggire al lettore. Tutta l'insistenza sul contatto fisico tra i testimoni e il Verbo della vita indica che l'autore intende rivelare qui il solido fondamento di quella verità su cui verterà l'insegnamento di tutta la lettera: essa si poggia sull'eccezionale testimonianza di chi ha avuto la fortuna di udire, vedere, contemplare e toccare il Verbo della vita, esperienza storica fondante il cristianesimo e capace di infondere in chi scrive la responsabilità e il coraggio dell'annuncio, annuncio che può realizzarsi solo nella comunione con il Verbo e con il Padre e al fine di offrire a tutti i veri credenti la stessa gioiosa intimità.

Annuncio del tema: Dio è luce L'annuncio con il quale si apre ogni pericope della 1Giovanni rappresenta sempre il ricordo di un insegnamento di Gesù – è infatti a Lui che si riferisce il pronome di terza persona singolare. Nell'introduzione si è precisato che gli insegnamenti dell'epistola non dipendono direttamente dalla forma scritta del quarto vangelo, ma dal kerygma giovanneo originario. Ciò significa che le parole e le azioni del Gesù storico, elaborate nella riflessione e nella predicazione del Discepolo amato, hanno trovato una duplice espressione scritta: quella evangelica e quella epistolare. Questo fatto ci deve scoraggiare dal pretendere di trovare una corrispondenza letterale tra le due formulazioni. Quanto a perentorietà, l'affermazione «Dio è luce», rafforzata dalla coordinata antitetica «e di tenebra in lui non ve n'è alcuna», è una novità nel panorama biblico. Dal punto di vista letterario questo versetto iniziale lega saldamente al prologo della 1Giovanni tutta la pericope, grazie alla ripresa del tema del suo verbo principale (1,2.3:«annunciamo») mediante il sostantivo «annuncio», e il verbo «proclamare». La dinamica della trasmissione di fede che emerge da questo testo è quella binaria tipicamente giovannea: a differenza di quella evidenziata in passi come 1Cor 15,3 o Le 1,2 (in cui i momenti presupposti sono tre, ovvero la rivelazione di Gesù, la tradizione degli apostoli e la scrittura), qui viene saltata la fase intermedia, ossia la mediazione della comunità, poiché il «noi» scrivente coincide con quello dei testimoni oculari. Il tema annunciato in 1,5 viene elaborato mediante quattro brani argomentativi che si richiamano a due a due secondo lo schema A B B' A' (A:1,6- 7; B:1,8-10; B':2,1b-2; A':2,3-6) intorno al centro della pericope, rappresentato dalla breve esortazione di 2,1a. Questa elaborazione punta a tirare le conseguenze pratiche dell'affermazione iniziale «Dio è luce» per la vita dei cristiani e ruota attorno all'idea della comunione con Dio e alle sue esigenze, facendo riflettere i destinatari dello scritto sulla necessità di coerenza tra parola e vita, requisito essenziale dei veri maestri e dei veri cristiani.

La vera comunione con Dio si prova camminando nella luce Con i vv. 6-7 si entra appieno in quella che sarà la principale modalità argomentativa di tutto lo scritto: l'autore, mediante ragionamenti di tipo sillogistico, vuole istruire i destinatari a riconoscere i falsi maestri, smascherando le loro menzogne mediante semplici prove riguardanti la vita concreta. Infatti ogni pretesa qualità spirituale interiore deve essere provata mediante atteggiamenti esteriori oggettivamente verificabili. Le parole da sole non bastano: ci vogliono i fatti. Si deve quindi prestare la massima attenzione alle relazioni tra la realtà interiore (ciò che è) e quella esteriore (ciò che appare): se tra le due c'è corrispondenza, si è nel campo della verità; se tale corrispondenza manca, si è in quello della falsità. Per l'autore della 1Giovanni è inoltre determinante smascherare quanti con la menzogna vogliono apparire quello che in realtà non sono: è il caso dei falsi maestri, apostrofati come «anticristi» e «figli del diavolo» (cfr. 2,18.22.26; 3,7-8.10; 4,1). Dai pochi dati fornitici dalla lettera non si riesce a ricostruire con certezza né l'identità né l'insegnamento di questi avversari contro i quali l'autore si scaglia con forza e determinazione. Eppure, anche se appare riduttivo interpretare la nostra lettera come uno scritto polemico, è innegabile in essa un intento di difesa della vera tradizione giovannea contro deviazioni concrete reputate pericolose. Il primo insegnamento del nostro scritto può essere così sintetizzato: non chiunque dice di essere in comunione con Dio lo è veramente; la verità della comunione con Dio va provata a partire dall'agire quotidiano, che si deve qualificare come un camminare nella luce. Un maestro non deve quindi essere giudicato solo dal suo insegnamento, dalle sue parole suadenti, bensì a partire dall'intima corrispondenza tra ciò che dice e ciò che fa. Questa coerenza radicale tra parola e vita impone all'uomo non solo di «fare» ciò che dice, ma anche di «essere» ciò che fa: non c'è spazio per menzogna, inganno o falsità. Il credente deve vivere sempre nella luce, senza mai rifugiarsi in zone d'ombra. In tal modo la vita concreta diventa la prova più evidente dell'appartenenza di un uomo al regno della luce o a quello delle tenebre.

I cristiani e il peccato Dopo aver chiarito la necessità per i cristiani di camminare nella luce, l'autore della lettera non teme di ammettere che su questo cammino si possono incontrare degli ostacoli capaci di far cadere chiunque: è il caso del peccato, dal quale nessun uomo e nessuna donna può dichiararsi immune se non cadendo sotto il dominio dell'inganno e della falsità, arrivando praticamente ad accusare di menzogna Dio stesso. Dietro l'argomentazione di questo brano si può leggere, in filigrana, una polemica contro gli avversari della comunità giovannea, che presumibilmente sostenevano la propria impeccabilità in quanto figli di Dio e credenti in Cristo; si sentivano forse una cosa sola con Gesù, che aveva detto: «Chi di voi può dimostrare che io abbia peccato?» (Gv 8,46). Secondo l'autore della lettera, un atteggiamento del genere è pericoloso e nasconde l'inganno dell'anticristo: causa infatti una relativizzazione di quell'impegno morale che invece è la prova oggettiva della fede. Chi cadesse nella rete di queste idee perverse si ritroverebbe nella stessa condizione di quanti si rifiutarono di credere in Cristo, condannandosi in quel modo a morire nei propri peccati (Gv 8,24).


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