Prima lettera di Pietro – Capitolo 5

Agli anziani e ai neofiti 1Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: 2pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, 3non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. 4E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce. 5Anche voi, giovani, siate sottomessi agli anziani. Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili.

Ai fedeli 6Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti al tempo opportuno, 7riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. 8Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. 9Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo. 10E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, egli stesso, dopo che avrete un poco sofferto, vi ristabilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta. 11A lui la potenza nei secoli. Amen!

Motivo della lettera 12Vi ho scritto brevemente per mezzo di Silvano, che io ritengo fratello fedele, per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi!

Saluti 13Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio. 14Salutatevi l’un l’altro con un bacio d’amore fraterno. Pace a voi tutti che siete in Cristo!

Approfondimenti

(cf PRIMA LETTERA DI PIETRO – introduzione, traduzione e commento di ALBERTO BIGARELLI © EDIZIONI SAN PAOLO, 2016)

Agli anziani e ai neofiti Di fronte alle ostilità sociali incontrate dai destinatari della lettera sono necessarie guide pastorali di alto profilo. Perché le comunità rimangano fedeli nel fare il bene e salde nell'unità, ci vogliono leader dediti non al proprio interesse privato, ma alla custodia dell'intera comunità. Gli «anziani» a cui si rivolgono i vv. 1-4 sono capifamiglia a cui l'età e la condizione sociale hanno fatto guadagnare una posizione di prestigio e di guida all'interno della loro comunità locale. Non sono persone che occupano un posto particolare nella struttura “gerarchica” e organizzativa delle comunità cristiane, ma coloro ai quali, per tradizione, sono conferite autorità e responsabilità. La collegialità e la cooperazione richieste agli «anziani» sono sottolineate dal fatto che l'autore gli scrive affermando di essere anche lui “uno di loro”. L'autore però sottolinea anche ciò che lo identifica e lo differenzia: egli si presenta come «testimone delle sofferenze di Cristo». Il fatto di essere testimone richiama l'obiettivo della lettera (cfr. v. 12): dare testimonianza che la pienezza della grazia di Dio è presente e oprante nella loro esperienza di cristiani. L'autore identifica tre caratteristiche necessarie per svolgere bene il compito di guida degli anziani (vv. 2-3).

  1. La comunità è immaginata come il gregge di Dio, che ha Cristo come capo dei pastori e gli anziani come guardiani-sorveglianti. Il compito descritto con questa immagine è quello dell'istruzione sui temi della fede, la guida morale, la protezione del gregge, al consulenza organizzativa e l'amministrazione delle risorse.

  2. Gli anziani sono ammoniti perché il loro servizio alla comunità sia volontario e con una “buona disposizione verso Dio” non motivato dall'interesse di una guadagno economico. L'attaccamento al denaro è una cosa disonorevole per il cristiano! In genere le guide cristiane ricevono una sorta di compenso per il loro lavoro a favore della comunità, come il vitto e l'alloggio, indumenti o qualche altra forma di “stipendio”. Inoltre la “sorveglianza” può comportare qualche responsabilità verso le finanze della comunità e le proprietà comuni. Tutto ciò giustifica il richiamo ad essere persone libere da ogni avidità e guadagno.

  3. Occorre assolutamente evitare che “l'anziano”, una volta ricevuto l'incarico, lo pieghi a proprio vantaggio, invece di avere una dedizione esemplare alla comunità. L'autorità esemplare è quella di Gesù pastore, colore che lo rappresentano devono tendere ad assomigliargli il più possibile in tutto.

Al v. 4 la metafora del pastore è applicata a Cristo, con la conseguenza che gli anziani-pastori sono subordinati a lui, pastore supremo. Secondo il nostro autore con l'arrivo escatologico del pastore supremo gli anziani-pastori che hanno operato nel suo nome riceveranno la loro gloriosa ricompensa, indicata con l'immagine della corona.

Al v. 5 si passa all'esortazione rivolta ai giovani, che sono la naturale controparte degli anziani. In questo caso si sta parlando di “neofiti”, giunti da poco alla fede, “giovani” di conversione. A costoro si dice che devono stare sottomessi agli anziani. La sottomissione viene sottolineata ancora una volta per l'importanza che ha per l'armonia all'interno della comunità cristiana. Il rispetto e la subordinazione agli anziani, ai genitori e ai capi erano atteggiamenti “dovuti”. L'insistenza sull'umiltà si fonda sull'umiltà stessa di Gesù e non ha nulla di degradante; è piuttosto l'accettazione della propria posizione sociale. Nel mondo latino e greco l'umiltà era propria degli schiavi, indegna degli uomini liberi; per i cristiani, invece, significava il riconoscimento e l'accettazione del proprio ruolo nel progetto di Dio, la sottomissione alla sua volontà, la fiducia nel suo generoso favore e sostegno, la rinuncia all'ambizione e al dominio sugli altri. Ognuno di questi atteggiamenti contribuisce all'armonia e alla coesione della comunità.

Ai fedeli Il fatto che Dio sia benevolo verso gli umili spinge ad essere umili verso di lui. Come Dio ha risuscitato Gesù Cristo e lo ha onorato, così innalzerà e onorerà quelli che partecipano alla vita di Cristo. L'umiltà davanti a Dio è la condizione e il preludio alla propria esaltazione: tale capovolgimento riecheggia un motivo ricorrente nella storia della relazione di Dio con il suo popolo.

Affidare a Dio le preoccupazioni è un modo per sottomettersi al suo paterno interessamento, per credenti che vivono un presente ricco d'insidie e hanno un futuro incerto: in ogni circostanza Dio offre loro la sua protezione! Gesù stesso ha sottolineato la cura paterna di Dio per le sue creature come motivo per non essere preoccupati e ansiosi (cfr. Mt 6,25-34; Lc 12,22-34).

Ma avere un Dio vicino non vuol dire sfuggire a una società ostile e alla sua dimensione demoniaca. La situazione difficile e precaria in cui si trovano i credenti richiede un appello alla vigilanza. Dietro lo sforzo di un ambiente ostile, preoccupato di riassorbire, neutralizzare ed eliminare il movimento cristiano, forzandolo a rientrare negli standard di valori estranei al Vangelo e alla volontà di Dio, s'intravede un nemico formidabile, il principe di tutte le forze infernali: il «diavolo».

Paolo non usa mai questo termine, preferisce «satana»; il termine appare solo nelle lettere “deuteropaoline”. Il termine ebraico «satana» era usato sia per le figure angeliche che umane. Nel NT i due termini sono interscambiabili nel designare il principale avversario soprannaturale di Dio e del suo popolo. Egli è «colui che della morte ha il potere» (Eb 2,14) e che afferma che tutti i regni della terra sono nelle sue mani (cfr. Lc 4,6). Il suo è il potere delle tenebre (cfr. Lc 22,53), opposto al potere della luce (cfr. At 26,18). È l'origine di ogni peccato e di ogni malvagità (cfr. Mc 4,15: Lc 22,3; Gv 8,44; 13,27; At 5,3; Tm 5,15), il grande ingannatore delle nazioni (cfr. Ap 20,3-8), colui che realizza deliri di massa. Originariamente le figure angeliche negative erano considerate accusatori celesti sotto il controllo di Dio (cfr. Nm 22,22.32; Gb 1,6-12; 2,1-7). Il loro compito era quello di esaminare e verificare l'autenticità della lealtà e delle virtù umane. Nel tardo post-esilio questa figura fu vista come una forza del male indipendente e opposta a Dio e al suo popolo (cfr. 1Cr 21,1; Zc 3,1-2), come colui che affligge il genere umano. Questo periodo postesilico è contrassegnato dallo sviluppo di un'angelologia e una demonologia elaborate, che mostrano che vi sono non solo spiriti buoni, ma anche spiriti malvagi che abitano le regioni celesti influendo sulle vicende umane. Nello stesso tempo la concettualizzazione e la descrizione del demonio come una potenza personale, sviluppata sotto l'influenza del dualismo persiano, si arricchì ulteriormente nel II e nel I sec a.C.

La tradizione che ha preso origine da Gen 6,1-4 ha immaginato un esercito di spiriti angelici e malvagi con a capo Satana, che si era ribellato contro Dio abbandonando i cieli e compiendo devastazioni tra gli uomini, causando malattie, suscitando invidie, ostilità, odio, dissensi, guerre e tante occasioni di morte. Questa personificazione del maligno fu anche identificata con il serpente tentatore: Sap 2,24 afferma che «per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo», ma ciò nonostante la sua presunzione e la sua potenza sarebbero state vanificate (cfr. Is 14,12-15). Il cristianesimo primitivo adottò e adattò questo modo di pensare.

Il leone è simbolo di grande forza (cfr. Pr 30,30), ma è anche il distruttore del gregge (cfr. Am 3,12) e strumento di morte (cfr. Dn 6,16-28). Il suo ruggito suscita paura e terrore. Solo in alcuni casi vengono paragonati a leoni fortissimi Dio (cfr. Os 13,7; Am 1,2; 3,7-8; Gb 10,6; Lam 3,10), Giuda e i suoi re (cfr. Gen 49,9; Ez 19,2-9) o il Messia, il leone della tribù di Giuda (cfr. Ap 5,5). Più frequentemente sono gli empi (cfr. Sal 10,9; 17,12) o i nemici d'Israele ad essere paragonati ad un leone che assale i giusti o il gregge di Dio (cfr. Is 5,29; Ger 2,15; 4,7; 5,6; Ez 32,2; Gl 1,6; Na 2,11-12; Mi 5,8; Sal 7,3; 17,8-12; 22,14; Dn 7,4.17).

L'immagine del leone applicata al diavolo è unica nella Bibbia; trasmette l'idea di un avversario contraddistinto da ferocia mortale e da una grande forza divoratrice. In altri passi del NT si parla di lupi che minacciano il gregge di Dio (cfr. Mt 7,15; 10,16; Lc 10,3; Gv 10,12; At 20,29). Due passi del NT possono essere paragonati a questo versetto di 1 Pietro: scrivendo a Timoteo, Paolo dice: «Così fui liberato dalla bocca del leone» (2Tm 4,17); e l'autore dell'Apocalisse descrive l'Impero romano come una bestia che sale dal mare e ha «la bocca di leone» (13,2). È il Sal 21,14 che ha influenzato i vocaboli adoperati qui: «Tengono aperte su di me le loro fauci, leoni ruggenti, pronti a sbranare».

Il verbo «divorare», che significa anche «inghiottire», «trangugiare» si usa per le bestie feroci che si accaniscono sulla preda (cfr. Gio 2,1; Tb 6,2) ed è molto appropriato nella descrizione del Diavolo.

La presenza del Diavolo e la sua attività registrate nei vangeli e nelle letteratura apostolica sono variegate e innumerevoli, ma i discepoli di Cristo possono resistere alle sue seduzioni e tentazioni perché Gesù ha sgominato questo avversario e ha vinto il suo potere di danneggiare e uccidere. I credenti non devono lasciargli lo spazio di operare (cfr. Ef 4,27); se gli resisteranno, infatti, egli fuggirà da loro (cfr. Gc 4,7) e Dio lo schiaccerà sotto i loro piedi (cfr. Rm 16,20). Per altro verso, i peccatori e gli oppositori umani dei cristiani sono consegnati al potere di Satana (cfr. 1Cor 5,5; 1Tm 1,20) e sono etichettati nell'Apocalisse «sinagoga di Satana» (2,9; 3,9) o appartenenti al diavolo (cfr. Gv 8,44; At 13,10; 1Gv 3,8.10). Quella di demonizzare gli estranei è una scelta tipica dei gruppi minoritari, quali il movimento dei discepoli di Gesù, quando affrontano un contesto ostile; nel nostro caso l'ostilità è una pressione perché il cristianesimo si assimili alla cultura del mondo pagano circostante, come appare evidente in molti passi del Nuovo Testamento (cfr. Mt 16,33; Mc 8,33; Gv 6,70; 8,44; At 13,10; 1Gv 3,8-10; Ap 2,9.13.24; 3,9; 12,18; 20,2-3.7-10). D'altra parte l'invito a resistere (v. 9) alle seduzioni, all'arroganza e all'ostilità demoniaca richiama l'opposizione di Dio agli arroganti (v. 5). L'accondiscendenza a una forma estranea di condotta potrebbe condurre all'assimilazione e l'assimilazione all'asfissia completa del movimento cristiano. Comandi simili a questo, cioè di resistere al maligno (cfr. Gc 4,7; Ef 4,27;6,11-12.16), riflettono la più antica tradizione esortativa cristiana, associata alle prime catechesi battesimali. Il corrispettivo positivo dell'esortazione e la saldezza nella fede, intesa come impegno incrollabile verso Dio e verso Cristo.

Per motivare l'invito alla resistenza, i destinatari dell'Asia Minore sono invitati a ricordare che la loro esperienza di sofferenti è la stessa che vivono i fratelli di fede sparsi nel mondo. Degno di nota è il fatto che per descrivere l'intera comunità cristiana l'autore preferisca «fraternità» piuttosto che «Chiesa». «Fraternità» infatti esprime la natura familiare e solidale della comunità credente, i cui membri sono «figli di Dio» (cfr. 1Pt 1,14), che devono essere obbedienti al loro Padre (cfr. 1,2-3.14-17) e amarsi uni gli altri (cfr. 1,22; 2,17; 3,8; 4,8). La situazione difficile in cui si trovano i credenti dell'Asia Minore non è atipica o isolata, come potrebbero essere portati a pensare, ma caratteristica di tutti coloro che sono solidali alle sofferenze di Cristo. In quest'unità c'è molta forza. La portata consolatoria del v. 9 è rafforzata dal contesto: i destinatari, sebbene possano essere esposti alla minaccia dei nemici di Dio, sono alla fine nelle mani di un Creatore che può proteggerli (cfr. 5,6-7.10). Con i loro fratelli e le loro sorelle nella fede possono resistere dovunque agli attacchi del demonio e dei suoi emissari, perché il Dio potente (cfr. 5,6.11), che li ha chiamati alla fraternità, li sosterrà sempre.

Nel finale non poteva mancare il riferimento alla sofferenza dei credenti, per giungere alla conclusione con una dossologia, in cui si celebra il potere divino; simile a quella di 4,11.

Motivo della lettera La lettera si conclude con la lode di Silvano, a cui è stata affidata la lettera, affinché gli venga riservata un'accoglienza cordiale e un ascolto attento. Coloro che sono rinati a vita nuova grazie alla risurrezione di Gesù Cristo e sono diventati membri della famiglia dei discepoli, sono quello che sono per l'azione della grazia: devono però rimanere fermi in quella grazia divina che ha plasmato il loro passato, modella il loro presente e fiorirà nel loro futuro.

Saluti I saluti esprimono il caloroso affetto che univa i mittenti ai fratelli e alle sorelle dell'Asia Minore. Il nome «Babilonia» viene usato metaforicamente e localizza i mittenti a Roma. Come attestano anche le lettere di Paolo, le comunità cristiane praticavano il bacio (v. 14) non come rituale frettoloso, ma come un'autentica espressione d'amore all'interno della fraternità. Quest'espressione intima di solidarietà è molto appropriata in 1 Pietro, dove il più importante simbolo ecclesiale della comunità è quello del nucleo familiare, della casa di Dio in cui l'amore e la fraternità sono tanto sottolineati (cfr. 1,8.22; 2,11.17; 3,8; 4,8.12). La lettera chiude con un augurio del tutto convenzionale di pace (cfr. Ef6,23; Eb 13,20; 3Gv 15). Come l'autore ha aperto la lettera desiderando per i suoi lettori questo dono divino (cfr. 1Pt 1,2), allo stesso modo la conclude. Se è vero che la pace si manifesta in un buono stato di salute e nella comune concordia, qui è implicata anche la sua dimensione escatologica e cristologica, essendo fondata nella relazione tra i destinatari e Cristo, come dice l'ultimo termine dello scritto. Quelli che sono rinati grazie alla risurrezione di Cristo, che vivono secondo il suo esempio e condividono la sua gloria sono destinatari di quella pace che è accessibile a tutti coloro che sono «in Cristo». Anche di fronte a un'aspra ostilità, il loro cuore può stare in pace, una pace assicurata da un' ininterrotta cura e protezione divina. La lettera da Roma è il primo documento conosciuto che riguarda i cristiani della capitale e indirizzato alle sorelle e ai fratelli osteggiati in Asia Minore. Questo impegno, per rendere più forte il legame fra le comunità di Roma e le fraternità all'estero, è stato un piccolo ma significativo passo nella costruzione di un ponte che unisse la Chiesa di Roma con le Chiese sparse nell'Impero. Il ponte doveva essere attraversato più volte, e in entrambe le direzioni, nel successivo sviluppo della storia della cristianità.


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