REGOLA BOLLATA DI SAN FRANCESCO – 12

CAPITOLO XII – DI COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI E TRA GLI ALTRI INFEDELI

1 Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. 2 I ministri poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi se non a quelli che riterranno idonei ad essere mandati. 3 Inoltre, impongo per obbedienza ai ministri che chiedano al signor Papa uno dei cardinali della santa Chiesa romana, il quale sia governatore, protettore e correttore di questa fraternità, 4 affinché, sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, l’umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso.

Pertanto a nessuno, in alcun modo, sia lecito di invalidare questo scritto della nostra conferma o di opporsi ad esso con audacia e temerarietà. Se poi qualcuno presumerà di tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.

papa Onorio III

Dal Laterano, il 29 novembre 1223, anno ottavo del nostro pontificato.

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Approfondimenti

Prima di ogni cosa Francesco sottolinea con forza e chiarezza che per andare in missione occorre la divina ispirazione, ossia mettersi nelle condizioni di ascoltare la voce di Dio e cogliere il suo divino volere. La dedizione all’attività missionaria verso popoli stranieri e comunità non cristiane è sempre frutto di un serio discernimento che l’autorità propone a coloro che sentono particolarmente questa vocazione apostolica.

Le condizioni richieste per andare tra i saraceni e gli altri infedeli sono le seguenti: avere il permesso del ministro provinciale ed essere idonei per questo tipo di missione. Sono indicazioni abbastanza generiche che lasciano intravedere il riconoscimento di un ruolo normativo più forte da parte del ministro provinciale, il quale non solo esercita un certo margine di discrezionalità per la valutazione dei frati candidati alla missione, ma è soprattutto il rappresentante della Chiesa e della stessa fraternità nel cui nome i missionari sono inviati. Verso la fine del XIII secolo, l’invio dei frati missionari divenne di competenza diretta del ministro generale. Tuttavia, molte volte alcuni frati erano direttamente designati dal papa e scelti per missioni abbastanza particolari, di natura anche diplomatica.

I frati non potevano improvvisarsi missionari, in quanto l’idoneità alla missione comportava una debita preparazione dottrinale da verificarsi con un esame da parte del ministro provinciale. Sicuramente, era necessario verificare anche lo stato di salute fisica dei frati che si aprivano alla missione.

Nel progetto di una fraternità in missione, l’andare tra i saraceni è una forma e una conseguenza dell’andare per il mondo che caratterizza in modo fondamentale lo stato di vita francescano. L’annuncio rivolto ai saraceni rientra in un progetto più grande di fraternità che si apre alla missione verso il mondo non cristiano. Questa collocazione è completamente persa nella Regola bollata perché il capitolo XII chiude completamente la Regola definitiva senza essere preceduto o seguito da un richiamo alla predicazione e alla missione. Non siamo a conoscenza del motivo dello spostamento avvenuto nella Regola definitiva. Forse si è voluto evidenziare lo stretto rapporto tra l’attività missionaria e i tempi più importanti della vita francescana, cioè la cattolicità, l’evangelicità e la povertà-umiltà. Difatti, il capitolo XII si occupa anche del particolare legame dell’Ordine con la Chiesa romana e offre una sintesi della stessa vita francescana.

Non possiamo e non dobbiamo negare il grande influsso che ebbe il cardinale Ugolino vescovo di Ostia (poi papa Gregorio IX) nelle origini e nell’evoluzione delle istituzioni francescane; il suo intervento si fece sentire fortemente nello sviluppo dell’Ordine e nella redazione della Regola definitiva; inoltre si prodigò come intermediario anche per diverse questioni nate all’interno delle prime comunità di frati e nei rapporti con la Curia romana. Pur convenendo con Francesco nella sostanza del suo ideale, egli aveva una visione molto diversa da quella del Poverello – che amava e venerava come inviato di Dio –, a proposito della vita fraterna, della missione dei frati e della loro presenza nelle istituzioni ecclesiastiche. Infine il cardinale di Ostia ottenne ai frati lettere commendatizie per poter essere accolti da tutti i prelati della Chiesa universale come cattolici e fedeli: questo, unitamente alla divisione in Provincie, permise all’Ordine di crescere e ai frati di maturare un’esperienza di missione e di fraternità allargata più convinta e significativa.

C’è una visione universale dell’Ordine minoritico che prende forma a partire dall’urgenza di annunciare il Vangelo e che si ricollega a un’immagine di Chiesa aperta verso il mondo e gli altri popoli. Francesco fece propria la visione di una Chiesa aperta al mondo e di una missione incompiuta, ritrovando, così, nelle diversità culturali e religiose, una possibile sfida e una grande risorsa per l’annuncio stesso del Vangelo.

Per quanto concerne la figura del cardinale protettore e l’obbedienza alla Chiesa, di cui ci parla nei vv. 3-4 di Regola bollata XII, possiamo dire che, ritornato dall’Oriente, Francesco prese atto delle difficoltà che insidiavano dall’esterno e ancor più dall’interno il cammino dell’Ordine. Così, durante il colloquio con papa Onorio III, chiese come cardinale protettore Ugolino di Ostia; tale richiesta assicurava lo stretto legame con la Chiesa cattolica e la continuità della Regola all’interno dell’Ordine. L’autorità del cardinale protettore fu limitata, nel tempo, a tre ambiti specifici: l’abbandono o l’allontanamento dalla fede cattolica; l’allontanamento dell’Ordine dall’obbedienza alla Santa Sede; la decadenza dell’osservanza della propria Regola. In tal senso, la figura autorevole del cardinale protettore è al servizio della comunione fraterna ed ecclesiale. È il caso proprio in cui l’istituzione garantisce l’affermarsi dinamico e positivo del carisma nella storia e nella vita della Chiesa.

La Regola si conclude proprio richiamando al senso di fedeltà totale verso la Chiesa di cui Francesco si preoccupò molto, specialmente negli ultimi anni di vita.

Tratto da: FRATI MINORI di Canepanova – Pavia ● Centenari francescani: la Regola bollata


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