REGOLA BOLLATA DI SAN FRANCESCO – 3

CAPITOLO III – DEL DIVINO UFFICIO E DEL DIGIUNO, E COME I FRATI DEBBANO ANDARE PER IL MONDO

1 I chierici recitino il divino ufficio, secondo il rito della santa Chiesa romana, eccetto il salterio, 2 e perciò potranno avere i breviari. 3 I laici, invece, dicano ventiquattro Pater noster per il mattutino, cinque per le lodi; per prima, terza, sesta, nona, per ciascuna di queste ore, sette; per il Vespro dodici; per compieta sette; 4 e preghino per i defunti. 5 E digiunino dalla festa di Tutti i Santi fino alla Natività del Signore. 6 La santa Quaresima, invece, che incomincia dall’Epifania e dura ininterrottamente per quaranta giorni, quella che il Signore consacrò con il suo santo digiuno, coloro che volontariamente la digiunano siano benedetti dal Signore, e coloro che non vogliono non vi siano obbligati. 7 Ma l’altra, fino alla Resurrezione del Signore, la digiunino. 8 Negli altri tempi non siano tenuti a digiunare, se non il venerdì. 9 Ma in caso di manifesta necessità i frati non siano tenuti al digiuno corporale. 10 Consiglio invece, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo che, quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole, e non giudichino gli altri; 11 ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene. 12 E non debbano cavalcare se non siano costretti da evidente necessità o infermità. 13 In qualunque casa entreranno dicano, prima di tutto: Pace a questa casa; 14 e, secondo il santo Vangelo, è loro lecito mangiare di tutti i cibi che saranno loro presentati.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Questo capitolo riflette molto bene il modo associativo di scrivere proprio di Francesco, fenomeno che contribuisce a dimostrare il suo intervento nella redazione della Regola definitiva. Infatti, dopo aver presentato i fondamenti evangelici ed ecclesiali della forma di vita dei frati e le disposizioni sui candidati che arrivano alla fraternità, la durata del noviziato, il significato della professione e il modo di vestire, la Regola dedica una buona parte del capitolo III alla preghiera ufficiale e al digiuno, quindi di come i frati debbano andare per il mondo, dedicandosi in particolare al modo di essere minori.

Nel medioevo i termini chierici e laici, avevano essenzialmente un significato culturale, legato al fatto di sapere leggere, e non al fatto di aver ricevuto o meno il sacramento dell’Ordine. La normativa della Regola dei frati minori riguardante l’Ufficio divino presenta un forte contrasto con la precedente legislazione monastica, la quale descrive nei dettagli la forma e il contenuto del celebrare l’opus Dei. Si tratta di una normativa che si colloca in un contesto molto variegato, dato che al momento di scrivere la Regola non esisteva nella Chiesa occidentale una legislazione unitaria sulla celebrazione dell’ufficio divino. Papa Innocenzo III, probabilmente al tempo del Concilio Lateranense IV (1215), aveva introdotto per il clero romano un ufficio divino raccolto in un solo volume e abbreviato (da cui breviario). L’adozione del rito della santa Chiesa romana comportava l’uso di un breviario molto più leggero, che rendeva più comodi gli spostamenti dei frati nelle diverse regioni d’Europa ed evitava loro la scomodità di adattarsi alle liturgie proprie d’ogni luogo in cui arrivavano. L’unica eccezione al rito della Chiesa romana fatta dalla Regola è l’uso del salterio. In questo caso si fa riferimento al cosiddetto salterio romano, sostituito con quello più diffuso nelle diverse diocesi dell’Europa occidentale conosciuto come il salterio gallicano, che molti frati sapevano a memoria, dato che in esso avevano imparato a leggere. L’adozione di questo salterio si deve quindi ad una ragione pratica. La prima conseguenza della normativa che presenta la Regola bollata a proposito dell’Ufficio divino dei chierici è che a partire da allora l’Ordine incominciò ad avere un breviario proprio. L’effetto più evidente di questa norma è stato senz’altro l’unità dell’Ordine nella maniera di pregare, nonostante i frati si trovassero in luoghi tanto distanti; l’Ufficio si costituì in preghiera della fraternità perché era il medesimo per tutto l’Ordine. Infine il forte invito “e preghino per i defunti”, anche se non fa menzione del soggetto, sembra essere rivolto sia ai chierici che ai laici. Non si specifica né che cosa, né come si deve pregare per i defunti: questo lascia uno spazio per la creatività. La sobrietà di questo testo racchiude un principio di grande importanza che s’ispira al mistero della Comunione dei santi e, ancora una volta, per esprimere e stimolare l’unità dell’Ordine.

Le norme sul digiuno, collocate nella Regola come continuazione di quelle che riguardano l’Ufficio divino, acquistano uno speciale significato cultuale e teologico, tanto più che appaiono come preparazione ai momenti liturgici più importanti dell’anno. I destinatari delle disposizioni sul digiuno sono tutti i frati, chierici e laici, e il verbo digiunare, usato qui dalla Regola, significava normalmente mangiare una sola volta al giorno. La prassi del digiuno è sempre stata presente nella tradizione cristiana e occupa un posto di rilievo nell’ambiente monastico.

Il termine mondo e il sinonimo secolo, di solito avevano nella letteratura monastica del Medioevo un significato negativo; evocavano la fragilità e l’instabilità delle cose create, o il regno del peccato che si oppone alla grazia. Per tale motivo la vita monastica era concepita come una fuga mundi, come momento di conversione identificata con l’espressione exire de saeculo, che poi divenne un termine tecnico per designare l’ingresso nella Religione o la professione dei voti nella vita monastica. In contrasto con questa visione, la proposta di Francesco cerca di vivere la penitenza in mezzo al mondo, per cui egli prevede norme di comportamento per i frati quando vanno per il mondo. Se i frati lasciano il mondo come situazione di peccato, sono inviati al mondo come scenario della loro attività di penitenza e del loro contributo all’evangelizzazione. Il trittico dei verbi consiglio, ammonisco, esorto non presentano notevoli differenze di significato, ma esprimono il tipico linguaggio moltiplicativo che usava Francesco quando un argomento gli stava molto a cuore. L’andare per il mondo ha un significato reale, in quanto fa riferimento agli spostamenti che i frati devono fare normalmente nella loro forma di vita, che si realizza nel mondo, tra la gente, perché essi costituiscono una fraternità in missione. Questa missione avviene nel Signore Gesù Cristo: i frati sono chiamati a viverne i tratti della mitezza e dell’umiltà, evitando quindi i conflitti tra di loro e con chiunque incontrassero nel loro cammino.

L’augurio evangelico di pace, suggella uno stile di itineranza per il mondo ispirato alle beatitudini evangeliche e improntato da apertura colloquiale verso tutti. Infine si presenta la libertà dei frati che vanno per il mondo di fronte agli alimenti che gli vengono presentati, condividendo la situazione della gente in mezzo alla quale si trovano, quindi condizionati dalle possibilità di sussistenza che ogni luogo offre loro. È una libertà che deriva da una vera fiducia nella Provvidenza e comporta il realismo della povertà quando si va nell’esercizio della missione.

Tratto da: FRATI MINORI di Canepanova – Pavia ● Centenari francescani: la Regola bollata


🔝C A L E N D A R I OHomepage