REGOLA BOLLATA DI SAN FRANCESCO – 5
CAPITOLO V – DEL MODO DI LAVORARE
1 Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione 2 così che, allontanato l’ozio, nemico dell’anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporali. 3 Come ricompensa del lavoro ricevano le cose necessarie al corpo, per sé e per i loro fratelli, eccetto denari o pecunia, 4 e questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà.
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Approfondimenti
In quanto grazia, il lavoro deve essere svolto con fedeltà e con devozione. È fedele chi accoglie con fede e realizza con perseveranza il suo lavoro, che è grazia del Signore. La fedeltà implica impegno costante, svolto con rettitudine; ma non basta: al lavoro si deve devozione, perché è un servizio, che esige dedizione. È devoto chi rende quotidianamente al Signore anche il lavoro e la fatica delle proprie mani, riconoscendo che Dio e non l’uomo è autore di ogni bene. Il termine devozione, però, ha anche un altro significato nell’accezione corrente dell’epoca: è quell’atteggiamento interiore di fervido slancio che innalza l’animo e lo predispone alla contemplazione. Anche il lavoro, dunque, deve essere orientato all’elevazione spirituale: il supremo impegno dei frati è, e deve essere, quello di coltivare lo spirito della santa orazione e devozione, che non deve assolutamente essere estinto e soffocato da incombenze, le quali, se troppo coinvolgenti, rischiano di diventare fine a se stesse, spegnendo qualsiasi afflato e slancio spirituale. In questa prospettiva, nessun lavoro interno o esterno alla fraternità può sfuggire alle grandi motivazioni della vita evangelica e francescana: povertà, spirito di servizio, minorità, fedeltà umile e paziente, rendimento di grazie, sempre come conviene a servi di Dio.
Il lavoro, oltre che per guadagnarsi il pane con la propria fatica, serve anche ad allontanare l’ozio. Si sottolinea con forza che lo spirito della santa orazione e devozione deve prevalere su tutto: a esso devono servire tutte le altre cose temporali. Il Santo ammonisce i suoi frati perché il primato del Signore sia custodito, ovvero l’atteggiamento interiore di orante e devoto rapporto con Dio resti assolutamente prevalente.
Ma ci sono cose temporali che urgono come le cose necessarie al corpo: a queste, e strettamente a queste, deve essere finalizzata la ricompensa del lavoro. Chi riceve tale mercede è invitato alla condivisione con i fratelli. Rimane esclusa non solo la retribuzione in denaro, ma anche quella in beni di scambio: la pecunia. La ricompensa deve essere finalizzata direttamente ed esclusivamente alle necessarie sussistenze. È questo un preciso obbligo della povertà minoritica: come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà, che evangelicamente esclude qualsiasi forma di accumulo e di capitalizzazione; un obbligo assoluto che non ammette eccezioni. In un’epoca di passaggio progressivo dall’economia del baratto a quella del denaro, i frati devono ritornare a quella che possiamo chiamare “economia evangelica”: la libertà derivante dal non preoccuparsi per il domani e dalla cupidigia di accumulare tesori sulla terra.
L’accenno alla ricompensa lascia intuire che il lavoro si svolgesse, almeno in parte, presso terzi e che questo passo della Regola si riferisse ad attività pratiche non ancora “conventualizzate”. Di fatto, nei primi anni Venti i frati non dimoravano in maniera definitiva in sedi stabili ed esclusivamente a loro riservate. Ma questa situazione evolve velocemente verso la costituzione di comunità minoritiche con una propria sede stabile e riservata, con la conseguenza dell’emergere della tendenza all’abbandono del faticoso impegno quotidiano, è confermato dalle prescrizioni data da Francesco stesso nel suo Testamento: «Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà. E quelli che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio» (2Test 20-21: FF 119). Il frate deve lavorare con fedeltà verso il prossimo, con dedizione verso Dio, con modestia verso se stesso. Egli deve accedere alla mensa del Signore, il mondo, non per cupidigia della ricompensa, ma per manifestare lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, cui devono servire tutte le cose. Più chiaramente si potrebbe dire che, tra il necessario mendicato e quello acquistato con il lavoro, Francesco preferisce il primo, non quale sostentamento, ma per provocare il prossimo alla carità, chiedendo il pane per amore di Dio.
Tratto da: FRATI MINORI di Canepanova – Pavia ● Centenari francescani: la Regola bollata