REGOLA BOLLATA DI SAN FRANCESCO – 8

CAPITOLO VIII – DELLA ELEZIONE DEL MINISTRO GENERALE DI QUESTA FRATERNITÀ E DEL CAPITOLO DI PENTECOSTE

1 Tutti i frati siano tenuti ad avere sempre uno dei frati di quest’Ordine come ministro generale e servo di tutta la fraternità e a lui devono fermamente obbedire. 2 Alla sua morte, l’elezione del successore sia fatta dai ministri provinciali e dai custodi nel Capitolo di Pentecoste, al quale i ministri provinciali siano tenuti sempre ad intervenire, dovunque sarà stabilito dal ministro generale; 3 e questo, una volta ogni tre anni o entro un termine maggiore o minore, così come dal predetto ministro sarà ordinato. 4 E se talora ai ministri provinciali ed ai custodi all’unanimità sembrasse che detto ministro non fosse idoneo al servizio e alla comune utilità dei frati, i predetti frati ai quali è commessa l’elezione, siano tenuti, nel nome del Signore, ad eleggersi un altro come loro custode. 5 Dopo il Capitolo di Pentecoste, i singoli ministri e custodi possano, se vogliono e lo credono opportuno, convocare, nello stesso anno, nei loro territori, una volta i loro frati a capitolo.

=â—Ź=â—Ź=â—Ź=â—Ź=â—Ź=â—Ź=â—Ź=â—Ź=â—Ź=â—Ź=â—Ź=

Approfondimenti

Ciò che viene in primo luogo comandata è l’opportunità che i frati si diano un ministro generale e servo, al quale tutti dovranno sottostare in ferma obbedienza. Si passa poi a considerare il Capitolo generale, ma soltanto limitatamente al suo compito di provvedere ad eleggere il ministro generale alla sua morte; è in tale contesto che viene dichiarata l’opportunità dell’assemblea generale, costituita dai ministri provinciali e dai custodi, lasciando al ministro generale la facoltà di scegliere sia il luogo in cui convenire, sia la scansione temporale con cui dev’essere celebrato il Capitolo stesso: ogni tre anni, oppure, come gli sembrerà opportuno, a scadenza maggiore o minore. L’attenzione torna poi a focalizzarsi sulla figura del ministro generale, presentando la possibilità di destituirlo dal suo ufficio di governo nel caso in cui egli fosse valutato, da parte dei ministri provinciali e dai custodi, non sufficiente per adempiere in maniera adeguata il suo incarico. Il capitolo si conclude dando la facoltà ai singoli ministri e custodi di radunare i frati delle loro giurisdizioni dopo Pentecoste, successivamente alla conclusione del Capitolo generale, ogniqualvolta esso venga celebrato.

“Ministro e servo”, costituisce un’espressione nuova soltanto in parte; tuttavia l’aggiunta della parola “servo” a “ministro” accentua maggiormente l’inclinazione al servizio che dovrebbe connotare l’ufficio di questa figura di governo. Il frate ministro che è stato posto al di sopra di tutti gli altri, vive un servizio temporaneo a favore di tutta la Fraternità, caratterizzato da un atteggiamento di espropriazione radicale. Il ministro e servo generale, chiamato a vivere un legame di obbedienza nei confronti del papa, convoca l’assemblea capitolare generale e stabilisce sia il luogo che il tempo preciso in cui essa debba tenersi, al servizio e alla comune utilità dei frati. Non si possono evidenziare altri compiti connessi con l’autorità di governo del ministro e servo generale; altre facoltà sono di pertinenza dei ministri provinciali, così come si possono evidenziare alcune attenzioni concrete che i ministri debbono avere nei confronti dei frati: attenzioni che, probabilmente, accomunano i ministri sia generali che provinciali. Il Santo raccomanda loro di prendersi cura sollecita, così come sembrerà opportuno sulla base delle effettive necessità, dei frati ammalati; di visitare e ammonire i frati che sono loro sottomessi, eventualmente correggendoli con umiltà e carità, evitando di comandare qualcosa che sia contrario all’anima e alla Regola; di mostrarsi accoglienti e familiari nei confronti di quei frati che si recheranno presso di loro per esprimere la propria situazione di impossibilità nell’osservare la Regola secondo lo Spirito; di ammettere coloro che domandano di intraprendere questa vita; di imporre la penitenza con misericordia a quei frati che avranno fatto ricorso a loro al fine di ricevere il perdono dei peccati per i quali ciò è stato ordinato e se tuttavia non sono sacerdoti, la faranno imporre da parte di altri sacerdoti dell’Ordine; di concedere ai frati che riterranno idonei il permesso di andare tra i saraceni e tra gli altri infedeli.

Non una via facile, ma votata al dono di sé mediante l’obbedienza ad altri è quella che i frati debbono percorrere, soprattutto quando il contesto attuale bolla come poco convincente la strana necessità del sacrificio. La diffusa mentalità efficientista e tecnocratica pare conferire credibilità soltanto a ciò che immediatamente produce e sin da subito funziona. Laddove, invece, non vi sia la possibilità di una misurazione quasi immediata dei risultati ottenuti e, soprattutto, qualora siano richiesti un certo sforzo e la pazienza dell’attesa, spesso l’impresa viene troppo precipitosamente dichiarata inutile, se non addirittura fallimentare. Le possibilità vitali connesse con il “patire obbedienza”, in realtà, mostrano tutta la vitalità racchiusa nei percorsi di chi sa consegnarsi fiduciosamente all’altro. A questo proposito possiamo citare un passaggio della Lettera agli Ebrei, dove appare chiaro il legame stretto con l’esperienza del patire, da cui scaturisce il frutto dell’obbedienza: lo stesso Signore Gesù «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti quelli che gli obbediscono» (Eb 5,8-9). Il Figlio impara a dire il suo sì al Padre assumendo pienamente il rischio di un abbandono difficile, e tale adesione ricade a beneficio di salvezza su tutti coloro che sapranno adeguatamente reinterpretare nella loro esistenza questa obbedienza.

L’identità evocata dal nome di “Ministro generale” attribuito a colui che sta a capo dell’Ordine evidenzia come il ministro e servo generale debba fondamentalmente sapersi proporre quale espressione di una Fraternità di cui si pone a servizio. L’obbedienza richiesta anche da parte del ministro generale offre a lui stesso la possibilità di mettere in atto l’arte difficile e coraggiosa di interpretare le nuove domande che possono nascere anche presso i frati. A tal riguardo potrebbe essere opportuno chiedersi se il rischio di soggettivismo che si può manifestare in ragione delle iniziative dei singoli frati non possa verificarsi in misura inversamente proporzionale alla capacità del ministro di mantenersi autenticamente in ascolto.

Tratto da: FRATI MINORI di Canepanova – Pavia ● Centenari francescani: la Regola bollata


🔝 ● C A L E N D A R I O ● Homepage