REGOLA BOLLATA DI SAN FRANCESCO – 9

CAPITOLO IX – DEI PREDICATORI

1 I frati non predichino nella diocesi di alcun vescovo qualora dallo stesso vescovo sia stato loro proibito. 2 E nessun frate osi affatto predicare al popolo, se prima non sia stato esaminato ed approvato dal ministro generale di questa fraternità e non abbia ricevuto dal medesimo l’ufficio della predicazione. 3 Ammonisco anche ed esorto gli stessi frati che, nella loro predicazione, le loro parole siano ponderate e caste, a utilità e a edificazione del popolo, annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso, poiché il Signore sulla terra parlò con parole brevi.

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Approfondimenti

Il capitolo IX relativo alla predicazione trasmette e regola uno degli aspetti costitutivi del primo gruppo raccolto attorno a frate Francesco, in un contesto mutato e rapidamente evolutosi negli anni dal 1221 al 1223: l’esperienza dell’esortazione rivolta a tutti, tematizzata nel capitolo XVII della Regola non bollata, è diventato un testo asciutto e ben preciso nelle indicazioni giuridiche, nella modalità della predicazione accogliendo le emergenti esperienze pastorali in merito. Un capitolo sulla predicazione costituisce, inoltre, una novità nel quadro delle Regole del tempo e può parzialmente collegarsi al capitolo XII della Regola bollata per quanti vanno tra i saraceni e gli infedeli, nel momento in cui, «quando vedranno che piace a Dio, annunzino la parola di Dio» (Rnb XVI, 7: FF 43).

Il testo si articola semplicemente in quattro versetti: i primi due con espressioni al negativo, di derivazione giuridica; i secondi due con espressioni esortative, in uno stile in cui è rintracciabile ancora il tocco di Francesco, non solo dei due verbi espressi in prima persona, ma anche nella successione incalzante dei termini.

Il divieto con cui si apre il capitolo accoglie quanto era stato formulato nella costituzione terza e decima del Concilio Lateranense IV, deciso a intervenire sulla cattolicità dei predicatori con un vigilante controllo da parte dei vescovi, ai quali, per primi, spettava il compito della predicazione, direttamente esercitato o delegandolo a persone di sicura fede ortodossa, affinché fosse annunciata la parola e l’esemplarità della vita. Sembra quasi crearsi uno sdoppiamento tra una parola riservata ai predicatori e un’esemplarità predicata con la propria testimonianza possibile da parte di tutti i frati. La predicazione non è più solo un’esortazione che poteva essere affidata a tutti, ma un ufficio di cui si è investiti dalla competente autorità, necessitando abilità specifiche.

Il secondo divieto di questo capitolo riguarda il permesso che i predicatori devono avere da parte del ministro e servo di tutta la fraternità. Il capitolo IX si apre dunque con due norme tassative che dicono della rapida evoluzione che c’è stata nel passaggio dalla esortazione alla predicazione sottoposta al controllo episcopale per evitare ogni pericolo ereticale e affidata, secondo le disposizioni lateranensi, alla categoria specializzata dei predicatori e non più a tutti i frati, che possono comunque esortare con parole alla conversione testimoniandola con la propria esemplarità.

Nei due versetti che aprono la seconda sezione del capitolo IX, appare esplicita la presenza del Santo con i due verbi coniugati in prima persona, oscillanti tra il negativo – ammonisco – e il positivo – esorto –, segno del suo intervento diretto nell’elaborazione della Regola bollata, frutto della collaborazione dei ministri e del cardinale Ugolino. Un primo dittico si rivolge esplicitamente ai frati impegnati nella predicazione, articolato nella qualità delle parole: esaminate e caste. La Regola esorta i predicatori ad annunciare solo “le santissime parole divine” (2Test 13: FF 115), che prima di essere proposte, devono riscaldarsi interiormente perché non siano fredde (2Cel 163: FF 747); parole provate al fuoco della passione, liberate da una sapienza carnale che si riempie di se stessa (Am VII: FF 156), e che diventa casta perché purificata dallo Spirito, così come Francesco definiva casta la cenere perché purificata dal fuoco (3Comp 15: FF 1414).

Un secondo dittico – utilità ed edificazione – specifica la finalità della predicazione rivolta al popolo. Il termine utilità si riferisce alla recezione della parola nell’esperienza personale dell’uditore che l’accoglie; un ascolto personale, capace di ampliarsi e di generare l’edificazione dell’intero popolo cristiano. Riscontriamo il tema evangelico dell’edificare la propria fede sulla roccia che è Cristo (Mt 7,24-27), con rimandi alla letteratura paolina laddove si parla di cristiani edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, con Cristo pietra angolare (Ef 2,20). Un’unità con funzioni differenziate, ma con lo scopo di edificare il corpo di Cristo (Ef 4,20). Il dono che ognuno può avere si colloca in una gerarchia di carismi in vista della comune utilità ed edificazione di tutta la comunità cristiana (1Cor 14,1-5), evitando parole cattive, “ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano” (Ef 4,29).

I frati predicatori devono rivolgere ai fedeli un annuncio di tipo kerigmatico, con un forte appello alla conversione, che interpella il vissuto cristiano in vista di scelte decisive. Ad essere annunciati sono i vizi e le virtù, la pena e la gloria: quattro elementi in doppia coppia antitetica, che offrono uno spazio ben preciso della predicazione: due virtù morali – vizi e virtù –, in una prospettiva escatologica – pena e gloria –, dove il primo binomio antitetico è in connessione con il secondo binomio, altrettanto opposto. Sono tematiche classiche della predicazione medievale, con abbondanza di riferimenti patristici, ripresi nell’omiletica, e con significativi apporti derivanti dalle cerchie parigine a cui contribuì lo stesso Innocenzo III e il successore Onorio III. Il tema è caro a frate Francesco, lo riprende altrove nei suoi Scritti (Am XXVII: FF 177; Salvir: FF 256-258): la freschezza che il Santo apporta non sta tanto nella novità del tema che è ricorrente, quanto nella sua rielaborazione teologica-spirituale. È, infine, un annuncio kerigmatico da farsi nella essenzialità delle parole, senza disperderne o consumarne se non necessarie.

Tratto da: FRATI MINORI di Canepanova – Pavia ● Centenari francescani: la Regola bollata


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