REGOLA DI SAN BENEDETTO – 19
Capitolo XIX – La partecipazione interiore all’ufficio divino
1 Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che «gli occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi», 2 ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo parte all’Ufficio divino. 3** Perciò ricordiamoci sempre di quello che dice il profeta: «Servite il Signore nel timore» 4** e ancora: «Lodatelo degnamente» 5 e ancora: «Ti canterò alla presenza degli angeli». 6 Consideriamo dunque come bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli 7 e partecipiamo alla salmodia in modo tale che l’intima disposizione dell’animo si armonizzi con la nostra voce.
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Approfondimenti
La sezione liturgica di SB si chiude con due brevi capitoli di contenuto diverso dai precedenti. RB 8-18 ha un aspetto – possiamo dire – più tecnico: si tratta di organizzare i vari uffici, precisarne le rubriche ecc...; RB 19-20 ha un aspetto più spirituale, precisa sopratutto le disposizioni interiori della preghiera.
I due capitoli: “Modo di celebrare il divino Ufficio” (RB 19) e “Riverenza nella preghiera” (RB 20) sono strettamente collegati, perché salmodia e orazione silenziosa non sono altro che due aspetti di una medesima realtà, due momenti dell'aspirazione dell'anima verso Dio. La distinzione netta e rigorosa tra orazione comunitaria e orazione privata, tra orazione mentale e orazione vocale è una cosa relativamente moderna. Il problema della relazione tra liturgia e contemplazione non si poneva affatto per la mentalità degli antichi cristiani. Per gli antichi monaci, come per tutti i cristiani, non esisteva che una sola orazione, camminando o lavorando, nei campi o in monastero: colloquio personale con il Signore, colloquio fondamentalmente basato e mantenuto nella Scrittura e attraverso la Scrittura. Quindi tutto l'ordinamento scrupoloso sull'Ufficio divino di RB 8-18 non deve trarre in inganno, quasi si vogliano escludere altre forme di orazione, quella che oggi siamo soliti chiamare personale o privata. Non è così:
- primo, perché – come abbiamo visto – l'orazione segreta e interna costituiva una parte dell'Ufficio divino da intercalarsi, secondo l'uso monastico, alla recita dei salmi (orazione silenziosa dopo ogni salmo);
- secondo, perché secondo la RB si chiama orazione tanto l'Ufficio divino, quanto l'orazione privata dentro o fuori del medesimo Ufficio; ambedue, così, non sono che due aspetti di una medesima realtà;
- terzo, perché per SB, come per tutto il monachesimo primitivo, tutta la vita del monaco senza eccezione era, alla fine dei conti, “Opus Dei” (Opera di Dio). Tutta la vita del monaco era concepita come strettamente legata alla sua preghiera.
I capitoli 19-20 della RB dipendono da RM 47-48 che presuppongono una fonte comune che non è facile determinare, con evidenti allusioni a Cassiano (Coll 23,6; Inst 2,10).
1-5: Citazioni scritturistiche Il c.19, in cui si dice al monaco quale atteggiamento interiore deve avere durante la celebrazione dell'Ufficio divino, è pieno del concetto della memoria Dei (ricordo di Dio). La prima citazione, da Prv 15,3, l'abbiamo già incontrata in RB 7,26 nel primo gradino dell'umiltà che qui viene in pratica richiamato: è la coscienza permanente della presenza di Dio, l'atteggiamento radicale di fede in cui Dio è continuamente presente alla sua creatura. Ebbene, questa “memoria Dei” non deve abbandonare un istante il monaco sopratutto quando compie l'Opera di Dio per eccellenza, la preghiera comunitaria. Seguono tre citazioni dai salmi, frasi che tante volte ripetiamo all'Ufficio divino.
La prima, (v. 3 – Sal 2,11) inculca il “timore di Dio”, è il rispetto profondissimo, unico, che costituisce il fondo di tutto l'atteggiamento religioso, che qui SB applica allo speciale servizio d'onore prestato a Dio nella lode pubblica.
La seconda citazione (v. 4 – Sal 46,8) si riferisce alla “sapientia” con cui si deve salmodiare. “Psallite sapienter – cantate inni con arte”: che cosa significa precisamente? Scienza, abilità, arte, perfezione, accuratezza, precisione, attenzione? È difficile precisarlo. Tutte queste cose insieme. Comunque, non c'è dubbio che “sapienter” si riferisce anzitutto alle disposizioni spirituali dei monaci che celebrano l'Ufficio; non si tratta qui di rubriche o di cerimoniale (che pure hanno la loro importanza), qui si parla della disciplina dell'“uomo interiore”.
La terza citazione (v. 5 – Sal 137,1) ci trasferisce in una prospettiva molto ampia. Qui c'è tutta la tradizione monastica sugli angeli e sulla relazione tra vita monastica e vita angelica, in ultima analisi tutta la prospettiva escatologica della vita monastica (e della vita cristiana in quanto tale). La RB vuol dire probabilmente che l'Ufficio divino dei monaci non è solo anticipazione della liturgia celeste, ma anche una partecipazione del culto che gli angeli tributano a Dio. SB, cioè, sente vivamente l'unione del cielo con la terra durante la celebrazione dell'Ufficio divino. Inoltre per lui l'Opus Dei non è soltanto imitare ciò che gli angeli fanno in cielo; ma questi si rendono realmente presenti nella liturgia monastica e i monaci realizzano il servizio divino anche alla loro presenza, come dice espressamente il v.6.
6-9: Conclusione Dopo le citazioni della S. Scrittura, SB tira le conclusioni: “Ergo – dunque...“, e riassume tutta la spiritualità dell'Ufficio divino con una brevissima ma scultorea frase: Mens nostra concordet voci nostrae (il nostro spirito concordi con la nostra voce). SB ha presente l'insegnamento dei Padri; si veda sopratutto S. Agostino: “Quando pregate il Signore con salmi e inni, si volga nel cuore ciò che si esprime con le parole” (Epistola 211,7); o quest'altro bellissimo brano: “Se il salmo prega, pregate; se sospira, sospirate; se gioisce, gioite; se spera, sperate; se teme, temete” (Commento ai salmi, II sul salmo 30, discorso 3). La RM espone con molta prolissità la stessa idea (RM 47,9-20), La brevissima frase di SB è ancora più efficace.
Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.