REGOLA DI SAN BENEDETTO – 25

Capitolo XXV – Le colpe più gravi

1 Il monaco colpevole di mancanze più gravi sia invece sospeso oltre che dalla mensa anche dal coro. 2 Nessuno lo avvicini per fargli compagnia o parlare di qualsiasi cosa. 3 Attenda da solo al lavoro che gli sarà assegnato e rimanga nel lutto della penitenza, consapevole della terribile sentenza dell’apostolo che dice: 4 «Costui è stato consegnato alla morte della carne, perché la sua anima sia salva nel giorno del Signore». 5 Prenda il suo cibo da solo nella quantità e nell’ora che l’abate giudicherà più conveniente per lui; 6 non sia benedetto da chi lo incontra e non si benedica neppure il cibo che gli viene dato.

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Approfondimenti

La scomunica maggiore per le colpe più gravi La posizione del monaco colpito dalla scomunica maggiore impressiona veramente: il colpevole di colpe gravi è condannato al più completo isolamento, tanto più brutto in quanto si tratta soprattutto di isolamento morale: sta in comunità ma nessuno gli parla (v. 2); lavora da solo (v. 3); nessuno lo benedice nell'incontrarlo né viene benedetto il suo cibo (v. 6); deve “perseverare nel pianto della penitenza riflettendo sulle terribili parole di S. Paolo” (v. 3) che applicherà a se stesso. Il versetto di 1Cor 5,5 si riferisce al famoso incestuoso di Corinto di cui S.Paolo dice: “Sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne”, cioè separato dal regno di Cristo che è la Chiesa, sicchè ricada nel regno di Satana dove sarà esposto senza difesa spirituale al suo potere ostile, anche ai tormenti del corpo che Satana gli potrebbe procurare. SB dipende qui da Cassiano (Inst. 2,16), ma intenzionalmente ha soppresso la parola “Satana”, non solo per mitigare l'espressione, ma per dichiarare che il fratello viene abbandonato non a Satana ma alle sue pene afflittive del corpo e di tutte le passioni, purchè si salvi lo spirito. Comunque, anche ammettendo con alcuni codici la presenza della parola “Satana”, non pare si possa interpretare questa scomunica nel senso di una censura ecclesiastica, cioè esclusione dal corpo della Chiesa, ma solo “scomunica regolare”, cioè separazione della comunità monastica.

Per chi comprende bene il profondo senso della vita in comune, tale pena era veramente terribile: il monaco nelle condizioni descritte in questo capitolo, per poco sensibile che fosse, era veramente distrutto. In confronto a tale isolamento, l'eventuale restrizione del cibo (v.m5) appare ben poca cosa.

È chiaro che il fine, come in S. Paolo, è medicinale: la correzione e la salvezza del reo. Infatti poco dopo (c. 27) SB ricorderà la sollecitudine particolare dell'abate verso questi fratelli colpevoli e dalla vita sappiamo che, appena si fosse riconosciuto umilmente l'errore, egli era pronto a perdonare (cf. II Dial. 12).

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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