REGOLA DI SAN BENEDETTO – 3
Capitolo III – La consultazione della comunità
Convocazione di tutta la comunità per le questioni importanti 1 Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. 2 Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno. 3 Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore.
Comportamento dei monaci e dell'abate nel consiglio 4 I monaci poi esprimano il loro parere con tutta umiltà e sottomissione, senza pretendere di imporre a ogni costo le loro vedute; 5 comunque la decisione spetta all’abate e, una volta che questi avrà stabilito ciò che è più conveniente, tutti dovranno obbedirgli. 6 D’altra parte, come è doveroso che i discepoli obbediscano al maestro, così è bene che anche lui predisponga tutto con prudenza ed equità.
Autorità della Regola 7 Dunque in ogni cosa tutti seguano come maestra la Regola e nessuno osi allontanarsene. 8 Nessun membro della comunità segua la volontà propria, 9 né si azzardi a contestare sfacciatamente con l’abate, dentro o fuori del monastero. 10 Chi si permette un simile contegno, sia sottoposto alle punizioni previste dalla Regola. 11 L’abate però dal canto suo operi tutto col timor di Dio e secondo le prescrizioni della Regola, ben sapendo che di tutte le sue decisioni dovrà certamente rendere conto a Dio, giustissimo giudice.
Consiglio degli anziani per le questioni di minore importanza 12 Se poi in monastero si devono trattare questioni di minore importanza, si serva solo del consiglio dei più anziani, 13 come sta scritto: «Fa’ tutto col consiglio e dopo non avrai a pentirtene».
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Approfondimenti
Questo capitolo finisce di determinare la costituzione organica della comunità, stabilendo il ruolo che spetta a ciascun membro nel governo del monastero. Nella RM è un tutt'uno col capitolo 2 sull'abate e difatti è strettamente collegato con esso. Tuttavia SB se ne distacca e ne fa un capitolo a sé in cui, pur dipendendo dalla RM, notiamo una sua originalità. Possiamo ricordare brevemente i precedenti storici del consiglio degli anziani nella tradizione monastica: le assemblee degli anacoreti di Scete; nelle “Vite” copte di S. Pacomio, si racconta che il superiore generale riuniva i “grandi” o “anziani” della “koinonia”; le Regole di S. Basilio presentano un parallelo perfetto con le disposizioni della RB. Tuttavia in questi passi si tratta sempre di un consiglio ridotto scelto, composto di uomini “capaci di giudicare” e sembra che essi non si limitano ad esporre il loro parere, ma danno un voto abbastanza decisivo. In SB c'è una impostazione diversa del cenobio e quindi dei rapporti tra abate e comunità.
1-3: Convocazione di tutta la comunità (per cose di maggiore importanza). Quando si tratta di affari di grande importanza, deve essere convocata tutta la comunità. Si tratta proprio di un consiglio generale. Esso ha le seguenti caratteristiche:
- lo convoca l'abate,
- espone il problema lo stesso abate,
- l'abate infine, udito il parere di tutti, riflette sulla cosa e decide quanto ritiene opportuno.
Si tratta perciò di un consiglio puramente consultivo. Quindi la convocazione dei fratelli a consiglio non significa una restrizione dei poteri abbaziali o un voler dare una forma “democratica” alla direzione del monastero. Per SB l'autorità dell'abate è intangibile e non ammette opposizione alcuna. Tutto questo appare chiaro e senza alcun dubbio dal testo della RB: l'abate non perde assolutamente nulla della sua autorità. Bisogna pure notare, però, che queste riunioni non possono fare a meno di stimolare l'interesse di tutti per l'andamento del monastero: sono una vera partecipazione al governo del cenobio, anche se la decisione rimane dell'abate. I monaci cessano di essere dei minorenni a cui si presenta tutto già stabilito e definitivo; sono persone adulte che pensano con la loro testa, hanno idee e convinzioni proprie che l'autorità deve soppesare e apprezzare. Si instaura così un dialogo generale in cui i monaci si manifestano, si conoscono, formano realmente una comunità. Quindi questa disposizione di Benedetto di convocare tutti senza eccezione ha un'importanza decisiva per l'instaurazione di autentiche relazioni tra monaci e monaci, e tra monaci e abate, per la formazione di quello spirito di famiglia, caratteristico dei cenobi benedettini. Il motivo ultimo di questa determinazione è spirituale. SB non si rifà a una legge esteriore, come sembra fare la RM (nella RM il consiglio si riferisce solo ai beni materiali e si basa sul principio della proprietà corporativa: “le sostanze del monastero sono di tutti e di nessuno” (RM 2,48); ma ad una profonda convinzione basata sulla fede: “spesso è al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore” (v.3). SB qui allude certamente al passo di Mt 11,25: “... hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” e pensa a Samuele e a Daniele che giudicarono gli anziani (cf 1Sam 3 e Dan 13), come dirà espressamente in un altro capitolo (RB 63,6). Principio spirituale quindi, ma anche – a pensarci bene – molto umano e psicologico; si tratta di sapere ciò che chiede il Signore a una comunità in una data situazione e il Signore lo può rivelare a uno dei membri meno qualificati (principio spirituale); ma SB sa pure che i monaci giovani in genere hanno maggiore entusiasmo e generosità e sono liberi da pregiudizi e da interessi personali (principio umano).
4-6: Comportamento dei monaci e dell'abate Seguono alcune norme pratiche sulla maniera di manifestare il proprio parere: è il galateo monastico delle riunioni di famiglia. Se SB vuole che l'abate consulti i fratelli, ciò non dispensa questi ultimi dai doveri di umiltà e di rispetto; essi sono chiamati ad esporre il proprio parere e non a farlo prevalere a tutti i costi; quindi sottomissione, umiltà, obbedienza a ciò che l'abate decide alla fine. Troviamo espressioni che richiamano l'atteggiamento da tenersi nell'ufficio divino (RB 20,1) e che si rifanno al vocabolario dell'obbedienza; quella dell'obbedienza e della sottomissione è in ogni circostanza la strada maestra per i monaci che hanno scelto di “militare sotto la Regola e un abate” (RB 1,2). Ci si potrebbe chiedere: la RB proibisce di “sostenere ostinatamente” il proprio parere; ma se uno insiste sulla sua idea senza petulanza, con calma e semplicità, è lecito o no secondo SB? È impossibile rispondere con sicurezza! Senza dubbio, l'abate deve tener conto dei consigli che gli si danno; la convocazione dei fratelli non può ridursi a una pura commedia; certo, la decisione ultima spetta a lui, ma questa non può essere dettata da arbitrarietà; SB chiede che egli penda dalla parte più conveniente, più opportuna (v.5) e aggiunge, in una frase solenne, che “se è doveroso per i discepoli obbedire, altrettanto doveroso è per il maestro decidere con prudenza e giustizia” (v.6). Abbiamo perciò una botta di qua e una di là, come appare molto di più nel brano seguente.
7-11: Autorità della Regola Si enuncia ora un principio assoluto e di portata generale: “In ogni cosa tutti seguano la Regola come maestra e nessuno ardisca temerariamente allontanarsene” (v.7). Qual'è il significato esatto di un principio così categorico? Che esso valga sia per i monaci che per l'abate è indiscutibile. Perciò – ci si domanda – allontanarsi talvolta dal contenuto letterale o anche dal senso della Regola implica necessariamente temerarietà e bisogna quindi evitarlo ad ogni costo? O non piuttosto a volte si può – e talvolta si deve – date le circostanze, prescindere dai precetti della Regola? In tutti i modi, sembra certo che questa frase, grave e maestosa, più che per i monaci (anche per loro, certamente) è scritta per porre rimedio ad eventuali capricci dell'abate, il quale con ogni probabilità va considerato incluso in quel “nessuno” del versetto seguente: “nessuno in monastero segua i capricci del proprio cuore” (v.8). In compenso, segue nei vv.9-10 una frase per salvaguardare l'autorità dell'abate: non discutere insolentemente o altercare sfacciatamente con lui (ma naturalmente in riunione con umiltà e delicatezza si può contraddirlo). Poi (v.11) di nuovo un richiamo per l'abate. Come si vede, è quasi un tira e molla tra i due poli del cenobio: comunità e abate. I correttivi dell'autorità abbaziale sono dunque due: il timore del giudizio divino (rendiconto a Dio, cf. RB 2 e RB 64 più di una volta) e la Regola cui anche lui deve sottomettersi.
12-13: Consiglio degli anziani (per cose di minore importanza) Quando si tratta di minora – “affari di minore importanza, contrapposto a “praecipua” del v.1), l'abate si limita a consultare gli anziani. Per “anziani” non si intende una categoria sociale (cioè in rapporto all'età, anche se essa poteva avere una certa importanza), ma una categoria spirituale; nella RB se ne parla come di coloro che, essendo più maturi spiritualmente, più formati nella vita monastica, disimpegnano i vari uffici: decani, maestro dei novizi, portinai...; SB conclude con una citazione esplicita della Scrittura (l'unica del capitolo) che in realtà è composta di due citazioni: Prov 31,3 e Sir 32,34 (ricordiamo l'uso libero che SB fa della Bibbia come uno che ne ha grande familiarità e cita a memoria): “Fa ogni cosa con il consiglio...”, un principio di saggezza umana corroborata dalla Parola di Dio; così il “padre del monastero” utilizza la prudenza e l'esperienza dei fratelli prima di prendere una decisione, in modo che tutti collaborino alla ricerca della volontà di Dio, che è l'unica cosa che importa.
Conclusione In questo capitolo terzo SB riconosce che l'abate ha – come diremmo oggi – un carisma particolare come superiore; ma questo carisma non può essere visto al di fuori del contesto di una comunità viva e di una Regola. In SB notiamo l'insistenza tra diritti e doveri dell'abate (abbiamo visto quasi un tira e molla): non vuole assolutamente limitare il potere dell'abate, che anzi appare nel capitolo piuttosto rinforzato; quanto ai doveri, li propone con una forza nuova; non consistono solo (come per RM) nell'ascoltare tutti, ma l'abate è invitato a “disporre ogni cosa con prudenza e giustizia” (v.6), ad “agire sempre con timor di Dio e rispetto della Regola” (v.11), pensando al giudizio divino. Queste raccomandazioni denotano un senso nuovo della fallibilità del superiore. SB cerca di equilibrare e sintetizzare questi tre elementi”
- il carisma abbaziale di guida e maestro;
- il dono del discernimento che ha la comunità;
- la sapienza accumulata dalla tradizione e codificata nella Regola.
Tutti sono sotto la Regola. Questo è un punto importante: tutti, abate e monaci, sono sotto la Regola; per SB essa è norma suprema. Senza dubbio il ricorso alla Regola è in relazione alle difficoltà del momento; però c'è un elemento permanente: in tutti i tempi, e sopratutto in periodi di rilassamento, la comunità e l'abate non possono avere salvaguardia che il rispetto religioso di una Regola intangibile; un abate non è niente senza una Regola. Per SB il consiglio dei fratelli è consultivo. Pur conservando questo spirito della costituzione benedettina del monastero, la Chiesa è intervenuta nel corso dei secoli per eliminare o prevenire abusi e ha limitato in qualche punto e in certe circostanze i poteri abbaziali; così pure per determinati casi ha imposto e reso deliberativo il voto dei monaci. Oggi il Codice di Diritto Canonico e le Costituzioni delle singole Congregazioni fissano delle norme precise per il capitolo di famiglia.
Tratto da:APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.