REGOLA DI SAN BENEDETTO – 36

Capitolo XXXVI – I fratelli infermi

1 L’assistenza agli infermi deve avere la precedenza e la superiorità su tutto, in modo che essi siano serviti veramente come Cristo in persona, 2 il quale ha detto di sé: «Sono stato malato e mi avete visitato», 3 e: «Quello che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me». 4 I malati però riflettano, a loro volta, che sono serviti per amore di Dio e non opprimano con eccessive pretese i fratelli che li assistono, 5 ma comunque bisogna sopportarli con grande pazienza, poiché per mezzo loro si acquista un merito più grande. 6 Quindi l’abate vigili con la massima attenzione perché non siano trascurati sotto alcun riguardo. 7 Per i monaci ammalati ci sia un locale apposito e un infermiere timorato di Dio, diligente e premuroso. 8 Si conceda loro l’uso dei bagni, tutte le volte che ciò si renderà necessario a scopo terapeutico; ai sani, invece, e specialmente ai più giovani venga consentito più raramente. 9 I malati più deboli avranno anche il permesso di mangiare carne per potersi rimettere in forze; però, appena ristabiliti, si astengano tutti dalla carne come al solito. 10 Ma la più grande preoccupazione dell’abate deve essere che gli infermi non siano trascurati dal cellerario e dai fratelli che li assistono, perché tutte le negligenze commesse dai suoi discepoli ricadono su di lui.

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Approfondimenti

I capitoli RB 36 e 37 sarebbero dovuti venire dopo il 41, perché prevedono deroghe alla legge dei digiuni; e inoltre separano due capitoli (il 35 e il 38) che dovrebbero essere uniti. RB ha anticipato perché in essi ci sono temi affini a quelli del c. 35: il servizio, la ricompensa, la fuga della tristezza; c'è la solita preoccupazione per la cura soggettiva e per il servizio vicendevole tra i fratelli.

1-6: Principi generali per la cura degli infermi Il capitolo si apre con due solenni principi fondati su due frasi del Signore: bisogna aver cura dei malati prima di tutto e soprattutto – espressione assoluta ed energica – e servire a loro come a Cristo in persona (v. 1); seguono le due citazioni di Mt 25,36 e 40. I monaci opereranno di conseguenza, ma SB aggiunge una frase, grave, ma pacata, anche per gli infermi a non essere petulanti e troppo pretenziosi o addirittura capricciosi. Comunque, anche ammesso che i fratelli malati diventino così strani – come può succedere a causa del male – gli altri devono sopportarli in ogni caso. La prima parte del capitolo si chiude con una ammonizione categorica all'abate affinché si prenda “somma cura” degli infermi (v. 6).

7-10: Disposizioni pratiche per i malati SB scende ad alcuni particolari concreti e stabilisce:

  1. che nel monastero ci sia una infermeria affidata a un infermiere “timorato di Dio, diligente e premuroso” (v. 7);
  2. l'uso dei bagni ai malati ogni volta che è necessario (v. 8);
  3. che si permetta di mangiare carne, anche se soltanto a quelli molto deboli (v. 9).

Tanto l'uso dei bagni che il mangiare carne sono una concessione: costituivano infatti un'eccezione allo stato di monaci.

L'uso dei bagni Fin dalle origini del monachesimo, notiamo una esplicita avversione per l'uso dei bagni. Non dobbiamo dimenticare che per gli antichi, i bagni, più che una pratica igienica, erano un passatempo, un lusso e un piacere (ricordiamo le terme dei romani). Per mortificarsi e per non cadere nella sensualità, i monaci esclusero per principio i bagni dal loro genere di vita, riservandoli solo ai malati. La tradizione cenobitica è unanime (Vita di Antonio, Pacomio, Agostino, Reg. Masch., Cesario, Fulgenzio, Leandro, Isidoro); un'unica eccezione, la Regola femminile di Agostino (Epist. 211,13) che concede alle monache il bagno una volta al mese. SB si trova su questa linea e autorizza il bagno a tutti, anche se “più di rado, soprattutto ai giovani” (v. 8). Non possiamo stabilire la frequenza di questi bagni per i sani, ma certo, considerando il tempo e l'ambiente, SB è eccezionalmente liberale, quasi rivoluzionario.

L'uso delle carni Per lo stesso motivo che dai bagni, i monaci si astenevano dalle carni (perché i bagni e le carni riscaldano il corpo e solleticano la sensualità: “il bagno scalda la carne, il digiuno la raffredda”, scrive S. Girolamo). Anche su questo punto SB si mostra molto liberale verso gli infermi. Il brano, considerando soprattutto il parallelo con RB. 39,11, si deve interpretare nel senso della proibizione assoluta solo per le “carni dei quadrupedi”, cioè non riguarda il pollame e i pesci. La distinzione tra carne di quadrupedi e carne di uccelli era già antica nella dietetica monastica: la seconda si considerava più leggera, e quindi meno pericolosa per la virtù; si equiparava praticamente ai pesci, ricordando la Scrittura secondo cui pesci e uccelli furono creati insieme (Gen 1,20-21). Il capitolo termina inculcando di nuovo all'abate la “massima cura” che si deve avere per gli infermi, vigilando anche perché gli incaricati adempiano bene il loro dovere, secondo il principio generale che sul maestro ricade la responsabilità ultima di tutto (v. 10).

Conclusione Il c. 36 sui malati è uno dei meglio riusciti della RB, sotto l'aspetto letterario e contenutistico. Molti esempi ci sono nella legislazione monastica della sollecitudine per i malati, però nessuna Regola riunisce in così mirabile sintesi il trattato sugli infermi come RB, che elimina anche ogni nota negativa rispetto ai fratelli malati (RM prevede soprattutto il caso delle... finzioni e non parla né di infermeria, né di infermieri). Questo trattato mostra in modo chiaro che RB nella sua brevità possiede delle istituzioni più evolute di quelle di RM. E siamo portati a pensare che questo sviluppo istituzionale e spirituale sia il riflesso di una conoscenza più ampia della letteratura cenobitica anteriore e contemporanea.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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