REGOLA DI SAN BENEDETTO – 37
Capitolo XXXVII – I vecchi e i ragazzi
1 Benché la stessa natura umana sia portata alla compassione per queste due età, dei vecchi, cioè, e dei ragazzi, bisogna che se ne interessi anche l’autorità della Regola. 2 Si tenga sempre conto della loro fragilità e, per quanto riguarda i cibi, non siano affatto obbligati all’austerità della Regola, 3 Ma, con amorevole indulgenza, si conceda loro un anticipo sulle ore fissate per i pasti.
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Approfondimenti
È evidente la connessione col capitolo precedente: i vecchi e i fanciulli, per la debolezza insita nella loro stessa età, sono da avvicinarsi molto ai malati. SB ricorda un principio generale, cioè la naturale tendenza dell'uomo a compatire i vecchi e i fanciulli. Però vuole che intervenga anche l'autorità della Regola perché – l'esperienza glielo avrà insegnato – in una comunità monastica ci può essere sempre chi vede di malanimo le eccezioni e certi temperamenti rigidi vogliono che la Regola si applichi fedelmente e scrupolosamente in tutto e a tutti. SB con la sua grande discrezione e la considerazione della soggettività, vuole che si tenga conto sempre dei più deboli e si usi un'affettuosa condiscendenza (v. 3).
SB fà poi una sola applicazione pratica riguardo al vitto: anticipino le ore stabilite per il pasto comune. Per i vecchi e i fanciulli sarebbe stato troppo grave sostenere il digiuno fino al tardo pomeriggio o rifocillarsi con un forte pasto verso sera o anche solo aspettare fino a mezzogiorno (ricordiamo che non esisteva la colazione). SB si ispira a S. Girolamo (Epist. 22,35) ed è molto largo nell'eccezione concessa, senza scendere in particolari (RM 28.19-26 fissa l'età e limita le eccezioni); rimane volutamente poco esplicito, confidando nella discrezione di coloro che guidano la comunità monastica, in cui ci sono sempre anime “forti” e anime “deboli”, come infermi, vecchi e fanciulli.
Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.