REGOLA DI SAN BENEDETTO – 50
Capitolo L – I monaci che lavorano lontano o sono in viaggio
1 I fratelli, che lavorano molto lontano e non possono essere presenti in coro nell’ora fissata per l’Ufficio divino, 2 se l’impossibilità in cui si trovano è stata effettivamente accettata dall’abate, 3 recitino pure l’Ufficio divino sul posto di lavoro, mettendosi in ginocchio per la reverenza dovuta a Dio. 4 Così pure quelli, che sono mandati in viaggio, non lascino passare le ore stabilite per l’Ufficio, ma lo recitino come meglio possono e non trascurino l’adempimento del dovere inerente al loro sacro servizio.
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Approfondimenti
La veritas horarum delle celebrazioni liturgiche L'Ufficio divino si celebrava normalmente nell'oratorio e alle ore stabilite, aderendo al senso storico e mistico che ogni ora possiede (quello che dopo la riforma liturgica si chiama la “verità delle ore liturgiche”). Ora, poteva succedere a volte – o forse con frequenza – che alcuni monaci non potevano per lontananza trovarsi in coro tutte le volte che la comunità si radunava.
1-3: I fratelli che lavorano lontano Il primo caso che la RB contempla è quello del lavoro. È vero che SB vuole che abitualmente i lavori dei monaci si svolgano dentro la cinta del monastero (RB 66,6-7), ma a volte per vari motivi – sopratutto si pensi al lavoro dei campi – si poteva essere abbastanza distanti per accorrere alle varie Ore canoniche. Secondo la RM bastavano 50 passi di distanza per essere dispensati dall'andare in coro (RM 55,2), il che pare un po' ridicolo. SB lascia all'abate di giudicare se i monaci possono o no venire in coro. In caso negativo, questi “celebrino l'Opera di Dio dove lavorano, inginocchiandosi con santo timore” (v. 3). Che cosa significa quest'ultima frase? Vuole forse dire che il fatto di celebrare l'Ufficio fuori dell'oratorio non dispensa dal prostrarsi per l'orazione silenziosa che c'era dopo il canto di ogni salmo? Il luogo parallelo della RM 55,4 potrebbe far propendere per tale interpretazione. Oppure significa semplicemente di seguire le stesse rubriche che si seguono in coro; o ancora un avvertimento ai monaci di non prendersela alla leggera e alla sbrigativa, ma fare tutto con precisione e riverenza? Notiamo che SB dà per scontato che ogni monaco – non esisteva la distinzione tra chierico e non-chierico, tra professo semplice e professo solenne – ha l'obbligo dell'Ufficio divino.
4: I monaci in viaggio Il secondo caso di assenza riguarda i fratelli in viaggio. Per questi SB dimostra un'assennata mitigazione e riserva: quando si viaggia, non sempre le circostanze permettono di seguire il completo cerimoniale o il perfetto orario; perciò i fratelli facciano come meglio possono. Nell'ultima frase c'è l'espressione servitutis pensum (debito del loro servizio, v 4.) per indicare la preghiera liturgica; in RB 49,5 la stessa espressione indica le varie osservanze del monaco. È la stessa idea di tutta la vita del monaco come “servizio”, “milizia di servizio” (RB 2,20) e di questo servizio l'espressione più alta è appunto la lode di Dio. Né deve meravigliare l'idea di “debito”: a volte la preghiera comune può essere pesante e costituire un vero sacrificio! Notiamo che oggi, nelle odierne condizioni del lavoro monastico può essere più frequente l'assenza di qualcuno. E in più si permette (nello spirito anche di mitigazione che SB mette in questo capitolo: “come meglio possono”, v. 4) la congiunzione di alcune Ore canoniche. Dobbiamo però tendere con ogni sforzo alla “verità delle Ore” e al ritmo della lode di Dio nei vari momenti della giornata.
Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.