REGOLA DI SAN BENEDETTO – 52

Capitolo LII – La chiesa del monastero

1 La chiesa sia quello che dice il suo nome, quindi in essa non si faccia né si riponga altro. 2 Alla fine dell’Ufficio divino escano tutti in perfetto silenzio e con grande rispetto per Dio, 3 in modo che, se un monaco volesse rimanere a pregare, privatamente, non sia impedito dall’indiscrezione altrui. 4 Se, però, anche in un altro momento qualcuno desidera pregare per proprio conto, entri senz’altro e preghi, non a voce alta, ma con lacrime e intimo ardore. 5 Perciò, come abbiamo detto, chi non intende dedicarsi all’orazione si guardi bene dal trattenersi in chiesa dopo la celebrazione del divino Ufficio, per evitare che altri siano disturbati dalla sua presenza.

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Approfondimenti

Questo capitoletto apporta un prezioso completamento alla sezione liturgica, perché lascia intravedere dei prolungamenti alla preghiera comune nel corso della giornata. RB 52 corrisponde a RM 68, che pero` tratta soltanto del silenzio da osservarsi uscendo dall'oratorio: i monaci non debbono seguitare a canticchiare i salmi.

1: L'oratorio del monastero Per comprendere la prima frase di SB (v. 1), bisogna tener presente che era abbastanza normale per gli antichi fare qualche piccolo lavoro manuale mentre ascoltavano la salmodia del solista o le letture. Così per i monaci egiziani, probabilmente anche nelle comunità pacomiane. S. Cesario di Arles proibisce alle monache di lavorare durante l'Ufficio (Regula virginum, 10), però vuole qualche lavoretto durante l'Ufficio notturno per vincere il sonno (Ibid. 15). In questo contesto si comprende la concisa ed energica frase di SB: “L'oratorio deve essere ciò che il suo nome significa” (v. 1): la casa della preghiera non sarà mai per SB un laboratorio, né servirà talvolta a consumare i cibi, né fungerà mai da parlatorio, né diventerà un luogo, anche provvisorio, per deporre strumenti di lavoro o altri oggetti non destinati al culto.

2-3: Silenzio terminato l'Ufficio divino Che nell'oratorio si celebra l'Opus Dei, si sa. SB ricorda qui (vv. 2-3) che, terminato l'Ufficio divino, “tutti escano in silenzio”; e passa poi al tema che gli interessa particolarmente: l'orazione privata di ciascun monaco. Si deve mantenere nell'oratorio il massimo silenzio, perché chi vuole possa continuare a pregare; nell'oratorio in particolare Dio dà udienza ininterrottamente, la porta è sempre aperta. SB vuole invitare velatamente a pregare con frequenza, come si deduce anche dal seguente v.4.

4-5: Preghiera privata anche in altri momenti Non solo dopo l'Opus Dei, ma anche in altri momenti un fratello può sentirsi spinto alla preghiera. Così veniamo a conoscere che durante la giornata ogni monaco può trovare l'opportunità di qualche momento libero da dedicare alla sua preghiera privata, probabilmente durante il periodo della lettura. SB poi aggiunge delle condizioni sulla maniera di pregare: entri semplicemente e preghi, espressione nuda e semplice che non include alcun particolare metodo o schema di orazione; preghi e basta, cioè massima libertà e semplicità nel procedimento secondo l'ispirazione di Dio. Non a voce alta, cioè senza alzare la voce, senza emettere gemiti e sospiri sonori, come si usava a volte presso gli antichi, ma con lacrime e fervore di cuore; richiama la “purezza di cuore” e la “compunzione delle lacrime” di RB 20,3 (Per preghiera e lacrime, cf. anche RB 4,57, uno strumento delle buone opere). Lacrime e cuore sono come indizi dell'autenticità della preghiera del monaco. Chi non vuole pregare in questo modo, non è autorizzato a rimanere nell'oratorio (v. 5), perché l'oratorio deve essere solo luogo di preghiera e di incontro con Dio.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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