REGOLA DI SAN BENEDETTO – 57

Capitolo LVII – I monaci che praticano un’arte o un mestiere

1 Se in monastero ci sono dei fratelli esperti in un’arte o in un mestiere, li esercitino con la massima umiltà, purché l’abate lo permetta. 2 Ma se qualcuno di loro monta in superbia, perché gli sembra di portare qualche utile al monastero, 3 sia tolto dal suo lavoro e non gli sia più concesso di occuparsene, a meno che rientri in se stesso, umiliandosi, e l’abate non glielo permetta di nuovo. 4 Se poi si deve vendere qualche prodotto del lavoro di questi monaci, coloro, che sono stati incaricati di trattare l’affare, si guardino bene da qualsiasi disonestà. 5 Si ricordino sempre di Anania e Safira, per non correre il rischio che la morte, subita da quelli nel corpo, 6 colpisca le anime loro e di tutte le persone, che hanno comunque defraudato le sostanze del monastero. 7 Però nei prezzi dei suddetti prodotti non deve mai insinuarsi l’avarizia, 8 ma bisogna sempre venderli un po’ più a buon mercato dei secolari «affinché in ogni cosa sia glorificato Dio». =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

La povertà individuale del monaco, lo spogliamento di sé acquista qui un aspetto più spirituale che materiale: il monaco deve essere distaccato dalla proprietà privata anche nei suoi pensieri.

1-3: Gli artigiani del monastero La base di sussistenza del monastero, secondo la RB è la terra lavorata da operai a pagamento o dai monaci stessi (cf. RB 48). Tra i fratelli potrebbero trovarsi alcuni che o già nel mondo o in monastero si sono resi abili in un'arte. SB non specifica nulla; pare gli interessi poco; ciò che a lui interessa è il bene spirituale, quindi evitare il rischio della mancanza di umiltà: cose che sono al di sopra di ogni considerazione di guadagno per il monastero. Perciò potranno questi monaci esercitare la loro arte, ma solo con il consenso dell'abate (v. 1) e senza ritenersi indispensabili, vantandosi di portare un utile al monastero. Forse SB si ispira a S. Agostino, il quale parla di monaci che hanno portato delle sostanze al monastero e che potrebbero insuperbirsi di ciò. Potrebbe ispirarsi anche a Cassiano (Inst. 4,14) che parla del lavoro dei monaci egiziani. Per SB, se gli artigiani non sono capaci di disinteresse e di distacco, deve proibirsi loro di esercitare la loro arte (v. 3).

4-9: Vendita dei prodotti del lavoro Per la vendita dei prodotti del monastero sono due i vizi da evitare: la frode e l'avarizia. La frode potevano commetterla o gli artigiani stessi o altri monaci o altri intermediari. L'avarizia, sotto il pretesto di maggiori introiti per il monastero, sarebbe una cosa grave sia per i monaci singoli che per il buon nome del monastero stesso. Per evitare ciò, si venderà aliquantulum (un pochino) di meno di quanto vendono i secolari. S. Girolamo (Epist. 22,34) parla con ironia dei monaci sarabaiti, i quali, “come se fosse santo il loro lavoro, e non la vita, vendevano a prezzi maggiori”!

9: _Ut in omnibus glorificetur Deus..._ ...Affinché in tutto sia glorificato Dio. Anche nel trattare interessi così secondari e temporali, il fine e l'ispirazione devono essere di carattere soprannaturale. La bella sentenza, presa da S. Pietro (1Pt 4,11), ricordata quasi incidentalmente in un passo secondario della Regola e a proposito di un argomento così poco spirituale, esprime bene lo spirito di fede del S. Patriarca, ed è divenuta un programma e un motto dei nostri monasteri, dove si trova spesso anche abbreviata in sigla: U. I. O. G. D.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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