REGOLA DI SAN BENEDETTO – 66

Capitolo LXVI – I portinai del monastero

1 Alla porta del monastero sia destinato un monaco anziano e assennato, che sappia ricevere e riportare le commissioni e sia abbastanza maturo da non disperdersi, andando in giro a destra e a sinistra. 2 Questo portinaio deve avere la sua residenza presso la porta, in modo che le persone che arrivano trovino sempre un monaco pronto a rispondere. 3 Quindi, appena qualcuno bussa o un povero chiede la carità, risponda: «Deo gratias!» oppure: «Benedicite!» 4. e con tutta la delicatezza che ispira il timor di Dio venga incontro alle richieste del nuovo arrivato, dimostrando una grande premura e un’ardente carità. 5 Lo stesso portinaio, se ha bisogno di aiuto, sia coadiuvato da un fratello più giovane. 6 Il monastero, poi, dev’essere possibilmente organizzato in modo che al suo interno si trovi tutto l’occorrente, ossia l’acqua, il mulino, l’orto e i vari laboratori, 7 per togliere ai monaci ogni necessità di girellare fuori, il che non giova affatto alle loro anime. 8 Infine vogliamo che questa Regola sia letta spesso in comunità, perché nessuno possa giustificarsi con il pretesto dell’ignoranza.

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Approfondimenti

Il monastero nella primitiva tradizione era considerato come un luogo chiuso, separato dal mondo, costituito – secondo la RM – da “santi”, da “fratelli spirituali” che non si debbono mescolare ai secolari. I fratelli perciò vivevano tutta la loro vita nei “recinti” del monastero, ai margini della vita del mondo. Così per anacoreti e cenobiti, cominciando dai pacomiani. Tuttavia anche per il monastero di RM e di RB, alcune relazioni con l'esterno sono inevitabili: accogliere poveri e pellegrini, quindi l'importanza dell'ufficio del portinaio (RB 66), ricevere tutti gli ospiti (RB 53 e 56), uscire per breve tempo per qualche commissione (RB 51) o anche per viaggi più lunghi (RB 67). Il capitolo sui portinai del monastero ci testimonia – come si è detto – di tutta una mentalità sulla concezione del monastero come unità auto-sufficiente, separato dal mondo, ecc. Difatti non si limita a tracciare le qualità del portiere (vv. 1-5), ma ricorda che il cenobio deve essere organizzato con ogni cosa all'interno (vv. 6-7); una nota finale prescrive la lettura frequente della Regola in comunità (v.8).

1-5: Persone e ufficio del portinaio L'ufficio del portinaio, secondo la Regola, è molto importante e delicato: il portinaio è intermediario tra il monastero e il mondo, è il guardiano della pace dei monaci e, nello stesso tempo, il rappresentante della comunità; il primo contatto della gente col monastero avviene attraverso il portinaio, anzi a volte (almeno nelle brevi visite, non in caso di ospitalità), egli è il solo monaco avvicinato e conosciuto; spesso dal suo modo di rispondere e di trattare dipende l'edificazione degli estranei e il buon nome del monastero. Gli antichi davano grande importanza a tale ufficio e sceglievano per esso i migliori monaci. A Montecassino SB spesso fu trovato a leggere presso la porta (II Dial. 31); e lì pure S .Willebaldo (sec. VIII) fu per parecchi anni portinaio.

La Regola enumera alcune qualità: saggezza, assennatezza, prontezza e sollecitudine nel rispondere “con tutta gentilezza e fervore di carità”. Si parla di “saggio” come per l'abate (RB 27,2; 28,2), per il celleraio (RB 31,1), per il foresterario e in generale per quanti amministrano la “casa di Dio” che è il monastero (RB 53,22). Notiamo che alla fine del v. 1 alcuni codici danno vagari, altri vacari, e il senso sarebbe: “la cui età non gli permetta di rimanere “ozioso” (vacari); oppure: “la cui età matura non gli permetta di andare gironzolando” (vagari).

Nota per l'oggi Oggi molti monasteri per l'ufficio di portinaio viene assunto un laico; però nella riscoperta che oggi si sta facendo del monastero come luogo di accoglienza, non sarebbe male ripensare la cosa e rifare all'ufficio del portinaio quel posto delicato e importante che gli dà la Regola. Così pure sarà bene rieducare tutti alla disponibilità e gentilezza nel rispondere alla porta e al telefono; anche rispondere subito e con delicatezza al telefono può essere oggi un'ottima forma di accoglienza.

6-7: Clausura Già alla fine del c. 4 SB ha ricordato che tutti gli strumenti dell'arte spirituale enumerati vanno usati nell'“officina” che è il recinto del monastero e la stabilità. Perciò ora aggiunge che il cenobio deve essere provvisto di tutto il necessario – enumera difatti alcune cose principali – per ridurre al minimo le uscite, “cosa questa che non giova affatto alle loro anime” (v. 7). (La frase riecheggia alcune espressioni della “Historia Monachorum in Aegypto”). Ricordiamo anche come SB ha parlato male dei monaci girovaghi (RB 1,10-11). Già Antonio il Grande diceva che “un monaco fuori del monastero è come un pesce fuor d'acqua” (Vita, 85; Apoftegmi, Antonio, 10).

Nota per l'oggi Certamente l'evoluzione storica, le circostanze, il ritmo di vita diverso, i segni dei tempi, ecc., inducono a una rilettura di questo brano e a una concezione diversa dei contatti con l'esterno. Oggi non è più possibile, e neanche opportuno, organizzarsi in un sistema economico chiuso e in una vita completamente avulsa dal contesto sociale ed ecclesiale. Però non è fuori di luogo richiamare a noi il principio generale che i monaci devono abitualmente stare in monastero. E questo non come indizio di una mentalità ristretta e meschina (che potrebbe affiorare in noi) che il “mondo” è la sentina di tutti i vizi e il monastero il luogo dei santi, dei puri, cosa che non è nello spirito di SB e della genuina tradizione monastica. Nei Detti dei Padri, spesso si trova il fatto del santo eremita, vissuto per lungo tempo nella solitudine, a cui viene rivelato che in città c'era un semplice e comune artigiano che era più santo di lui; e Gregorio ci presenta SB avere dei rapporti semplici e liberi con le persone di fuori. Si tratta semplicemente di coerenza con il proprio stato di vita: una certa separazione dal mondo può considerarsi come una componente essenziale della professione monastica, ma naturalmente la cosiddetta “fuga-mundi” deve essere rettamente intesa. Per quanto possa sembrare paradossale, questo modo di essere tutto di Dio senza alcun pensiero in cuore al di fuori di quello della sua presenza è il modo più pieno e assoluto di essere tutto dei fratelli. “Monaco è colui che è separato da tutti e unito a tutti”, dice Evagrio. E per irradiare genuinamente Cristo (anche nel lavoro pastorale, per alcuni monasteri) il modo migliore è questa fedeltà a un certo distacco, a una certa separazione, a una vita “più nascosta in Dio”.

8: Prescrizione di leggere la Regola in comunità Questa nota finale prescrive la lettura frequente della Regola in pubblico, anche se non specifica i modi e i tempi. Secondo la RM (RM 24,15), tale lettura si faceva a refettorio durante il pasto. Da questa finale si deduce che qui terminava la prima stesura della RB: difatti RB 66 corrisponde a RM 95, sempre sui portinai, che è l'ultimo capitolo della RM.

Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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