REGOLA DI SAN BENEDETTO – 8

Capitolo VIII – L’ufficio divino nella notte

Levata durante l'inverno 1 Durante la stagione invernale, cioè dal principio di novembre sino a Pasqua, secondo un calcolo ragionevole, la sveglia sia verso le due del mattino, 2 in modo che il sonno si prolunghi un po’ oltre la mezzanotte e tutti si possano alzare sufficientemente riposati.

Intervallo tra l'Ufficio notturno e quello del mattino 3 Il tempo che rimane dopo l’Ufficio vigilare venga impiegato dai monaci, che ne hanno bisogno, nello studio del salterio o delle lezioni.

Levata d'estate 4 Da Pasqua, invece, sino al suddetto inizio di novembre, l’orario venga disposto in modo tale che, dopo un brevissimo intervallo nel quale i fratelli possono uscire per le necessità della natura, l’Ufficio vigiliare sia seguito immediatamente dalle Lodi, che devono essere recitate al primo albeggiare.

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Approfondimenti

CAPITOLI 8-11 – Introduzione alla sezione sull'Opus Dei Nei testi più antichi, per “OPUS DEI” (Opera di Dio) s'intende tutta la vita spirituale del monaco o, semplicemente, la vita monastica. Poi a poco a poco il significato si restrinse a designare la vita di orazione organizzata intorno alla lettura della Parola di Dio, alla salmodia e alla preghiera silenziosa. Questo è il senso di “Opus Dei” nella RB, con particolare riferimento alla Preghiera liturgica comune, l'Ufficio Divino, o come diciamo oggi, la Liturgia delle Ore. I capitoli della RB che la prendono in considerazione sono:

Importanza dell'Ufficio Divino nella RB Al gruppo dei capitoli relativi alla dottrina ascetica segue un blocco di capitoli relativi alla preghiera. C'è da notare la loro posizione, quasi a dire che l'Opus Dei è l'occupazione principale della vita cenobitica. Nella RM, invece, il direttorio dell'Ufficio si trova nei cc.33-45, dopo l'argomento sul dormitorio e la levata.

È senza dubbio errato considerare i Benedettini come “fondati per il coro”; ma è anche certo che nella mente di SB, interpretata poi da tutta la tradizione benedettina, la liturgia costituisce l'occupazione conventuale essenziale e primaria a cui nulla deve anteporsi: “Nihil Operi Dei praeponatur” (Nulla si anteponga all'Opera di Dio – RB 43,3).

La sezione sull'Ufficio Divino è molto omogenea sia dal punto di vista dell'argomento che del vocabolario e dello stile. Vi abbondano, sotto questo aspetto, anormalità linguistiche, vocaboli e modi di dire del latino volgare, della lingua corrente del sec. VI. È probabile che tutto il blocco dei cc.8-18 formasse un fascicolo a se` che conteneva il “corpus liturgico” dei monaci prima della redazione della RB; fu poi inserito da SB nel corpo della sua Regola con alcune modifiche. Rileviamo l'importanza di questa sezione che risulta dal fatto stesso della quantità, della minuziosità con cui viene stabilita ogni parte dell'Ufficio Divino e dal posto preminente che occupa nella Regola, subito dopo la sezione dottrinale e prima della parte legislativa propriamente detta.

CAPITOLO 8 – L'Ufficio Divino della notte Passare in veglia buona parte della notte era una pratica molto comune nella Chiesa primitiva, secondo la mistica dell'“attesa dello Sposo” (cf. anche Dante, Paradiso X, 140-141: “Nell'ora che la Sposa di Dio surge a mattinar lo Sposo perché l'ami”). La vigilia domenicale, iniziata con la grande veglia pasquale, risale ai tempi apostolici. Le altre vigilie notturne cominciarono a celebrarsi in occasione delle maggiori solennità liturgiche e delle feste dei martiri locali.

Però, se i chierici e il popolo cristiano passavano in orazione alcune notti (o parte di esse), i monaci si alzavano tutte le notti sia per recarsi comunitariamente alla salmodia sia per l'orazione privata. Perciò la giornata del monaco comincia con l'ufficio notturno e da esso logicamente SB inizia le sue prescrizioni. Finora lo si è chiamato, ma impropriamente, “Mattutino”; dopo la riforma liturgica, “Ufficio delle Letture”.

1-2: Levata durante l'inverno L'Ufficio Divino – è chiaro – non poteva abbracciare tutta la notte; il corpo e lo spirito hanno necessità di riposo. È certo che le prime generazioni di monaci dominarono il sonno fino all'inverosimile. Si pensi, in occidente stesso, a S. Colombano il quale voleva che il monaco “venisse stanco al giaciglio, dormisse già mentre camminava e fosse costretto a levarsi prima ancora che cessasse il sonno”. Con il suo buon senso e con la sua discrezione, SB vuole che, “secondo una ragionevole valutazione” (v.1), i monaci si alzino riposati e a digestione compiuta. Per cui si alzavano d'inverno all'ottava ora della notte (nell'orario di SB tutto il tempo diurno e notturno veniva diviso in dodici parti uguali). Da RB 41,9 risulta che vespro e cena dovevano aver luogo con la luce del giorno: al massimo quindi i monaci andavano a letto circa un'ora dopo il tramonto, cioè verso la fine della prima ora notturna; e poiché si alzavano all'ottava ora della notte, il riposo durava sette buone ore notturne; a Natale, quando ogni ora notturna era di circa 75 minuti, il riposo raggiungeva le nostre nove ore, poi man mano si scendeva fino a un minimo di ore 6,15 nostre (quando Pasqua capitava verso il 20 aprile), ma allora forse si regolavano andando a letto un po' prima. Per tutto l'inverno, dunque, la durata del sonno oscillava tra le otto ore e mezzo e le sette ore.

3: Intervallo tra l'Ufficio notturno e quello del mattino Il sonno più che sufficiente già concesso esclude che si ritorni a letto dopo l'Ufficio notturno. SB ritarda di quasi due ore la levata rispetto a RM, ma sopprime il “secondo sonno” concesso da RM dopo l'Ufficio notturno in inverno e dopo le lodi mattutine d'estate. In questo SB dipende da Cassiano (Inst 2,13; 3,5) che criticava l'uso del “secondo sonno” allora assai diffuso. Perciò dopo l'Ufficio notturno, i monaci di SB disponevano di un tempo più o meno lungo. I fratelli che ne avevano bisogno impiegavano tale tempo nello studio del salterio e delle lezioni (sono le “letture brevi” che si recitavano a memoria come viene detto in RB.9,10 e 12,4). Nel testo originale c'è la parola “meditationi” che non si deve intendere nel senso odierno di meditazione, ma nel senso di “esercizio-esercitarsi”, che comporta insieme l'imparare a memoria e l'esercitarsi nella salmodia. E i fratelli che già sapevano il salterio a memoria, e che quindi non avevano bisogno di tale studio, cosa facevano? Certo non tornavano a letto; avranno impiegato tale tempo nella lettura o nella preghiera personale.

4: Levata d'estate Per il periodo estivo non è fissata un'ora precisa per la levata. Essa doveva essere regolata in modo tale che, tra l'Ufficio notturno e quello del mattino, ci fosse solo un piccolo intervallo. Nei mesi aprile-maggio e settembre-ottobre si hanno in media dalle 8 alle 7 ore di sonno continuo; a giugno di meno, fino a un minimo di 5 ore; ma forse si andava un po' più tardi all'Ufficio notturno (il quale d'estate e' più corto non essendoci le letture come si vedrà al c.10); la siesta prevista da SB (RB 48,5) serviva appunto a compensare il difetto del sonno notturno, specialmente nel periodo centrale.

Tratto da:APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.


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