SACROSANCTUM CONCILIUM 55-58

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO II – IL MISTERO EUCARISTICO

Comunione sotto le due specie 55 Si raccomanda molto quella partecipazione più perfetta alla messa, nella quale i fedeli, dopo la comunione del sacerdote, ricevono il corpo del Signore con i pani consacrati in questo sacrificio. Fermi restando i principi dottrinali stabiliti dal Concilio di Trento [40], la comunione sotto le due specie si può concedere sia ai chierici e religiosi sia ai laici, in casi da determinarsi dalla sede apostolica e secondo il giudizio del vescovo, come per esempio agli ordinati nella messa della loro sacra ordinazione, ai professi nella messa della loro professione religiosa, ai neofiti nella messa che segue il battesimo.

Unità della messa 56 Le due parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto. Perciò il sacro Concilio esorta caldamente i pastori d'anime ad istruire con cura i fedeli nella catechesi, perché partecipino a tutta la messa, specialmente la domenica e le feste di precetto.

La concelebrazione 57 I La concelebrazione, che manifesta in modo appropriato l'unità del sacerdozio, è rimasta in uso fino ad oggi nella Chiesa, tanto in Oriente che in Occidente. Perciò al Concilio è sembrato opportuno estenderne la facoltà ai casi seguenti: a) al giovedì santo, sia nella messa crismale che nella messa vespertina; b) alle messe celebrate nei concili, nelle riunioni di vescovi e nei sinodi; c) alla messa di benedizione di un abate.

II Inoltre, con il permesso dell'ordinario, a cui spetta giudicare sulla opportunità della concelebrazione: a) alla messa conventuale e alla messa principale nelle diverse chiese, quando l'utilità dei fedeli non richieda che tutti i sacerdoti presenti celebrino singolarmente; b) alle messe nelle riunioni di qualsiasi genere di sacerdoti tanto secolari che religiosi.

II.1 Spetta al vescovo regolare la disciplina della concelebrazione nella propria diocesi;

III Resti sempre però ad ogni sacerdote la facoltà di celebrare la messa individualmente, purché non celebri nel medesimo tempo e nella medesima chiesa in cui si fa la concelebrazione, e neppure il giovedì santo.

58 Venga redatto un nuovo rito della concelebrazione da inserirsi nel pontificale e nel messale romano.

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Approfondimenti

Guardando al futuro, varie sono le sfide alle quali la Liturgia è chiamata a rispondere. Nel corso di questi quarant'anni, infatti, la società ha subito profondi cambiamenti, alcuni dei quali mettono fortemente alla prova l'impegno ecclesiale. C'è davanti a noi un mondo in cui, anche nelle regioni di antica tradizione cristiana, i segni del Vangelo si vanno attenuando. È tempo di nuova evangelizzazione. Da tale sfida la Liturgia è direttamente interpellata.

A prima vista, essa sembra messa fuori gioco da una società ampiamente secolarizzata. Ma è un dato di fatto che, nonostante la secolarizzazione, nel nostro tempo riemerge, in tante forme, un rinnovato bisogno di spiritualità. Come non vedere, in questo, una prova del fatto che nell'intimo dell'uomo non è possibile cancellare la sete di Dio? Esistono domande che trovano risposta solo in un contatto personale con Cristo. Solo nell'intimità con Lui ogni esistenza acquista significato, e può giungere a sperimentare la gioia che fece dire a Pietro sul monte della Trasfigurazione: “Maestro, è bello per noi stare qui” (Lc 9,33 par).

Dinanzi a questo anelito all'incontro con Dio, la Liturgia offre la risposta più profonda ed efficace. Lo fa specialmente nell'Eucaristia, nella quale ci è dato di unirci al sacrificio di Cristo e di nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue. Occorre tuttavia che i Pastori facciano in modo che il senso del mistero penetri nelle coscienze, riscoprendo e praticando l'arte “mistagogica”, tanto cara ai Padri della Chiesa [Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus (4 dicembre 1988), 21: AAS 81 (1989), 917]. È loro compito, in particolare, promuovere celebrazioni degne, prestando la dovuta attenzione alle diverse categorie di persone: bambini, giovani, adulti, anziani, disabili. Tutti debbono sentirsi accolti all'interno delle nostre assemblee, così da poter respirare l'atmosfera della prima comunità credente: “Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42).

Un aspetto che occorre coltivare con maggiore impegno all'interno delle nostre comunità è l'esperienza del silenzio. Di esso abbiamo bisogno “per accogliere nei cuori la piena risonanza della voce dello Spirito Santo, e per unire più strettamente la preghiera personale con la Parola di Dio e con la voce pubblica della Chiesa” [Institutio generalis Liturgiae Horarum, 213]. In una società che vive in maniera sempre più frenetica, spesso stordita dai rumori e dispersa nell'effimero, riscoprire il valore del silenzio è vitale. Non a caso, anche al di là del culto cristiano, si diffondono pratiche di meditazione che danno importanza al raccoglimento. Perché non avviare, con audacia pedagogica, una specifica educazione al silenzio dentro le coordinate proprie dell'esperienza cristiana? Sia davanti ai nostri occhi l'esempio di Gesù, che “uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava” (Mc 1,35). La Liturgia, tra i diversi suoi momenti e segni, non può trascurare quello del silenzio.

(SPIRITUS ET SPONSA, Lettera Apostolica di papa GIOVANNI PAOLO II del 4 dicembre 2003, nel 40° anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia, 11-13).


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