SALMO – 43 (42)

LAMENTO E NOSTALGIA DELL'ESULE

1 Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente spietata; liberami dall'uomo perfido e perverso.

2 Tu sei il Dio della mia difesa: perché mi respingi? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?

3 Manda la tua luce e la tua veritĂ : siano esse a guidarmi, mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora.

4 Verrò all'altare di Dio, a Dio, mia gioiosa esultanza. A te canterò sulla cetra, Dio, Dio mio.

5 Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

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Approfondimenti

vv. 1-2. «Fammi giustizia...»: cfr. Sal 26,1. Il linguaggio è forense. Dio appare come giudice. Il salmista lancia un appello al supremo tribunale di Dio, per essere difeso e liberato dai nemici.

v. 3. «Manda la tua verità e la tua luce»: la «verità» e la «luce» sono personificate, come due ancelle che devono scortare il salmista nel suo ritorno nel tempio, cfr. Sal 25,21. La luce è segno dell'amore di Dio come risposta positiva alle sue suppliche, cfr. Sal 42,9; 27,1; Is 8,23-9, 3. La verità, in senso generale, è sinonimo di fedeltà (Sal 42,9), e in senso più tecnico, è la sentenza favorevole di Dio.

v. 4. «Verrò all'altare di Dio»: è l'altare degli olocausti, che si trovava nel tempio di Gerusalemme all'aperto davanti al santuario. «Dio della mia gioia, del mio giubilo»: alla lett. «della gioia della mia esultanza». E un altro titolo di Dio, egli che è la radice della gioia. Così il salmo, iniziato come lamentazione, termina con la gioia e la promessa di un solenne, festoso (con la cetra) rendimento di grazie.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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