SALMO – 6

INVOCAZIONE A DIO NEL DOLORE 1 Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Sull'ottava. Salmo. Di Davide.

2 Signore, non punirmi nella tua ira, non castigarmi nel tuo furore.

3 PietĂ  di me, Signore, sono sfinito; guariscimi, Signore: tremano le mie ossa.

4 Trema tutta l'anima mia. Ma tu, Signore, fino a quando?

5 Ritorna, Signore, libera la mia vita, salvami per la tua misericordia.

6 Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi?

7 Sono stremato dai miei lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, bagno di lacrime il mio letto.

8 I miei occhi nel dolore si consumano, invecchiano fra tante mie afflizioni.

9 Via da me, voi tutti che fate il male: il Signore ascolta la voce del mio pianto.

10 Il Signore ascolta la mia supplica, il Signore accoglie la mia preghiera.

11 Si vergognino e tremino molto tutti i miei nemici, tornino indietro e si vergognino all'istante. _________________ Note

6,1-11 All’intensa supplica a Dio, l’orante accompagna la descrizione della sofferenza fisica e interiore che lo tormenta. Il dono della guarigione è equiparato alla vittoria sui nemici. Il salmo, che è una lamentazione individuale, è stato inserito dalla liturgia della Chiesa tra i sette “salmi penitenziali” (così sono chiamati i Sal 6; 32; 38; 51; 102; 130; 143).

6,1 Sull’ottava: si allude forse alla tonalità con cui veniva cantata la composizione.

6,4 L’espressione “fino a quando?”, presente in diversi salmi, va completata con i verbi di volta in volta sottintesi: fino a quando tarderai? fino a quando verrà meno il tuo aiuto? Con “anima” si intende qui la parte più intima dell’essere umano (come già le ossa del v. 3).

6,6 Si manifesta qui la concezione incerta che l’AT ha dell’oltretomba (chiamato inferi). Nell’aldilà cessa ogni attività e in particolare cessa quel rapporto di adorazione e di lode a Dio, che l’uomo vive nella vita terrena (vedi anche Gb 3,17-19; 14,7-22).

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Approfondimenti

Salmo 6 – Risanami e salvami nel tuo amore Supplica individuale (di un malato) Il salmo è uno dei sette penitenziali (cui appartengono anche i Sal 32; 38; 51; 102; 103; 143). Accanto alla sofferenza fisico-psicologica si intravvede, in modo più sfumato, la sofferenza come frutto del peccato. Sono presenti i tre protagonisti: Dio, l'io, ed essi (i nemici), come è usuale nelle suppliche individuali. Il simbolismo è di carattere antropomorfico, antropologico e militare. Il nome del Signore (JHWH) è menzionato otto volte negli undici versetti del salmo. Questo, nella sua semplicità strutturale, è abbastanza espressivo e vigoroso. Il ritmo nel TM è quello classico di 3 + 3 accenti.

Strutturalmente si divide in:

v. 2. «Signore, non punirmi..»: c'è una venatura di genere sapienziale. Il salmista è cosciente della sua colpevolezza; non reagisce come Giobbe, che sbandiera la sua innocenza davanti alla sua malattia, né come l'orante del Sal 17,2-3. Egli chiede tuttavia a Dio, come a un pedagogo, comprensione nella sua pur giusta punizione, cfr. Ger 10,24; Sap 12,2.

vv. 3-8. La supplica può dividersi in tre strofe:

vv. 3-4. Nel v. 3 si accenna alla sofferenza fisica estrema («vengo meno... tremano le mie ossa») e si chiede al Signore la guarigione; nel v. 4 si accenna alla sofferenza psichica, riflesso di quella fisica e si chiede, con impazienza, «fino a quando» durerà.

v. 4. «L'anima mia...»: l'espressione traduce l'ebraico napšî. La voce ebraica nepeš indica anzitutto, la gola, il respiro e perciò la vita. La traduzione di nepeš con «anima» non è esatta, perché questa, nella concezione filosofico-teologica occidentale, indica solo a parte spirituale dell'uomo. La voce ebraica significa il contrario di cadavere, perciò «vita» (cfr. Gn 2,7) e quindi la stessa persona umana vivente nella sua totalità; essa equivale al pronome personale “io” rivestito di una certa solennità e quasi come uno sdoppiamento della persona che considera se stessa. «fino a quando...?»: è un'espressione interrogativa ellittica. Indica l'impazienza dell'uomo che geme sotto il peso della sofferenza, punizione divina, e non scorge ancora l'alba della guarigione. Ricorre spesso nei salmi e nella Bibbia.

v. 6. «Nessuno tra i morti... Chi negli inferi...»: il palese ricatto è un ragionamento “ad hominem” nei riguardi di Dio. Il salmista gli ricorda che è bene che egli lo guarisca, perché se muore non può più ricordarsi di lui né lodarlo. Inoltre Dio non ha piacere della morte del malvagio, ma «che desista dalla sua condotta e viva» (Ez 18,23). «gli inferi»: la verità sull'oltretomba (šᵉ’ôl) ha raggiunto progressivamente la luce e la chiarezza finale (cfr. Sap 3; Dn 12; 2 Mac 7). Qui come in altri passi tale dottrina è ancora incerta e non definita; l'oltretomba è visto come il regno della non-vita, delle ombre evanescenti, degli abitanti della polvere (Is 26,19), che non possono “ricordarsi di Dio”, né “lodarlo”. «ti ricorda»: più che al semplice fatto mnemonico comune, ci si riferisce al concetto del “memoriale” il ricordo liturgico, celebrativo della salvezza del Signore (cfr. Is 26,8), stando all'espressione parallela «canta le tue lodi».

vv. 7-8. Con l'immagine iperbolica dell'inondazione (v. 7) e con quella dell'invecchiamento (v. 8) il salmista descrive la sua malattia. Il pianto a dirotto è espressione del dolore interiore; esso manifesta il groviglio dei suoi sentimenti, che sono un misto di apprensione, rimorso, coscienza della colpa ecc. e infine anche ostilità verso i suoi nemici, cfr. v. 9; Is 38,2-3; Lam 1,2; 2,11.18; 3,40-31.

vv. 9-10. Si ha un repentino cambiamento di situazione e di tono. Dopo la scoperta della presenza ostile dei suoi nemici presso di lui e l'istantanea messa in fuga (v. 9a) segue la certezza dell'esaudimento del Signore (vv. 9b-10), cui si aggiunge, per la legge del taglione, un'imprecazione (giustizia distributiva) contro i nemici, che devono battere in ritirata davanti all'intervento salvifico di Dio.

v. 9a. «Via da me...»: è un imperativo plurale sûrû (= allontanatevi), che pronunciato improvvisamente ha la forza di ravvivare l'andamento del salmo e porta all'inattesa scoperta della presenza del nemici del salmista, di cui non si fa cenno prima, «tutti che fate il male»: i malfattori possono essere identificati in quelli che, approfittando dello stato di infermità fisico-morale, accusano l'orante di poca fede in Dio, mettendone in dubbio la presenza e il soccorso nei suoi riguardi; oppure si possono identificare negli amici, spettatori freddi e inerti del male dell'orante, pronti però ad accusarlo di peccato, come gli amici di Giobbe. Possono anche essere lo stesso dolore, la tristezza e la morte personificati.

v. 9b. «il Signore ascolta...»: il salmista è sicuro dell'esaudimento della sua supplica. Questa certezza è ripetuta tre volte come un ritornello nei vv. 9b.10a.10b, ove la voce “Signore” è ripetuta tre volte, il verbo “ascoltare” due volte e il sinonimo “accogliere” una volta. Per molti esegeti questa certezza è supposta provenire dalla prassi dell’oracolo liturgico pronunciato da un profeta o da un sacerdote nel tempio (cfr. Sal 28,6; 34,7; 66,19). In questo salmo però non vi è traccia.

v. 11. «Arrossiscano...»: il versetto segna la continuazione tematica della cacciata dei malfattori del v. 9a. Con la legge del contrappasso, si realizza la giustizia divina sugli «oppressori» (v. 8), sui «malfattori» (v. 9) e sui «nemici» (v. 11). Tutti costoro devono indietreggiare «all'istante», arrossendo e confusi per la presenza dell'azione liberante di Dio, come alla sua apparizione (cfr. Sal 68,2-3; Nm 10,35; Is 33,3). Ciò è una costante nel genere letterario della supplica (cfr. Sal 52,3-7).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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