SAPIENZA – Capitolo 10

LA SAPIENZA NELLA STORIA D’ISRAELE (10,1-19,22)

La sapienza nella storia delle origini 1Ella protesse il padre del mondo, plasmato per primo, che era stato creato solo, lo sollevò dalla sua caduta 2e gli diede la forza per dominare tutte le cose. 3Ma un ingiusto, allontanatosi da lei nella sua collera, si rovinò con il suo furore fratricida. 4La sapienza salvò di nuovo la terra sommersa per propria colpa, pilotando il giusto su un semplice legno.

Abramo e Lot 5Quando i popoli furono confusi, unanimi nella loro malvagità, ella riconobbe il giusto, lo conservò davanti a Dio senza macchia e lo mantenne forte nonostante la sua tenerezza per il figlio. 6Mentre perivano gli empi, ella liberò un giusto che fuggiva il fuoco caduto sulle cinque città. 7A testimonianza di quella malvagità esiste ancora una terra desolata, fumante, alberi che producono frutti immaturi e, a memoria di un'anima incredula, s'innalza una colonna di sale. 8Essi infatti, incuranti della sapienza, non solo subirono il danno di non conoscere il bene, ma lasciarono anche ai viventi un ricordo di insipienza, perché nelle cose in cui sbagliarono non potessero rimanere nascosti. 9La sapienza invece liberò dalle sofferenze coloro che la servivano.

Giacobbe 10Per diritti sentieri ella guidò il giusto in fuga dall'ira del fratello, gli mostrò il regno di Dio e gli diede la conoscenza delle cose sante; lo fece prosperare nelle fatiche e rese fecondo il suo lavoro. 11Lo assistette contro l'ingordigia dei suoi oppressori e lo rese ricco; 12lo custodì dai nemici, lo protesse da chi lo insidiava, gli assegnò la vittoria in una lotta dura, perché sapesse che più potente di tutto è la pietà.

Giuseppe 13Ella non abbandonò il giusto venduto, ma lo liberò dal peccato. 14Scese con lui nella prigione, non lo abbandonò mentre era in catene, finché gli procurò uno scettro regale e l'autorità su coloro che dominavano sopra di lui; mostrò che i suoi accusatori erano bugiardi e gli diede una gloria eterna.

La sapienza e la liberazione d’Israele 15Ella liberò il popolo santo e la stirpe senza macchia da una nazione di oppressori. 16Entrò nell'anima di un servo del Signore e con prodigi e segni tenne testa a re terribili. 17Diede ai santi la ricompensa delle loro pene, li guidò per una strada meravigliosa, divenne per loro riparo di giorno e luce di stelle nella notte. 18Fece loro attraversare il Mar Rosso e li guidò attraverso acque abbondanti; 19sommerse invece i loro nemici e li rigettò dal fondo dell'abisso. 20Per questo i giusti depredarono gli empi e celebrarono, o Signore, il tuo nome che è santo, e lodarono concordi la tua mano che combatteva per loro, 21perché la sapienza aveva aperto la bocca dei muti e aveva reso chiara la lingua dei bambini.

_________________ Note

10,1-19,22 La lunga sezione racchiusa nei cc. 10-19 è una riflessione sulla storia d’Israele, compresa come storia di salvezza. Essa è concentrata soprattutto sui fatti dell’esodo, letti alla luce dei grandi interventi di Dio, fonte della salvezza (cc. 11-19; il c. 10, invece, contiene la riflessione sulla storia delle origini e dei patriarchi fino a Mosè). Gli studiosi chiamano questa sezione “racconto midrashico”, ispirato cioè al genere letterario del midrash (termine ebraico che significa “ricerca”, “adattamento”), mediante il quale i maestri del giudaismo commentavano e adattavano con una certa libertà i testi biblici.

10,1-4 Alla sapienza, che l’autore in 9,2-3 aveva presentato come protagonista nella creazione, viene attribuita la liberazione di Adamo, chiamato padre del mondo (v. 1), dal peccato. A lui, immagine del giusto, viene contrapposto Caino, figura dell’empio che non segue l’insegnamento della sapienza. Il suo fratricidio è visto come causa del diluvio, il castigo che Dio inflisse agli empi e dal quale fu preservato il solo Noè con la famiglia (Gen 6-9). I nomi dei personaggi biblici (facilmente individuabili) sono taciuti, perché in essi l’autore vede il prototipo dei giusti di ogni epoca, con particolare riferimento alla situazione degli Ebrei che vivono in Alessandria d’Egitto, in mezzo ai pagani.

10,5-9 Anche le vicende dei patriarchi (Gen 12-50) sono poste sotto l’azione salvifica della sapienza. Abramo emerge come figura del giusto dall’insipienza del progetto orgoglioso degli abitanti di Sinar (allusione all’episodio della torre di Babele: Gen 11,1-9), mentre Lot viene preservato dal castigo con cui il Signore punisce gli abitanti corrotti delle città di Sòdoma e Gomorra e di tutta la loro regione (le cinque città, v. 6: Gen 18-19).

10,7 terra desolata, fumante: la regione del Mar Morto, zona desertica e con abbondante evaporazione delle acque di questo lago. L’anima incredula è la moglie di Lot, trasformata in statua di sale (Gen 19,26).

10,10-12 Giacobbe sperimenta la guida della sapienza tra le drammatiche vicende che caratterizzano la sua esistenza (fuga dal fratello Esaù, visione di Dio a Betel, contrasti e fatiche presso lo zio Làbano, protezione dai nemici: Gen 27-32). Anche l’autore del libro della Sapienza, come Os 12,5, interpreta la lotta notturna di Giacobbe con il misterioso personaggio (Gen 32,23-33) come immagine profonda della preghiera, che tutto può: perché sapesse che più potente di tutto è la pietà (v. 12).

10,13-14 Chiamato il giusto venduto, Giuseppe è collocato nella luce della sapienza, che è capace di trasformare in bene anche ciò che è negativo, facendo trionfare la giustizia sulla prevaricazione, la verità sulla menzogna, l’innocenza sull’accusa falsa. In brevissime battute, l’autore sintetizza quanto è detto in Gen 37; 39-41.

10,15-21 10,20 e celebrarono, o Signore, il tuo nome che è santo: la meditazione sulle vicende dell’esodo si svolge come una grande preghiera di lode a Dio, fino al termine del libro.

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Approfondimenti

10,1-19,22. Dopo aver contemplato ed elogiato la sapienza in se stessa (cc. 6-9), l'autore in questi cc. 10-19, che costituiscono la terza ed ultima parte del libro, passa a descriverne l'attività nella storia, esemplifica cioè l'affermazione di 9, 18 secondo cui gli uomini furono salvati per mezzo della sapienza. Al c. 10, in uno scorcio grandioso, lo Pseudo-Salomone passa in rassegna l'opera salvifica della sapienza da Adamo fino a Mosè; segue poi una seconda sezione (cc. 11-19) dove l'attenzione si focalizza su un periodo storico assai più limitato, l'esodo, per offrire però una teologia della salvezza ricca ed articolata. In questa terza parte l'autore è particolarmente legato alla tradizione giudaica e l'assenza di nomi propri gli permette di superare il limitato ambito storico dei singoli episodi, per assurgere a una riflessione paradigmatica valevole per tutti i tempi e in modo speciale per la sua epoca.

vv. 1-21. Seguendo l'ordine cronologico di Genesi e di Esodo l'autore evoca successivamente le figure salienti della prima storia biblica: Adamo (vv. 1-2), Caino (v. 3), Noè (v. 4), Abramo (v. 5), Lot (vv. 6-9), Giacobbe (v. 10-12), Giuseppe (vv. 13-14) ed infine il popolo eletto al momento dell'esodo (vv. 15-21). Siamo in presenza di una nomenclatura simile a quella di Sir 44-49; 1Mac 2,51-64; Eb 11. Risultano otto quadri, di diversa lunghezza, facenti capo ciascuno a un noto personaggio biblico, con l'eccezione dell'ultimo dove, pur venendo menzionato Mosè (cfr. v. 16), tuttavia il personaggio è costituito dal popolo eletto. Si tratta di figure tutte positive, ad eccezione di Caino, che richiama però di riflesso il fratello Abele; d'altronde anche gli altri personaggi sono posti in contrasto o con una situazione di peccato o con un empio. Questa contrapposizione fra empi e giusti era già emersa nei quattro dittici di Sap 3-4; riappare qui, ma sul terreno della storia biblica. Secondo il suo costume l'autore non cita alcun nome proprio, allargando così la prospettiva interpretativa. Due termini teologicamente rilevanti caratterizzano l'unità: «sapienza» e «giusto». Il primo termine appare una volta nella forma sostantivale (v. 4) e sette volte nella forma pronominale (vv. 1.3.5.6 [manca nella traduzione BC].10.13.15); questa insistenza non è casuale, ma è volta a sottolineare la sapienza come soggetto dell'azione salvifica di Dio. Il risultato dell'azione della sapienza è espresso dal secondo termine, «giusto», che costantemente qualifica i vari personaggi biblici da Noè fino al popolo (vv. 4.5.6.10.13.20), tolta l'eccezione del primo quadro dove è assente e del secondo dove, trattandosi di Caino, l'epiteto è «ingiusto». Appare cosi evidente che la giustizia di questi grandi uomini biblici è il frutto dell'azione della sapienza, che si conferma veramente come salvatrice (cfr. 9, 18c).

vv. 1-2: Adamo: l'espressione «formato per primo da Dio» fa riferimento a Gn 2,7 e indica Adamo, come già in Sap 7,1. Appunto perché plasmato per primo da Dio, egli può essere definito come padre del mondo, cioè come antenato di tutta l'umanità. L'aggettivo «solo» rinvia ancora al momento della creazione di Adamo, quando egli è l'unico essere umano dell'universo e quando non gli è ancora stata messa accanto Eva; dunque l'aggettivo sottolinea l'unicità e la solitudine del primo uomo al momento della creazione. Unicità e solitudine non sono da intendersi negativamente, ma piuttosto positivamente, in quanto segno di grandezza, come conferma la tradizione targumica che, commentando Gn 3,22, dice: «Allora JHWH Elohim disse “Ecco che il primo uomo che ho creato è solo nel mondo, proprio come io sono solo nelle altezze del cielo”». La tradizione giudaica e patristica evidenzia il pentimento e la penitenza di Adamo dopo il peccato. Verosimilmente il nostro autore ha in mente la stessa tradizione quando accenna alla liberazione di Adamo da parte della sapienza dopo la caduta.

v. 3. Caino. Il versetto rievoca Caino, l'uccisore del fratello Abele (cfr. Gn 4,6-13). Ciò che costituisce la differenza fra il suo peccato e quello di Adamo è il rifiuto ostinato della sapienza, per cui Caino diventa l'esemplificazione di quegli empi che portano in sé già fin dalla loro esistenza terrena la perdizione definitiva (cfr. Sap 1,12-13).

v. 4. Noè. In accordo con la tradizione interpretativa giudaica (cfr. ad es. Ant. 1,65-66) l'autore vede il diluvio come la conseguenza del peccato di Caino e dei suoi discendenti. Il giusto è Noè (cfr. Gn 6,9; 7,1; Sir 44,17). La povertà del mezzo (un semplice legno; cfr. l'espressione parallela «minuscolo legno» di Sap 14, 5) vuole evidenziare naturalmente il soggetto salvifico, cioè la sapienza.

v. 5. Abramo. L'autore rievoca non solo l'episodio della torre di Babele (Gn 11, 1-9), ma soprattutto la situazione che ne era derivata, situazione paradossale, perché caratterizzata da un lato dalla confusione e perciò dalla divisione fra i popoli, dall'altro dalla concordia, concordia però nella malvagità! Dietro l'ironia dello Pseudo-Salomone c'è una critica profonda agli imperi, incapaci di unificare veramente i popoli. In questo contesto la sapienza riprende il progetto di unità iniziando con Abramo (cfr. Gn 12). La vocazione del patriarca è caratterizzata dal verbo «riconoscere», che evidenzia l'intensità e l'intimità con cui Dio si fa presente nella vita del chiamato; si tratta d'una presenza non limitata al momento della vocazione, ma continua: grazie ad essa Abramo potrà perseverare irreprensibile e anche superare la terribile prova del Moria (cfr. Gn 22).

vv. 6-9. Lot. I versetti formano una breve unità delimitata dall'inclusione «liberò» (v. 6: BC = «salvò») – «liberò» (v. 9). Il riferimento è a Gn 19, che descrive il castigo divino sulla pentapoli e la liberazione di Lot. A differenza del racconto biblico, dove il giusto per eccellenza è Abramo e dove la salvezza stessa di Lot avviene grazie all'intercessione del patriarca (cfr. v. 29), qui emerge in primo piano la figura di Lot, definito come giusto (la medesima tradizione riapparirà in 2Pt 2,7); inoltre all'azione degli angeli (cfr. Gn 19,12-22) subentra quella della sapienza, unico soggetto di salvezza. L'autore riprende alcune tradizioni popolari e leggendarie, con cui la fantasia popolare aveva interpretato la desolazione della regione attorno al Mar Morto, specie nella sua parte sud-occidentale, per vedervi la testimonianza perenne di quanto sia letale per l'uomo l'abbandono della sapienza: l'esalazione di fumo dalla terra (verosimilmente in relazione all'abbondante evaporazione emanante dal Mar Morto oppure a persistenti attività vulcaniche), i frutti che non giungono mai a maturazione, una colonna di sale (la forma capricciosa di una roccia formata dall'erosione del terreno e somigliante a una figura umana poté far pensare alla statua di sale della moglie di Lot: Gn 19,21).

vv. 10-12. Giacobbe. Seguendo il testo biblico l'autore illustra l'opera protettrice e salvifica della sapienza nelle varie fasi della vita del patriarca, anzitutto nel momento drammatico della fuga da Esaù (cfr. Gn 27,41-45). Nel sogno di Betel (cfr. Gn 28,10-22) la sapienza, tramite la visione dell'incessante movimento degli angeli lungo la scala, illustra l'incessante provvidenza divina verso gli uomini (= «regno di Dio: v. 10c) e illumina Giacobbe quand'egli concepisce il progetto di un santuario in quel luogo a memoria della teofania (questo pare il senso più probabile dell'espressione «conoscenza delle cose sante»: v. 10d). Con l'aiuto della sapienza poi Giacobbe ha successo sia nella vita familiare con una numerosa prole (v. 10ef), sia nella vita economica (v. 11); si allude qui al periodo trascorso in casa di Labano (cfr. Gn 29-30). Infine è ancora la sapienza ad assicurare al patriarca la vittoria nel misterioso combattimento con l'angelo di JHWH (cfr. Gn 32,24-31).

vv. 13-14. Giuseppe. Non solo l'autore rievoca la sua storia, ma ne fa il tipo del giusto perseguitato e poi glorificato. Nella tradizione Giuseppe rappresenta pure la figura del saggio, perciò a maggior ragione lo Pseudo-Salomone sottolinea qui l'azione liberatrice della sapienza.«lo preservò dal peccato»: in antagonismo alla seduzione ammaliante del peccato impersonato dalla moglie di Putifarre (cfr. Gn 39,7-12), si contrappone la sapienza, la vera sposa del giusto (cfr. 8,2.9, ecc.). «scese»: si riprende l'immagine dell'angelo del Signore disceso con Azaria e i suoi compagni nella fornace (Dn 3,49) e la si applica alla sapienza nei confronti di Giuseppe in prigione. «scettro regale»: lo Pseudo-Salomone segue la tradizione giudaica che tendeva a vedere in Giuseppe un autentico re; «avversari» e «accusatori»: gli avversari e gli accusatori del patriarca furono in realtà pochi; dietro queste espressioni si intravede probabilmente l'intenzione attualizzatrice dell'autore, che ha presente i numerosi denigratori e oppositori dei Giudei alessandrini del suo tempo.

vv.15-21. Il popolo dell'esodo. La serie dei grandi personaggi biblici sfocia ora nella rievocazione dell'Israele dell'esodo, proprio quando con la liberazione d'Egitto esso inizia la sua vera esistenza di popolo. Questa nascita del popolo è però opera della sapienza, la quale nella rilettura dell'autore rappresenta l'azione di Dio stesso; così la sapienza appare non più soltanto come la protettrice di alcuni uomini privilegiati, ma anche e soprattutto come la guida del popolo di Dio. Questi versetti preannunciano e introducono allo stesso tempo quello che sarà il tema di Sap 11-19.

v. 15. L'aggettivo «santo» non intende sottolineare primariamente il comportamento devoto dell'uomo – in tal caso la santità di Israele sarebbe contraddetta dalle sue numerose ribellioni a Dio –, quanto piuttosto l'azione di Dio a favore dell'uomo, specialmente tramite il dono dell'alleanza. Tuttavia c'è pure in questo versetto una certa idealizzazione dell'Israele dell'esodo, come nei profeti (cfr. Os 2,16-17; Ger 2,2-3) e l'indicazione di un ideale per la generazione contemporanea.

v. 16. «servo»: questo titolo in Esodo contrappone Mosè ai servi di faraone, in quanto il primo è servo del Signore (cfr. ad es. Es 4,10; 14,31), mentre i secondi sono semplicemente servi di faraone (cfr. Es 5,21; 7,9-10, ecc.). Ciò che la precedente tradizione biblica diceva dello spirito (cfr. Nm 11,17; Is 63,11) viene ora detto della sapienza, che costituisce infatti la vera guida interiore di Mosè. Il plurale «terribili re» è una generalizzazione oratoria o semplicemente un plurale maiestatico, indicante faraone.

v. 17. «ricompensa»: l'appropriazione da parte degli Ebrei di oggetti preziosi degli Egiziani (cfr. Es 12,35-36) viene interpretata come la restituzione d'un salario non pagato durante gli anni di schiavitù. «riparo»: la colonna di nube, che accompagna il cammino degli Ebrei dopo l'uscita dall'Egitto, diventa qui, nell'interpretazione dello Pseudo-Salomone, la sapienza stessa; più che indicare la strada (cfr. Es 13,21-22), essa copre e protegge il popolo (cfr. Nm 10,34; 14,14; Sal 105,39).

v. 20. La rievocazione del canto di ringraziamento degli Ebrei (cfr. Es 15) assurge a preghiera; ne sono segno il ritorno della seconda persona, l'invocazione «Signore» e il frasario di indubbio sapore liturgico. Questo non meraviglia sia perché si tratta di un momento drammatico della storia, dove Israele ha davvero toccato con mano la presenza salvifica del Signore, sia perché, tramite la preghiera, l'autore vuole coinvolgere la sua generazione, invitandola a scoprire nella propria storia la medesima presenza salvifica divina.

v. 21. Riappare la sapienza, apparentemente assente nel versetto e precedente, per sottolineare con vigore che era stata lei l'ispiratrice della lode al mare (dunque non era assente!) e soprattutto che era stata lei ad associare a quella lode i muti e gli infanti, facendone veramente un canto concorde (cfr. v. 20c). C'è qui l'eco di una tradizione interpretativa presente pure nel Targum a Es 15,2, dove si afferma infatti che dalle mammelle materne i lattanti facevano segno con le dita ai loro padri e si univano alla loro lode a Dio. Interpretando i due emistichi del v. 20 in rapporto di parallelismo sinonimico, i muti di 21a sarebbero precisamente questi lattanti ancora incapaci di parlare, ma a cui la sapienza ha ora sciolto la bocca.

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Sapienza – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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