Seconda lettera ai Corinzi – Capitolo 13

Preparativi della visita 1Questa è la terza volta che vengo da voi. Ogni questione si deciderà sulla dichiarazione di due o tre testimoni. 2L’ho detto prima e lo ripeto ora – allora presente per la seconda volta e ora assente – a tutti quelli che hanno peccato e a tutti gli altri: quando verrò di nuovo non perdonerò, 3dal momento che cercate una prova che Cristo parla in me, lui che verso di voi non è debole, ma è potente nei vostri confronti. 4Infatti egli fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. E anche noi siamo deboli in lui, ma vivremo con lui per la potenza di Dio a vostro vantaggio.

Esortazione alla revisione di vita 5Esaminate voi stessi, se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete forse che Gesù Cristo abita in voi? A meno che la prova non sia contro di voi! 6Spero tuttavia che riconoscerete che la prova non è contro di noi. 7Noi preghiamo Dio che non facciate alcun male: non per apparire noi come approvati, ma perché voi facciate il bene e noi siamo come disapprovati. 8Non abbiamo infatti alcun potere contro la verità, ma per la verità. 9Per questo ci rallegriamo quando noi siamo deboli e voi siete forti. Noi preghiamo anche per la vostra perfezione. 10Perciò vi scrivo queste cose da lontano: per non dover poi, di presenza, agire severamente con il potere che il Signore mi ha dato per edificare e non per distruggere.

PostScriptum 11Per il resto, fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. 12Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano. 13La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.

Approfondimenti

(cf SECONDA LETTERA AI CORINZI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Francesco Bianchini © EDIZIONI SAN PAOLO, 2015)

Preparativi della visita Al v. 1 per la quarta volta Paolo fa menzione della sua terza visita a Corinto: ormai non si tratta più di un puro annuncio ma di una certezza che spinge a volgersi a una vera e propria preparazione di essa. Così l’apostolo afferma che, giungendo dai destinatari, seguirà la regola di Dt 19,15, secondo la quale ogni questione sarà esaminata sulla testimonianza di due o tre persone. Il v. 2 richiama ancora l’imminente arrivo a Corinto, mettendo però in risalto l’intervento punitivo di Paolo come conseguenza del procedimento di giudizio appena presentato. Le ammonizioni dell’apostolo, presentate nell’ambito della sua seconda visita, avevano prodotto successivamente un certo risultato positivo nella comunità (7,5-16) ma poi, a causa dell’influsso degli avversari, i Corinzi erano ritornati ai loro comportamenti scorretti. Il riferimento è probabilmente alle tendenze disgregatrici e agli abusi in campo sessuale dei quali si è trattato in 12,20-21 e che per Paolo rappresentano non problemi di singoli o di gruppi isolati, ma questioni riguardanti l’intera comunità e la sua crescita nella fede. Al v. 3 giunge la motivazione del comportamento non indulgente di Paolo con un ritorno anche al binomio debolezza/forza, che campeggiava nel discorso del folle. Inoltre la questione della capacità di parlare era al centro della tesi di 11,5-6. ora l’apostolo dice conclusivamente che, come negli antichi profeti, il Signore si esprime attraverso di lui. Ciò è indicazione della forza di Cristo, che può agire anche attraverso la debolezza degli strumenti umani (cfr. 12,9) e che è già in azione nella comunità nei segni compiuti da Paolo stesso (cfr. 12,12) e in tutti i doni di grazia concessi ai Corinzi (cfr. 9,8). Il v. 4 spiega il precedente e mette in collegamento la debolezza e la potenza di Cristo con quella di Paolo. Egli, infatti, dice che Cristo è stato crocifisso a causa della debolezza della natura umana da lui assunta, ma come risorto vive in forza della potenza di Dio. In conseguenza di tutto questo l’apostolo sperimenta nella fragilità della sua umanità, per mezzo della sua unione con Cristo, già la vita segnata dalla dinamica della risurrezione che opera anche nei destinatari. Il parallelo tra Cristo e Paolo nell’ambito del paradossale binomio debolezza/forza vuole così definitivamente accreditare e av- valorare l’autorità apostolica del secondo presso i Corinzi, in vista della sua terza visita.

Esortazione alla revisione di vita Se nei versetti precedenti Paolo aveva parlato della prova della sua autenticità apostolica, attestata da un paventato intervento disciplinare, ora al v. 5 mette in campo l’esigenza di un’autovalutazione critica da parte dei Corinzi, in modo anche da evitare di infliggere la suddetta punizione. Infatti, egli esorta i destinatari a esaminare piuttosto se stessi, così da valutare se effettivamente vivono la fede cristiana. Al v. 6, dopo avere chiesto ai Corinzi di esaminarsi, Paolo torna a parlare di sé in vista della sua terza visita a Corinto. Egli esprime così la speranza che i destinatari possano riconoscere che egli non è disapprovato. L’apostolo manifesta il desiderio che, in occasione della propria venuta, i Corinzi non diano più credito alle accuse formulate nei suoi confronti sotto l’influsso degli avversari e riconoscano l’autenticità del suo apostolato. Questo auspicio è un secondo risultato del processo di discernimento proposto ai destinatari nel versetto precedente: i Corinzi, verificando se stanno davvero camminando nella fede, riconosceranno anche il valore e la grandezza del ministero di Paolo al quale è dovuto proprio il loro itinerario cristiano (cfr. 10,15). Con il v. 7 l’attenzione dell’apostolo si volge di nuovo verso i destinatari, riportando l’invocazione che egli innalza a Dio per loro. L’apostolo intende sottolineare che il suo fine ultimo non è quello di superare la prova come vero inviato di Dio, ma il bene dei Corinzi. Infatti, se i destinatari cambieranno il loro modo di agire, Paolo non avrà occasione di mostrare la sua forte autorità apostolica con un’azione disciplinare nei loro confronti. Al v. 8 Paolo afferma di non potere fare nulla contro la verità, ma solo ciò che è al suo servizio. Che la verità si difenda da sola e che sia necessario arrendersi a essa da parte dell’uomo saggio è affermato sia in ambito greco che biblico-giudaico (cfr. Sir 4,25.28; 3 Esdra 4,35.38). Tuttavia l’apostolo, in maniera originale, lega la verità a Cristo e al suo Vangelo (cfr. 2Cor 11,10; Gal 2,5.14). Il v. 9 si ricollega al v. 7 come sua seconda motivazione, immettendo in 2 Corinzi B per la prima e unica volta il motivo della gioia. Così Paolo afferma di rallegrarsi quando lui risulta debole e i destinatari forti. Inoltre, aggiunge di pregare per il riordinamento della comunità corinzia. Il binomio debolezza/forza, ripreso dai vv. 3-4, è qui applicato soprattutto alla speranza che l’apostolo ha di non dovere mostrare la sua autorità disciplinare in occasione della prossima terza visita a Corinto: se egli non sarà costretto a intervenire con un’azione punitiva, risulterà ancora una volta debole (cfr. 10,10; 11,6); d’altra parte, ciò significa che i destinatari saranno provati forti nella fede (cfr. 13,5). Il v. 10 conclude le indicazioni preparatorie della terza visita, menzionando il motivo dello scrivere, tipico delle conclusioni delle epistole paoline (cfr., p. es., Rm 15,21; Gal 6,11; 1ts 5,1; Fm 21), ritornando su quello presenza-assenza e specificando una ragione per l’estensione di 2 Corinzi B. Egli, infatti, afferma che ha scritto queste cose da lontano per evitare di dovere intervenire con tagliente severità al momento della sua venuta, dato che l’autorità apostolica ricevuta da Dio è in vista dell’edificazione e non della distruzione della comunità. Come già sottolineato con le stesse parole in 10,8 e in 12,19, Paolo ha di mira la crescita spirituale della sua comunità e non il suo annichilimento. Per questo nel brano che ora termina egli ha chiesto insistentemente ai Corinzi di compiere un cambiamento sostanziale di atteggiamento in vista del suo arrivo da loro.

Post Scriptum Nell’antichità il Post Scriptum non ha la specifica funzione di aggiungere quanto è stato dimenticato nel corpo della lettera, secondo quello che avviene per noi oggi; in epoca classica riveste valore giuridico, di autenticazione della lettera, scritta normalmente da un segretario. Così accade, con ogni probabilità, anche nelle lettere paoline, poiché alcune volte, alla fine delle medesime, l’apostolo segnala il suo intervento autografo (cfr. 1Cor 16,21; Gal 6,11; Col 4,18; 2ts 3,17; Fm 19). L’importanza del Post Scriptum nelle lettere paoline può essere individuata nel fatto che esso contribuisce a mettere le Chiese in contatto le une con le altre e quindi a farle crescere nella comunione, basata sul medesimo dono di grazia ricevuto da Dio. Inoltre, questo elemento epistolare assume di tanto in tanto la funzione di ricapitolare i temi trattati nella lettera (cfr. Gal 6,12-17; 1tm 6,20-21; Fm 21). Nella sua laconicità, da una parte, il Post Scriptum di 2Cor 13,11-13 propone i seguenti usuali elementi: ultime raccomandazioni (v. 11), saluti (v. 12), benedizione (v. 13); dall’altra, non menziona, contrariamente al solito, nessuno dei nomi dei destinatari. Il motivo potrebbe essere che Paolo, per scongiurare il pericolo di fomentare ulteriori divisioni nella comunità, eviterebbe di ricordare alcuni a scapito di altri. Con il v. 11 sono introdotte le ultime raccomandazioni dell’apostolo ai Corinzi attraverso una serie di cinque imperativi presenti, che suggeriscono un’azione continua e duratura, ai quali segue una promessa divina. Egli si rivolge ai destinatari come fratelli e li invita a rallegrarsi, a correggersi ed esortarsi vicendevolmente, a tenere lo stesso orientamento cristiano di vita e a stare in pace nella comunità. All’esortazione fa da pendant l’affermazione che Dio, fonte dell’amore e della pace, sarà in mezzo a loro, condizione indispensabile per poter realizzare quanto qui l’apostolo ha richiesto loro in preparazione alla sua imminente visita. Al v. 12 si passa ai saluti, attraverso i quali Paolo mette in contatto i cristiani del luogo dal quale scrive con quelli ai quali egli si rivolge. Qui l’apostolo invita i destinatari a scambiarsi il bacio santo e invia i saluti per loro da parte dei cristiani macedoni. La pratica di baciarsi era già diffusa nel mondo antico in diversi contesti e per differenti scopi: tra amanti, in famiglia, con gli amici, all’interno di gruppi religiosi al fine di esprimere affetto, riconciliazione, fratellanza, rispetto. Paolo specifica che quello che i credenti debbono darsi vicendevolmente è «il bacio santo», perché essi sono chiamati alla santità. Attraverso questo segno egli insiste ancora sull’unità da promuovere nella Chiesa divisa di Corinto. Successivamente il «bacio» da scambiare sarà indicato come un elemento proprio della celebrazione eucaristica (Giustino, Apologia 1,65); in 2Cor 13,12 si può soltanto pensare a un gesto proprio di un’assemblea comunitaria che poteva avere un carattere liturgico (cfr. 1pt 5,14). Il v. 13 finale è costituito da un’originale benedizione, contenente l’asserzione trinitaria più chiara di tutto l’epistolario attribuito a Paolo. Infatti, l’apostolo benedice tutti i Corinzi, menzionando i doni della grazia, dell’amore e della comunione che provengono rispettivamente da Cristo, da Dio e dallo Spirito Santo. Come negli altri Post Scriptum paolini, qui si presenta il contenuto, la fonte divina e i destinatari della benedizione, ma con una rilevante espansione verso un’embrionale teologia delle persone divine. Tale dottrina sarà sviluppata in maniera compiuta solo successivamente. tuttavia, di essa si trovano altre tracce nel nuovo testamento, per esempio, nel passaggio paolino di 1Cor 12,4-6 o nella formula battesimale di Mt 28,19. Così, se al v. 11 Paolo aveva promesso la continua presenza di Dio nella comunità di Corinto, ora al v. 13 invoca su questa i doni divini. In fondo l’apostolo affida la Chiesa destinataria a Dio, solo al quale essa appartiene, con la speranza che grazie all’azione divina possa ritrovare la strada perduta. E, in effetti, dalla conclusione di romani, scritta con ogni probabilità a Corinto, è da presumere un esito positivo, grazie anche alla sofferta 2 Corinzi B, nella relazione tra Paolo e la sua comunità, con il completamento della colletta (cfr. Rm 15,26).


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