Terza lettera di Giovanni

Indirizzo e saluto 1Io, il Presbìtero, al carissimo Gaio, che amo nella verità. 2Carissimo, mi auguro che in tutto tu stia bene e sia in buona salute, come sta bene la tua anima.

Testimonianze di vita cristiana 3Mi sono molto rallegrato, infatti, quando sono giunti alcuni fratelli e hanno testimoniato che tu, dal modo in cui cammini nella verità, sei veritiero. 4Non ho gioia più grande di questa: sapere che i miei figli camminano nella verità. 5Carissimo, tu ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli, benché stranieri. 6Essi hanno dato testimonianza della tua carità davanti alla Chiesa; tu farai bene a provvedere loro il necessario per il viaggio in modo degno di Dio. 7Per il suo nome, infatti, essi sono partiti senza accettare nulla dai pagani. 8Noi perciò dobbiamo accogliere tali persone per diventare collaboratori della verità. 9Ho scritto qualche parola alla Chiesa, ma Diòtrefe, che ambisce il primo posto tra loro, non ci vuole accogliere. 10Per questo, se verrò, gli rinfaccerò le cose che va facendo, sparlando di noi con discorsi maligni. Non contento di questo, non riceve i fratelli e impedisce di farlo a quelli che lo vorrebbero e li scaccia dalla Chiesa. 11Carissimo, non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha veduto Dio. 12A Demetrio tutti danno testimonianza, anche la stessa verità; anche noi gli diamo testimonianza e tu sai che la nostra testimonianza è veritiera.

Conclusione e saluti finali 13Molte cose avrei da scriverti, ma non voglio farlo con inchiostro e penna. 14Spero però di vederti presto e parleremo a viva voce. 15La pace sia con te. Gli amici ti salutano. Saluta gli amici a uno a uno.

Approfondimenti

(cf LETTERE DI GIOVANNI – introduzione, traduzione e commento di MATTEO FOSSATI © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

Indirizzo e saluto Quest'apertura appare molto simile a quella incontrata in 2Giovanni, anche se eccezionalmente stringata: l'autore si limita infatti a indicare la propria persona con il titolo di «presbitero» e il destinatario con il nome proprio «Gaio». La concisione è comunque uno dei tratti caratteristici di questo scritto, che risulta il più breve di tutto il Nuovo Testamento! L'«amore nella verità» dell'autore per il destinatario, non è da intendersi come una semplice dichiarazione di autentico affetto, quanto piuttosto come un riferimento alla profonda comunione esistente tra coloro che credono nel Cristo, resi da questa fede fratelli perché figli dell'unico Padre celeste. La 3Giovanni ha tutte le caratteristiche di una missiva privata del presbitero a Gaio e assomiglia, in questo, al biglietto di Paolo a Filemone, che, rispetto ai più ufficiali scritti a Timoteo e a Tito, conserva un carattere spiccatamente personale. Ma 1 Gv presenta anche forti tratti teologici giovannei, oltre ad aprirci insoliti scorci sulla vita e sulle problematiche delle prime Chiese cristiane, soprattutto in merito al rapporto talora conflittuale tra le guide delle singole comunità e l'autorità apostolica.

Testimonianze di vita cristiana Il corpo della Terza lettera di Giovanni può essere diviso in tre paragrafi: vv. 3-8; vv. 9-10; vv. 11-12. Quello centrale è ben delimitato dall'inclusione ottenuta grazie alla ripetizione del termine «Chiesa» e del verbo «accogliere»: sono i vv. 9-10, che si differenziano dal resto anche per il contenuto, in quanto dedicati a Diotrefe e alla sua riprovevole condotta, ostile nei confronti del presbitero.

Come già in 2 Giovanni, l'autore si serve di una frase di rallegramento per passare dal prescritto al corpo della lettera. In questo caso il motivo della gioia del presbitero risiede nell'aver ascoltato la testimonianza di alcuni cristiani in favore della buona condotta di Gaio: questo è il significato che deve essere dato all'espressione «camminare nella verità». «Camminare nella verità» equivale dunque a camminare «come camminò Lui» (1Gv 2,6).

I vv. 5-8, introdotti dall'allocuzione «carissimo», esplicitano finalmente l'argomento della lettera e il contenuto concreto del «camminare nella verità» di Gaio: si tratta di una questione di ospitalità. Egli ha dimostrato la propria lealtà a Dio, alla Chiesa e al presbitero stesso offrendo ospitalità ai fratelli di altre comunità giovannee («stranieri», v. 5), inviati in missione tra i pagani «per amore del Nome» di Gesù (v. 7). L'autore vuole chiaramente rinforzare Gaio nella decisione di ospitare gli inviati della propria Chiesa ora che a essi è precluso il soggiorno nella Chiesa di Diotrefe (3Gv 10), l'aiuto di Gaio si rivela quanto mai prezioso e vitale. Mettendo insieme i dati fomiti dall'epistolario giovanneo nel suo complesso, è possibile concludere che la richiesta fatta a Gaio è quella di collaborare alla diffusione del Vangelo secondo la vera tradizione del Discepolo amato: in un momento in cui c'è estremo bisogno di combattere le false dottrine dei secessionisti (1Gv 2,18-19.22; 3,7; 4,1; 2Gv 7), il presbitero si serve di collaboratori che devono essere sostenuti dai suoi figli fedeli. Per questo l'aiuto di Gaio non investe solamente il campo della carità cristiana (3Gv 6), ma anche quello della verità (3Gv 8): ospitare i missionari inviati dal presbitero equivale a contribuire alla diffusione della vera dottrina cristiana ricevuta «da principio» (1Gv 1,1; 2,7.24; 3,11; 2Gv 5-6).

Con i vv. 9-10 si entra nella sezione polemica dello scritto. Qui l'autore, abbandonati i toni cordiali usati per complimentarsi con Gaio nel paragrafo precedente, affronta in modo diretto e senza mezzi termini una questione spinosa, che lo vede amareggiato e in forte disappunto: il comportamento ostile di Diotrefe. La brevità dello scritto non fornisce notizie sufficienti per ricostruire in modo dettagliato né l'oggetto del diverbio tra il presbitero e Diotrefe, né il ruolo preciso ricoperto dai due uomini all'interno della nascente Chiesa. Il fatto che 3Giovanni non accenni alle controversie dottrinali tanto centrali in 1 e 2Giovanni suggerisce però che Diotrefe non appartenga direttamente al gruppo dei secessionisti – gli «anticristi», «bugiardi», «ingannatori» e «falsi profeti» di 1Gv 2,4.18.22.26; 3,7; 4,1.3; 2Gv 7 – che stavano minando alla base l'integrità della predicazione giovannea. Sembra che la tensione tra queste due figure non dipenda tanto da posizioni teologiche differenti, quanto piuttosto da una questione di autorità. Nei fatti, però, il comportamento di Diotrefe ostacola l'opera di diffusione della vera dottrina cristiana messa in atto dal presbitero, con la conseguenza di lasciare libero il campo all'azione degli anticristi. La questione è seria, perché, da ciò che si legge in 3Giovanni, sembra di intendere che Diotrefe non solo «aspira a primeggiare», ma effettivamente esercita autorità nella propria Chiesa, al punto da ignorare le parole del presbitero e da allontanare dalla comunione ecclesiale chi non segue le proprie direttive. Nelle comunità giovannee l'autorità veniva concepita in modo molto arcaico come derivante dal contatto diretto con il «principio» e appartenente, non a caso, ad «anziani». Nella Terza lettera di Giovanni sembra dunque affiorare un conflitto tra il presbitero, il quale incarna l'autorità spirituale e carismatica della scuola del Discepolo amato, e Diotrefe, ricco e influente cristiano di una comunità giovannea, che si oppone a quest'antica concezione autoritativa, aspirando a un incarico ministeriale di guida nella Chiesa, simile, forse, a quello delle altre comunità apostoliche e paoline.

Al v. 11 l'autore torna a rivolgersi direttamente a Gaio con una semplice quanto incisiva esortazione: «non imitare il male, ma il bene». Tutto si divide in luce e tenebre, verità e menzogna, bene e male. Non si dà una terza via: Il credente è quindi chiamato a scegliere costantemente per il bene, per la verità, per la luce. In una parola: per Dio. Il presbitero vuole mettere in guardia Gaio dall'imitare la condotta riprovevole di Diotrefe. Il tema dell'ospitalità permette di comprendere anche il v. 12, dedicato a un tale Demetrio, che altrimenti rimarrebbe un po' slegato dal contesto: l'insistenza sulla buona testimonianza portata da tutti nei confronti di questo cristiano, testimonianza confermata dalla verità stessa, nonché dalla parola del presbitero (si raggiunge in questo modo il numero di tre testimoni, richiesto dalla Legge per la validità di un processo: cfr. Dt 19,15), sembra finalizzata a convincere Gaio ad accogliere in casa propria Demetrio, sfidando le restrizioni imposte da Diotrefe alla sua comunità e mostrando la propria fedeltà al presbitero e alle guide della Chiesa giovannea.

Conclusione e saluti finali Il paragrafo finale di 3 Giovanni rappresenta la perfetta conclusione di una lettera personale della classicità: la chiusura del corpo avviene tramite l'affermazione un po' stereotipata dell'esistenza di molte altre cose che avrebbero potuto trovare posto in quella comunicazione scritta, che invece deve interrompersi per ragioni di spazio – la lettera occupa un foglio di papiro. L'autore aggiunge poi il desiderio di incontrare personalmente Gaio con un'espressione che lascia intuire quanto egli sembri maggiormente incline a compiere questo viaggio piuttosto che quello nella comunità di Diotrefe, ipotizzato solo come eventuale nel v. 1O. La lettera si conclude infine con un augurio di pace che riecheggia il saluto del Risorto ai suoi discepoli (Gv 20,19.21.26). Il cristiano deve mettere in conto la fatica nel proprio cammino e deve essere disposto ad assumere posizioni impopolari pur di rimanere fedele al comandamento dell'amore affidatogli da Gesù: è la via della croce, che sola porta verso la vera vita e la vera pace. È l'amore che conduce Gesù al dono della propria vita sul Golgota; deve essere l'amore a guidare i discepoli verso scelte di vita eroiche. Nel caso di Gaio, questo amore prende la forma concreta della scelta per l'ospitalità. E il guadagno (cfr. 2Gv 8) sarà appunto la pace che viene dal Cristo.

Come Gesù, dopo aver affidato ai suoi discepoli il nuovo comando dell'amore, li insignisce dell'affettuoso titolo di «amici» – «Non vi chiamo più servi... Vi ho chiamati amici» (Gv 15,15) – , così il presbitero perpetua nella Chiesa la tradizione di rivolgersi ai fratelli nella fede con lo stesso appellativo, che eleva l'umanissimo sentimento dell'amicizia al livello del divino legame che spinse il Signore a portare a compimento la sua missione di amore nell'estremo dono di sé per «i suoi che erano nel mondo» (Gv 13,1).


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