[cronache dalla scuola]
Ieri stavamo facendo la letteratura religiosa in Italia in una terza tecnico, leggo il cantico di San Francesco e poi – siccome li vedo un po' provati – rimando Jacopone da Todi e gli chiedo di scrivere loro una lode al creatore, mettendo le cose importanti della loro vita per cui vale la pena ringraziare dio, che ci credano o meno.
'Ma poi le legge?' chiede uno studente e io dico, beh, chiamo qualcuno di voi a leggere, e lo studente dice, ma allora perché non facciamo come quel video che ci ha fatto vedere? E io, che video? E lui, quello dei poeti che si sfidano nello slam. E io, bella idea.
Quindi oggi abbiamo fatto la prima manche di slam poetry in classe, quattro neo-poeti si sono sfidati, cinque studenti dal pubblico hanno dato i voti e uno studente ha tenuto la contabilità. Grandi applausi dal pubblico e l'emozione – mia – nel vedere anche gli studenti più silenziosi “salire sul palco” e mettersi a leggere testi anche intimi.
Lunedì prossimo seconda manche.
Poi vado in quarta scientifico soft, dico di prendere tutto e li porto in biblioteca. Sono già divisi in tre gruppi, ognuno ha un atto dell'Othello di Shakespeare. L'idea è che ogni gruppo prepari una semplice rappresentazione dell'atto che gli è stato assegnato. Possono tradire il testo, riassumere alcune parti, attualizzarlo, recitare a soggetto: sono liberi.
Due ore di tempo per imbastire il lavoro (un'ora già l'avevamo fatta), poi avranno ancora un'ora di prove in classe con un attore che verrà a dargli qualche indicazione e poi quindici giorni per finire autonomamente la rappresentazione.
Giro tra i gruppi. Alcuni si mettono in cerchio, altri sui divani, altri attorno a un tavolo. Un gruppo fatica a funzionare, sono tanti e le scene sono diseguali. C'è anche tensione tra alcuni studenti. Non tutti si sentono chiamati in causa, si defilano. Lavorano comunque e alla fine tre studenti mi portano una prima rappresentazione della prima scena. Uno in particolare si vede che cerca di recitare, dà tono alla voce, ci crede.
Gli altri gruppi sembrano divertirsi di più. Mi chiedono i significati di questa o quella parola, provano pezzi del dramma, si danno consigli l'un l'altra. Ad un certo punto una ragazza scopre che il suo personaggio è sposato a un altro personaggio e dovrebbe baciare un suo compagno di classe. Risate.
Mentre giro e li vedo fare queste cose due cose si dibattono dentro di me: mezzo venerandi vede la dispersione, quelli che si defilano o cazzeggiano, pensa che in due ore di lezione frontale avrebbe portato avanti il programma, ha paura che i gruppi poi lasciati da soli non riescano ad arrivare ad un prodotto finito.
L'altro mezzo venerandi pensa che sia incredibile che dei ragazzini nel 2023 si mettano lì e si divertano con il teatro e con Shakespeare. Che c'è più Shakespeare in quegli ingenui primi tentativi di drammatizzarlo che nei florilegi del loro libro di testo letti in classe, seduti ai banchi. Che probabilmente qualcosa di quelle due ore non se lo dimenticheranno.
Un gruppo in particolare mi fa un intera scena con le voci impostate, lavorano tutti bene in gruppo, alla fine dentro di me penso 'me cojoni'.
Suona la campanella e potrei tornare a casa. Ma so che in un'aula il CNR sta facendo una sperimentazione di gaming interattivo collaborativo per le discipline di fisica e chimica e quindi vado e mi intrufolo e dopo un po' sono in un angolino con uno degli sviluppatori che mi fa vedere i loro progetti di gioco online, visione a 360 gradi, viaggi alla scoperta dei palazzi storici torinesi.
E prendo idee, succhio tutto quello che posso. Alla fine esco, sfinito come un fantasma, con tutti questi guazzabugli in testa.
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Ad un certo punto entro in terza, vado alla cattedra e li vedo un po' delusi e uno mi chiede, ma il poeta non viene? e io appoggio lo zaino e dico – viene viene – e loro mi chiedono quando? e io dico – adesso adesso – e loro chiedono ma a quest'ora o alla prossima? e io dico – questa questa – e poi mi trovo
a dettare appunti sulla vita di Filippo Balestra che intanto via WhatsApp mi scrive – arrivo arrivo e poi infatti arriva, entra in classe e facciamo questa cosa che doveva durare un'oretta e ne è durate due orette
con Filippo che raccontava cosa significa oggi fare il poeta e i ragazzi che lo investivano di domande tipo, ma ci fai i soldi?, ma si becca a fare il poeta? chi è il tuo poeta preferito? ma c'è una poesia che rappresenta il tuo stile di vita? ma c'è un giorno che ti sei alzato e hai detto “poesia, basta”?
e Balestra scansava queste frecce che gli studenti gli lanciavano e diceva “ma certo!”, “insomma”, “ecco”, “davvero” ma anche “neoliberismo”, “scrivere: sempre e comunque” e infine “qualunque cosa”.
A metà per farlo riposare un attimo abbiamo fatto la tappa finale del nostro poetry slam di classe e i due studenti poeti si sono sfidati davanti a Filippo che li guardava e ridacchiava e pensava e alla fine le due poesie eran pure belle.
E – insomma – due ore che non so gli studenti, ma Venerandi e Balestra per un po' se le ricorderanno, almeno io.
E poi.
E poi vado in quinta, dall'una alle due e dico, ok ragazzi oggi iniziamo a leggere Vogliamo tutto di Balestrini, avete il libro e uno studente si gratta la testa e in pratica, aveva letto male e aveva portato tutti i libri di italiano, i quaderni, perché aveva letto che “volevo tutti” i libri in classe. Ma non Vogliamo tutto. “Questa la scrivo su Facebook”, gli dico. Ride.
Gli do una copia che avevo in più e iniziamo a leggere Vogliamo tutto, e succede questa cosa un po' magica che per un'ora leggiamo Vogliamo tutto e inizio io e poi continua un'altro e ci passiamo il testimone per leggere e ogni tanto io mi fermo e spiego cosa è la DC e il PCI e la Cassa del Mezzogiorno, un po' loro mi fermano e fanno domande sugli scioperi, la sinistra, la mafia, il terrorismo.
E mentre leggiamo li sento un po' stupiti a dire cazzo, a a bestemmiare a entrare nel linguaggio di un proletario del suditalia incazzato, negli anni sessanta, e quando uno mi dice che dove Balestrini fa parlare il protagonista con le sue sgrammaticature sembra la stessa tecnica di Verga, io un po' mi commuovo.
E penso che Vogliamo tutto sia perfetto per quel momento, che sia un libro che leggerlo in cerchio a voce alta funziona, anche se è difficilissimo da leggerlo perché mancano le virgole e le virgolette, penso sia un testo perfetto.
E – niente – fosse sempre così. In silenzio a leggere qualcosa di interessante e contemporaneo con gente intelligente e un po' curiosa, a sentire la poesia scritta oggi che rimbalza un po' per le pareti della scuola, le grida degli scioperi di cinquant'anni fa.
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Quindi in terza iniziamo a leggere Paolo Nori e già partiamo che non tutti gli studenti hanno il libro, e io dico come facciamo, e alla fine decido di partire lo stesso usando lo schermo per proiettare il testo per chi non ha il libro. E inizio a leggere la prima pagina, cerco di interpretare un po' il testo di Nori, sono anche un po' stanco, è la sesta ora.
E vedo che non sta funzionando, sento che c'è nervosismo, alcuni ridono altri si stanno distraendo e io pensavo che Nori doveva essere perfetto per loro, dovevano innamorarsi di Nori e invece questo amore non sta sbocciando per niente e io mi fermo un attimo e dico, vedete qua Nori scrive in un modo che se lo usaste voi in un tema io ve lo segnerei errore, ma lui lo fa apposta.
E qua uno studente alza la mano e dice, ma perché a me dà tre e invece Nori può farlo? E io cerco di spiegargli perché, ma un altro alza la mano e dice che non è convinto, dice che a scrivere così sono capaci tutti, e io sto per rispondere e un altro alza la mano e dice, come fa uno a sapere che Nori fa apposta e invece non sbaglia davvero e io mi giro e un altro ha già alzato la mano e dice ma scusi prof, a leggere un libro scritto come uno parla non c'è il rischio che poi la gente non migliora il suo italiano e intanto un altro ha alzato la mano e chiede, ma prof, non è che ha scelto questo libro per farci fare l'analisi grammaticale degli errori?
E io cerco di dire, no, ragazzi Nori è bravo davvero, è la scuola bolognese, ha anche studiato russo, dategli fiducia e loro riprendono a leggere ma è una debacle: leggere dovrebbero leggere come Nori e invece leggono come leggono loro, quindi tutto un certo umorismo, tutto bolognese si perde, i pezzi che dovrebbero far ridere, non fanno ridere, i pezzi che dovrebbero essere di questo realismo un po' sognante non sono sognanti per niente e davanti all'ennesima cosa scritta male uno studente si ferma e mi dice, “scusi prof, ma “a me mi” proprio no”. E un altro studente gli urla dall'altra parte della classe “non capisci: è la scuola bolognese!“.
E io lì soffro come come se in quel momento fossi un pezzetto di Nori anche io, uno dei tanti horcrux di Nori sparsi nel mondo e vedo questa debacle noriana in terza e guardo l'orologio e cerco di trovare degli stratagemmi minimi per arrivare al suono della campanella senza che troppi cadaveri noriani cadano a terra, ritirare le truppe sconfitte e poi mettermi lì, nell'aula vuota del venerdì pomeriggio a pensare le strategie per il prossimo attacco.
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Preparando le schede per il gioco di comitato di mercoledì. L'idea è che ogni studente sia uno stato alle Nazioni Unite. Ha una scheda con su scritto quali sono stati i suoi rapporti con Israele e con il popolo palestinese. La scheda l'hanno fatta loro senza sapere a cosa servisse.
Ad ogni angolo della classe ci sarà un foglio che ipotizza un diverso possibile futuro per le relazioni israelo-palestinesi, dalla distruzione di Israele, a due paesi conviventi, a uno status quo, ad altre idee che potrebbero avere gli studenti.
Qui avviene un caucus e gli studenti/stato possono girare fra i diversi angoli, discutere e scegliere quello che credono più in linea con il loro paese.
Una volta scelta la propria linea di intervento devono redarre una proposta di risoluzione ONU per il futuro della Palestina. Trovare una soluzione.
Tutte le risoluzioni saranno poi messe al voto, seguendo però le regole reali dell'ONU: gli stati con diritto di veto potranno esercitarlo.
Funzionerà? Lo scoprirò dopodomani.
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Oggi dico che la settimana prossima inizieremo le interrogazioni di storia e che le faranno loro, divisi a coppie, il primo dovrà fare una introduzione alla domanda di almeno sessanta secondi, che dimostri che anche lui sa di cosa si sta parlando, e poi formulare la domanda vera e propria al compagno che dovrà dare la risposta e il primo compagno alla fine compilerà una griglia valutando le competenze dell'altro compagno.
E siccome siamo in tanti, metà della classe me la porto via in un'aula più piccola e l'altra metà lo faranno con la docente di sostegno. Così siamo un po' più intimi, meno casino. Io e la docente di sostegno staremo solo a controllare che le interrogazioni siano ben fatte in entrambi i gruppi. Noi non interrogheremo e non daremo voti.
Spiego tutto e alla fine uno studente mi chiede, “ma scusi, ma lei da dove viene che faceva queste interrogazioni così interessanti?”. E io lo guardo e gli rispondo, “ma guarda che io le interrogazioni così non le ho mica mai fatte”.
Lui: stupito. “Ah, le sperimenta per la prima volta su di noi?”. “Eh sì”. “Siamo quindi le sue scimmie per i suoi esperimenti!”. “Eh sì”.
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Entro con i ragazzi di una quinta automazione che non conosco, uno dice a un compagno, capisci che perdiamo un'ora di ginnastica per 'sta attività con il prof di religione per sentire due ebrei che cazzo me ne frega, dice.
Dentro ci sono tutte le quinte, saremo un'ottantina di ragazzi e docenti e lo schermo è acceso, ci sediamo, c'è casino, e poi appaiono i due volti, sono due informatici che ci guardano da Tel Aviv, uno è ebreo, l'altro arabo israeliano.
E sorridono, dicono che non hanno molto tempo, ma che risponderanno alle nostre domande. E parlano della guerra, di loro, di cosa sta succedendo, dei media e per quaranta minuti non vola una mosca. Anche quello che diceva che cazzo gliene fregava, un po' gliene fregava perché sta zitto anche lui.
L'arabo parla un italiano non perfetto ma si capisce, ogni tanto si scalda, ogni tanto chiede scusa se si è scaldato. Quando uno studente gli chiede, ma cosa fate ora che c'è la guerra, i due si guardano e dicono: “stiamo zitti”. Non c'è niente da scherzare, nessun argomento di cui parlare, c'è paura. Si sta zitti, si guarda cosa succede.
Uno gli chiede i bambini come vivono la cosa e i due nello schermo stanno zitti davvero, si guardano, ci mettono un po' a rispondere poi uno dice che i bambini hanno vissuto questa guerra da decenni, che i bambini che l'hanno vissuta poi sono cresciuti e spesso sono morti. Poi, come se si risvegliasse, dice “male”. Vivono male.
Poi dicono tante altre cose, parlano della Palestina, dei mass media, delle responsabilità occidentali, della polarizzazione, di politici che soffiano su questa guerra per farla diventare più grossa e sanguinosa, della sciagura della vendetta, dell'impotenza dell'Onu, della morte.
Poi suona la campanella, a Genova, loro ci salutano, lo sfondo del loro ufficio a Tel Aviv, il lavoro fermo, ruotano la telecamera, ci mostrano un palazzo, ma perché le vetrate sono tutte a pezzi chiede una studentessa.
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Avevo detto che in due classi sto provando questa cosa con le interrogazioni: dico a otto studenti di prepararsi per l'interrogazione di storia. Devono preparare sei domande sul programma fatto finora, poi il giorno dell'interrogazione si interrogano fra di loro usandone quattro dalla rosa delle sei.
Metà studenti lavorano senza di me, con la supervisione dei docenti di sostegno, metà me li porto via in un altra classe o in biblioteca.
In questo modo, credo, si rafforza anche la figura del docente di sostegno come collaboratore della classe tutta.
Man mano che i ragazzi interrogano segnano su una griglia di valutazione la validità delle risposte del compagno, e i docenti fanno lo stesso.
Alla fine, oggi, mi trovo in mano una “radiografia” di sedici interrogazioni fatte giovedì scorso, con qualcosa come quaranta descrittori incrociati per studente che trasformo in valutazioni descrittive e in terza – per ora – affiancate anche ad un voto numerico. Ne escono cose del tipo:
“Le conoscenze emerse durante l'interrogazione sono state essenziali per alcuni argomenti (i mercati medievali) e molto lacunose o assenti per altri (lo scisma d'Oriente e la guerra arabo palestinese). Il linguaggio tecnico utilizzato è stato generalmente impreciso e poco consapevole, così come le argomentazioni degli argomenti poco precise e incoerenti. Scarso l'aiuto al compagno nel porre le domande e aiutarlo nel capire gli sbagli.
Per il recupero è necessario uno studio più approfondito degli argomenti visti in classe e iniziare un lavoro di aumento del vocabolario personale, per potersi aiutare nelle interrogazioni usando il termine giusto al momento giusto.
Il voto 4,5”
o
“Le conoscenze emerse durante l'interrogazione sono state approfondite per tutti gli argomenti trattati (visione cristiana dell'occidente ed economia, gli Ottoni, lo scisma d'Oriente). Il linguaggio tecnico utilizzato è stato generalmente consapevole e preciso. Le analisi degli argomenti sono risultate notevolmente precise e coerenti. Le domande sono state poste in maniera attenta e collaborativa.
Non è necessario nessun recupero. Bravo. Se hai in mente qualche idea di ricerca da fare proponimela.
Il voto 10”
Le interrogazioni mi pare facciano emergere la loro capacità di argomentare e le loro conoscenze, in maniera più tranquilla e meno nervosa rispetto alle interrogazioni tradizionali. Manca lo scavo tipico random che il docente fa per essere sicuro che lo studente sappia davvero tutto quello che è stato fatto, ma forse è un bene 😃
Nel fare le domande e nei tentativi di aiutare il compagno in difficoltà emergono anche aspetti di conoscenza e di sensibilità piuttosto importanti. A volte inaspettati.
Il lavoro con i docenti di sostegno è molto buono e permette di ottimizzare i tempi di interrogazione quando le classi sono molto numerose.
Insomma, niente di rivoluzionario, ma un metodo che ha aspetti da tenere sotto controllo e altri interessanti.
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Vogliamo tutto di Balestrini lo stiamo leggendo in quinta, in pratica ci siamo già fatti fuori un terzo del libro. Credo che sta andando bene. Inizio a leggere io, poi dico che sono stanco, uno mi dà il cambio, poi un terzo dà il cambio al secondo e continuiamo così a leggere in silenzio per un'oretta e poi suona la campanella e ci salutiamo. Io ogni tanto interrompo, dico qualcosa di storia e poi riprendiamo. E stare lì in classe a sentire uno studente che legge il libro per me, un libro che non ho mai letto, è bello, è un momento che mi rilasso anche io. Facciamo letteratura. Anche perché Vogliamo tutto è un gran bel testo, sembra nato per essere letto in quinta, all'ultima ora, con me che ascolto.
Jack Frusciante l'abbiamo iniziato oggi in una quarta. È una classe che fatico a farli interessare alle cose che faccio. C'è qualcosa che non va. Ci provo eh, ma è difficile. Una fatica. E oggi mi sono confortato perché ho visto che non solo fatico io, ma anche Brizzi. Anche lui ha faticato. Mai letto Brizzi, gliel'ho detto, lo scopriamo assieme e ne abbiamo letto una decina di pagine e mi è anche piaciuto, Brizzi. Ci sono un sacco di cose anni novanta, ma mi è piaciuto. E ho anche pensato che ho fatto bene a non leggerlo negli anni novanta perché mi sarei incazzato, Brizzi. Ora invece ho 53 anni non me ne frega più niente, posso leggerlo, Brizzi.
Comunque lo leggiamo e non prende. Gli studenti seguono, un po', con entusiasmo zero. Si distraggono. Ogni tanto parlottano, tipo Francesco. Mi giro verso di lui e gli dico, Francesco e lui mi dice, eh. Gli dico se continui a parlare ora ti uccido, prendo il tuo cadavere e lo appendo fuori a un ramo, proprio davanti al parcheggio delle moto così tutti posteggiando vedono il tuo cadavere che penzola e se ci pensi dopo un po' il corpo inizierà a decomporsi e quindi perderai pezzi che finiranno anche sopra le moto e la cosa sarà spiacevole per tutti no? Francesco mi guarda e ridacchia. Non l'ho ucciso. Però poi dopo c'erano altri tre studenti che continuavano a parlottare e si capiva che non stavano ascoltando e io ho detto ma così no. Loro si sono fermati.
Ho detto leggere un libro con tre che parlano non mi diverto. Non mi diverto a leggere con tre che parlano. E io, ho detto, voglio divertirmi. A me piace divertirmi, no?
In terza ero teso perché era la seconda volta che dovevamo leggere Bassotuba non c'è e la prima volta era stata una debacle. Allora avevo paura e ho seguito un po' di consigli che mi avevano dato su Facebook e ho detto, oggi leggo io eh. E mi sono messo lì e ho letto per quaranta minuti Bassotuba non c'è.
E io credo di aver letto Bassotuba non c'è, da dio, con tutti i miei limiti del mio concepire dio e del mio leggere in pubblico. Ho cercato davvero di dare il massimo di Paolo Nori, penso che se in classe ci fosse stato Paolo Nori si sarebbe commosso da quanto ho letto bene Bassotuba non c'è, non credo che riuscirò mai a rileggerlo così bene e questo sarà un problema la settimana prossima.
Anche perché c'è questa cosa che in rete ogni tanto leggo quelli che fanno le presentazioni che mettono le loro foto del loro intervento, tutti contenti dell'evento, del feedback del pubblico, ci sono le loro foto di loro che leggono, i ringraziamenti a chi ha partecipato, le foto di loro che vanno in treno e poi tornano in treno a casa.
Ecco, la scuola è come se avessi un evento speciale ogni giorno, ogni ora. Ogni volta ti presenti lì davanti a trenta persona e devi fare quel piccolo miracolo che si chiama comunicazione e devi farlo ogni volta con metodo, tenacia, improvvisazione, tecnica, culo. E non ci sono poi foto di te che parli, nessuno dopo ti dice che sei stato grande; suona la campanella e via, altro giro, altro gettone.
Comunque ho cercato di renderlo, ho fatto le voci, ho dato il massimo e loro, questa volta, se ne sono stati. Il novantasette per cento ha seguito in silenzio che è una media altissima.
A un certo punto però mi sono fermato, dopo aver letto il punto in cui Nori dice che ha sopra la testa delle voci che gli dicono, sei una merda, sei una merda e dico ok, ora mi fermo un attimo, chi se la sente di leggere questa parte qua, così vediamo anche di lavorare un po' sul fare sentire la propria voce e leggere in pubblico. Silenzio. Poi uno dice, se vuole provo io, e dico bravissimo, vieni, dai e lo faccio venire dalla cattedra e leggere quel pezzo alla classe.
E lui lo legge normale, come fanno gli studenti, con la voce standard. E io allora gli dico, bene, ma ora riprovaci, come se fossi incazzato. Pensa che hai queste voci sopra la testa che ti dicono che sei una merda e tu sei incazzato e ci racconti questa cosa da incazzato.
E lui dice ok, e rilegge tutto come prima, con la voce standard. E io lo guardo e gli dico, ma scusa ma tu quando sei incazzato parli così? E lui mi dice sì, mi dice. Perché io non mi incazzo mai, dice. Io sono uno calmo, dice. E poi dice, che se proprio si incazza, si incazza per altre cose, mica per delle voci che gli dicono che è una merda, e io penso mi ha fregato.
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Come è andato il gioco di comitato? In alcuni punti al di sopra delle mie aspetttive, in altri sono emersi aspetti da perfezionare.
Una volta spiegate le regole, date le schede dei singoli stati e i “badge” da attaccarsi ai vestiti (o, come diversi hanno fatto, in fronte) è iniziata la parte caucus.
Il caucus è stato davvero piacevole da vedere: hanno iniziato a dividersi per linea politica e successivamente ad andare negli altri angoli per convincere altri stati a venire da loro e fare massa. I ragazzi interpretavano davvero il loro stato, cercando alleanze e discutendo animatamente sui possibili sviluppi politici delle risoluzioni. “Capisce prof., se io che sono la Russia mi alleo con la Cina, contrasto la politica statunitense nel medio oriente!”
Tra i momenti belli: quando hanno scoperto come funziona il Consiglio di sicurezza dell'ONU e hanno iniziato ad urlare che non era giusto, che non era democratico; quando i gruppi che non avevano nessuno stato membro permanente dell'ONU si rendevano conto di essere molto più deboli degli altri: “Ma se gli stati membri permanenti sono negli altri gruppi, metteranno il veto alla nostra risoluzione!” (così poi è andata); quando – arrivati alle votazioni – tre paesi che avevano lavorato alle risoluzioni non hanno potuto votare. Solo quindici paesi possono farlo, e loro erano 18.
Momenti più critici sono stati la scrittura delle risoluzioni, che è stata poco formale e un po' semplicistica. Su questo dovrò ritornare. E avrei dovuto mettere più regole per la parte di votazione, perché si è trasformata in un ennesimo momento di discussione, molto polarizzata.
Al termine tutte e tre le risoluzioni non sono passate, due per mancanza di voti e una per il veto statunitense. A chiudere, un form di autovalutazione, in cui hanno valutato se stessi, il lavoro preparatorio fatto prima e quello in classe e l'attività in generale. Nessun voto numerico: con questa classe abbiamo fatto patto che fino al primo scrutinio non usiamo voti numerici.
Attività riuscitissima, comunque: per due ore hanno discusso di politica contemporanea, a volte scherzandoci sopra, a volte con molta pragmaticità. E mi sono reso conto che se avessi avuto tre ore, sarebbero andati avanti per tre ore.
Certo: ha funzionato in quella classe dove mi sono sentito tranquillo nel proporla, perché ho visto che i ragazzi sono abbastanza collaborativi e intelligenti per farla. In altre classi non me la sarei sentita.
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Quindi sono in questa sala con tutte le quinte della nostra scuola e di un'altra scuola e davanti a loro c'è un partigiano. Vero, reale, novantotto anni che si mette lì e per quasi due ore snocciola ricordi, idee, collega i fatti che ha vissuto lui con l'attuale guerra a Gaza, con i femminicidi dell'altro ieri e i ragazzi per buona parte restano in silenzio assoluto a vedere questo pezzo del libro di storia che è ancora lì vivo a parlare di Mussolini, di nomi di amici suoi ammazzati dai fascisti, annegati, sparati in testa davanti alla porta di casa, di Calvino e dell'amore dello scrittore per il giardinaggio.
Poi finisce tutto e la mia quinta e un'altra di un collega restano nella sala, mettono le sedie in cerchio e noi continuiamo a leggere Vogliamo tutto di Balestrini, gli scioperi alla Fiat, mentre l'altra classe legge un romanzo ambientato negli anni del fascismo. “Prof, questo romanzo proprio non mi piace” mi confessa alla fine uno studente e io penso eh ci credo, ma intanto se non lo leggi qua con me non lo leggerai mai nel resto della tua vita.
Mezz'ora dopo siamo di nuovo a scuola, seduti, nel pomeriggio, su base volontaria, a vedere un film sui rapporti tra Israele e Palestina, sono rimasti una decina di studenti ma non mollano loro e non molliamo noi e penso che con tutto il male del mondo, anche questa è scuola.