La vita in famiglia è bellissima

Frammenti quotidiani di vita familiare

Sono in auto con terzogenita, guido e ogni tanto la guardo nei suoi incasinatissimi dodici anni e vedo che il suo volto cambia continuamente, come se dal fondo di un fiume che io non posso vedere emergessero ombre di tronchi dell'immaginazione: e ride allora, al niente; fa gli occhi grossi; diventa attonita e poi le fiorisce sulle labbra un sorrisetto ironico.

Chissà cosa sta pensando, mi chiedo. E poi penso che fino a poco prima anche io ero perso nei miei ragionamenti, nelle mie illusioni e questa – mi dico – è una cosa per la quale io e lei ci somigliamo: siamo due sognatori, di quelli ad occhi aperti.

“Sai cosa abbiamo in comune noi due?” le chiedo allora nel silenzio dell'abitacolo. Lei si volta verso di me, la fantasia del suo volto mutante scompare.

“Le ossa” mi risponde.

[frammenti]

[1]

Insomma cecilia e niccolò mi hanno comperato un regalo, erano in centro che facevano spese e hanno pensato di farmi un regalo a sorpresa e a me quando dicono che mi hanno fatto un regalo uno) mi preoccupo due) chiedo sempre 'con che interfaccia?' perché spero abbiano capito che il regalo che a me interessa è qualcosa di interfacciabile con un macintosh e a questa mia domanda i miei due coinquilini mi guardano male e dicono le dita, è interfacciabile con le dita, allora io prendo il pacchetto regalo lo scuoto un po' e sento rumore come di sassolini che si scontrano, e sono curioso lo sfascio, tolgo tutta la carta e alla fine si scopre che è un puzzle da 2000 pezzettini, il regalo è un puzzle da 2000 pezzi. Che io dovrei rimettere in ordine logico mentre ora sono tutti mescolati, non so se avete presente.

“Ah” dico e giro la scatola per vedere la foto e capire cosa deve venire fuori mettendo insieme i 2000 pezzi e quello che dovrebbe venir fuori è l'enorme logo rosso della Coca Cola, con sotto la scritta Always Coca Cola, in giallo.

Alzo gli occhi e anche niccolò capisce che ora nel mio sguardo c'è un abisso panico di quelli profondissimi e la mia voce -che arriva dall'oltretomba- vorrebbe dire 'perché?', 'perché?', nel senso più cosmico del perché, e invece mi sento parlare e chiedere se era in omaggio con qualcosa, vi prego ditemi che era in omaggio con qualcosa e cecilia cerca di fulminarmi con lo sguardo e dice che no, l'hanno comperato, niccolò l'ha visto in un negozio e ha pensato che fosse un bel regalo per il suo papà, ha detto la Coca Cola come quella che beviamo al bar!

Resto con la scatola in mano e mi lacrimano gli occhi e dico grazie niccolò, mi chino sul mio figlio numero uno, lo prendo e lo abbraccio e lui non se lo aspettava e ride felice ma da dietro la spalla la mia faccia adesso è tornata bianca e sta dicendo grazie per avermi regalato un puzzle da duemila pezzi che formeranno il logo della multinazionale Coca Cola e il testo del jingle Always Coca Cola, grazie primogenito, grazie.

[2]

Eccomi con il sacchettino giallastro FNAC e appena entro a casa tiro fuori dal sacchetto il DVD de 'Il laureato' e lo metto sul comò, in pratica tutto ciò che noi venerandi abbiamo quando entriamo in casa finisce sul comò che è un ammasso babelico di oggetti dai più disparati odori ed usi, e quindi ci butto dentro anche 'Il laureato' ma cecilia lo vede, lo prende in mano e mi guarda con aria interrogativa. “Perché hai comperato 'Il laureato'? L'abbiamo già visto” “Perché dopo che l'abbiamo visto la settimana scorsa ho messo il dvd senza custodia sul comò e poi c'è finito qualcosa di molto molto molto pesante sopra e si è spezzato in due. Siccome era di tua sorella mi è sembrato giusto ricomprarlo” e qui taccio perché andare alla FNAC e comperare qualcosa che a) hai già consumato b) non è per te c) non è manco un regalo la persona a cui lo dai non ti ringrazierà, ecco, questa condizione ti rende simile a un santo o un siddharta che guarda gli oggetti e li considera con ascetica superiorità.

Cecilia resta perplessa con il dvd de 'Il laureato” in mano. “Fa, noi abbiamo visto 'il laureato' tipo sei anni fa, mia sorella non ce l'ha mai prestato” “Non...” “La settimana scorsa abbiamo visto 'Il maratoneta'” “Il maratoneta” “Sì, mia sorella ci aveva prestato la settimana scorsa 'Il maratoneta', non 'Il laureato'” dice cecilia e io resto a guardare la copertina del dvd con Dustin Hoffman vestito da laureato e in effetti mi pare che la copertina del dvd che avevamo visto ci fosse Dustin Hoffman vestito da maratoneta e a pensarci ancora meglio in 'Il maratoneta' Dustin Hoffman sta per laurearsi, mentre ne 'Il laureato' Dustin Hoffman si è già laureato, deve essere un sequel.

“Dustin Hoffman bastardo” sussurro a denti stretti e dico che secondo me questa cosa che un attore possa fare più di un film dovrebbe essere abolita, voglio dire, hai fatto 'Il maratoneta'? Basta, prenditi i tuoi soldi, mettiti il poster de 'Il maratoneta' in camera da letto e goditi la vita e lascia spazio ad altri attori che senso ha che io poi guardo 'Il laureato' e ci trovo l'attore de 'Il maratoneta'? “E' come se ti metti a leggere Il nome della rosa e a un certo punto entra in scena Don Abbondio che fa l'intermezzo comico, che cazzo” dico agitando i pugni e cecilia continua a ridere sulla fiducia a questo punto.

[3]

In pratica sono in quel particolare momento del rapporto sessuale in cui ogni cosa del grande puzzle sembra per un secondo collimare perfettamente, in cui nessuno pensa a niente in particolare, tutto scorre nella testa come un flusso senza suono e proprio nel l'istante preciso del punto di non ritorno, quando si sentono le scintille carnose e sudate saltellare per il corpo, nella mia mente emergono due parole, come palloncini tenuti sott'acqua che riemergano all'improvviso, due parole inaspettate che mi rimangono nella testa in silenzio ad aspettare che io abbia finito.

Distro linux.

Guardo la ragazza davanti a me con l'orrore che lei possa leggere dentro la mia testa e vedere che proprio in quel momento nella mia testa c'è scritto 'distro linux', ma lei sta pensando alle sue parti interne e quindi io chiudo gli occhi, sprofondo nei piumaggi, tra le trapunte.

Appena la ragazza esce chiamo Matteo, ex scrittore Einaudi, egli racconto tutto, semplifico un po' e gli dico cazzo matteo oggi ho avuto un orgasmo non ti dico come e nel momento dell'orgasmo vero e proprio, quando non penso a un cazzo o cose tipo fonti di luce o di calore, in quel momento ho pensato 'distro linux'. “Distro linux” “Distro linux” “Ti ricordi quale distro? Sarebbe importante. Era mica la Debian?” “Matteo, nessuna distro in particolare, ho solo pensato le due parole, distro linux” Matteo sta zitto un attimo e poi dice beh in ogni caso è una grande vittoria per l'open source, e io gli dico vaffanculo matteo eh vaffanculo, io sono preoccupato.

[4]

In quel momento entra la seconda signora, tiene in braccio uno di quei cosi che con molta fantasia potrebbero definirsi cagnolini, in realtà sembrano topi sfortunati nati nei pressi delle grandi antenne di radio vaticano, e si mette nei sedili vicini al mio, ma dall'altra parte del corridoietto, dove c'è solo una signora che legge e la signora entrata con il cagnolino prende da una tasca un fazzoletto, lo stende sul sedile e poi ci posa sopra il cane e io guardo la signora che legge il giornale e mi pregusto già una scena da guardi signora che il cane lo faccia stare per terra, ma non fa male a nessuno è pulito, sì ma se piscia eh se piscia, e così via vi risparmio i dettagli anche perché la signora che legge (da qui in poi signora numero 1) dice 'che carino' e indica il topo metamorfico e insomma si mettono a parlare fittamente e si scopre che sono entrambe, le due donne, amiche degli animali soprattutto cani e gatti.

Il ratto mutante intanto si è messo comodo sul sedile e guarda l'infinito fuori dal finestrino fingendo di non conoscere le due donne.

Il problema è che le due donne parlano con un tono di voce tipo comizio e quindi il loro chiacchiericcio non si va a confondere con il chiacchiericcio generale del treno, ma risalta, soprattutto per me che sto seduto vicino e non riesco a scrivere sento che parlano di chi abbandona i cani per strada e dicono che sono dei mostri che andrebbero uccisi che ci vorrebbe la pena di morte per chi abbandona i cani per strada, chi li porta a morte sicura, certo, sono solo bestie ma sono più bestie loro che le lasciano morire e vanno avanti un po' con questo tema e io prendo qualche appunto e vado in bagno a fare pipì e quando torno stanno parlando dei pedofili.

Mi maledico per essermi perso lo snodo uccisori di cani- pedofili che sarebbe stato certamente importante e resto ad ascoltare e mi scrivo già alcune frasi chiave che so che verranno fuori tipo 'ah vorrei vedere se stuprassero tua figlia cosa fai che leggi fai, i pedofili vanno castrati' e non faccio tempo a finire che una parte e dice che i pedofili andrebbero castrati, ah sì dice l'altra se non ammazzati che sono dei bastardi, lo dico da ignorante ma se ti stuprano tua figlia cosa fai quelli, quelli sono malati vanno castrati, o ammazzati, beh ammazzati è un po' troppo, diciamo almeno castrati, invece in Italia, ah in Italia, eccetera.

Nessuno dice mai 'vorrei vedere se lo stupratore fosse tuo figlio', mai nessuno si immagina di avere il marito o il figlio stupratore, nessuno dice mai 'eh sì gli stupratori andrebbero castrati o ammazzati, pensa se tuo figlio fosse uno stupratore non lo ammazzeresti quel bastardo?', lo stupratore è sempre un'entità astratta mai nessuno se lo immagina in famiglia che mangia con te, che dorme assieme a te, lo stupratore è sempre immaginario. Per questo crescono bene in famiglia.

E mentre loro parlano mi squilla il cellulare e io dico due cose a Marco che sono vivo sono quasi a Bologna, e quando butto giù le due donne sono passate ai cinesi, anche questo snodo lo ho sfortunatamente perso, e dicono che i cinesi sono furbi, che per le pulizie non vanno bene come i filippini perché i filippini sanno imparare mentre i cinesi certe cose non le sanno fare, tipo i cinesi non sanno stirare proprio non ci riescono, e i cinesi sono una preoccupazione anche per suo cognato, perché per Invicta su molte cose è in Cina, anche cose di marca capito e i cinesi le fanno ma bisogna stare attenti, gli indiani sono diversi, però ce ne sono meno

gli indiani non sono tanti, mentre i cinesi sono organizzatissimi, perché l'indiano si accontenta di niente gli dai un tozzo di pane e quello ti dice grazie grazie grazie per tre giorni, settanta volte sette grazie, i cinesi no, i cinesi sono furbi i cinesi sono silenziosi, non si sentono quando entrano e quando escono di casa non stendono i panni, perché sono sporchi, ecco perché i cinesi non sanno stirare perché sono sporchi e fanno queste cose bellissime

che mio cognato mi dice che questi fanno cose favolose con due lire si fanno arrivare la roba dalla Cina e lui, mio cognato, come fa a competere, loro per una ciotola di riso lavorano dieci ore al giorno anche i bambini e mio cognato come fa, e questi cinesi sono sempre di più, fanno figli continuamente, perché li nutrono male, gli danno da mangiare di tutto, prima o poi saranno più questi qua che i nostri, tipo a Bologna c'è un interno quartiere di cinesi, capannoni grossi come una piazza è pericoloso e vendono queste cose da due soldi ma bellissime mi creda bellissime

io ci ho comprato questa camicetta vede è tutta cucita a mano, tocchi la cucitura, e anche le scarpe non è mica come tre anni fa che i cinesi facevano queste cose malfatte adesso fanno cose curatissime, anche le scarpe io mi sono comprata tre scarpe a tacco a novanta euro, e sono furbi i cinesi furbi, prima facevano i ristoranti cinesi e poi quando gli ordinano di chiudere i ristoranti perché sono sporchi, l'igiene voglio dire chiude tutto perché questi cinesi fanno schifo, loro aprono subito una pelletteria o una sartoria

stirerie no perché i cinesi non sanno stirare niente, e sono sempre di più non dovrebbero farli arrivare, non c'è lavoro per i nostri, cosa fanno arrivare i cinesi a fare che non c'è lavoro, certo per noi è una convenienza perché per novanta euro mi sono presa tre paia di scarpe, ma ci rovinano il lavoro, mio cognato non sa più cosa fare, eccetera

e mentre le due donne ancora parlano, quello che era di fronte a me se ne va e intanto sale la gente dalla stazione poco prima bologna e sento da dietro gente che si avvicina ai miei sedili mi giro e sono due cinesi, agnizione, e mi chiedono se i posti sono liberi e le due signore si sono zittite di colpo guardano il cane e con la coda dell'occhio i due cinesi e io dico, certo, chiaro sono tutti liberi e i cinesi mi sorridono e si siedono, posano i loro borsoni enormi e da quel momento le due signore stanno zitte fino a Bologna e io mi sento molto no-global finché non mi accorgo del cattivo odore

guardo il cane con preoccupazione, ma lui continua a farsi gli stracazzi suoi, insomma mi butto su un lato del sedile più vicino alla cinese e sento che cazzo puzza, inequivocabilmente puzza ma anche tanto, adesso lo sentono anche le due donne che mi lanciano delle occhiate di fuoco, cazzo i cinesi puzzano davvero, e io mi tiro indietro ma l'odore non se ne va via finché non capisco che l'odore non viene dai cinesi

sono io – dentro – che sto mandando un odore ferino, sfavillante, definitivo

[ricordo]

Quindi sono alla festa di compleanno di terzogenita, in un salone di un bar vicino alla scuola, abbiamo invitate le sue compagne di classe, le gazzelle, e siccome siamo una famiglia che si sa mettere seduta e rilassarsi siamo nel mezzo del salone che chiamiamo tutte le gazzelle urlando per fare insieme dei giochi.

Il nostro dna e il nostro cammino esperienziale infatti contiene anche la capacità di organizzare giochi collettivi per bambini di cinque anni.

E le gazzelle arrivano, ridono, gli chiedo i loro nomi e mi rendo conto che sono nomi bellissimi e che non riuscirò mai a impararli in cinque minuti. Tutte le amiche di mia figlia hanno i nomi tradizionali del paese da cui sono arrivate: indiani, eritrei, romeni, pakistani. Terzogenita li ripete tutti, non ha nessun problema. Penso che sia fortunata, lei, ad avere tutta quella gente che viene da tutto il mondo ed è tutta lì, nella sua classe.

“Volete giocare?” urlo. “Sì”, dicono loro. “Non ho sentito!” grido. “SÌ” gridano. “Non ho sentito!” urlo ancora, e loro ridono come pazze, urlano di sì fortissimo, vogliono giocare, ci mancherebbe altro. E giochiamo, e poi mettiamo la musica e mi trovo a ballare con loro in cerchio, a farle girare, roteare e poi fermo la musica, giochiamo ancora a ballare attorno a sedie decrescenti, a prendere fazzoletti, a mettere code ad asini bidimensionali.

Guardo le madri sedute che mi guardano, guardo i nonni italiani che di tanto in tanto vanno avanti e indietro carichi di monete a passare il loro pomeriggio – soli – alle slot machine, passando in mezzo alla nostra piccola festa come stranieri. Li vedo che li bruciano in dieci minuti e tornano indietro a cambiare altre banconote. Penso che vivere è un gran casino. Mi appoggio contro il muro, porto il bicchiere di plastica alla bocca e faccio colare dentro qualcosa e penso che vivere è un gran casino.

— primogenito, mentre torni a casa puoi mica comprare il burro che è finito? — papà — eh — sono in Polonia — ah — eh — ma stamattina eri a casa — stamattina

Nanaki ha imparato a prendere una pallina di quelle che rimbalzano, salire in cima alle scale e poi farla rimbalzare giù inseguendola e giocandoci.

Quando arriva in fondo riprende la pallina con i denti, torna in cima alle scale e ripete l'operazione. La cosa può andare avanti per ore, anche di notte.

Oggi succede la stessa cosa, la pallina arriva al pianoterra ma questa volta Irene si alza, prende tra i suoi denti la pallina e la porta nella sua cuccia. La posa lì e le si mette accanto.

Nanaki interdetta si avvicina per riprendersi la pallina. Irene ringhia. Nanaki prova qualche attacco e poi desiste.

Io sul divano immerso nelle coperte osservo tutto e mi sembra di essere in un film di Miyazaki.

[libri e memoria]

Non dovrei mai mettere a posto i libri, oppure farlo più spesso. In questi giorni che non sto benissimo mi sono preso del tempo per farlo. E sono emerse cose che – nella vita incasinata – non curo e invece.

Trovo un libro che avevo fregato a mia zia, La caduta, di Camus. L'avevo letto decenni fa, su spinta di mia zia e ancora adesso mi ricordo alcuni frammenti dell'Esilio e il regno, che era un'altra sezione del libro. Lo apro e scopro che era quello che mesi fa cercavo da mia zia, per rubarglielo. E invece lo avevo già rubato. Non tanto per Camus, ma perché ha due frontespizi. In uno c'è scritto l'autore, il titolo del libro, e sotto il nome della casa editrice. Nella pagina a fianco – letteralmente – c'è un frontespizio identico, autore, titolo del libro, e casa editrice. Solo che a sinistra la casa editrice è Bompiani, a destra è Garzanti.

Cerco di mettere tutti i Mondadori assieme, almeno quelli di narrativa, e a un certo punto prendo un Strade blu e cerco di infilarlo a fianco degli Oscar. E quello si rifiuta. È più alto. Non ci entra. Devo necessariamente metterlo due scaffali più in basso. Le braccia mi cascano lungo i fianchi. Ecco perché evito di mettere i libri in ordine, perché poi succedono queste cose. Le idee si scontrano con il legno.

E poi ci sono i libri che scompaiono. Cerco tutti i miei libri di Morovich, ogni tanto li ricontrollo perché se scompaiono è un disastro, quello chi lo ristampa. E scopro che è scomparso I giganti marini. Vado scaffale per scaffale, al piano di sopra, al piano di sotto. Scomparso. Avrò fatto la cazzata, penso, l'ho prestato. Perché è un bel libro, l'ho prestato, la cazzata. E resto così, guardo il grande acquaio della libreria, i libri sferzati dagli anni, dai traslochi, dalla polvere, dall'umidità, dai figli e penso che magari è lì, da qualche parte, come un pesce smarrito nel piccolo oceano della mia memoria.

È sparito anche Verba manent. Te pareva. Verba manent è un libro importantissimo, spiega tecnicamente come fare storia orale, è uno dei libri più importanti che abbia letto e – per farla breve – decenni fa l'avevo perso. Perso. Poi un giorno, in casa di Francesco, eccolo. L'avevo prestato a lui. Me l'ero ripreso. E ora ho rifatto la cazzata. Devo averlo riprestato a qualcuno. Possibile che non abbia imparato? Alcuni libri si devono prestare, altri no. Servono a dare conforto in casa, non vanno lasciati liberi.

Poi trovo questo libro di Beckett, già letto decenni fa e mi ricorda qualcosa la copertina, lo apro e c'è l'anno e il mese e mi ricordo. Siamo io e Elettra, ci siamo messi insieme da un mese, siamo sul lungomare ligure in agosto e andiamo alle bancarelle e io mi compro questo libro di Beckett che mi sembra uno splendore. Io ho ventiquattro anni, a fianco a me questa ragazza con uno sguardo che buca l'estate e ora sono chinato nel corridoio, nel buio della sera, davanti alla camera di mia figlia e lo richiudo e lo rimetto a posto tra gli Einaudi.

Mentre sono lì mi appare in chat una persona cara che non vedo da tanto tanto tempo mi manda una immagine. È un mio ex libris, fatto a mano. Che libro mi hai fregato le chiedo, ed è strano perché mentre le parlo mi immagino il suo viso dell'ultima volta che l'ho vista. Forse gli anni novanta. E le parlo come se avessimo smesso ieri. È Strindberg mi confessa dopo un po', mi dice il titolo. Guardo nella mia libreria, e quel libro ce l'ho uguale. Guarda – le dico – che era un modo per regalartelo. L'ex libris non ce lo avevo messo per segnare che il libro era mio, ma perché non lo era più. Lei dice, lo so.

E poi mi racconta una cosa che avevo completamente dimenticato. Mi fa impressione. Un intero episodio della mia vita di cui non ricordo quasi nulla. Siamo ad una retrospettiva su Orson Welles, sempre anni novanta. Una maratona, non so quanti film. Per chi resta fino alla fine c'è una lotteria, estraggono a sorte un biglietto. Lei a un certo punto della maratona deve andare via. Mi lascia il suo biglietto. Io resto fino alla fine. Quarto potere. L'infernale Quinlan. L'orgoglio degli Amberson. Estraggono a sorte il vincitore. Io non vinco. Ma lei sì.

Quindi sono salito sul palco, imbarazzato, ho ritirato il premio. Mi racconta tutto lei. E cosa era il premio? le chiedo. Non ricordo nulla. Lei mi risponde, una cosa bellissima, che ho tenuto fino a pochi anni fa, poi si è rotta. E cosa era? le chiedo. Spero che l'oggetto sblocchi un ricordo di questo mio pezzo di memoria. E lei me lo dice e c'è della beffa in questo ritorno indietro nel tempo, alle cose che si sono perse con l'andare degli anni.

“Una sfera di vetro con dentro la neve” mi scrive e io sorrido e le dico grazie, mi hai fatto un bel regalo stasera.

Rosebud.

— papà! — dimmi terzogenita — oggi è la mia giornata! — nel senso del tuo compleanno? Ma... — no, è la giornata dei calzini spaiati! — ... — dobbiamo tutti metterci calzini spaiati per celebrare la diversità delle persone — amore — eh — tu hai sempre i calzini spaiati — perché io ci credevo già da prima — ... — ma non sapevo perché — ecco — ora ho anche una causa! — ...

***

Primogenito ha trovato un modo per svuotare la bottiglia dell'acqua in metà del tempo, applica una forza vorticosa alla bottiglia in modo che l'acqua impieghi circa la metà del tempo normale di svuotamento. Con secondogenito hanno cronometrato il tempo necessario per svuotare la bottiglia con questo gesto a vortice e quello necessario con il normale versamento gravitazionale. Arriva terzogenita. “Secondo te” chiede primogenito alla sorella, “quale è il metodo più rapido per svuotare questa bottiglia?”. Terzogenita guarda la bottiglia, guarda il fratello e poi risponde “la butti per terra e la spacchi”. Primogenito rimane per un attimo attonito, poi ride e resta con la bottiglia in mano a fissare la sorella.

***

— papà — dimmi terzogenita — posso raccontarti delle barzellette brutte, senza senso, con dei finali deludenti? — ...

***

— papà, ma poi telefoni ai nonni? — non lo so ancora — ma se telefoni cosa gli devi dire? — terzogenita — eh — tu sei una ragazzina molto curiosa — ... — e sai che fine fanno le ragazzine troppo curiose? — ...scoprono nuove medicine? — ...

***

— buongiorno secondogenito — ciao — tutto bene? — sni — perché sni? — mi sono addormentato e ho dormito più del dovuto — bhe, ma dove è il problema? È sabato, mica hai appuntamenti oggi no? — no — e allora? — ogni secondo speso a dormire è un secondo rubato al giocare ai videogiochi — ...

***

— secondogenito, se lo vuoi ho fatto del tea — quindi se non lo voglio significa che non lo hai fatto — ma io l'ho fatto! — allora mi stai costringendo a volere del tea contro la mia volontà — ...

[la piscina]

Sono lì che giro su internet e scopro che dopodomani all'università di Avignone una persona si laurea con una tesi in cui in un capitolo si parla di me così decido di uscire e di andare in piscina alla sera dopo anni e anni che non lo facevo più.

Mentre vado in piscina con lo scooter elettrico mi rendo conto che è la prima volta in decenni che sto uscendo di casa per qualcosa che riguarda solo me. Non primogenito, non secondogenito, non terzogenita, niente di familiare, comunitario, è una cosa egoista mia che faccio, nuova, e non so cosa succederà.

C'è una luna piena nel cielo e mi sento quello spirito straniero, come se fossi uno dei tanti stranieri che abita la città e che potrebbe sparire in quartieri di Genova inesistenti, come quando avevo vent'anni e ogni zona della città era per me un continente inesplicabile e inagganciabile con il resto.

Dura poco, ma abbastanza.

Arrivo alla piscina alle sei e mezza di sera, posteggio, c'è un sacco di gente, auto posteggiate, vado alla cassa e dico salve sono venerandi sono decenni che non faccio più nuoto libero e volevo riprovare. Posso entrare gratis?

C'era infatti un form sul sito della piscina che se lo compilavi, in cambio della profilazione, ti davano un ingresso gratis. La signora dietro alla cassa sorride dice, vediamo, dice vedo il suo nome, venerandi, dice, lei era iscritto qua nel 2017.

Io inizio a pensare che sia un trucco per non farmi entrare gratis. Può darsi dico. 2017 può darsi. Non me lo ricordo assolutamente. Non ricordavo nemmeno fossi ancora vivo nel 2017. Non lo escludo. Ma se è un problema, dico. Lei dice no, aspetti. Lei ha anche compilato un form online. Nell'estate 2022.

La guardo. Dico può darsi dico. 2022 può darsi. Non ricordo di avere mai compilato niente del genere, ma può darsi. Lei guarda ancora poi dice, ma non c'è quello di questo pomeriggio. Eh no, dico io, quello è l'unico che sono sicuro che l'ho compilato. 2023 sono sicuro. Lei non dice niente, vabbé dice, comunque se me lo dice ci credo, la faccio entrare gratis, dice e io sorrido dico bene dico.

A Genova c'è sempre questa cosa che le cose di promozione non funzionano mai come a Milano. Non sono mai automatiche. Non è colpa dei genovesi, deve essere qualcosa del clima, la macaia, non so, ma le cose non funzionano mai bene. C'è sempre qualcosa che non funziona. Un timbro che manca. Un interruttore che non interruttora. Un appuntamento che però manca il custode con le chiavi. Una sala che si gela perché non si sa perché il riscaldamento non funziona.

Genova è così, fallisce in partenza. Per questo punta tutto sui pannelli illustrativi. Mostre con pannelli illustrativi. In italiano e inglese. Immagini un po' sgranate. I pannelli llustrativi non tradiscono mai.

Entro negli spogliatoi che sono sotto la piscina, una specie di polmone che respira sottoterra. Dentro ci sono figure femminili che asciugano bambini e bambine, maschi alfa che si circondano i piedi con l'asciugamano, rumori di asciugacapelli con lucine colorate verdi e rosse che scattano, rumore di cloro odore di vociare lontano, colpi nel grosso corpo dell'acqua che sta sopra di noi.

Penso a quante volte sono stato lì, a portare primogenito ranocchio, secondogenito ranocchio, terzogenita ranocchia, a vederli cambiarsi, aiutarli, scomparire dietro la chioccia istruttrice. Andare sugli spalti e vederli fare i loro fragili movimenti nell'acqua fondo azzurro mentre io – con il portatile – fingevo di essere uno scrittore, di essere da qualche altra parte e invece ero lì che bruciavo tutto.

Le vasche del nuoto libero sono piccolissime, c'è troppa gente. Resto così a fissare cercando di capire dove entrare e poi mi butto. Cerco di capire il ritmo degli altri nuotatori, mi infilo in mezzo.

Mi ricordo ancora le serate passate d'inverno nell'acqua gelida delle piscine di Serra Riccò, quanto avrò avuto. Tredici anni. Forse meno. Non esistono più. Una volta ci sono passato, decenni fa, c'era tutto il complesso in rovina. Cemento armato che si sfaldava.

Dopo due ore che nuoto alzo la testa e vedo che sono passati dieci minuti. “Cosa” penso e ansimando mi aggrappo al cordolo. Cazzo, penso, cazzo. Ma non esco, ho pagato per un'ora, penso, e almeno un'ora faccio.

Poi mi viene in mente che sono entrato gratis.

Dopo mezz'ora esco dall'acqua come un naufrago che cammina a passi tardi e lenti sulla spiaggia e si volta indietro per vedere il pericolo da cui è scampato e nel mio caso non è la piscina, ma la consuetudine e la vecchiaia. Sotto la doccia poi, mi beo di questo getto primordiale sul corpo come una pisciata divina, forte, scoordinata.

Oggi ho avuto questo ricordo, pensavo al mondo in cui sono alle cose che avevo fatto, e ho avuto questo ricordo del 2003. Quindi avevo trentatre anni. Troppo pochi. Quelli avevo. In pratica 2003 viene fuori che l'Iraq ha delle armi di distruzione di massa e Stati Uniti e Inghilterra premono per una azione di forza per rovesciare il regime di Saddam Hussein.

A questa cosa delle armi di distruzione di massa non ci crede nessuno. Quando oggi leggo i complottisti sorrido, perché non c'è bisogno di nessun complotto per fare azioni insensate e dettate dal puro potere e dagli interessi personali. In questo caso nessuno crede a queste armi di distruzione di massa e le piazze più volte si riempiono dei soliti rompicoglioni: i pacifisti, ma tanti.

Non ricordo se anche io ho parteciapato, il venerandi trentatreenne era più coglione di quello contemporaneo. Non tantissimo eh, ma abbastanza da non farmi ricordare se ero sceso o meno in piazza. Pensavo, nel 2003, che avrei avuto sempre tempo di scendere in piazza se fosse stato il caso.

Che coglione.

Comunque, che fossi sceso o meno ero davvero convinto che quella guerra non ci sarebbe stata. Voglio dire, avevano tutta l'opinione pubblica contro, tutta. Sono anche la stessa persona che ha pensato che l'iPod e l'iPhone sarebbero stati due fiaschi colossali, per dire la lungimiranza.

Ecco, quando ancora la guerra non era scoppiata e non si sapeva se sarebbe scoppiata o meno c'è stata questa cosa che oggi mi è venuta in mente mentro ero in auto e mi sono detto, appena sono a casa me la riguardo su Youtube.

Tony Blair, il primo ministro inglese, era andato su MTV a convincere i ragazzi che la guerra ci voleva, che l'Iraq aveva delle armi di distruzione di massa. Dico “convincere i ragazzi” perché di fronte non aveva un altro politico o un intervistatore, ma aveva 40 ragazzi di 16 – 24 anni, provenienti, cito dall'articolo che ho trovato in rete, da “United States, Britain, the Netherlands, France, Germany, Iraq, Israel, Italy, Kuwait, Libya, Norway, Palestine, Romania, Russia, Serbia, Spain, Sudan, Sweden and the Ukraine”.

Ecco, io quella sera ho acceso MTV e ho guardato Tony Blair rispondere alle domande di questi ragazzi MTV di tutto il mondo scioccati che l'Inghilterra e gli Stati Uniti partissero per una guerra che era chiaramente senza fondamento.

Di quella trasmissione ricordo una cosa: il volto attonito di Blair, confuso, incerto. All'epoca, sono ricordi di vent'anni fa, mi era sembrato come una mosca inchiodata dai ragazzi alla verità. Cioè: si vedeva che stava mentendo. Che stava provandoci, che ce la metteva tutta per essere convincente e le sue parole cadevano nel vuoto e rimbalzavano sui volti freddi dei ragazzi e si vedeva che lui provava imbarazzo, che non era a suo agio. Capiva che stava fallendo. Avrebbe dovuto convincere e più lo guardavo più si capiva che era tutto falso.

Ora: è un ricordo di vent'anni fa. Ero in auto, oggi, mi sono detto, magari è una deformazione della mia memoria. Magari non era stato così e all'epoca il mio giudizio sulla guerra mi ha fatto vedere in maniera pregiudiziale il tono, i gesti, la mimica di Blair.

E così sono tornato a casa e ho cercato su Youtube la registrazione di quella trasmissione, su Youtube c'è di tutto, per rivederlo e giudicare di nuovo quel momento, quell'azione politica. Magari – ho pensato – potrebbe venire bene per una lezione a scuola.

E qua arriviamo alla momento della memoria e della verità.

Su Youtube non c'è.

Ho cercato un po', ho messo anche il titolo della trasmissione, ho cercato su Google e – almeno a una rapida ricerca non ho trovato nessuna registrazione della trasmissione.

Tutto rimosso.

[se poi qualcuno la trova in qualche anfratto di internet mi avverta, grazie]

[la nuvoletta e la dinamo reloaded]

Insomma succede questa cosa tipo matrix quando i proiettili vanno lenti, io vedo la mia mano che sale con il portatile in mano chiuso nella sua second skin e al rallentatore uno spigolo del portatile urta con il bordo del tavolo e sento che il contraccolpo fa scivolare il portatile che – complice la lucida tela chimica della second skin- scivola via dalla mia mano e per il naturale peso cupertineo crolla verso il suolo mentre io urlo nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo ed essendo l’azione al ralenty mi getto anche a volo d’angelo sempre urlando ooooooo ma essendoci sciocche leggi fisiche a reggere parte dell’apparato sensibile, prima che arrivi l’endorfina a dare il via ai muscoletti del mio corpo, il portatile è già caduto a terra e ha fatto TUNF.

TUNF.

Mi aspettavo un TUNK ma evidentemente la second skin, lungi dal proteggere effettivamente il prezioso powerbook in essa contenuto, ha almeno la capacità di modificare le consonanti finali delle cadute, trasformandole in qualcosa di più soffice, tipo la kappa in effe: TUNF.

Lo riprendo, tolgo la second skin e scopro che il powerbookino non si apre più e c’è un enorme bozzo come se lo avessi preso a martellate. Guardo il bozzo. Guardo il pavimento. Calcolo il tragitto della caduta del grave (circa 15 centimetri) e decido che quando la logica del powerbook mi darà il suo filosofico addio, prenderò il case di alluminio, lo taglierò a pezzetti con le forbici e lo metterò al microscopio per capire se è vero alluminio o solo la carta stagnola dei Brooklyn pressata con presse meccaniche di grosse proporzioni e poi lucidata con la vernice argentata del DAS.

‘No no cazzo no no no’ dico premendo più volte il pulsantino per aprire lo schermo e lo schermo non si apre e in quel momento arriva il mio collega. “Venerandi ci sarebbe...” inizia e poi mi vede lì chinato sul powerbook che premo il pulsantino sempre più nervosamente. “Venerandi che fai?” Io sto già sudando e non mi giro e poi invece cambio idea a mi giro e lo fisso negli occhi e gli dico che sto caricando il portatile. “C’è una specie di dynamo a mano, quando vedi che il portatile si sta per scaricare tu lo chiudi e premi un po’ di volte il pulsantino e la dynamo ricarica la batteria”. “Ah. Non avevo mai sentito...” “Ma sì dai, è tipo quello di Negroponte per l’africa, solo che invece della manovella c’è un pulsantino, perché apple bada molto al look e ha fatto questo micropulsantino da premere” “Capisco. Ma se quello è il pulsantino della dynamo, lo schermo del computer come lo apri?” “Con lo stesso pulsante” “Ma adesso non si sta aprendo” “C’è un sensore della temperatura, se tu sei calmo e quindi hai il sangue fresco lui apre lo schermo, se invece sei agitato stai sudando sei straincazzato perché tipo ti è caduto il portatile per terra e ora non si apre più lo schermo, allora la pressione del pulsantino carica la batteria, ok? Altre domande?” “Forse no” “Ottimo, allora lasciami con il mio dolore che devo finire di caricare la batteria” dico e continuo e premere il pulsantino e lo schermo non si apre. Il collega resta lì a guardarmi per qualche secondo poi sento che scivola via.

Io continuo a premere e inizio a fare anche un po’ di pressione per vedere se si sblocca e in quel momento squilla il telefono, guardo la lucina è il 313, che non è solo la targa dell’auto paperino, ma anche il mio interno. Tiro su la cornetta con una mano e la metto tra orecchia e spalla e con la mano libera continuo a premere il pulsantino, inizio anche a crederci un po’ a questa cosa che premendo si carica la batteria, voglio dire tutta questa energia che ci sto mettendo non può mica sparire nel nulla.

“Sì?” dico con voce infastiditissima, ma dall’altra parte sento l’economo che mi urla, adesso è apparsa! vieni! adesso! veloce che poi sparisce! e butta giù e io lascio perdere il Powerbook e mi lancio per le scale per salire fino al piano dell’economato perché è una settimana che l’economo mi dice che ad un certo punto della giornata gli appare una nuvoletta come di un fumetto, in basso a destra dello schermo gli dice ciao sono Windows e poi aggiunge cose molto importanti sulla sicurezza, c’è scritto anche attenzione e di cliccare per fare qualcosa che l’economo non capisce e ogni volta mi chiama per sapere se deve farlo e quando io arrivo la nuvoletta se ne è andata da sola e restiamo lì in silenzio ad aspettare e dopo un bel po’ l’economo mi dice, ma cazzo ti giuro che c’era e io dico ma scherzi? ti credo ma se non la vedo mentre c’è mica ci posso fare niente e me ne vado e l’economo non ha preso bene questa cosa, sta dimagrendo, si rode pensando a quella cosa a cui dovrebbe fare attenzione, ma che non sa cosa è, va giù duro di metafisica e pensa che sia un parto della sua mente che in realtà quella nuvoletta non esista e quindi io arrivo un po’ come un salvatore in fortissimo debito di ossigeno e appena entro ansimando nell’ufficio dell’economo vedo da distante il monitor e intravvedo in basso a destra una nuvoletta che non faccio tempo a dire ‘uh’ è sparita e l’economo si gira verso di me e dice eccoti! guarda! e si gira di nuovo verso il monitor e la nuvoletta non c’è più e l’economo dice nooooo! e poi si volta verso di me con il viso bianco e mi dice “l’hai vista?, cazzo l’hai vista almeno?” e io ansimo ancora un po’, mi metto una mano sul ginocchio e poi scuoto la testa e dico no. “Mi dispiace ma quando sono arrivato non c’era nessuna nuvoletta” e l’economo si mette la faccia fra le mani e lo sento gemere, e io ansimo ancora un po’ e poi gli dico, vabbè io vado di sotto, se ti capita ancora poi dimmelo eh, e lui manco mi risponde geme e basta.

Mentre scendo le scale fischietto, poi mi viene in mente del powerbook e smetto mi sembra la peggior giornata del mondo. Apro la porta del mio ufficio e vedo a) il mio powerbook con lo schermo aperto b) il mio collega di cui sopra che si sfrega l'indice sul maglione di lana, sembra voglia scaldarsi il dito o qualcosa del genere. Il suo volto tradisce una certa sofferenza. “Ma...” dico io indicando il powerbook e lui mi dice sì scusa se te lo aperto volevo provare a caricarlo ma si vede che ho la pelle fredda e quindi si è aperto, ho anche provato a scaldare il polpastrello sfregandolo ma niente, se ci provo si apre ogni volta. “Cioè questa cosa della batteria a dito è una figata e se funzionasse anche con me magari passo a Apple” Io scuoto la testa e mi avvicino a lui e gli prendo la mano in mezzo alle mie, con fare un po’ ieratico. “Hai la pelle fredda” sentenzio poi e gli mollo la mano e spiego che c’è un settaggio da fare, ma che lo fanno quando comperi la macchina. “Ogni powerbook ha un settaggio diverso, dovresti parlarne con il negoziante quando lo compri, loro prendono la tua temperatura e poi fanno il settaggio”.

“Ah” “E’ una cosa personalizzata. Si vede che tu hai la pelle fredda” “Lo dice anche mia moglie” “Vedi?” “Però lei si riferisce ai piedi” “Non andare oltre. C’è un limite oltre al quale la confidenza tra colleghi è bene che non si addentri” “Ok” “Comunque resterà fra noi” “Ok. Grazie” dice e esce un po’ furtivo e io chiudo la porta e mi siedo. Mi giro verso il powerbook, richiudo lo schermo e poi mi metto lì con il dito a ricaricare la batteria per una buona mezz’oretta.