📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

Zaccheo 1Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

La parabola delle monete d’oro 11Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, disse ancora una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. 12Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. 13Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. 14Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. 15Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. 16Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. 17Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. 18Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. 19Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. 20Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; 21avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. 22Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: 23perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. 24Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. 25Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. 26“Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. 27E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”». 28Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.

Ingresso regale a Gerusalemme 29Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli 30dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. 31E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». 32Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. 33Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». 34Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». 35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. 36Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. 37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, 38dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». 39Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». 40Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

Pianto di Gesù su Gerusalemme 41Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa 42dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. 43Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; 44distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

GESÙ A GERUSALEMME (19,45-24,53)

Ingresso nel tempio 45Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, 46dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». 47Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; 48ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Zaccheo L'episodio dell'incontro di Gesù con Zaccheo sintetizza l'intera teologia di Luca. La ricerca di Zaccheo, richiama quella di che Erode era caratterizzato nello stesso modo (cfr. 9,9) ma egli era solo curioso. La svolta avviene con un cambio improvviso di soggetto: si descrive che cosa compie Gesù. Egli vede, parla, esprime il proprio desiderio. V'è anzitutto un'inversione di ruoli: colui che voleva vedere Gesù è da lui visto. Inoltre v'è una sorpresa: contro ogni prassi corrente, Gesù dichiara di voler dimorare (v. 5) presso il capo degli esattori (cfr. 15,1-2); anzi, dichiara pure che questa è una necessità, cioè qualcosa che corrisponde al progetto di Dio; anche l'avverbio «oggi», richiamando la scena della sinagoga di Nazaret (cfr. 4,21 ), evoca il piano salvifico di Dio che Gesù sta realizzando. La risposta di Zaccheo è immediata (v. 6): al pari di Marta (cfr. 10,38), l'uomo accoglie Gesù come ospite. Il riferimento alla «gioia» ricorda il sentimento che accompagna la conversione dei peccatori (cfr. 15,7.10) e fa presagire il prosieguo del racconto. Infine Zaccheo esce di scena, senza che il lettore sappia se ha realizzato o meno quanto ha dichiarato: cosi il racconto rimane aperto (come altrove nel vangelo), ma non certo indeterminato: la parola conclusiva è di Gesù. Egli anzitutto si rivolge a Zaccheo (v. 9), ma poi parla in terza persona. In questo modo l'affermazione assolve a una duplice funzione: da una parte è una risposta alla ricerca di Zaccheo, dall'altra è un'obiezione alla mormorazione della folla. Colui che era definito «peccatore» (v. 7) ora è ridefinito «figlio di Abraam» (v. 9; cfr. 3,8; 13,16), evocando la promessa di salvezza (cfr. 1,54-55.72-75): l'escluso si trova al centro dell'azione divina che, d'altro canto, non riguarda solo lui ma raggiunge ogni persona. Nella seconda affermazione (v. 1O) Gesù descrive la sua stessa missione, enfatizzando il fatto che essa consiste nel cercare e salvare ciò che è perso. Gli effetti di tale dichiarazione sono molteplici. Si realizza una nuova inversione dei ruoli: colui che cercava si trova al centro di una ben più ampia ricerca, quella di Gesù; tale ricerca di fatto corrisponde alla missione di Gesù, il quale sintetizza l'intero suo ministero nel segno della salvezza offerta a coloro che sono perduti, peccatori ed esclusi (con allusione a Ez 34, 16.23-24).

La parabola delle monete d’oro La parabola racconta di un re dà fiducia e autorità ai primi due servitori fedeli (vv. 17.19), ma si comporta poi da giudice verso il servo fannullone (vv. 22-24) ed è sovrano spietato nei confronti dei suoi nemici (v. 27). Un tale comportamento invita a interrogarsi sull'identità del re. Vi sono alcuni tratti comuni con il Gesù dell'incontro con Zaccheo: come lui trova alcuni che lo contestano, come lui giudica non sul passato ma sulla parola che riconosce il dono ricevuto, come lui dice una parola definitiva al termine del racconto. Il re contestato ha dunque i tratti di Gesù che, in cerca dei peccatori, per questo è criticato. D'altro canto la parabola funziona come annuncio degli avvenimenti che si realizzeranno a Gerusalemme, la città nella quale Gesù sta per entrare acclamato come re dai discepoli, ma sulla quale egli piangerà, perché non ha saputo riconoscere il tempo della visita di Dio (cfr. vv. 41-44). L'attesa del Regno non è contraddetta da Gesù, ma precisata: egli sarà acclamato re, ma non come molti lo attendono. Torniamo al racconto della parabola. Il re aveva affidato ai servi una somma per lui modesta, il suo scopo non era tanto guadagnare denaro, quanto verificare la loro capacità di utilizzare quei soldi: il poco ora è notevolmente moltiplicato nell'autorità che i servi potranno (o meno) esercitare (cfr. 16,10). Dopo avere regolato i conti coi servi, il re regola i conti coi concittadini che si opponevano all'assunzione della sua dignità regale (v. 27). La brutalità del comando è coerente con le usanze del tempo di uccidere i propri nemici. Nella realtà, coloro che rifiutano Gesù non sono immediatamente consegnati al giudizio ma sono chiamati alla penitenza e alla conversione (cfr. At 2,36-41.47; 3,12-21).

Ingresso regale a Gerusalemme Il viaggio verso la città santa (cominciato in 9,51) sta giungendo alla sua conclusione. L'ingresso di un re nella sua città non s'improvvisa, e quello di Gesù pare essere un solenne ingresso regale. Il giovane puledro su cui nessuno è mai salito è la cavalcatura adeguata a un'occasione religiosa straordinaria (cfr. Nm 19,2; Dt 21 ,3). I mantelli gettati sull'animale e stesi a terra concretizzano il decoro regale della scena (cfr. 2Re 9,13): appaiono gli attributi dell'umile ingresso del re Messia nella città santa. Tuttavia la motivazione di tutto ciò non è esplicita: rimane nell'ordine del sapere teologico di Gesù, che si definisce «il Signore» (v. 31; cfr. anche v. 34). Ai discepoli il piano divino sarà chiaro solo dopo la Pasqua. Gesù sta per portare a compimento le speranze d'Israele richiamate nei racconti dell'infanzia. In realtà appare chiaro che i discepoli hanno dimenticato l'annuncio della passione (cfr. 18,31-34): essi sono inconsapevoli che le loro parole anticipano un tragico cambiamento, in quanto Gerusalemme non conoscerà la pace (cfr. v. 42). I farisei esprimono la loro indignazione di fronte all'acclama- zione dei discepoli: si tratta della loro ultima apparizione perché poi spariranno durante la passione. Il tempo del nascondimento è terminato: ora è il tempo del confronto fra il re di Gerusalemme e i dominatori della città (cfr. poi v. 47). Il riferimento all'urlo delle pietre è un modo per affermare una verità che non può essere né taciuta né nascosta (cfr. Ab 2,11).

Pianto di Gesù su Gerusalemme Con la scena del pianto si conclude il viaggio verso la città santa, nel cui tempio Gesù entrerà immediatamente. Che Gesù si lamenti su Gerusalemme è un fatto ricorrente in Luca (cfr. 13,34; 23,28-31 ). Qui, però, v'è un netto contrasto con la precedente esultanza dei discepoli (cfr. 19,37-38). Luca è l'unico evangelista a raccontare delle sue lacrime su Gerusalemme. Le gravi parole di Gesù sono un vero e proprio controcanto delle attese suscitate dalla narrazione dell'infanzia: là il Messia è annunciato come colui che «regnerà sulla casa di Giacobbe» (1,33), è colui che realizzerà «la liberazione di Gerusalemme» (2,38). Quasi a dispetto di tutto ciò Gesù piange sull'incapacità della città santa a riconoscere queste opportunità. Il rifiuto del tempo propizio della rivelazione di Dio non è una novità, ma si iscrive dentro la drammatica continuità del peccato. Tuttavia, è necessario stabilire un nesso fra il pianto e le parole drammatiche: esse ricordano magistralmente che lo scopo ultimo della venuta di Gesù è salvifico; l'attitudine negativa di Gerusalemme è un controesempio della buona disposizione dei discepoli (cfr. 19,37-38) o di Zaccheo (cfr. 19,1-10) ad accogliere colui che salva.

GESÙ A GERUSALEMME (19,45-24,53) Dopo che Luca ha ribadito in modo quasi martellante che la meta del cammino è la città santa (cfr. 9,51; 13,22; 17,11; 19,28), finalmente Gesù raggiunge Gerusalemme ed entra nel tempio (19,45). Maestro e discepoli non abbandoneranno più la città, rimanendovi sino alla fine del racconto (24,53). Questi capitoli sono dunque dominati dall'unità di luogo, un particolare indubbiamente non secondario e caratterizzante il finale del terzo vangelo e il principio degli Atti degli Apostoli.

Ingresso nel tempio Il cammino verso la città santa si conclude con l'ingresso nel tempio, il luogo santo di Gerusalemme. Prendendo possesso del tempio, Gesù mostra la speciale relazione fra sé e Dio. Il Figlio considera il tempio come la propria casa, si distanzia da coloro che hanno mutato la natura del santuario trasformandolo in falso luogo di rifugio e là esercita la sua autorità per mezzo dell'insegnamento. Proprio tale insegnamento diviene la causa della condanna a morte da parte dei capi giudei. Il nesso fra insegnamento e condanna è teologico: come la missione di Gesù è in piena fedeltà al disegno di Dio, così la sua morte sarà misteriosamente il compimento della volontà del Padre. E, benché tale disegno apparirà come un effetto dell'umana decisione, in realtà sarà l'attuazione del piano salvifico di Dio.


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Il giudice iniquo e la vedova importuna 1Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Il fariseo e il pubblicano 9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

I bambini piccoli 15Gli presentavano anche i bambini piccoli perché li toccasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. 16Allora Gesù li chiamò a sé e disse: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio. 17In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, non entrerà in esso».

Un notabile molto ricco 18Un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 19Gesù gli rispose: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 20Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». 21Costui disse: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla giovinezza». 22Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi!». 23Ma quello, udite queste parole, divenne assai triste perché era molto ricco.

Una duplice lezione 24Quando Gesù lo vide così triste, disse: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. 25È più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!». 26Quelli che ascoltavano dissero: «E chi può essere salvato?». 27Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». 28Pietro allora disse: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito». 29Ed egli rispose: «In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, 30che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà».

Nuovo annuncio della passione 31Poi prese con sé i Dodici e disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e si compirà tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo: 32verrà infatti consegnato ai pagani, verrà deriso e insultato, lo copriranno di sputi 33e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà». 34Ma quelli non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto.

Il cieco di Gerico 35Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. 36Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. 37Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». 38Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». 39Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 40Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: 41«Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». 42E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». 43Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Il giudice iniquo e la vedova importuna L'introduzione (v. 1) alla parabola del giudice iniquo (vv. 2-5) ne anticipa il significato, precisando che il tema è la preghiera perseverante. Tuttavia la conclusione (vv. 6-8) fa evolvere il discorso sul tema della fede. Così preghiera e fede si trovano intrecciate per mezzo di una parabola paradossale, che insiste sull'attitudine divina all'ascolto di chi si rivolge a Dio con fede nella preghiera. Nell'Antico Testamento la vedova, insieme all'orfano e allo straniero, è l'incarnazione della fragilità sociale, tanto che la Legge insiste che la giustizia non deve essere negata a una simile persona (cfr. Es 22,21-23; Dt 24,17; 27,19). La ragione portata dal giudice per dare ascolto alla povera vedova non è certamente fra le più nobili: nel suo cinismo egli intende semplicemente liberarsi dalla fastidiosa donna. Se addirittura un giudice così negativamente caratterizzato cede di fronte all'ostinazione di una vedova, quanto più Dio (che è ben diverso) ascolterà le preghiere che gli sono rivolte con fede. Ma L'attitudine di Dio nell'ascolto non toglie la necessità di pregare sempre e nemmeno elimina l'attesa: la fede conosce anche l'oscurità.

Il fariseo e il pubblicano La preghiera del fariseo inizia con un ringraziamento, in consonanza con molte preghiere ebraiche (cfr. Gdt 8,25; 2Mac 1,11); però poi diventa un noioso monologo! L'ironia è molto forte: quello che il fariseo attribuisce al resto dell'umanità (ossia l'essere «rapaci, ingiusti, adulteri» v. 11) in realtà corrisponde esattamente alla descrizione che Luca ha offerto dei farisei (cfr. 16,14-18). Il pubblicano, invece, si mantiene a distanza (v. 13; cfr. 5,8): è il posto di chi si sente lontano da Dio. Non leva nemmeno gli occhi al cielo: l'espressione indica spesso l'atto stesso della preghiera (cfr. Is 38,14; 51,6; Sal 123,1). Si batte il petto: segno di un'intensa emozione, di pentimento (cfr. 23,48), di lutto o addirittura di disperazione. Le sue parole sono brevi e ricordano il grido dei Salmi che invocano da Dio misericordia e pietà (cfr. Sal 25,11; 65,4; 78,38; 79,9). Anche questo ritratto è coerente con il racconto di Luca, dove gli esattori sono spesso ricordati in compagnia dei peccatori (cfr. 5,30.32; 7,34; 15,1). Si avverte la profonda incompatibilità fra un 'autentica giustizia e il disprezzo degli altri: com'è possibile adempiere la volontà di Dio (questa è la «giustizia» in senso teologico) e sostituirsi a lui nella valutazione degli uomini, considerati un nulla? Gesù rende conto della reazione di Dio alla preghiera dei due uomini e mostra che è avvenuto un vero e proprio ribaltamento: il pubblicano che si è riconosciuto peccatore è proclamato giusto, mentre il fariseo pieno di sé torna a casa privo di quella giustizia che pretendeva di possedere. Il pubblicano, pregando Dio nell'umiliazione, ha ottenuto il perdono, mentre il fariseo ha peccato proprio pregando, arrogandosi il potere di giudicare una persona e negando a Dio la possibilità di perdonare e all'uomo quella di essere redento. Il Dio del fariseo non solo non è il Dio di Gesù ma non è neppure il Dio d'Israele, così come lo conosciamo dalle Scritture. Il proverbio finale (cfr. 14,11) richiama il Magnificat (cfr. 1,48.52): la logica di Dio e la logica dell'uomo sono agli antipodi.

I bambini piccoli L'intervento dei discepoli mostra fino a che punto la scelta di Gesù di accogliere alcuni bambini piccoli fosse in contrasto con la mentalità corrente. Il bambino non rimanda all'innocenza o alla purezza (idee, queste, «romantiche»), semplicemente evoca una categoria sociale fragile: i bambini non avevano diritti, dipendevano dagli adulti, religiosamente non erano ancora maturi. Essi appartenevano all'universo femminile, erano cresciuti dalle madri, e non condividevano sino alla pubertà lo status degli adulti. La reazione di Gesù non idealizza il bambino, ma ne fa una figura del credente (v. 16). In altre parole, nessuno può entrare nella logica del Regno senza mettere interamente in discussione i valori del proprio mondo. Il comportamento dei discepoli mostra che essi non hanno compreso il comando di Gesù di accogliere il bambino (cfr. 9,48) e sono tuttora legati a una logica mondana. Ancora una volta Gesù cambia il loro modo di vedere.

Un notabile molto ricco Il personaggio che si presenta a Gesù (v. 18) è all'opposto dei bambini: mentre quelli non avevano alcun diritto, questi è un notabile, un capo; benché non si precisi l'identità dell'uomo. L'opposizione fra i bambini e il notabile è forte, quasi a conferma della logica del Magnificat (cfr. 1,52). La richiesta di Gesù è di vendere «tutto quanto» (v. 22): l'enfasi sulla totalità è solo di Luca (Mc 10,21 e Mt 19,21 si limitano alle proprietà) ed è coerente con quanto Gesù ha domandato ai discepoli (cfr. 14,33). L'invito di Gesù descrive una procedura d'azione: i beni devono essere anzitutto distribuiti ai poveri per avere un tesoro in cielo; evidente il richiamo alla contrapposizione fra tesoro celeste e tesoro terrestre (cfr. 12,21.33-34): il tesoro terrestre cattura il cuore e mette in competizione due padroni (cfr. 16,13). Non si tratta, dunque, unicamente di una richiesta funzionale all'abbandono della casa per seguire Gesù; più radicalmente si tratta di una condizione interiore per la sequela. La notizia della triste reazione del notabile è seguita dalla precisazione (finora taciuta) che l'uomo «era molto ricco» (v. 23). Tuttavia, a differenza degli altri due Sinottici (cfr. Mc 10,22; Mt 19,22), Luca non afferma che l'uomo «se ne andò», sicché la scena continua e le indicazioni di Gesù (cfr. vv. 24-30) sono date in presenza del ricco notabile.

Una duplice lezione La prima lezione (vv. 24-27) conferma l'incompatibilità fra la ricchezza e l'ingresso nel regno di Dio. La seconda (vv. 29-30) risponde all'obiezione di Pietro (v. 28). Il portavoce degli apostoli attesta la totale rinuncia non solo ai beni ma addirittura alle relazioni familiari e sociali (cfr. 5,11.28). In questo senso l'umana impossibilità è divenuta possibile. Tutto è giocato sul dualismo fra «questo tempo» e «l'epoca che verrà» (v. 30), un'opposizione tipica del pensiero apocalittico, che conosceva anche l'idea di un'abbondante ricompensa nel mondo futuro. La novità di questa affermazione è che promette una ricompensa che inizia già qui, in «questo tempo». In che cosa consista questa compensazione terrestre non è detto: un annuncio così straordinario rimane senza una concretizzazione!

Nuovo annuncio della passione Il viaggio verso Gerusalemme sta giungendo alla sua conclusione, e Gesù preannuncia ancora una volta la sua passione, morte e risurrezione. A differenza di Marco, che scandisce il cammino verso la città santa con tre preannunci molto chiari (cfr. Mc 8,31; 9,31; 10,33-34), Luca moltiplica i riferimenti alla morte (cfr. 9,22.44; 12,50; 13,33-35; 17,25), anche se qui il racconto è più dettagliato. La reazione dei discepoli è l'incomprensione. Il preannuncio termina con un'enfatica sottolineatura dell'incomprensione dei discepoli, che ricorda quella dei genitori al tempio (cfr. 2,50). Essi non capiscono il piano di Dio attestato nella Scrittura né la modalità ironica con cui Dio lo porta a compimento. Solo al termine della narrazione evangelica il significato di questi eventi sarà rivelato ai discepoli (cfr. 24,31) e la loro mente sarà aperta alla comprensione della Scrittura (cfr. 24,45).

Il cieco di Gerico Durante il cammino di Gesù verso Gerusalemme, Luca non ha raccontato molti miracoli: questo è l'ultimo, caratterizzato (rispetto ai precedenti) dall'assoluta assenza di discussioni dopo l'azione taumaturgica. Quest'uomo mendicante è in profondo contrasto con la posizione sociale del ricco notabile (cfr. 18,18-23): se i personaggi sono agli antipodi, i due racconti sono percorsi dal tema della salvezza. La domanda: «E chi può essere salvato»? (cfr. 18,26) trova qui una risposta (v. 42). Il gesto di guarigione di un cieco è caratteristico, con l'insegnamento, della missione di Gesù, così com'è definita dalla citazione di Is 61, 1-2 e 58,6 che apre il racconto del ministero (cfr. 4, 18-19). Il segno è ribadito poi nella risposta a Giovanni Battista (cfr. 7,22). La vista è un simbolo salvifico di primaria importanza (cfr. 11,34-36), che percorre il racconto lucano da un capo all'altro: in effetti la citazione iniziale di Isaia promette ai ciechi la vista, e il libro degli Atti si conclude con un'altra citazione del profeta a proposito dell'accecamento d'Israele (cfr. At 28,26-27, che riprende Is 6,9-10). La guarigione del cieco, in effetti, non si limita alla vista ritrovata ma è una manifestazione salvifica più ampia, strettamente legata alla fede (cfr. 7,50; 17, 19; 18,8). La preghiera del mendicante è efficace, grazie al suo carattere ripetitivo e insistente (cfr. vv. 37.39), corrispondente all'insegnamento di Gesù sulla preghiera (cfr. 11,5-13; 18,1-8): come Dio farà giustizia agli eletti che gridano a lui (cfr. 18,7), cosi Gesù ascolta il grido del cieco (v. 38).


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Istruzioni conclusive ai discepoli 1Disse ai suoi discepoli: «È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. 2È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. 3State attenti a voi stessi! Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. 4E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai». 5Gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. 7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Il Regno di Dio

I dieci lebbrosi 11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

I giorni del Figlio dell'uomo 20I farisei gli domandarono: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, 21e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!». 22Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. 23Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli. 24Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. 25Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione. 26Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: 27mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. 28Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; 29ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. 30Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. 31In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. 32Ricordatevi della moglie di Lot. 33Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva. 34Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; 35due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata». [36] 37Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Istruzioni conclusive ai discepoli Un filo rosso unisce questa sequenza in apparenza sconnessa: è la vita comunitaria. Gli scandali (comportamenti amorali, parole perverse che scioccano) fanno vacillare la fede di alcuni fratelli all'interno della comunità. Chi provoca l'apostasia di altri è destinatario del severo avvertimento (v. 2) di Gesù (il «guai» ricorda 6,24-26 e 11-42-52), in quanto commette un peccato che induce il fratello a peccare a sua volta. Evitare scandali è cosi decisivo che al timore di compierli è preferibile gettare il colpevole in mare appesantito dalla zavorra di una grossa pietra. I conflitti all'interno della comunità dei discepoli sono inevitabili e devono essere gestiti. La regola per gestire una crisi provocata da una grave colpa è esplicitata in tre tempi: rimprovero, accoglienza della conversione, perdono (v. 3). Alla domanda dei Dodici di accrescere la fede (v. 5), Gesù non risponde direttamente; per mezzo di un'iperbole afferma che una fede pur minuscola può compiere cose meravigliose. Tuttavia, non è chiaro perché gli apostoli pongano una simile domanda: forse la richiesta è associata al potere di compiere segni meravigliosi (cfr. 10,17), col rischio di insuperbirsi. In questo contesto la breve parabola (vv. 7-10) assume la sua rilevanza: mette in guardia contro la tentazione di mettere le mani su Dio proprio per mezzo deli'obbedienza. Dio può tutto per coloro che si riconoscono davanti a lui come «servi a cui non è dovuto nulla» (v. 10), per i peccatori che fanno appello alla sua misericordia.

Il Regno di Dio Un breve sommario redazionale che richiama il viaggio verso Gerusalemme (cfr. 17,11) introduce la terza sezione del «grande viaggio». Quest'ultima tappa ha una forte unità tematica: si tratta del Regno di Dio e della sua dimensione soteriologica, con un'insistenza particolare sui beneficiari della salvezza. Luca in questa sezione utilizza la tipologia regale: il Messia sofferente è il discendente di David. Mentre Gesù si avvicina a Gerusalemme, la figura del profeta lascia spazio a quella del re. La regalità di Gesù, proclamata in modo sempre più esplicito, conferisce a tutti gli episodi (dalla guarigione del cieco di Gerico, all'incontro con Zaccheo, alla parabola delle mine) la loro profonda unità. Che Gesù fosse in viaggio verso Gerusalemme è stato più volte ribadito dal narratore, ma il racconto non ha registrato molti spostamenti: si aveva quasi l'impressione che il protagonista si muovesse senza procedere. Giungendo a Gerico (18,35), Gesù s'avvicina alla città santa (cfr. 19,11). Nella guarigione del cieco mendicante (18,35- 43), nell'incontro con Zaccheo (19,1-10) e nella parabola delle mine (19,11-28) Luca sintetizza i temi del «grande viaggio»: la ricchezza, la preghiera insistente, la fede e la salvezza, l'opposizione fra personaggi e il capovolgimento delle situazioni, l'accoglienza di Gesù, la ricerca e la salvezza di ciò che è perduto, la crescita del regno di Dio.

I dieci lebbrosi Nonostante l'evangelista abbia ricordato la tolleranza di Gesù verso i samaritani, che non lo avevano accolto (cfr. 9,52-56), e abbia poi eletto a eroe di una parabola proprio uno di loro (cfr. 10,29-37), tuttavia per i giudei il samaritano rimaneva uno scismatico e un nemico. A sottolineare ancora di più la caratterizzazione dell'uomo contribuisce pure il punto di vista giudaico di Gesù, che lo definisce «straniero» (v. 18): in questa definizione c'è indubbiamente molta ironia. Nel momento in cui Gesù stesso lo congeda definendo come «fede» quanto egli ha detto e fatto (v. 19; cfr. 7,50; 8,48), il lettore comprende che questa fede non si è ridotta alla richiesta di aiuto: i dieci lebbrosi avevano sufficiente fede per andare dai sacerdoti prima di essere guariti, ma la fede del samaritano, a differenza degli altri nove, giunge all'adorazione. La salvezza che costui ha conosciuto non è solo sanazione dalla malattia: è esperienza della potenza salvifica di Dio accessibile per mezzo di Gesù. Oltre ai peccatori (cfr. 7,36-50) e ai pagani (cfr. 7,2-10), anche i samaritani sperimentano la salvezza di Dio ed entrano a fare parte della nuova comunità di coloro che credono in Gesù. L'episodio richiama anche la guarigione di Naaman il siro (cfr. 2Re 5): Naaman è tornato a ringraziare e a lodare il vero Dio, quello d'Israele e il samaritano fa lo stesso ai piedi di Gesù. Se nel racconto dell'Antico Testamento un pagano adora il vero Dio (cfr. 2Re 5,15), il samaritano unisce la lode di Dio e la fede in Gesù. Ai piedi di Gesù si può ormai lodare Dio per la salvezza ricevuta.

I giorni del Figlio dell'uomo Luca è il solo evangelista ad avere due discorsi sulla fine dei tempi: 17,20-37 e 21,5-34 (che rielabora Mc 13). Alla domanda posta dai farisei a proposito dei tempi della venuta del Regno (v. 20), Gesù risponde con ironia: il Regno non viene «in modo che possa essere notato»; se i farisei «sorvegliavano» Gesù con intento sospetto e ostile (cfr. 6,7; 14,1), essi non sono capaci di percepire i segni della presenza del Regno. Per contro, Gesù afferma che il Regno è «in mezzo a voi» (v. 21): i farisei, cioè, devono cogliere proprio a partire delle loro esperienze i segni di quella presenza (cfr. 11,20), nonostante il loro spirito di osservazione finora abbia fallito. Le istruzioni ai discepoli sono differenti da quelle ai farisei. Essi, infatti, si rivelano vulnerabili di fronte alla false pretese di compimento (v. 23): per contro, Gesù precisa che il Figlio dell'uomo verrà senza alcun chiaro segno premonitore. Due esempi nella storia santa (vv. 26-30) mostrano l'imprevedibilità della parusia: la situazione del mondo al tempo del diluvio (cfr. Gen 7,7) e la situazione di Sodoma ai tempi di Lot (cfr. Gen 19,24). L'interpretazione lucana dei due episodi genesiaci è davvero singolare: mentre il racconto biblico enfatizza la peccarninosità di coloro che furono eliminati, nella rilettura lucana le due catastrofi sono giunte allorché gli uomini vivevano nella più totale normalità, dediti a quelle occupazioni quotidiane che non sono per nulla riprovevoli (mangiare, bere, sposarsi, commerciare). Il ritmo delle occupazioni quotidiane è improvvisamente interrotto dall'arrivo del diluvio (v. 27) e dalla pioggia di fuoco e di zolfo (v. 29). I discepoli sono avvertiti proprio sul pericolo insito nella vita quotidiana: attività, legami familiari, matrimonio e possesso dei beni rischiano di essere l'unico orizzonte dell'esistenza (cfr. 14,26.33; 17,27-28). Anche la vicenda della moglie di Lot (cfr. Gen 19,26) è riletta (vv. 31-32) in riferimento al potere seducente del possesso. La separazione di individui accomunati dalla stessa vita quotidiana mostra che la liberazione riguarda gli uni e non gli altri. Radicale e senza possibilità di appello, cosi si manifesterà la verità ultima di Dio alla parusia del Figlio dell'uomo. La domanda finale dei discepoli (v. 37) riguarda lo spazio dove tutto questo accadrà. La risposta enigmatica vuole ribadire la certezza del giudizio su ogni uomo: è inutile speculare sugli spazi della parusia, piuttosto che fantasticare sul calendario!


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L'amministratore scaltro 1Diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

Insegnamenti 10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». 14I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. 15Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole. 16La Legge e i Profeti fino a Giovanni: da allora in poi viene annunciato il regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi. 17È più facile che passino il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge. 18Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio.

La parabola di Lazzaro e del ricco 19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

L'amministratore scaltro Dopo che Gesù si è rivolto a farisei e scribi, a esattori e peccatori {cfr. 15,3), ora parla «anche ai discepoli» (v. 1) e, tuttavia, i farisei sono ancora presenti (v. 14). Forse ispirata a qualche fatto contemporaneo, la vicenda dell'amministratore scaltro appare davvero singolare. Anzitutto il lettore non ha modo di sapere se si tratta di un'accusa fondata o di una calunnia; anche se poi si scoprirà la fondatezza dell'accusa. Di fatto l'uomo non ha imbrogliato il suo padrone riducendo il debito, semplicemente ha rinunciato alla sua parte di profitto (le cosiddette commissioni); il dato che emerge (dopo la convocazione dei debitori) è solo uno: l'uomo ha rinunciato a una cospicua somma di denaro; invece di accumularlo come garanzia di sicurezza, l'ha investito nelle relazioni per farsi degli amici proprio attraverso di esso (che sia suo o del padrone a questo punto poca importa). Invece di ammassare un tesoro in denaro (cfr. 12,21), ha creato un tesoro di riconoscenza presso gli antichi debitori. L'amministratore, uomo totalmente opportunista, non è certo un modello di moralità: è definito senza mezzi termini un disonesto; la ragione della lode, invece, è la sua astuzia. V'è così una netta distinzione fra la sua disonestà e la sua scaltrezza: la prima è giudicata, la seconda è lodata ed è portata a esempio per i «figli della luce». Gesù fa un primo commento (v. 9): come l'amministratore ha usato il denaro per farsi degli amici, cosi i discepoli sono esortati a servirsi dei soldi per acquisire gratitudine per il mondo escatologico. La ricchezza, invece di essere una garanzia di stabilità, rivela il suo legame con l'ingiustizia; v'è un solo modo per riscattarsi, ovverosia donare il denaro ai poveri (cfr. 12,33; 14,12-14). Il tempo in cui il denaro viene meno è il momento della morte e proprio allora si farà l'esperienza di essere accolti in cielo da quegli stessi poveri beneficati durante l'esistenza.

Insegnamenti Onde dissipare ogni possibile equivoco, s'istituisce un parallelismo fra la buona gestione negli affari materiali e la gestione della ricchezza vera: il denaro non può che rimanere uno strumento. Un ulteriore commento (v. 13), ponendo a diretto confronto Dio e mammona, conferma che l'approccio ai beni materiali non è neutro: il denaro può diventare un idolo che pretende di avere il posto di Dio. La sentenza (v. 16) struttura la storia della salvezza in due grandi periodi: il primo attestato nella Legge e nei Profeti, il secondo inaugurato dali' annuncio del Regno; la cerniera è costituita da Giovanni Battista. Ciò non implica nessuna abolizione o sostituzione della Legge (v. 17): essa è addirittura rafforzata, come dimostra la proibizione di un nuovo matrimonio dopo il divorzio (pratica autorizzata da Dt 24,1-4). Già a partire dal racconto dell'infanzia Luca ha mostrato la continuità fra l'Antico Testamento e la rivelazione di Gesù (cfr. 4,21); la cosa sarà ribadita solennemente dal Risorto (cfr. 24,27.44). La Legge e i profeti indicano a coloro che intendono il loro significato, di sforzarsi per entrare nel Regno.

La parabola di Lazzaro e del ricco La parabola è lo sviluppo teologico di quella precedente (cfr. 16,1-9): essa è interamente giocata su un esempio contrario, perché quanto il ricco compie contraddice l'insegnamento di Gesù. Il comportamento del ricco è contrario a quello dell'amministratore: l'epulone non usa le ricchezze per farsi amico il povero Lazzaro, e dopo la morte non v'è più la possibilità di mutare ciò che ormai è definitivamente fissato da Dio. Il lettore è condotto dalla narrazione stessa a stabilire un paragone fra l'epulone e l'amministratore astuto: essi sono agli antipodi, perfettamente speculari. La parabola ponendo sotto accusa il comportamento del ricco verso il povero, in realtà mette in discussione lo stile di vita degli stessi farisei amanti del denaro. Invece, cioè, di utilizzare i beni per i poveri (cfr. v. 9), essi ne hanno fatto un idolo che ha preso il posto riservato unicamente a Dio (cfr. v. 15) e hanno così violato l'insegnamento delle Scritture che proprio l'unicità di Dio proclamano. Per i fratelli, così come per i destinatari e il lettore, v'è ancora la speranza e la possibilità della conversione. Abbiamo evidentemente a che fare con un procedimento letterario che permette di tornare ai viventi e alla loro condotta. Se il destino del ricco è capovolto nell'aldilà a causa del suo totale oblio del povero, la parabola non solo invita gli ascoltatori a non fare quanto il ricco ha fatto, ma soprattutto cerca di convincerli a conformare il loro punto di vista col punto di vista normativo del racconto fittizio, espresso da Abramo e attestato nelle Scritture. Tale punto di vista è precisamente quello di Dio.


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Tre parabole della misericordia

Introduzione 1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

La pecora perduta 4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

La dracma perduta 8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Il padre misericordioso 11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. **25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Tre parabole della misericordia Le due similitudini e la parabola sono caratterizzate da comunanza di vocabolario e di temi: all'inizio v'è una realtà posseduta(cfr. vv. 4.8.11)che però è persa (cfr. vv. 4.8.24.32) e alla fine è ritrovata (cfr. vv. 5-6.8-9.24.32), provocando un'immensa gioia e una grande festa (cfr. vv. 6-7.9-10.23-24.32). Nei tre racconti fittizi v'è una progressione: un conto è una pecora o una dracma, un conto è un figlio. Così pure la proporzione decresce: è persa una pecora su cento, una dracma su dieci; i figli, invece, sono solo due. Sia le similitudini come la parabola sono appelli ai destinatari e al lettore perché confrontino il loro punto di vista con quello espresso dai tre racconti e, cosi, facciano proprio il punto di vista (ovverosia la teologia) di Gesù. Destinatari sono vuoi i farisei e gli scribi, vuoi gli esattori e i peccatori: entrambe le categorie debbono aprirsi alla novità di Dio rappresentata da queste parabole.

Introduzione L'introduzione (vv. 1-2) richiama una situazione ben conosciuta, che funge da scena-tipo: il lettore ricorda in particolare il banchetto in casa di Levi (cfr. 5,29-32) e in casa di Simone (cfr. 7,34) e percepisce la progressione dell'insegnamento di Gesù. L'introduzione è caratterizzata da una struttura triangolare a motivo della presenza di tre categorie di personaggi: Gesù, gli esattori coi peccatori e i farisei con gli scribi.

La pecora perduta La domanda posta all'inizio (v. 4) è chiaramente ironica: nessun pastore si comporterebbe in questo modo, abbandonando un intero gregge nel deserto per andare dietro a una sola pecora! Ma proprio la paradossalità della situazione descritta permette di intendere la conclusione (v. 7), nella quale Gesù passa dall'immagine alla realtà che gli preme porre in luce, offrendo i termini della decodificazione: i peccatori «persi» sono ritrovati; l'incontro con Gesù realizza il loro cambiamento.

La dracma perduta Il contesto socio-economico evocato dalla parabola è molto povero; la casa non ha finestre, sicché è molto misera, tanto che per cercare la dracma bisogna accendere una lucerna. Ma è soprattutto il possesso di dieci dracme a caratterizzare la povertà. Per una donna, le cui condizioni economiche sono cosi modeste, la perdita di una sola dracma rappresentava un serio problema, certamente più grande (in proporzione) della perdita di una pecora su cento. In conclusione, Gesù esplicita non solo il proprio punto di vista ma offre un'apertura sullo stesso mistero di Dio. Sia i «giusti» come i «peccatori» sono invitati a comprendere la paradossalità della logica che le due similitudini rivelano e a trame le debite conseguenze.

Il padre misericordioso La parabola (vv. 11-32), più ampia e articolata, mette in gioco un “triangolo drammatico” che vede protagonisti un padre e i suoi due figli (qui il coinvolgimento affettivo è massimo). La relazione fra il figlio minore e i peccatori, fra il figlio maggiore e i farisei che mormorano è di certo molto più evidente. Lo stesso vale per il dialogo fra il maggiore e il padre: nelle obiezioni del più grande (vv. 29-30) gli avversari di Gesù riconoscono le proprie posizioni nei confronti dei peccatori. Sicché anche la parabola parla ai cosiddetti giusti e ai peccatori, chiedendo agli uni e agli altri di cambiare in modo decisivo il proprio punto di vista. Le parole che il minore dice fra sé e sé (cfr. vv. 18-19) non rappresentano una conversione, ma sono il segno di un calcolo astuto e meschino. Per mezzo di un'affermazione manipolativa il minore, mentre dichiara la perdita della propria dignità filiale, in realtà mira a convincere il genitore a compiere una scelta per sé più vantaggiosa. L'ammissione della colpa è semplicemente funzionale alla successiva richiesta: egli, infatti, evoca la propria condizione con lo scopo di instaurare col padre un nuovo rapporto, non più improntato sulla relazione di figliolanza, bensì su criteri puramente economici di prestazione lavorativa. Il salto è abissale, ma dal punto di vista del ragazzo è un guadagno. Se, infatti, come figlio egli non può più accampare diritti (avendo già avuto la parte d'eredità), lo status di bracciante potrà almeno assicurargli il pane quotidiano. Ma anche il discorso del maggiore (cfr. vv. 29-30) è tutto improntato su una relazione col padre in termini di dare-avere, prestazione-ricompensa: lui al padre ha dato tanto e ha diritto di ricevere; l'altro non ha dato nulla, perciò nulla deve ricevere. Il maggiore rimprovera al genitore di sovvertire il principio della giustizia retributiva secondo cui il giusto deve essere premiato e il malvagio punito. Una simile accusa mostra che il maggiore ha vissuto il rapporto con suo padre proprio secondo tale principio. Ne consegue che il fratello maggiore, pur avendo un'esistenza differente da quella del minore (sta in casa, lavora, è fedele), tuttavia vive la relazione col genitore in termini puramente retributivi. Fra questa visione, interamente centrata sul rapporto di scambio, e quella economica del minore non v'è una grande differenza. L'opposizione fra i due figli ricalca quella delle due similitudini: la pecora, infatti, si smarrisce nel deserto, fuori; la dracma invece è smarrita in casa, dentro. Lo stesso capita ai due figli: il prodigo si smarrisce allontanandosi dalla casa, il maggiore abitando quella stessa casa. Se la pecora e la dracma sono ritrovate rispettivamente dal pastore e dalla donna, anche i due figli sono ritrovati dal padre buono. La terza parabola, tuttavia, non ha una conclusione narrativa: rimane aperta. Il lettore non sa se il figlio maggiore abbia accettato l'invito entrando alla festa oppure si sia rifiutato. Una così marcata reticenza narrativa non è priva di effetti, in quanto obbliga a pensare. Ma la sospensione narrativa non equivale a un vuoto che può essere riempito a piacere indistintamente, in quanto i segnali che la narrazione stessa ha posto in atto sono sufficientemente espliciti e per nulla indeterminati. Il dibattito fra il padre e il figlio maggiore vede certamente due posizioni dialettiche, ma le ragioni dell'uno e dell'altro non si equivalgono. La libertà del maggiore non è tolta, anzi rimane intatta, sicché la decisione di entrare alla festa, accettando così la logica del padre, non può che essere sua.


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Gesù a tavola 1Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 2Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. 3Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». 4Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. 5Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». 6E non potevano rispondere nulla a queste parole. 7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». 12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

La parabola degli invitati al banchetto 15Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». 16Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. 18Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. 19Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. 20Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. 21Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. 22Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. 23Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. 24Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».

Seguire Gesù 25Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. 28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. 34Buona cosa è il sale, ma se anche il sale perde il sapore, con che cosa verrà salato? 35Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Gesù a tavola Nella terza controversia sul sabato Luca richiama alla memoria le prime due, così che l'episodio sintetizza l'argomentazione portata in precedenza. Nel giorno in cui Israele celebra la dignità dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, capace di riposarsi come Dio si è riposato (cfr. Es 20,8-11), Gesù ridona dignità ai malati; ma in quello stesso giorno in cui si gioisce per la liberazione dalla schiavitù d'Egitto (cfr. Dt 5,12-15), esso diventa esperienza di salvezza proprio per mezzo dell'azione potente di Gesù. I farisei sono ridotti al silenzio (v. 4), incapaci di controbattere (v. 6). Il sospetto che Gesù minacciasse il riposo sabbatico non trova fondamento: egli, infatti, non nega l'osservanza del sabato, ma afferma che la guarigione è cosi importante da essere inclusa nelle cose da compiere proprio in giorno di sabato. L'immagine del banchetto qui assume differenti funzioni: è anzitutto l'ambientazione della controversia e del discorso di Gesù (v. l); poi è l'argomento della sua parabola (vv. 7-11); infine diventerà metafora del regno di Dio e dunque motivo di beatitudine (v. 14). L'ammonimento di Gesù di non occupare un posto d'onore ha come argomento il pericolo di essere svergognati da qualcuno più illustre (cfr. Pr 25,6-7). Quello che sembra essere un semplice consiglio prudente diviene una regola fondamentale del regno di Dio; non a caso il narratore definisce questo insegnamento di Gesù una «parabola» (v. 7): essa chiede di essere intesa in riferimento a quella realtà. Il capovolgimento delle situazioni è infatti opera di Dio (v. 11), come Luca non si stanca di ripetere (cfr. 1,52; 6,20-26; 1O, 15). L'usanza di scambiarsi inviti a tavola fra persone dello stesso ceto era diffusa Se era motivo di onore fare la carità ai poveri, non era certo costume invitarli alla propria tavola, in nome di una regola di reciprocità. Anzi, un simile gesto sarebbe stato interpretato come un'identificazione con il povero e, quindi, come un atto che avrebbe disonorato sé e la propria famiglia. Proprio sul principio di reciprocità insiste Gesù, mostrando che esso è rispettato, non però dal povero (che certamente non può ricambiare) ma da Dio nell'eternità (v. 14). Chi accetta questa logica è proclamato «beato».

La parabola degli invitati al banchetto La parabola mette in guardia dal rischio di non accogliere la grande occasione della salvezza offerta da Gesù. Ma v'è una seconda possibile interpretazione secondo la quale la parabola è il racconto di un uomo che accoglie i poveri alla sua mensa, obbedendo all'insegnamento di Gesù. Le due interpretazioni non sono da contrapporre, ma al contrario da integrare: unica condizione per partecipare al banchetto escatologico della salvezza offerto da Gesù è accogliere i poveri. La parabola diviene cosi l'annuncio della buona notizia ai poveri, evocando la predicazione di Gesù (cfr. 4,18; 7,22). La salvezza rappresentata dalla partecipazione al banchetto è un dono fatto a tutti: si tratta però di accogliere l'invito. La parabola obbliga a entrare in una logica nuova che è quella di Gesù, per tirare poi le debite conseguenze.

Seguire Gesù Il discorso torna sui temi che le scuse degli invitati (cfr. 14,18-20) avevano evocato: le relazioni familiari e il possesso dei beni materiali. Si tratta di condizioni non negoziabili. Le esigenze di Gesù sono radicali: anche i legami familiari più forti devono essere reinterpretati alla luce della chiamata di Gesù (cfr. 5,11.28; 8,10-21 ). L'indicazione è poi generalizzata: si tratta di odiare «la propria vita» (v. 26), al punto di prendere la croce. L'indicazione riprende le parole ai discepoli (cfr. 9,23): ciò non significa farsi crocifiggere, ma accettare la derisione e gli insulti che suscitavano i condannati che portavano il patibulum (cioè il palo orizzontale della croce). Le due brevi parabole (vv. 28-33) chiariscono in positivo il senso dell'investimento dell'intera esistenza dietro a Gesù. I due esempi concreti (costruire una torre e andare in guerra) suggeriscono un'impresa di un certo im- pegno e insistono sulla necessità di riflettere e di discernere attentamente la posta in gioco della decisione. Il discepolo che ha impostato in modo del tutto differente le relazioni con la propria famiglia, che ha rinunciato ai beni e a se stesso, che si prepara al martirio, è un buon discepolo, come il sale ha sapore. Se però quell'uomo smettesse di essere discepolo sarebbe finito, come quando il sale perde il sapore.


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Episodi di sangue 1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

La parabola del fico sterile 6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Guarigione della donna curva 10Stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. 11C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. 12Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». 13Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. 14Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». 15Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? 16E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?». 17Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Parabole del Regno di Dio 18Diceva dunque: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? 19È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». 20E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? 21È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

L'invito a entrare nel Regno (13,22-17,10)

La porta stretta 22Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.

La porta chiusa 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.

La mensa nel regno di Dio 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Un profeta a Gerusalemme 31In quel momento si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere». 32Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. 33Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”. 34Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 35Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Episodi di sangue Il dramma dei Galilei massacrati dai legionari romani deve avere fatto notizia (per quanto non vi siano testimonianze extrabibliche). Esso poneva un duplice problema: da una parte, la morte violenta era ritenuta un castigo divino contro i peccatori; dall'altra, v'era stato un sacrilegio nel tempio, il luogo più santo. Il secondo episodio, invece, riguarda un incidente di cantiere: il crollo della torre di Siloe. Gesù rifiuta di stabilire qualsiasi nesso fra peccato e sofferenza, e ammonisce i suoi interlocutori perché si convertano. Tale mutamento radicale riguarda Dio, non più considerato come colui che castiga i peccatori: senza conversione l'uomo morirebbe nel terrore di un Dio cosi; se, al contrario, si converte, scopre un volto totalmente differente di Dio.

La parabola del fico sterile La parabola più che un invito a contemplare la pazienza di Dio è un appello a fare presto! C'è ancora del tempo, ma non è infinito! La conversione al Dio che non castiga non dispensa l'uomo dalla responsabilità di decidere e di farlo presto. Il lettore, inoltre, può stabilire una relazione: l'«anno» concesso al fico ricorda l'«anno di grazia» del profeta Isaia (cfr. la citazione in Lc 4,19). Tale «anno» è in pieno svolgimento proprio nella missione di Gesù: per questo occorre fare presto.

Guarigione della donna curva Il racconto ritorna su temi cari a Luca: anzitutto quello della liberazione e della salvezza, cui alcuni oppongono un netto rifiuto (il rimando alla predica di Nazaret, cfr. 4,18, è evidente); inoltre, la guarigione avviene di sabato (cfr. 6,6-11 ), ed è un'occasione per ridefinire il senso di quel giorno. Gesù non compie il miracolo, lo notifica (v. 12) come opera già realizzata da Dio. La donna reagisce glorificando Dio (v. 13) e non Gesù, mostrando di interpretare anch'ella l'avvenimento nello stesso modo. Infine il verbo «bisognava» (v. 16) indica proprio la volontà salvifica di Dio che si manifesta per mezzo di Gesù. Non è un caso che subito dopo il miracolo vi siano le uniche parabole lucane che hanno a tema il regno di Dio (cfr. vv. 18-21).

Parabole del Regno di Dio Le parabole formano una sorta di conclusione del racconto della guarigione della donna curva. Le parabole non sono allegorie (ossia racconti dove ai vari elementi del racconto fittizio corrispondono elementi della realtà), ma narrazioni che obbligano a pensare: esse non definiscono il Regno, ma invitano a riflettere sull'evento che lo costituisce. L'impulso che viene dalle due immagini è un contrasto fra la modestia dell'inizio e l'enormità del risultato. Gesù ha applicato le parabole alla propria attività. modesta e screditata, ma dove il potere del male è già vinto(cfr. 11,20). Il messaggio è duplice:la modestia degli inizi non deve nascondere che Dio proprio così prepara lo splendore del Regno; inoltre, se è Dio che fa crescere, l'azione umana è richiesta perché lo sviluppo possa avvenire.

L'invito a entrare nel Regno La reiterata notizia del viaggio verso Gerusalemme (13,22) introduce la seconda sezione del «grande viaggio», caratterizzata da molte parabole e da un pressante invito a entrare nel Regno. Sulla strada che lo conduce a Gerusalemme Gesù prosegue il suo insegnamento sulla vita credente. La questione, introdotta da un anonimo personaggio, riguarda la salvezza (v. 23). L'articolata risposta di Gesù ritorna sul tema del giudizio nella parusia, per urgere la conversione nel tempo presente.

La porta stretta L'immagine della porta stretta (v. 24) è accompagnata dall'idea dello sforzo anche violento richiesto per avere parte al regno di Dio (v. 29). È un tema non insolito nella predicazione di Gesù che fa appelli pressanti alla conversione! In altre parole, la salvezza non è un fatto scontato.

La porta chiusa Il rischio di essere esclusi dalla salvezza è espresso per mezzo dell'immagine della porta chiusa. Quando un padrone di casa ha chiuso la porta, la riapre solo ai familiari: è l'argomento portato dai ritardatari che evocano la convivialità e l'insegnamento ascoltato. La realtà cui l'immagine rimanda supera l'esempio e pemette di identificare il «padrone di casa« (v. 25) con Gesù nel suo ruolo di giudice dei tempi ultimi. Il comportamento di coloro che sono rimasti fuori è qualificato come «ingiustizia» (v. 27), cioè infedeltà alla Legge nella maniera in cui Gesù l'ha ridefinita (cfr. 10,25-37).

La mensa nel regno di Dio Chiusi fuori, gli esclusi non potranno che lamentarsi, intravedendo il banchetto cui non sono stati ammessi! Ciò che fa la differenza è l'accettazione o il rifiuto della predicazione di Gesù, provocando un capovolgimento delle prerogative: alcuni pagani, lontani da Dio, prenderanno parte al banchetto, a differenza di alcuni membri del popolo eletto. L'avvertimento è chiaro: non capiti anche al lettore di dover guardare da lontano il gioioso convivio!

Un profeta a Gerusalemme Erode ha decapitato Giovanni (cfr. 9,9) e ora tenta di uccidere Gesù che con le sue parole stabilisce un'analogia fra Erode e Gerusalemme come assassina di profeti: questa «volpe» (il re) non ucciderà Gesù, ma quella «volpe» (la città) lo farà. Paragonando il proprio destino a quello dei profeti, Gesù mostra la continuità fra quanto accadeva nella storia d'Israele e quanto succederà a lui. Il lamento su Gerusalemme è un forte ammonimento profetico. Indirizzandosi direttamente alla città, nominata ben due volte (quindi con forte carica emozionale), Gesù la pone in stato d'accusa, pur dichiarandole il suo forte attaccamento. Il finale è colmo di ironia: Gesù dichiara che non lo vedranno più fino a che diranno le parole del salmo processionale (cfr. Sal 118,26): quando, al termine del viaggio, Gesù giungerà nella città santa, la moltitudine dei discepoli canterà quelle parole (cfr. 19,38), segno che il piano di Dio si realizza proprio nella passione del Figlio.


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Confessare il Figlio dell'uomo 1Intanto si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. 2Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. 3Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze. 4Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. 5Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. 6Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. 7Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri! 8Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; 9ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. 10Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato. 11Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, 12perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».

Il possesso dei beni 13Uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». 16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». 22Poi disse ai suoi discepoli: «Per questo io vi dico: non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete; né per il corpo, di quello che indosserete. 23La vita infatti vale più del cibo e il corpo più del vestito. 24Guardate i corvi: non séminano e non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. Quanto più degli uccelli valete voi! 25Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 26Se non potete fare neppure così poco, perché vi preoccupate per il resto? 27Guardate come crescono i gigli: non faticano e non filano. Eppure io vi dico: neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 28Se dunque Dio veste così bene l’erba nel campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più farà per voi, gente di poca fede. 29E voi, non state a domandarvi che cosa mangerete e berrete, e non state in ansia: 30di tutte queste cose vanno in cerca i pagani di questo mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. 31Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta. 32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. 33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

Le parabole della vigilanza 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». 41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Divisioni e crisi 49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! 51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». 54Diceva ancora alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. 55E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. 56Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? 57E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? 58Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. 59Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Confessare il Figlio dell'uomo L'immagine del lievito è presa qui in senso peggiorativo: si tratta di qualcosa di negativo che può crescere all'interno del gruppo dei discepoli, se gli si lascia spazio d'azione. Il tentativo di nascondere qualcosa è votato al fallimento (v. 2), anche all'interno del dei discepoli (v. 3). Che cosa siano le cose dette in segreto e poi rivelate non è semplice capire, ma il contesto seguente forse suggerisce che esse si riferiscano al doppio atteggiamento dei credenti che confessano la loro fede privatamente e non in pubblico a motivo della paura. Questa forma di doppiezza ipocrita può infettare la comunità e si tratta della finzione per non essere diversi dagli altri, che non potrà durare a lungo: vi sarà il momento dello svelamento della verità. Gesù limita il potere degli uccisori all'eliminazione della vita biologica. I due esempi rivelano che Dio si prende cura delle sue creature; il timore dei persecutori è superato. Le parole ai discepoli a proposito della confessione di fede e del rinnegamento sono molto ben bilanciate. Il linguaggio anticipa l'annuncio e il racconto del rinnegamento di Pietro (cfr. 22,34.57.61): e come Pietro sarà perdonato, cosi anche qui il perdono raggiunge colui la cui parola si erge contro Gesù (v. 10a). Ma si contempla pure il caso di qualcuno che non sarà perdonato, in quanto ha «bestemmiato contro lo Spirito Santo» (v. 10b), ma non è chiaro chi sia costui: forse è il discepolo infedele che rifiuta la guida dello Spirito nel momento del processo e rinnega la sua relazione con Gesù. Bestemmiare è molto più che negare di conoscere Gesù: si tratta di un pubblico vilipendio di Gesù e dello Spirito, come prova che non si è suoi discepoli.

Il possesso dei beni Gesù va dritto alla radice del problema, mettendo in luce che la vita dell'uomo non ha la sua origine nei beni e che, dunque, non può trovare nelle cose materiali il principio della sua sicurezza. Nella parabola del ricco stolto il progetto dell'uomo non è né accorto né intelligente: l'inevitabilità della morte e la sua imprevedibilità sono patrimonio esperienza universale. L'intervento di Dio non deve essere considerato come un castigo del ricco: esso semplicemente dà voce alla consapevolezza avvertita da ogni uomo dell'insufficienza del puro orizzonte materiale. Gesù indirizza al gruppo più ristretto una solenne esortazione a non preoccuparsi delle necessità elementari dell'esistenza. A fondamento di questa ingiunzione v'è l'affermazione del valore più grande della persona e della vita (v. 23): l'esistenza personale è un dono sul quale l'essere umano non può mettere le mani. Gesù, poi, ribadisce l'assoluta inefficacia della preoccupazione per modificare il proprio destino: considerato che la preoccupazione per il domani non allunga la vita dell'uomo, e che Dio si prende cura anche delle sue creature più piccole, ne consegue che Dio stesso custodirà la vita dei suoi figli. Il rimprovero di avere una fede insufficiente (v. 28) non giustifica l'inattività o la rassegnazione di fronte al proprio destino, ma invita a porre ogni fiducia nella bontà provvidente di Dio. A partire da questa fiducia è la ricerca esistenziale dei discepoli che riceve un nuovo orientamento: è da abbandonare la preoccupazione per il minimo vitale (il cibo e il vestito) che qualifica la ricerca dei pagani e dunque la loro esistenza. Ciò che differenzia i discepoli dagli increduli è che questi non dispongono di una fede nel Dio provvidente; al contrario, afferma Gesù, il Padre sa che gli uomini hanno bisogno di quelle cose per vivere (v. 30). L'invito finale ai discepoli (vv. 33-34) aggiunge un'ulteriore precisazione: non basta non preoccuparsi per le cose di ogni giorno, ma occorre pure distaccarsi completamente dai beni e darli in elemosina: si stabilisce un collegamento fra l'elemosina data al prossimo e il tesoro accumulato presso Dio. Quest'ultima battuta diventa la chiave per comprendere la parabola del ricco stolto (vv. 16-21): quell'uomo nel suo ragionamento aveva valutato tutto, senza per nulla pensare agli altri; la sua fortuna era solo per sé. Cosi si è trovato con un grande tesoro sulla terra e a mani vuote in cielo.

Le parabole della vigilanza In cammino verso Gerusalemme, Gesù prepara i suoi discepoli a vivere l'assenza del loro Signore in attesa del suo ritorno: la vigilanza e la fedeltà responsabile sono necessarie nella prospettiva della venuta del Figlio dell'uomo.
Le tre parabole, nelle loro somiglianze e differenze, rappresentano due atteggiamenti differenti: da una parte la vigilanza, pronta e aperta alle novità e alla sorprese del Regno; dall'altra la fedeltà e la responsabilità che caratterizzano il tempo dell'attesa. Dietro la relazione fra padrone e servo traspare il rapporto del Signore coi suoi discepoli. Stupisce poi l'inversione dei ruoli dove il Signore diventa servo: colui che tornerà è lo stesso Signore che sta camminando davanti ai discepoli verso Gerusalemme per donare la vita. Che il Signore veniente nella gloria assuma il ruolo di servitore suggerisce che questa è una sua caratteristica precipua. La formula escatologica finale (v. 48) sottolinea invece la responsabilità dei credenti di fronte al giudizio. La vigilanza pone i cristiani di fronte alle loro responsabilità quotidiane.

Divisioni e crisi Gesù compie un'appassionata affermazione a proposito della propria missione. Nel contesto del viaggio verso Gerusalemme, il fuoco che ancora non è acceso e il battesimo non ancora ricevuto alludono al rifiuto e alla morte che attende Gesù nella città santa. Come l'affermazione precedente, anche quella dei vv. 51-53 concerne quello che Gesù sta per compiere. Egli parla di conflitti che sembrano essere la necessaria conseguenza della missione di Gesù: la decisione per lui o contro di lui può dissolvere i legami più intimi, creando opposizione fra i membri della stessa famiglia. Diventare discepoli è una decisione che sorpassa anche i legami sociali più forti, se essi rappresentano una barriera alla vocazione cristiana. Per il lettore questa non è una novità: di ostilità sociale e di relazioni spezzate a causa di Gesù ha già sentito parlare (cfr. 6,22). Naturalmente la divisione non è l'obiettivo della missione, ma la conseguenza dell'adesione all'annuncio di Gesù. Infine Gesù suggerisce che c'è qualcosa di veramente significativo nel momento attuale, ma non esplicita di che cosa si tratti. Il messaggio è tutto per gli ascoltatori: v'è un «tempo opportuno» nel quale essi sono messi a confronto con il messaggio di Gesù e nel quale è chiesta a loro una risposta. Ma è possibile anche lasciar cadere l'opportunità e non rispondere. Per questo gli uditori sono accusati di ipocrisia: non si tratta di ignoranza ma di cattiva volontà colpevole. L'immagine del giudizio (già applicata agli ascoltatori capaci di interpretare il cielo) ritorna come una forte esigenza: bisogna saper giudicare che cosa sia giusto nella presente situazione. Tale necessità è sottolineata chiamando in causa l'uditorio cui Gesù si rivolge direttamente. L'opportunità di un accordo fra il debitore e il creditore prima dell'apertura del processo è l'unica possibilità di sottrarsi alla prigionia per estinguere la pendenza finanziaria. In primo piano sta la necessità di agire per evitare il disastro: quando la rivelazione di Dio s'avvicina, c'è urgenza di convertirsi prima che sia troppo tardi.


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La preghiera di Gesù 1Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; 3dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, 4e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione». 5Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, 6perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, 7e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, 8vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. 9Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 11Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Il regno di Satana 14Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. 15Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». 16Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. 17Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. 18Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. 19Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. 20Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. 21Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. 22Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. 23Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde. 24Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. 25Venuto, la trova spazzata e adorna. 26Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima». 27Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». 28Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». 29Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. 30Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. 31Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. 32Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona. 33Nessuno accende una lampada e poi la mette in un luogo nascosto o sotto il moggio, ma sul candelabro, perché chi entra veda la luce. 34La lampada del corpo è il tuo occhio. Quando il tuo occhio è semplice, anche tutto il tuo corpo è luminoso; ma se è cattivo, anche il tuo corpo è tenebroso. 35Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra. 36Se dunque il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere alcuna parte nelle tenebre, sarà tutto nella luce, come quando la lampada ti illumina con il suo fulgore».

Contro farisei e dottori della Legge 37Mentre stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. 38Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. 39Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. 40Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? 41Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro. 42Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. 43Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. 44Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo». 45Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». 46Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! 47Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. 48Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. 49Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, 50perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: 51dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. 52Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». 53Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, 54tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

La preghiera di Gesù La versione lucana della preghiera è simile a quella di Mt 6,9-13 ma più corta. La struttura è simile: ambedue iniziano con un'invocazione al Padre, cui seguono due serie di domande; la prima serie (tre in Matteo, due in Luca) è relativa a Dio (il tu), la seconda serie (tre petizioni) è relativa agli oranti (il noi); l'ordine delle domande è lo stesso. Matteo ha sei petizioni (o, secondo alcuni interpreti, sette), mentre Luca ne ha solo cinque. La preghiera inizia con la semplice invocazione «Padre», termine che ritornerà durante la passione (cfr. 22,42; 23,34.46); rimanda all'aramaico abba (cfr. Mc 14,36; Rm 8,15; Gal4,6): era il termine tipico per rivolgersi al genitore sia da parte del bambino piccolo sia da parte del figlio adulto nei confronti del padre anziano. Il termine con cui inizia la preghiera esprime una promessa di salvezza: è la preghiera dei figli di Dio. Il «nome» indica i caratteri e le qualità di chi lo porta, cioè l'identità. Quindi, la santificazione del nome è che Dio si mostri per quello che è nella sua presenza sovrana e compassionevole. Gesù ne ha proclamato la vicinanza e la presenza del Regno proprio nella sua persona e nell'esercizio della sua missione (cfr. 17,20; 22,18); nella preghiera il discepolo affida a Dio la venuta del Regno, gli chiede di intervenire nella storia e nella sua vita: quel Regno presente e nascosto in Cristo (cfr. 8,10) diventi vicino e visibile. La terza richiesta «il pane» domanda a Dio un dono che egli stesso dovrà rinnovare ogni giorno. La quarta richiesta «perdonaci» introduce il linguaggio del peccato: l'orante chiede il perdono a Dio, motivando la propria richiesta con la disponibilità a perdonare: il perdono fraterno non è la ragione del perdono di Dio, però è il momento della sua verità. L'ultima richiesta «non abbandonarci» è la sola formulata negativamente: la tentazione è la prova eccessiva che conduce a perdersi e a rinnegare Dio; l'orante supplica che Dio non ve lo conduca. L'orazione di Gesù è seguita da un insegnamento sulla preghiera che si esprime in due similitudini. La prima similitudine è ambientata in una casa povera dell'epoca, formata da una sola stanza dove adulti e bambini dormivano stesi per terra. Per parlare della preghiera, Gesù narra un racconto fittizio dove un uomo disturba oltre ogni limite un altro uomo, interpellato a sua volta dal bisogno di un terzo. La domanda retorica «Chi di voi?» attende una risposta: nessuno! Tuttavia, l'inopportuna richiesta di pane nel cuore della notte non trova sorprendentemente un diniego. La similitudine non è un'allegoria: il lettore non confonderà Dio con l'amico svegliato improvvisamente, ma noterà come l'uomo verrà incontro alla richiesta inopportuna non in virtù dell'amicizia ma proprio per l'insolenza sfrontata di colui che chiede: ciò che solitamente è vero nelle relazioni fra le persone è ancor più vero a proposito della preghiera indirizzata a Dio! Gli esempi finali (vv. 11-13) che ritornano sulla figura del padre (qui certamente umano), con evidente allusione alla preghiera del Padre (cfr. v. 2): la richiesta di un figlio verso un genitore si fonda sulla certezza dell'esaudimento e non sulla perversione della domanda. S'impone così un ragionamento a fortiori: se gli uomini, pur nella loro cattiveria, sanno compiere il bene, quanto più farà Dio, il Padre, verso tutti i suoi figli. Infine, Luca ricorda che Dio offrirà il dono per eccellenza, ovverosia lo Spirito Santo.

Il regno di Satana C'è una controversia sul potere con cui Gesù compie i miracoli, non si tratta di una contestazione ma di una discussione sull'origine di questo potere. Da dove viene la forza liberatrice? Il potere di Gesù non viene da una forza occulta o demoniaca, ma da Dio! E se compie gli esorcismi per la potenza efficace di Dio, allora la vittoria sul male inaugura il tempo nuovo del Regno: guarigioni ed esorcismi sono il segno del tempo della promessa e della salvezza, secondo le istruzioni date ai settantadue discepoli (cfr. 10,9). La lotta fra Dio e il male è rappresentata per mezzo di una similitudine: da una parte v'è un uomo forte e ben armato, dall'altra un uomo più forte che lo vince. Nell'uomo forte s'intravede Satana, che custodisce militarmente il suo palazzo (cioè coloro che sono posseduti dai demoni); nel «più forte», invece, Gesù che soppianta Satana e gli sottrae coloro che erano a lui asserviti. La venuta del «più forte» era già stata annunciata dal Battista (cfr. 3,16). L'esempio degli spiriti impuri (vv. 24-25) mette in guardia dal pericolo che un'adesione tiepida a Gesù rischia di provocare. La rivincita di Satana è legata a coloro che, dopo essere stati liberati dagli spiriti impuri, rifiutano di impegnarsi con Gesù (cfr. v. 23) o di ascoltare la Parola (cfr. v. 28). Chi ha accolto l'annuncio di Gesù non è al riparo da una nuova caduta: il lettore è messo in guardia e così è invitato a vigilare di fronte alla potenza del male. Le parole di Gesù suscitano l'approvazione entusiasta di una donna. Proclamare la beatitudine di una madre per esprimere l'ammirazione nei confronti di un figlio è usanza corrente del giudaismo. Ma all'elogio nei confronti della madre Gesù contrappone un'altra beatitudine. L'inversione dei ruoli è evidente: alla donna che voleva onorario proclamandolo «beato», Gesù risponde proclamando la beatitudine dei credenti che nell'ascolto e nella custodia della parola di Dio potranno lottare contro il ritorno delle forze del male: chi custodisce il suo palazzo, infatti, vince la potenza dell'uomo forte (cfr. 11,21). La domanda di un segno dal cielo (cfr. 11,16) trova ora risposta per mezzo del «segno di Giona»: non si tratta propriamente del segno sperato! Luca evoca il profeta come un segno per i Niniviti: il riferimento è la proclamazione da parte del profeta di un avvertimento severo alla città (cfr. Gio 3,4: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta!»). Lo stesso Gesù assume il ruolo di esplicitare il giudizio sulla presente generazione. Mentre secondo la tradizione ebraica sarà compito d'Israele giudicare le nazioni alla fine dei tempi, Gesù ribalta i ruoli. Una straniera, la regina del Sud, condannerà questa generazione: il riferimento è alla visita compiuta dalla regina di Saba a Salomone (cfr. 1Re 10,1-12), in cui la sovrana riconobbe che Salomone eccelleva in sapienza. A lei si aggiungeranno gli abitanti di Ninive, che si erano convertiti alla predicazione di Giona (cfr. Gio 3,5-10). I due detti che seguono sono legati all'immagine della lucerna: la lucerna che brilla, e di cui si apprezza la luminosità, rappresenta qui la proclamazione del Regno. Il secondo detto (vv. 34-36) precisa come percepire il fulgore di questa luce. L'immagine ha il suo retroterra culturale nella concezione anatomica antica secondo cui il corpo è come una casa rischiarata dalla luce dell'occhio. Se Dio non offre altro segno che la predicazione di Gesù, chi è abitato da questa luce sarà luminoso, perché da lui illuminato.

Contro farisei e dottori della Legge Gesù è invitato alla tavola di un fariseo, ma immediatamente qualcosa si guasta. Se il suo ospite è sorpreso per la mancanza delle abluzioni rituali, Gesù reagisce con una serie di invettive contro il fariseo e gli altri invitati. Alla preservazione della purità esteriore, cui i farisei tendono all'eccesso, Gesù oppone la purità interiore, che è di natura morale. Purificare ciò che è visibile agli sguardi umani non serve a nulla, se non si purifica l'interiorità, cioè il cuore: Dio, infatti, ha creato sia il corpo sia il cuore. I tre «guai» (vv. 42-44) fanno risuonare l'indignazione profetica in nome di Dio da parte di Gesù contro i farisei, il cui comportamento dimostra di essere una falsa interpretazione della Legge, nonostante la loro vocazione a essere guide del popolo. Il primo «guai» prende di mira lo zelo farisaico, stigmatizzando la preoccupazione di pagare la decima addirittura su ogni più piccola erba per poi trasgredire alcune esigenze morali fondamentali: emerge il ritratto di persone che non sanno ponderare la diversità degli imperativi della Legge. Il secondo «guai» interpreta il primo: all'amore di Dio i farisei hanno sostituito la ricerca della pubblica ammirazione degli uomini. Il terzo «guai» fa emergere l'atteggiamento più profondo, cioè l'ipocrisia: i farisei sono paragonati a tombe che calpestate da uomini ignari trasmettono loro l'impurità; l'accusa è forte, in quanto Gesù affermerebbe che i farisei, contrariamente alla loro apparenza inappuntabile, in realtà contaminano coloro che li avvicinano. Gesù li accusa di venire meno alla loro responsabilità di guide del popolo: imponendo fardelli che non sfiorano, hanno impedito una vera conoscenza delle dinamiche fondamentali della Legge. Ma il «guai» più grave(vv.47-5l)è l'accusa di avere perseguitato i profeti. Il tema della persecuzione e dell'uccisione dei profeti è tipicamente lucano (cfr. 6,22-23; At 7,52): Gesù stesso identifica se stesso come un profeta (cfr. 4,24; 13,33-34). Nell'accusa di costruire le tombe dei profeti c'è una provocazione e una chiara inversione ironica. Essa si chiarifica a fronte dell'osservazione (vv. 49-50) che l'attuale generazione continua a perseguitare e uccidere profeti e inviati. Proprio a motivo di questa continuità fra passato e presente l'edificazione delle tombe, invece di essere un modo per onorare i profeti, diviene una modalità per celebrare la loro morte violenta e, quindi, per approvarla.


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L'invio dei settantadue 1Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11“Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. 12Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città. 13Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. 14Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. 15E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! 16Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».

Il ritorno dei settantadue 17I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». 21In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 22Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». 23E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. 24Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

La parabola del buon samaritano 25Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». 29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Marta e Maria 38Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

L'invio dei settantadue Fra la missione dei Dodici e quella dei settntadue c'è un parallelismo, ma la seconda rappresenta l'apice: nonostante i Dodici avranno un ruolo importante negli Atti, tuttavia l'invio dei «settantadue» allude all'importanza anche di altri missionari. Gesù invia settantadue discepoli di cui si ignora l'identità, il momento della partenza e la durata della loro assenza. Nella tradizione anticotestamentaria il numero settantadue evoca l'idea dell'intera umanità; l'invio di questi discepoli riveste dunque una dimensione universale. Essi sono inviati due a due, probabilmente per rispettare la tradizione giudaica dei due testimoni indispensabili per risolvere un conflitto, come precursori di Gesù (v. 1). La loro missione non è semplice: i discepoli sono inviati «come agnelli in mezzo a lupi» (v. 3). La loro spoliazione è estrema: è loro proibito anche il minimo necessario di cui aveva bisogno un viaggiatore nell'antichità (v. 4). L'urgenza del Regno è più forte delle usanze sociali: la missione chiede un contatto con le persone: un breve saluto in strada è insufficiente! La pace che Gesù chiede di annunciare alle case in cui entrano i discepoli indica le buone relazioni, la serenità che si esprime in gesti concreti (mangiare e bere), il segno della gioia del Regno. Il contatto personale primeggia dunque sulla comunicazione pubblica: solo in un secondo momento la missione potrà continuare verso l'intera città (vv. 8-9). La pace del Regno messianico penetra dunque nelle case e nelle città, laddove gli uomini vivono, non discende dall'alto. Nel passaggio dalle case alla città il saluto di pace è rimpiazzato dall'affermazione che «si è avvicinato a voi il regno di Dio» (v. 9): il significato non è molto differente, in quanto il regno di Dio include la pace messianica. La predicazione del Vangelo non è puro discorso intellettuale alla maniera dei filosofi greci itineranti: si traduce in azioni concrete verso i malati (v. 9) attraverso cui la gente sperimenta la vicinanza del Regno. L'accoglienza dell'annuncio non è automatica, né dipende dalla buona volontà dei discepoli e nemmeno dal loro carisma. Segue un lungo lamento sulle città che rifiutano d'accogliere la buona notizia. Si tratta non di una maledizione, ma di un lamento funebre: esso assume cioè la forma di un avvertimento profetico. Il finale del discorso ai settantadue manifesta una solidarietà di destino fra il maestro e i discepoli: essi saranno accolti o rifiutati ma attraverso di loro è Dio stesso che sarà accolto o rifiutato (v. 16).

Il ritorno dei settantadue Il ritorno dei settantadue discepoli è rappresentato come un tempo di gioia: essi esultano e Gesù interpreta la loro esultanza, rende grazie a Dio per indirizzare infine una beatitudine agli stessi discepoli. Benché Gesù e i suoi discepoli siano esposti a pericoli e persecuzioni, tuttavia Satana non avrà potere sopra di loro. Gesù risponde ai discepoli lodando Dio con un ringraziamento colmo d'esultanza. L'azione di grazie è per la rivelazione di Dio offerta ai piccoli. Come nel Magnificat (cfr. 1,51- 53), anche qui Dio è lodato perché frustra le attese umane e abbatte le distinzioni sociali. Il nesso fra l'esultanza nello Spirito e la beatitudine riguardante i discepoli (vv. 23-24) è molto forte, ponendo bene in luce la novità portata da Gesù: esclusi sapienti e intelligenti, ed eletti i piccoli come destinatari della rivelazione, i discepoli sono beati proprio perché raggiunti da quella medesima rivelazione, a scapito di profeti e re. Gesù valorizza l'esperienza dei suoi discepoli, che godono del privilegio riservato a chi vive in prima persona il tempo messianico, ormai inaugurato con le sue opere (da cui il «vedere») e le sue parole (da cui il «sentire»). Gesù è il Messia che porta a compimento le promesse: da una parte v'è stato un desiderio prolungato, dall'altra un compimento gratuito e inatteso, regalato ai testimoni oculari.

La parabola del buon samaritano Da quale punto di vista Gesù ha raccontato la parabola? Non dal punto di vista del samaritano, ma da quello del ferito: tutto avviene secondo i suoi occhi. La parabola non punta all'esemplarità del samaritano, ma cerca di fare entrare l'ascoltatore (e il lettore) nella pelle del ferito. L'uomo aggredito dai briganti non ha identità. è senza un nome e senza una qualifica, è cioè un membro dell'umanità; un'identità cosi aperta non può che facilitare il lettore a identificarsi in lui. Inoltre sacerdote e !evita vedono il ferito e passano oltre senza fermarsi, e il narratore non ne dice la ragione. Perché questo silenzio? Perché il punto di vista adottato dal narratore è quello del ferito e il racconto rivela solo ciò che questi può sapere. Il ferito constata solo che il sacerdote e i l levita (riconoscibili dal loro abito) non si prendono cura di lui. La parabola abbonda poi di particolari solo nel momento in cui il viandante ne può disporre: quell'uomo sa bene che cosa gli ha fatto i l samaritano! Così i dettagli sono precisi: olio e vino sulle ferite, giumento, locanda, denaro. Infine, la domanda posta da Gesù al dottore della Legge (v. 36) è la chiave per capire da che punto di vista la parabola è narrata. Essa, infatti, interroga sull'identità del prossimo non più a partire dal donatore (questa era la prospettiva del dottore della Legge, cfr. v. 29), ma a partire dal beneficiario: è dalla misera situazione di una vittima che si decide lo statuto del prossimo, non da una definizione teorica. Il racconto fittizio permette al lettore di entrare nella pelle di un essere umano in quella condizione disperata. Alla fine il lettore non può che rispondere, come il dottore della Legge, ciò che è evidente: quando sono posto in una condizione di indigenza, qualunque sia la mia identità, aspetto che un altro si riconosca prossimo per me!

Marta e Maria Mai un maestro ebreo dell'epoca avrebbe accettato che una donna assumesse nei suoi confronti l'atteggiamento di un discepolo. Il comportamento di Maria è straniante e contravviene alle regole imposte dalla cultura del tempo. Marta pone una domanda retorica, fa un apprezzamento e avanza una richiesta. A rispondere non è Gesù, ma «il Signore» (vv. 41-42) che interpella Marta due volte: «Marta. Marta!». Si tratta di una chiamata, di una vocazione, più che di un rimprovero (cfr. 13,34; 22,31). Gesù descrive il comportamento di Marta per mezzo di due verbi: ella è «preoccupata» e «agitata». Marta è come risucchiata nella spirale delle molte cose. La definizione di Gesù la smaschera: quel servizio si è trasformato in preoccupazione e agitazione, senza che la donna si rendesse conto del cambiamento intercorso. A prevalere non è i l servizio ma l'atteggiamento di dispersione, inquietudine e preoccupazione. Le «preoccupazioni» (cfr. 8,14) erano le spine che, nell'interpretazione della parabola del seme, impedivano alla parola di Dio di crescere. Il contrasto tra Marta e Maria è molto marcato: da una parte la preoccupazione e l'affanno, dall'altra «un'unica necessità», che Gesù tuttavia non definisce precisamente, se non ritornando sul comportamento di Maria e obbligando Marta (e il lettore) a un esercizio di intelligenza e di interpretazione. Gesù configura il comportamento di Maria caratterizzandolo come la scelta della «parte buona» (v. 42). L'aggettivo «buona» ricorda la terra che dava frutto nella parabola del seme. Come la parola di Gesù sulle preoccupazioni evocava il terreno infestato da spine (cfr. 8,14), incapace di condurre il seme a completa maturazione, cosi il riferimento alla «parte buona» richiama la terra fertile, ovverosia il cuore buono e perfetto di chi ascolta, custodisce e produce frutto (cfr. 8, 15).


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