📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

L'invio dei Dodici 1Convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. 2E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi. 3Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. 4In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. 5Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro». 6Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.

La ricerca di Erode 7Il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», 8altri: «È apparso Elia», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti». 9Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

La moltiplicazione dei pani nel deserto 10Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. 11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

La confessione di Pietro e istruzioni sulla sequela 18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. 22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». 23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. 25Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso? 26Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi. 27In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio».

La trasfigurazione 28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

La guarigione di un ragazzo 37Il giorno seguente, quando furono discesi dal monte, una grande folla gli venne incontro. 38A un tratto, dalla folla un uomo si mise a gridare: «Maestro, ti prego, volgi lo sguardo a mio figlio, perché è l’unico che ho! 39Ecco, uno spirito lo afferra e improvvisamente si mette a gridare, lo scuote, provocandogli bava alla bocca, se ne allontana a stento e lo lascia sfinito. 40Ho pregato i tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». 41Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi e vi sopporterò? Conduci qui tuo figlio». 42Mentre questi si avvicinava, il demonio lo gettò a terra scuotendolo con convulsioni. Gesù minacciò lo spirito impuro, guarì il fanciullo e lo consegnò a suo padre. 43E tutti restavano stupiti di fronte alla grandezza di Dio.

Un ulteriore annuncio della passione e l'insegnamento di Gesù su cosa significa essere veri discepoli Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: 44«Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». 45Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento. 46Nacque poi una discussione tra loro, chi di loro fosse più grande. 47Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino 48e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». 49Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». 50Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».

IL CAMMINO VERSO GERUSALEMME

L'inizio del grande viaggio verso Gerusalemme e il rifiuto dei samaritani 51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio.

Le severe richieste della sequela 57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

L'invio dei Dodici Dopo la pesca miracolosa Pietro, Giacomo e Giovanni avevano iniziato a seguire Gesù (cfr. 5,11 ), il quale poi aveva eletto fra i discepoli un gruppo di Dodici (cfr. 6,12-16); ora Gesù conferisce loro un incarico particolare, associandoli alla sua stessa opera. Le istruzioni date da Gesù agli evangelizzatori sono severe (v. 3): la privazione riguarda quanto è necessario per sopravvivere e difendersi. L'estrema povertà, addirittura esagerata, pone in luce l'urgenza della testimonianza che essi portano prima che Dio irrompa nella storia: il Regno è atteso come imminente. La povertà è immagine della grazia proclamata: forte ma fragile, esposta al rifiuto degli uomini.

La ricerca di Erode A differenza degli altri due Sinottici (cfr. Mt 14,1-2; Mc 6, 14-16) Luca non introduce i l racconto dell'uccisione di Giovanni Battista, ma lo accenna indirettamente (v. 9). Il tentativo della folla d'identificare Gesù con Giovanni, Elia o uno dei profeti ha la forza di intrigare ancora di più il racconto e la domanda cristologica. In effetti, a partire dall'insegnamento e dalle guarigioni, le folle possono concludere che egli è un profeta (cfr. 7,16), mentre lo stesso Gesù ha descritto se stesso in questo modo (cfr. 4,24). I tre pareri saranno ripetuti prima della confessione di Pietro (cfr. 9, 19). La perplessità del tetrarca di Galilea lo conduce a voler vedere Gesù: sarà esaudito durante la passione (cfr. 23,8) ma invano, perché Gesù tacerà di fronte alla sua curiosità.

La moltiplicazione dei pani nel deserto Il racconto della moltiplicazione dei pani nel deserto conosce ben sei versioni (cfr. Mt 14,13-21; 15,32-39; Mc 6,32-44; 8,1- 1O; Gv 6,1-15); il secondo racconto di Marco e Matteo non è riportato da Luca. I Dodici hanno un ruolo importante nel racconto di miracolo (Mt 14,15 e Mc 6,35 parlano di «discepoli», a differenza di Le 9,12): la loro opera non termina con il ritorno dalla missione (v. 11); la folla radunata da quell'annuncio ora deve essere presa in cura. Il compito per loro è impossibile, ma come Gesù ha reso possibile la pesca miracolosa (cfr. 5,1-11 ), così ora saprà nutrire la folla che si è radunata. I Dodici hanno il compito di organizzare la folla in gruppi e di distribuire il cibo che Gesù provvede, col risultato che tutti «furono saziati» (v. 17). Le dodici ceste avanzate corrispondono al numero dei discepoli, segno del nutrimento per coloro che si raduneranno per mezzo della loro missione. Luca offre una dettagliata descrizione delle azioni di Gesù (v. 16), che assumono una forte valenza se le si compara con i gesti molto simili dell'ultima cena (cfr. 22, 19) e del pasto di Emmaus (cfr. 24,30). Le similitudini legano insieme i tre pasti e li uniscono alla celebrazione chiamata «spezzare del pane)) (At 2,42). Probabilmente queste azioni erano familiari all'uditorio di Luca che vedeva qui un'anticipazione della celebrazione eucaristica. La moltiplicazione non corrisponde solo alla soluzione di un problema contingente; compresa nel suo senso escatologico, porta a riconoscere che Gesù è il Messia, l'atteso che conduce il tempo al suo compimento (cfr. 22,29-30 dove emerge la relazione fra banchetto e regno di Dio).

La confessione di Pietro e istruzioni sulla sequela La domanda di Gesù obbliga i discepoli da una parte a dire che cosa pensano di lui (essi lo avevano fatto solo in due occasioni cfr. 5,8: 8,25), dall'altra è l'occasione per l'esplicitazione delle voci sulla sua identità profetica: Gesù non è solo un profeta ma è anche il Cristo, anzi «il Messia di Dio» (v. 20). Se la tipologia profetica allineava Gesù con gli altri profeti, la figura messianica è unica, al di fuori di ogni classificazione. Per iniziare a delineare l'unicità del suo modo particolare di “essere Messia”, che ricade anche sui suoi discepoli, Gesù pronuncia cinque “sentenze”. Considerate insieme, le cinque sentenze sono una risposta indiretta alla domanda di Erode (cfr. 9,7-9). Gesù è il Figlio dell'uomo che verrà nella gloria alla fine del tempo. Di conseguenza, ai discepoli di Gesù è richiesto un totale impegno della vita, prendendo la croce e offrendo la vita in obbedienza a lui.

La trasfigurazione Luca precisa che Gesù è salito sul monte per pregare e afferma che proprio durante la preghiera l'aspetto del suo volto «(divenne) un altro» (v. 29); in questo modo Luca sottolinea il potere della preghiera di mediare la presenza di Dio. Un'altra particolarità riguarda la visione della gloria (vv. 31-32), anticipazione della pienezza escatologica che compie quanto Gesù ha detto (cfr. v. 26): alla fine del vangelo risurrezione e ascensione saranno caratterizzate come ingresso «nella gloria» (cfr. 24,26). Il proposito di costruire le tende sugerisce che Pietro vede nell'evento il compimento della celebrazione della festa delle Capanne (cfr. Dt 16,13). In realtà, il significato dell'evento è solo colto parzialmente: egli vorrebbe congelare un momento preciso, ma la fede gli domanda di seguire Gesù fino alla croce. Come al battesimo una voce proveniva dall'alto per riconoscere l'identità filiale di Gesù (cfr. 3,21-22), quella stessa figliolanza è ora riaffermata nel momento in cui Gesù entra in un nuovo stadio del suo itinerario. Tuttavia, in questa occasione la voce si rivolge non solo a Gesù, ma anche ai tre apostoli, con l'ordine di ascoltarlo. Infine, il silenzio dei discepoli suggerisce che la trasfigurazione è un evento prolettico: esso adombra l'esodo di Gesù, la sua ascensione.

La guarigione di un ragazzo L'epilessia è un male che nell'antichità era attribuito o alla potenza malefica della luna o alla forza dei demoni. Il narratore prima mette in bocca al padre l'affermazione che il ragazzo è posseduto da uno «spirito» (v. 39), poi egli stesso lo chiama «demonio» (v. 42): si tratta di una forza personale contraria a Dio e al suo progetto di vita. Come già per la vedova di Nain (cfr. 7, 15), Gesù restituisce il ragazzo guarito al padre, che rischiava di perdere il suo unico figlio; i presenti celebrano la grandezza di Dio (9,43a). Tale reazione interpreta quanto è avvenuto: Gesù solo è riuscito a contrastare la potenza demoniaca, fatto che testimonia il suo stretto legame con la potenza divina.

Un ulteriore annuncio della passione e l'insegnamento di Gesù su cosa significa essere veri discepoli Il narratore giustappone i discorsi dei discepoli a proposito della grandezza e la loro incapacità a comprendere l'annuncio della passione. La dimensione cristologica (vv. 43b-45) e quella ecclesiologica (vv. 46-50) si sovrappongono. Nell'annuncio della passione emerge il tema della fragilità del Figlio dell'uomo che sarà consegnato in potere degli uomini (9,43b-45). Anche la sottolineatura della paura a porre domande esprime con forza il blocco comunicativo dei discepoli a fronte di quanto Gesù ha detto e, ancor più, l'assoluta distanza fra la prospettiva del maestro e la loro. La radicale incomprensione della prospettiva di Gesù da parte dei discepoli è espressa dalla discussione sul più grande. Il gesto simbolico di Gesù (v. 47) tiene conto dello statuto del bambino nell'antichità: egli era socialmente senza alcun valore, in tutto dipendente dall'adulto, insignificante. Gesù invita a capovolgere la scala dei valori: accogliere colui che in società non ha alcuna rilevanza è accogliere lui stesso e il Padre che lo invia. Questo capovolgimento era annunciato nel Magnificat (cfr. 1,52-53) e si verifica nel destino del Figlio dell'uomo, consegnato alla sofferenza. Non senza ironia, Luca racconta che un estraneo è riuscito a scacciare i demoni, cosa che ai discepoli non riusciva (cfr. v. 40). La potenza del regno di Dio è all'opera al di là della cerchia dei discepoli.

IL CAMMINO VERSO GERUSALEMME Con 9,51 inizia il cosiddetto «grande viaggio» verso Gerusalemme (9,51-19,44), in realtà «assunzione» di Gesù, cioè cammino verso la morte e ascesa al Padre. Il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, di cui si fa menzione anche negli altri Sinottici (cfr. Mc 10,32.46; 11,1; Mt 19,1; 20,17-18.29; 21,1), assume in Luca un notevole sviluppo, sino a occupare un'intera sezione, pari al quaranta per cento di tutto il vangelo. Gesù continua a svolgere la medesima missione già narrata nella parte precedente (4,14-9,50), ovverosia annunciare il regno di Dio: alle folle ne parla in parabole (cfr. 13,18-19.20-21; 14,15-24), nei confronti dei discepoli, invece, il discorso è più diretto (cfr. 11,2; 12,31 ); inoltre, invia i «settantadue» a portare lo stesso annuncio (cfr. 10,9.11 ). La novità della sezione è l'insistenza sulla vicinanza del Regno.

L'inizio del grande viaggio verso Gerusalemme e il rifiuto dei samaritani Il viaggio di Gesù verso Gerusalemme è presentato dal narratore come il risultato di una forte decisione personale e, nello stesso tempo, come il compimento del piano di Dio. Questo duplice carattere è segnalato da due espressioni: da una parte la menzione del compimento dei giorni dell'«assunzione», dall'altra il riferimento al «volto indurito» («prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» letteralmente sarebbe: «indurì il suo volto verso Gerusalemme» il verbo greco qui utilizzato implica uno stato, oppure un atto definitivo e immutabile. È detto di un abisso che sarà impossibile attraversare (cfr. 16,26), dei fratelli da confermare consolidandoli (cfr. 22,32); nell'AT (cfr. Ez 6,2; 13,17; 14,8; si veda anche Ger 3,12) ricorre l'espressione: «fissare il volto verso o contro», che indica la realizzazione di uno scopo con decisione inflessibile. Volontà di Dio e ferma risoluzione di Gesù sono profondamente unite; anzi, pare che coincidano interamente. Il fine della volontà divina è l'«assunzione» di Gesù e lo scopo del cammino è la salita a Gerusalemme. Per andare dalla Galilea a Gerusalemme bisogna attraversare la Samaria. Il sospetto dei giudei nei confronti dei samaritani è forte e ricambiato alla pari: essi si considerano a vicenda come religiosamente devianti. I messaggeri di Gesù si trovano di fronte a un rifiuto a causa dello scopo del viaggio, Gerusalemme. Il viaggio inizia dunque con un rifiuto, come a Nazaret (cfr. 4,16-30).

Le severe richieste della sequela Nelle tre brevi storie ogni vicenda termina con la parola di Gesù, senza che il lettore sappia la decisione dei tre uomini. Sulla strada verso Gerusalemme non c'è spazio per promesse avventate o incomprensioni: il prezzo della sequela è alto.


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Alcune donne intorno a Gesù 1In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici 2e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; 3Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

La parabola del seme e la sua spiegazione 4Poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: 5«Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. 6Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. 7Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». 9I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. 10Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano. 11Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. 12I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. 13Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. 14Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. 15Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.

La parabola della lampada 16Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. 17Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. 18Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».

La vera famiglia di Gesù 19E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. 20Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti». 21Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

La tempesta sedata 22E avvenne che, uno di quei giorni, Gesù salì su una barca con i suoi discepoli e disse loro: «Passiamo all’altra riva del lago». E presero il largo. 23Ora, mentre navigavano, egli si addormentò. Una tempesta di vento si abbatté sul lago, imbarcavano acqua ed erano in pericolo. 24Si accostarono a lui e lo svegliarono dicendo: «Maestro, maestro, siamo perduti!». Ed egli, destatosi, minacciò il vento e le acque in tempesta: si calmarono e ci fu bonaccia. 25Allora disse loro: «Dov’è la vostra fede?». Essi, impauriti e stupiti, dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che comanda anche ai venti e all’acqua, e gli obbediscono?».

Liberazione di un indemoniato 26Approdarono nel paese dei Gerasèni, che sta di fronte alla Galilea. 27Era appena sceso a terra, quando dalla città gli venne incontro un uomo posseduto dai demòni. Da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma in mezzo alle tombe. 28Quando vide Gesù, gli si gettò ai piedi urlando, e disse a gran voce: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti prego, non tormentarmi!». 29Gesù aveva ordinato allo spirito impuro di uscire da quell’uomo. Molte volte infatti si era impossessato di lui; allora lo tenevano chiuso, legato con catene e con i ceppi ai piedi, ma egli spezzava i legami e veniva spinto dal demonio in luoghi deserti. 30Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?». Rispose: «Legione», perché molti demòni erano entrati in lui. 31E lo scongiuravano che non ordinasse loro di andarsene nell’abisso. 32Vi era là una grande mandria di porci, al pascolo sul monte. I demòni lo scongiurarono che concedesse loro di entrare nei porci. Glielo permise. 33I demòni, usciti dall’uomo, entrarono nei porci e la mandria si precipitò, giù dalla rupe, nel lago e annegò. 34Quando videro ciò che era accaduto, i mandriani fuggirono e portarono la notizia nella città e nelle campagne. 35La gente uscì per vedere l’accaduto e, quando arrivarono da Gesù, trovarono l’uomo dal quale erano usciti i demòni, vestito e sano di mente, che sedeva ai piedi di Gesù, ed ebbero paura. 36Quelli che avevano visto riferirono come l’indemoniato era stato salvato. 37Allora tutta la popolazione del territorio dei Gerasèni gli chiese che si allontanasse da loro, perché avevano molta paura. Egli, salito su una barca, tornò indietro. 38L’uomo dal quale erano usciti i demòni gli chiese di restare con lui, ma egli lo congedò dicendo: 39«Torna a casa tua e racconta quello che Dio ha fatto per te». E quello se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù aveva fatto per lui.

Guarigione dell'emorroissa e risurrezione della figlia di Giàiro 40Al suo ritorno, Gesù fu accolto dalla folla, perché tutti erano in attesa di lui. 41Ed ecco, venne un uomo di nome Giàiro, che era capo della sinagoga: si gettò ai piedi di Gesù e lo pregava di recarsi a casa sua, 42perché l’unica figlia che aveva, di circa dodici anni, stava per morire. Mentre Gesù vi si recava, le folle gli si accalcavano attorno. 43E una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, la quale, pur avendo speso tutti i suoi beni per i medici, non aveva potuto essere guarita da nessuno, 44gli si avvicinò da dietro, gli toccò il lembo del mantello e immediatamente l’emorragia si arrestò. 45Gesù disse: «Chi mi ha toccato?». Tutti negavano. Pietro allora disse: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia». 46Ma Gesù disse: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me». 47Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, tremante, venne e si gettò ai suoi piedi e dichiarò davanti a tutto il popolo per quale motivo l’aveva toccato e come era stata guarita all’istante. 48Egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace!». 49Stava ancora parlando, quando arrivò uno dalla casa del capo della sinagoga e disse: «Tua figlia è morta, non disturbare più il maestro». 50Ma Gesù, avendo udito, rispose: «Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata». 51Giunto alla casa, non permise a nessuno di entrare con lui, fuorché a Pietro, Giovanni e Giacomo e al padre e alla madre della fanciulla. 52Tutti piangevano e facevano il lamento su di lei. Gesù disse: «Non piangete. Non è morta, ma dorme». 53Essi lo deridevano, sapendo bene che era morta; 54ma egli le prese la mano e disse ad alta voce: «Fanciulla, àlzati!». 55La vita ritornò in lei e si alzò all’istante. Egli ordinò di darle da mangiare. 56I genitori ne furono sbalorditi, ma egli ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che era accaduto.

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Alcune donne intorno a Gesù Tra coloro che condividono l'itinerario missionario di Gesù vi sono alcune donne, chiamate per nome, accanto ai Dodici. Le donne qui nominate si ritroveranno in altri importanti momenti: alla crocifissione (cfr. 23,49.55), alla risurrezione (cfr. 24,1O) e con gli apostoli prima della Pentecoste (cfr. At 1,14). Luca è molto attento al ruolo delle donne: la loro presenza alla sequela di un rabbi è sorprendente, soprattutto all'interno della società palestinese. La novità dell'annuncio del Regno si traduce in una forma nuova di vita comune, di cui gli Atti degli Apostoli descriveranno la fecondità (cfr. At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16).

La parabola del seme e la sua spiegazione I vv. 4-21 sono un insieme di insegnamenti raggruppati intorno a un tema: ascoltare la parola di Dio e rispondere a essa. Luca ha trasformato la parabola del seminatore di Marco nella parabola del seme. La descrizione della seminagione riflette i costumi locali. Nei primi due terreni (la strada e la roccia) il grano non può penetrare e germinare; fra le spine, invece, è soffocato. A questa serie reiterata di fallimenti si contrappone l'eccezionale rendimento nella terra buona: la moltiplicazione del seme cento volte è una resa pressoché impossibile nell'antichità. Oggetto della parabola è proprio la parola di Dio (cfr. 5,1). Luca muta l'espressione marciana «il seminatore semina la parola» (Mc 4,14) con «il seme è la parola di Dio» (v. 11). Il seminatore non ha più importanza; l'interesse è concentrato sulla parola di Dio. Poi non si precisa che cosa essa sia, ma si mostra come è ricevuta dagli uomini, mettendo in luce le disposizioni che permettono o impediscono di trame profitto. Luca, quindi, sottolinea come bisogna accogliere la Parola: è necessaria la fede, poi la perseveranza. La necessità della fede è messa in luce a proposito delle prime due categorie di uditori: se non c'è risposta di fede, la parola di Dio va incontro all'insuccesso. La fede è esplicitata al v. 13: laddove Marco parlava di coloro che «sono momentanei (cioè “incostanti”)» (Mc 4,17), Luca precisa: «credono per un momento», ma poi «s'allontanano», cioè abbandonano la fede. Una fede che non resiste alle prove quotidiane sparisce presto! La qualità essenziale che si richiede perché la fede porti frutto è la «perseveranza» (v. 15), la forza d'animo, ossia la capacità «di rimanere sotto» la prova. Chi invece accoglie la Parola con cuore «integro e buono» (v. 15), non diviso, porta frutto abbondantissimo! L'attitudine esemplare è dunque la perseveranza nell'avversità che assicura la fedeltà nella durata.

La parabola della lampada L e tre sentenze a proposito della lucerna sono tipiche dell'insegnamento sapienziale; tutte hanno un doppione in Luca (cfr. 11,33; 12,2; 19,26). Qui svolgono la funzione di commentario della parabola del seme, illustrando il tema della parola di Dio che porta frutto. La Parola: più la si ascolta più è feconda, meno la si ascolta meno può essere fermento di vita. Tuttavia non si tratta solo di ascoltare la Parola, bisogna valutare «come» la si ascolta.

La vera famiglia di Gesù Luca introduce la madre e i fratelli di Gesù, per precisare ulteriormente il riferimento all'ascolto della parola di Dio. La causa del mancato incontro fra Gesù e i parenti è la numerosa folla; informato, Gesù riplasma i criteri della sua famiglia spirituale. Il modo giusto d'intendere la parola di Dio non è solo ascoltarla, ma metterla in pratica, cioè farla fruttificare. Anche i legami di sangue sono sottoposti alla fedeltà alla Parola.

La tempesta sedata I discepoli sono liberati dalla minaccia dei flutti dell'acqua dal potente intervento di Gesù (cfr. altri miracoli di liberazione in At 12,1-11; 27,1-44); la vicenda è epifanica in quanto rivela come Gesù sia portatore di un misterioso potere che include pure il dominio sulle acque, appannaggio esclusivo di Dio nell'Antico Testamento. Nel giudaismo la massa dell'acqua rappresenta le forze caotiche del male. Il sonno di Dio è sinonimo di apparente inattività (cfr. Sal 44,24). La meraviglia dei discepoli rivela la loro inadeguata comprensione di Gesù; la loro domanda circa l'identità (v. 25) s'inserisce all'interno di un più ampio interrogativo che si è fatto strada fin dagli inizi del ministero di Gesù (cfr. 4,22; 5,21), che continuerà poi (cfr. 9,9) e avrà una risposta nella confessione di fede di Pietro (cfr. 9,20) e nella voce del Padre sul monte della trasfigurazione (cfr. 9,35).

Liberazione di un indemoniato L'esorcismo a Cafarnao (cfr. 4,31-37) era la prima guarigione operata da Gesù all'inizio del suo ministero; un altro esorcismo caratterizza l'incursione in territorio pagano. Sull'altra riva del lago, di fronte alla Galilea, c'è la Decapoli, un territorio abitato in maggioranza da non-ebrei: il segno è l'allevamento dei maiali, animali proibiti in Israele (cfr. Lv 11,7-8). Il terzo evangelista rielabora il vivace racconto di Mc 5,1-20 riadattandolo. Luca presenta i sintomi della possessione demoniaca: l'uomo vive nudo, senza né abiti né dimora; il suo soggiorno nei cimiteri lo rende impuro e lo avvicina all'ombra della morte. Spinto verso luoghi deserti, ha reciso ogni legame sociale e ha pure spezzato le catene che gli erano state imposte per bloccarlo. Lo spirito demoniaco comprende che Gesù è più forte di lui anche se non è un solo demonio, ma una folla intera di spiriti impuri. Il paragone con la legione romana rende l'idea della grande forza demoniaca che possiede l'uomo. Diversamente dagli altri racconti di esorcismo (cfr. Lc 4,35), Gesù acconsente alla richiesta dei demoni: l'annegamento collettivo di tutti gli animali impuri elimina dalla regione sia i maiali sia i demoni. Il mare, spazio che evoca il male, diventa la tomba degli spiriti impuri e degli animali. La folla accorsa constata che il posseduto ha ritrovato la sua piena umanità: è vestito, ragiona, è seduto ai piedi di Gesù. L'intervento salvifico di Gesù restituisce l'uomo sia alla sanità mentale, sia alla vita sociale da cui era tagliato fuori. Ma la reazione dell'intera folla pagana (dato sottolineato da Luca) unisce il timore e un esplicito rifiuto di Gesù; a tale rifiuto Gesù non si sottrae, tornando immediatamente in territorio giudaico. A non essere esaudito, invece, è il desiderio dell'uomo guarito: colui che non viveva in una casa (v. 27) è rimandato a casa (v. 39), segno della sua umanità pienamente ristabilita. L'ora dell'evangelizzazione dei pagani non è ancora giunta: Luca riserva questo momento per gli Atti degli Apostoli (cfr. At 10). Tuttavia, l'uomo già posseduto dalla legione è incaricato di essere un testimone e con questo statuto è reintegrato nel corpo sociale da cui si era staccato. Mentre Gesù gli ordinava di raccontare quello che Dio aveva fatto per lui, egli proclama quello che Gesù gli ha fatto (v. 39): non si tratta di disobbedienza ma proclamazione dell'opera di Dio compiuta da Gesù.

Guarigione dell'emorroissa e risurrezione della figlia di Giàiro Luca ancora una volta rielabora un racconto di Marco (cfr. Mc 5,21-43) che Matteo riduce ai minimi termini (cfr. Mt 9,18-26). Il racconto intreccia per mezzo della tecnica dell'intercalazione (vv. 40-42.43-48.49-56) due destini di donne: una ragazza di dodici anni che muore (v. 42) e un'adulta che da dodici anni soffre per la perdita di sangue (v. 43). Dalla folla che attendeva e accoglie Gesù emerge un uomo, di cui Luca ricorda anche il nome (Jairo), che si rivolge a Gesù: è un rappresentante del giudaismo ufficiale, un capo della sinagoga. Nonostante il suo importante ruolo sociale, quest'uomo si prostra di fronte a Gesù a motivo dell'unica figlia dodicenne ormai vicina alla morte. Luca aveva presentato una madre con un unico figlio (cfr. 7,11-17); qui v'è un padre e una sola figlia. Alla richiesta Gesù accondiscende, ma è fermato mentre è in cammino. Tra la folla che si accalca intorno a Gesù c'è una donna con una grave malattia. Oltre al fastidio corporeo, ella si è rovinata spendendo ogni bene senza alcun vantaggio. A differenza degli altri due Sinottici (cfr. Mc 5,28; Mt 9,21), Luca non dice il motivo per cui la donna tocchi Gesù, né dà a questo contatto un valore morale. La guarigione è immediata, capovolgendo una situazione che pareva senza scampo. Avvenuto il miracolo, il narratore dà accesso ai sentimenti interiori della donna che, sentendosi scoperta, si fa avanti; prostrata, la donna spiega ai presenti il motivo che l'ha condotta da Gesù e il fatto della guarigione: il lettore, tuttavia, non è messo a parte della spiegazione della donna. Il racconto volge veloce alla sua conclusione per mezzo della sentenza di Gesù: egli dice alla donna quanto già conosce, ovverosia che è stata sanata; poi, però, aggiunge che la causa della guarigione è la fede (cfr. 7,50). La guarigione in strada ha avuto un effetto ritardante nel cammino verso la casa di Giàiro. Tale ritardo è fatale, perché la figlia muore. Fra Gesù e gli astanti avviene un qui pro quo: egli non mette in dubbio il decesso della ragazza, ma contesta che la morte sia definitiva; per lui è solo un sonno. Al gesto di prendere la mano, che corrisponde a un soccorso, segue l'ordine alla ragazza, che è rivivificata. Come a Nain (cfr. 7,15), anche qui il ritorno alla vita è essenzialmente descritto come un ristabilimento delle relazioni spezzate dalla morte: la ragazza si alza, può mangiare e comunicare. La richiesta di silenzio preserva il mistero dell'avvenimento: la salvezza che Gesù opera non è solo guarigione dal male ma è pure vittoria sulla morte.


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Il centurione romano e il suo servo 1Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafàrnao. 2Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. 3Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. 4Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, 5perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». 6Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; 7per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. 8Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». 9All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». 10E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

La risurrezione del figlio della vedova di Nain 11In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». 14Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». 15Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

Gesù e Giovanni Battista 18Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni 19li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 20Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». 21In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. 23E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 24Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 25Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. 26Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 27Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. 28Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui. 29Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto. 30Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro. 31A chi dunque posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? 32È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”. 33È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. 34È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”. 35Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

La donna, Simone e Gesù 36Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». 40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». 43Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Il centurione romano e il suo servo Le circostanze nelle quali si svolge la scena non sono abituali: colui che domanda un intervento di guarigione è un centurione, ossia un ufficiale delle truppe romane di occupazione, cioè un pagano, per nulla partecipe della comunità ebraica. Quest'uomo, sapendo che gli ebrei devono evitare i contatti coi non-circoncisi, pena la contrazione dell'impurità (cfr. At 10,28), non si reca da Gesù ma invia alcuni anziani giudei per esporgli il caso che gli sta a cuore: la disperata situazione del servo malato. Il notevole elogio che gli anziani giudei tessono dell'ufficiale romano fa sorgere il sospetto che l'uomo sia un timorato di Dio, ovverosia un pagano attratto dal giudaismo e forse in cammino verso una conversione piena al Dio d'Israele. Egli è definito dagli stessi anziani d'Israele «degno» (v. 4b, alla lettera) di essere oggetto dell'azione potente di Gesù. Nel momento in cui Gesù si avvia verso la casa del centurione, il lettore immagina che là Gesù compirà il miracolo. Invece, sorprendentemente, giunge una seconda delegazione (vv. 6-8), formata da alcuni amici dell'ufficiale non meglio specificati (si tratta di ebrei o di pagani?). Questi uomini riferiscono le parole dell'uomo, capovolgendo la precedente valutazione offerta dagli anziani e bloccando il cammino di Gesù: il centurione non si sente «degno» (v. 6) di accoglierlo nella sua casa. Con la richiesta di non varcare la soglia della sua casa, il centurione trasferisce su Gesù la sua esperienza militare: la sua parola è efficace e i suoi ordini vengono eseguiti puntualmente dai servi: se la parola del centurione realizza quanto dice, tanto più la parola di Gesù! Se, dunque, egli si fa obbedire dai soldati, a maggior ragione la parola di Gesù sarà efficace nei confronti del servo malato. Il centurione suggerisce a Gesù come agire senza contaminarsi entrando nella sua casa. La conclusione di Gesù (v. 9) è colma di ammirazione per la fede del centurione. Solitamente avviene il contrario: è la gente a meravigliarsi per qualche azione miracolosa compiuta da Gesù; qui invece – caso unico in tutto il terzo vangelo – è Gesù che si meraviglia per le parole del centurione. Nella fede del centurione Luca vede la prefigurazione dell'apertura universale della salvezza, il cui inizio avverrà nella casa di un altro centurione romano, Cornelio (cfr. At 10,1-48).

La risurrezione del figlio della vedova di Nain Questo miracolo fa parte del materiale proprio del terzo vangelo, sicché non ha paralleli negli altri racconti. Luca ama abbinare a un personaggio maschile un personaggio femminile (cfr. 1,5-25.26-38; 2,25-35.36-38; 7,36-50; 15,3-7.8-10): dopo il centurione romano, racconta di una donna. Il racconto lucano allude a un altro racconto di risurrezione, quello del figlio della vedova di Sarepta, compiuto da Elia (cfr. 1Re 17,10.17-24). La risurrezione del ragazzo è presentata come una delle opere messianiche che autenticano la missione di Gesù. La risurrezione dell'unico figlio defunto ha poi reso possibile la consolazione della donna. In altre parole: il miracolo della risurrezione del giovinetto è subordinato alla consolazione della donna, consolazione che manifesta più ampiamente la visita di salvezza di Dio.

Gesù e Giovanni Battista Giovanni è il precursore del Messia (cfr. 3,1-18) e la sua attività si pone a cerniera fra la Legge e il Regno inaugurato da Gesù (cfr. 16,16). Come Giovanni è stato accolto e rifiutato, così ora bisogna decidersi per Gesù, la cui rivelazione e le cui azioni sorprendono. Tre sono i quadri che si succedono: anzitutto Gesù risponde alle domande a proposito di Giovanni (vv. 18-23); poi Gesù rende testimonianza a proposito del Battista (vv. 24-28); infine lo stesso Gesù stabilisce un parallelo fra Giovanni e se stesso (vv. 29-35). Giovanni è stato imprigionato da Erode Antipa, figlio di Erode il Grande (cfr. 3,20). Nel dialogo con Gesù per mezzo dei suoi inviati, il Battista cerca di verificare le infomazioni di cui dispone. La domanda di Giovanni prende senso a fronte del ministero di Gesù, che non corrisponde al ritratto del Messia da lui tratteggiato. Gesù prende la parola rimanda i discepoli di Giovanni a quanto hanno visto e ascoltato però, non è rivelato nulla di nuovo al Battista: non è dunque questione di sapere, ma di disponibilità ad accogliere la novità della rivelazione di Gesù. Per questo chi riconosce i segni compiuti da Gesù è beato (v. 23), in quanto non inciampa nel rifiuto di Dio, un rifiuto provocato da un'immagine del Messia differente da quella che si manifesta, passando accanto alla salvezza offerta da Gesù. La triplice domanda che Gesù rivolge alle folle: «che cosa siete andati a vedere?» (vv. 25.26) precisa la questione dell'identità del Battista. Gesù attesta che Giovanni è più di un profeta. Si tratta dell'ultimo profeta, il precursore del Messia, la cui funzione è chiarita da una citazione esplicita della Scrittura (v. 27): egli sta sulla soglia del Regno inaugurato da Gesù. Questa posizione fra due mondi spiega perché Giovanni è al contempo il più grande fra gli uomini (essendo l'ultimo dei profeti) e il più piccolo nel Regno (essendo all'alba del nuovo mondo). La divisione d'Israele era stata annunciata da Simeone (cfr. 2,34) e si manifesta già con la predicazione del Battista: la breve parabola (vv. 31-32) mette in scena due gruppi di bambini che, rifiutando ogni proposta dei loro compagni, dimostrano di non avere voglia di giocare, , sottolinea il rifiuto che la generazione presente ha opposto sia alla manifestazione del Battista, sia alla rivelazione di Gesù. Nonostante l'opposizione di «questa generazione», il piano sapiente di Dio avrà il suo compimento.

La donna, Simone e Gesù L'episodio appartiene al materiale proprio di Luca, anche se ha analogie con la cosiddetta unzione di Betania (cfr. Mt 26,6-13; Mc 14,3-9; Gv 12,1-8). L'evangelista mette in scena non tanto personaggi ma categorie, per mezzo di un'estrema semplificazione. La donna compie una serie di azioni (v. 38) che è difficile interpretare: sono gesti di pentimento o manifestazioni d'amore? V'è pure una forte componente erotica nel pianto a dirotto, nel baciare e nel versare profumo. Il lettore, tuttavia, è lasciato nell'ambiguità: non sa perché la donna si comporti cosi. Il testo resta indeterminato. Sorprendentemente, Gesù non si scompone; a reagire, invece, è il fariseo (v. 39): egli definisce le cinque azioni della donna (piangere, bagnare di lacrime, asciugare, baciare, cospargere di profumo) in riferimento unicamente al «toccare»; gli fa problema che il suo ospite si lasci toccare da una peccatrice. Quello, però, che lo impensierisce è il comportamento di Gesù, la sua immobilità da cui tira una conseguenza: se Gesù si lascia toccare da una peccatrice, allora non è un profeta. Gesù attraverso la narrazione di una piccola parabole e ad una domanda che rivolge a Simone, introduce una novità, in quanto si pone a livello dell'amore: Gesù obbliga l'interlocutore a spostarsi dal piano semplicemente economico a quello più propriamente affettivo. Alla domanda il fariseo risponde correttamente (v. 43): più grande è il debito condonato, più grande è l'amore; stando alla logica, il fariseo non può che offrire la risposta che ha dato. Il passaggio dalla parabola alla realtà è compiuto da Gesù stesso, che interpreta quanto è accaduto alla luce di quel racconto. Gesù fa emergere le omissioni di Simone: al semplice lavare corrisponde una pioggia di lacrime, a un bacio si oppongono una serie interminabile di baci, all'olio si contrappone il profumo. La differenza è che lui ha omesso, lei ha fatto. Un particolare: finora il narratore ha parlato del «fariseo» e della «peccatrice», ora Gesù cambia strategia e si rivolge all'uomo chiamandolo per nome («Simone»: v. 40) e parla della «donna». La conclusione proposta al v. 47 va interpretata nel contesto del racconto: l'amore della donna è effetto del perdono che ha ricevuto (se fosse il contrario, tutto il discorso di Gesù dal v. 40 al v. 47 sarebbe sballato). Dunque vedendo il suo amore si può dedurre che è stata perdonata. Gesù, accusato di nascosto da Simone di non essere un profeta, in realtà dimostra di esserlo proprio perché conosce in profondità quella donna bollata unicamente come «peccatrice». I gesti sorprendenti che la donna ha compiuto sono manifestazione d'amore, il suo atteggiarsi nei confronti di Gesù fa addirittura emergere un amore straordinario, molto più grande dell'ospitalità di Simone. Il racconto che sembrava contrapporre semplicemente il fariseo e la peccatrice, evolve a rivelare chi è Gesù: un profeta, in realtà molto più di un profeta, visto che perdona i peccati, azione riservata unicamente a Dio. Dalla dinamica del racconto emerge una sequenza di causa ed effetto nella quale la fede porta al perdono, il perdono provoca l'amore. La precisazione finale mostra che anche la fede entra nella dinamica che conduce al perdono.


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Controversia sul sabato 1Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. 2Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?». 3Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? 4Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». 5E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

L'uomo dalla mano inaridita 6Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. 7Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. 8Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo. 9Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». 10E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita. 11Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Gesù, i dodici, i discepoli e le folle 12In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. 13Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: 14Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, 15Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; 16Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore. 17Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, 18che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. 19Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Il discorso della pianura 20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. 21Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. 22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. 24Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. 25Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. 26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti. 27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. 29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. 31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. 36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. 37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio». 39Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 41Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. 43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. 46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. 49Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Controversia sul sabato L'osservanza del precetto sabbatico è uno dei fondamenti del giudaismo. Raccogliere alcune spighe e sfregarle con le mani durante un viaggio era consentito dalla Legge (cfr. Dt 23,26); tuttavia l'azione è interpretata dai farisei come la preparazione di un pasto, cosa proibita in giorno di sabato. Gesù risponde alla domanda posta dai farisei riferendosi alla Scrittura e, quindi, appellandosi alla sua autorità (vv. 3-4). Come, dunque, David è passato oltre la Legge a proposito dei pani sacri, così Gesù la oltrepassa a proposito del tempo sacro del sabato. Il «Figlio dell'uomo», che ha l'autorità di perdonare i peccati (cfr. 5,17-26), può disporre anche del sabato, rivelando la propria dignità messianica e rivendicando una relazione singolarissima con Dio.

L'uomo dalla mano inaridita Gesù non interviene direttamente sull'uomo malato ma pone una doppia antitesi: «fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla» (v. 9), formulata in modo che la seconda opposizione interpreti la prima. Se fare del bene significa salvare la vita, allora egli dovrà guarire l'uomo. Ma in questo modo l'osservanza del sabato è interpretata non nei termini di ciò che si può e non si può fare, bensì nei termini di ciò che bisogna fare. Da parte degli avversari non c'è alcuna risposta; a parlare, ancora una volta, è Gesù, che senza compiere nessun gesto di guarigione (quindi attenendosi rigorosamente alla Legge che proibiva di farsi curare nel giorno di sabato), sana il malato per mezzo della sua parola efficace (v. 10).

Gesù, i dodici, i discepoli e le folle Prima del discorso della pianura (vv. 20-49) Luca riporta l'elezione dei dodici apostoli (vv. 12-16): Gesù impartirà il suo insegnamento attorniato da coloro che associa a sé e che continueranno la sua azione al di là della sua morte e della sua ascesa al Padre. Le circostanze di questo avvenimento fondatore sottolineano la sua dimensione teologica: avviene su una montagna (luogo tradizionale della rivelazione divina), all'alba (il tempo dell'inizio), dopo una lunga preghiera notturna che àncora la decisione nel segreto di Dio. La lista dei Dodici riproduce quella di Mc 3,16-19, sostituendo Taddeo con Giuda (come anche in At 1,13). Emergono il primo e l'ultimo nome: Simone, chiamato Pietro, che sarà il portaparola degli apostoli nel racconto evangelico e Giuda, designato come «Iscariota», il cui tradimento è predetto. Luca però non precisa qual è la specificità degli apostoli rispetto ai discepoli, né precisa quali sono i loro compiti; gli interessa solo affermare che c'è un folto gruppo di discepoli e fra loro una cerchia più stretta di dodici uomini. In questo modo Luca offre le coordinate spaziali per il discorso della pianura. La discesa dalla montagna ricorda al lettore l'Esodo, allorché Mosè, dopo il dialogo con Dio sul monte Sinai, era sceso verso il popolo per comunicare la rivelazione ricevuta (cfr. Es 32,7-15; 34,29).

Il discorso della pianura Nei versetti precedenti (cfr. vv. 13-19) Luca ha costruito il quadro del discorso. Il luogo è una pianura nella quale si raduna una folla composta da tre cerchi di uditori: la folla di giudei e di non-giudei provenienti dai dintorni e dalla costa mediterranea, i numerosi discepoli e i Dodici. Il discorso ha una portata universale, non ha il carattere della confidenza a un solo gruppo di iniziati, benché sia rivolto ai discepoli.

Sia il discorso della pianura, che il discorso della montagna iniziano con le beatitudini, ma la composizione dei due testi è differente. In primo luogo, Luca riporta quattro beatitudini bilanciate da quattro guai, mentre Matteo elenca nove beatitudini (cfr. Mt 5,3-12). Inoltre, le beatitudini di Matteo sono in terza persona plurale, mentre quelle di Luca sono in seconda persona e, nonostante la comunanza del linguaggio, ogni evangelista sottolinea alcuni aspetti molto particolari: laddove Luca parla di «poveri» (v. 20), Matteo parla di «poveri di spirito» (Mt 5,3), laddove Luca si riferisce a quelli che hanno fame «ora» (v. 21 ), Matteo parla di quelli che «hanno fame e sete della giustizia>> (Mt 5,6). Le beatitudini di Luca sono più complesse di quelle di Matteo, meno precise, più sfuggenti, ma per questo pure più evocative. Le prime tre beatitudini non indicano tre categorie distinte, ma un unico gruppo visto sotto tre angolature diverse: i poveri sono coloro che soffrono la fame e che, a motivo di questa indigenza, piangono. La quarta beatitudine, più estesa delle prime tre, si riferisce chiaramente a coloro che seguono Gesù e sono perseguitati. A tutti costoro è promesso un bene futuro, «nel cielo» (v. 23), la cui garanzia è offerta già al presente: «vostro è il regno di Dio» (v. 20). Se le beatitudini di Matteo sono sapienziali, quelle di Luca sono apocalittiche in quanto oppongono al presente il paradosso del futuro escatologico. Il secondo gruppo (vv. 24-26) non è maledetto, ma avvisato a proposito del futuro. Le beatitudini capovolte, introdotte da efficaci «guai!», richiamano il genere profetico della «lamentazione funebre», predicendo la morte se non si opera un cambiamento. In altre parole, Gesù non maledice i ricchi, ma ironicamente intona su di loro un canto funebre, affinché gli uditori comprendano e agiscano di conseguenza.

La parte centrale del discorso svolge il tema dell'amore verso il prossimo e in particolare verso il nemico; a questo proposito l'insegnamento di Gesù si distingue sia dalla tradizione ebraica (incentrata sull'amore al compatriota o al correligionario) sia dalla filosofia greco-romana (dominata dal principio della reciprocità). Gesù chiama a opporre all'ostilità altrui il contrario, spezzando il principio di reciprocità. Porgere l'altra guancia significa reagire al di là dell'altrui pretesa nei propri confronti. Se fosse pura passività, non ci sarebbe reazione; invece, una simile risposta ha qualcosa di provocatorio. L'attitudine non-violenta, cioè, è un gesto di tipo profetico, che ha valore di denuncia, rifiutando la violenza mimetica. I discepoli sono invitati a elevare le relazioni al di sopra del sistema di gratificazione, in quanto la loro vocazione è quella di essere «figli dell'Altissimo» (v. 35). Figli di Dio a immagine di Gesù, i discepoli riflettono l'amore illimitato del Padre, che «è benevolo verso gli ingrati e i cattivi» (v. 35).

Immediatamente dopo l'appello a essere «figli» del Padre (v. 35), quindi suoi imitatori, Gesù esorta a non giudicare. Porsi a giudice di un altro equivale a volersi sostituire a Dio e pretendere di conoscere la verità di una persona. Una simile pretesa è ripagata severamente: chi condanna al posto di Dio sarà condannato nel momento del giudizio escatologico. Al contrario, la generosità sarà ricompensata dalla benevolenza divina, illustrata da un'immagine commerciale (v. 38): il mercante riempie una misura, la pressa, la scuote e aggiunge grano finché essa non debordi prima di versarla nel grembiule del cliente.

Dietro queste parole si intravede una comunità cristiana dove non mancano i conflitti: l'uso del termine «fratello» (l'appellativo che si usava solitamente fra i membri della Chiesa) è una spia che denuncia il desiderio di alcuni credenti di controllare e correggere altri.

Quanto una persona opera rivela la sua interiorità; il bene viene da un cuore buono, il male da un cuore cattivo. Il principio che regge l'argomentazione è la concezione ebraica della persona: l'umano è tutto nelle sue opere; parole e gesti svelano la sua identità. Per questa ragione la tradizione biblica enuncia l'idea di un giudizio divino sulle opere dell'uomo: esse indicano la profondità del suo essere. Gesù critica coloro che si limitano a dire «Signore, Signore» e non praticano quanto dicono: si tratta di una pietà che si ferma alle parole e non trova concretezza.

La parabola dei due costruttori (vv. 47-49) chiarisce l'idea espressa dal detto del v. 46. Ciò che fa la differenza fra le due costruzioni è la fondazione (una è sulla pietra, l'altra è sulla sabbia) e, dunque, la resistenza nel tempo dell'inondazione (la prima costruzione resiste, l'altra rovina). Una simile immagine (che richiama il diluvio) è una metafora del giudizio divino alla fine dei tempi. Ciò che fa la differenza fra stabilità e crollo è dichiarato: sopravvivrà al giudizio di Dio l'opera di chi «ascolta le mie parole e le mette in pratica>> (v. 47). Qui l'opposizione non è tra fede e incredulità, ma è fra due tipi di credenti: coloro a cui la parola di Gesù trasforma la vita e coloro, invece, il cui ascolto rimane sterile. Il discorso della pianura termina mettendo in campo l'alternativa fra la vita e la morte. Questo appello alla responsabilità umana si rifà all'autorità della parola di Gesù, proclamata ai discepoli e alle folle.


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La pesca miracolosa e la chiamata dei primi discepoli 1Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. 4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Guarigione di un lebbroso 12Mentre Gesù si trovava in una città, ecco, un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò dinanzi, pregandolo: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». 13Gesù tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato!». E immediatamente la lebbra scomparve da lui. 14Gli ordinò di non dirlo a nessuno: «Va’ invece a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua purificazione, come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro». 15Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie. 16Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare.

Perdono dei peccati e guarigione di un paralitico 17Un giorno stava insegnando. Sedevano là anche dei farisei e maestri della Legge, venuti da ogni villaggio della Galilea e della Giudea, e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. 18Ed ecco, alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era paralizzato, cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. 19Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza. 20Vedendo la loro fede, disse: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati». 21Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere, dicendo: «Chi è costui che dice bestemmie? Chi può perdonare i peccati, se non Dio soltanto?». 22Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: «Perché pensate così nel vostro cuore? 23Che cosa è più facile: dire “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? 24Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua». 25Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando Dio. 26Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».

Incontro con Levi, banchetto coi peccatori e discussione sul digiuno 27Dopo questo egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». 28Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. 29Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola. 30I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 31Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; 32io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano». 33Allora gli dissero: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». 34Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? 35Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno». 36Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. 37E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. 38Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. 39Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

La pesca miracolosa e la chiamata dei primi discepoli I discepoli sono pescatori di professione, la parola di Gesù muta radicalmente il loro ruolo, ed essi abbandonano ogni cosa per seguire colui che li ha chiamati. Tuttavia, nella narrazione di Luca l'episodio della vocazione è intrecciato con la pesca miracolosa, che simboleggia la missione alla quale sono chiamati i discepoli. Gesù mostra di possedere una grande autorità: la sua parola, che annunciava «il regno di Dio» (4,43), realizza quanto dice. Il racconto è una storia di pronunciamento, nella quale l'elemento culminante è la parola conclusiva di Gesù (v. 10). L'efficacia della parola di Gesù supera qualsiasi attesa e previsione, il risultato è un miracolo eccezionale, impressionante. Alla vista di una pesca miracolosa e inattesa, Simone (cui l'evangelista accosta il secondo nome, Pietro cfr. 6,14) reagisce con un gesto religioso: “si gettò alle ginocchia di Gesù”. Un'efficacia così prodigiosa, al di là dei calcoli umani, non può che provenire da Dio. La dichiarazione di Pietro è molto singolare: egli non dice: «ho peccato», ma «sono un uomo peccatore» (v. 8); essa si pone non a livello morale (quasi che Pietro intenda riconoscere i peccati della vita passata) ma teologico. Tale dichiarazione mette in luce l'indegnità dell'uomo di fronte alla manifestazione del mistero di Dio. Non a caso in questo episodio, per la prima volta, un uomo chiama Gesù «Signore», titolo che nell'Antico Testamento si applica a Dio, ma che nel racconto dell'infanzia era unito a «Cristo» (2,11). La chiamata di Pietro è giocata sul simbolo della pesca: il pescatore diventerà un «pescatore di uomini» (v. 10). La cattura cambierà oggetto: l'apostolo dovrà catturare l'uomo vivo. La missione cristiana è quindi definita come un portare gli uomini alla vita. Come sempre nei racconti di vocazione dei discepoli (cfr. 5,28; 9,57-62; 12,33; 14,26-33), anche qui Simon Pietro e i suoi soci abbandonano tutto per seguire Gesù. Il grande miracolo ha un effetto che supera il miracolo stesso, mutando la vita di Pietro e dei suoi compagni. L'urgenza della proclamazione del Regno non ammette dilazioni.

Guarigione di un lebbroso Il lebbroso, secondo la legislazione levitica (cfr. Lv 13,45-46), è un escluso, ritualmente è impuro, non può partecipare alla vita sociale, è considerato quasi un morto per la comunità. L'incontro fra un uomo coperto di lebbra e Gesù è contrassegnato da un atto da parte del malato: egli si prostra davanti a lui e lo supplica, indirizzandogli una preghiera. La sua dichiarazione, insistendo sul potere che Gesù ha di guarire e interpellando il suo volere, manifesta la sua fede nella potenza salvifica di colui che chiama «Signore» (v. 12). Contro ogni convenzione religiosa e sociale, che proibiva il contatto fisico coi lebbrosi (cfr. Lv 13,45), Gesù lo tocca, quasi contraendo la sua impurità, ma confennando il suo volere di purificarlo (v. 13). La guarigione istantanea prova la potenza della sua parola e della sua azione sanatrice. Il miracolo che pareva impossibile si realizza. Secondo il rituale previsto dalla Legge, il lebbroso non è riconosciuto guarito prima che il sacerdote lo dichiari tale (cfr. Lv 14,1-32). Gesù, cosi, rifugge da qualsiasi concezione magica che identifichi in lui il semplice taumaturgo. L'uomo che era lebbroso sparisce dal racconto, senza che il lettore sappia come la vicenda si è conclusa. Tuttavia, la notizia della guarigione si diffonde, e Gesù attira folle numerose (come già in 4,42-44). Ancora una volta (cfr. 4,42) Gesù si ritira in luoghi deserti per sottrarsi alla pressione delle folle. Luca chiude la narrazione rivelando il privilegiato rapporto di Gesù con Dio, che si concretizza nella preghiera: nel deserto, luogo dell'intimità con Dio già per il popolo d'Israele (cfr. Os 2,16), dove Gesù ha superato la tentazione del demonio (cfr. 4,1).

Perdono dei peccati e guarigione di un paralitico L'incontro fra Gesù e l'uomo paralizzato non è immediato ma si realizza grazie all'ingegno di coloro che lo accompagnano: l'ostacolo della folla è superato calando il malato dal tetto. Di fronte alla fede di questi uomini Gesù reagisce dichiarando il perdono dei peccati (v. 20). Non è chiaro di quale peccato si tratti, ma il passivo indica che è Dio l'autore di questo atto di misericordia. La tradizione ebraica imponeva un rituale per ottenere il perdono: fare penitenza e sacrificare al tempio. Gesù, invece, «pretende» che Dio agisca attraverso di lui. Il miracolo, percepibile e visibile, concretizza una realtà più profonda e incontrollabile, come il perdono dei peccati. Non va dimenticato che nel contesto culturale e religioso dell'epoca, la malattia era spesso considerata una conseguenza del peccato (cfr. Sal 38,2-6; Gv 5,14; 9,2). Gesù spezza questa associazione: perdonando i peccati del paralitico, ribadisce che la sua situazione non è dovuta, a una colpa; l'uomo, infatti, resta immobile sul suo letto dopo la solenne dichiarazione di Gesù. Tuttavia, il «Figlio dell'uomo» (v. 24; è la prima volta che nel vangelo Gesù si autodesigna così) manifesta la sua potenza: egli, cioè, è mediatore del perdono che Dio accorda in cielo. Gesù non si arroga nessun potere divino: la sua parola, invece, è specchio della potenza divina. Se lo stupore è la reazione emozionale dei presenti di fronte a una guarigione spettacolare, solo Gesù riconosce la fede nella ricerca di un contatto con lui. Lo stupore è la reazione del mondo umano per la manifestazione del mondo di Dio. La fede, invece, conduce al di là dell'umano: l'«altrove» è qui, fra gli uomini, è presente.

Incontro con Levi, banchetto coi peccatori e discussione sul digiuno Che Gesù chiami qualcuno a seguirlo non è un fatto eccezionale (cfr. 5,10-11; 9,59-62; 12,33; 14,26-33). La sorpresa qui è legata alla professione del chiamato, un esattore. Ancora una volta a essere sottolineata è l'efficacia della parola di Gesù: in un racconto molto stilizzato v'è piena corrispondenza fra chiamata e risposta. Farisei e scribi criticano Gesù a motivo delle sue frequentazioni di esattori e peccatori, coi quali Gesù condivide la mensa, cioè entra in comunione, contraddicendo le usanze di ogni buon ebreo dell'epoca (cfr. Sal 1,1-3). Gesù non nega il fatto ma cambia interamente il punto di vista, invitando a condividere il suo: non si pone nella veste del giudice ma in quella del medico, che si avvicina ai malati per curarli e guarirli. La prospettiva dei farisei e degli scribi invece è un'altra: stante la tradizione che collega digiuno e preghiera per l'espiazione dei peccati (cfr. Dn 9,3), perché i discepoli banchettano invece di digiunare, visto che Gesù chiama i peccatori? Gesù difende il comportamento dei discepoli, definendo la presente situazione come una festa nuziale dove nessuno può digiunare. L'immagine si trasforma in allegoria: lo sposo diventa metafora di Cristo stesso (v. 34), sicché finché Gesù è coi discepoli non ha senso che digiunino. La sua presenza è davvero discriminante: i discepoli non si attengono a regole che altri gruppi religiosi seguivano. La parabola finale (vv. 36-39) chiarisce ancor meglio: essa mette a tema l'incompatibilità fra vecchio e nuovo giungendo alla conclusione che il nuovo deve essere preservato dal compromesso col vecchio. Il proverbio conclusivo ricorda una realtà ben nota: la bontà del vino vecchio rispetto al nuovo! Lo stile di Gesù è incompatibile con il modo di vivere dei farisei, ma si differenzia pure da Giovanni il Battista: la novità iniziata con Gesù non è facile da accettare, ma è incompatibile con tutte le altre modalità.


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Le tentazioni di Gesù 1Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, 2per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». 4Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo». 5Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra 6e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. 7Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». 8Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». 9Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; 10sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano; 11e anche: Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». 12Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». 13Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

IL MINISTERO DI GESÙ IN GALILEA

14Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.

Gesù a Nazaret 16Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 18Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19a proclamare l’anno di grazia del Signore. 20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». 22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». 28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Gesù a Cafarnao 31Poi scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. 32Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità. 33Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: 34«Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». 35Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male. 36Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». 37E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante. 38Uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. 39Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva. 40Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. 41Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo. 42Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. 43Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». 44E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Le tentazioni di Gesù L'episodio delle tentazioni è aperto da una duplice menzione dello Spirito Santo: Gesù è ricolmato dello Spirito (cfr. 3,22) ed è condotto dallo stesso Spirito nel deserto (v. l). La prova cui Gesù è sottomesso è dunque voluta da Dio e da lui stesso sostenuta. Il tema di una grande prova che precede la vita pubblica di famosi personaggi è un motivo ricorrente della letteratura antica. L'esperienza di Gesù si svolge nel deserto, luogo di solitudine e di tentazione, luogo dove Israele ha vissuto l'esperienza fondante dell'esodo. Tale prova dura quaranta giorni (v. 2); nella Bibbia questo tempo rappresenta un periodo decisivo vissuto con Dio: il diluvio (cfr. Gen 7,12), Mosè sul monte Sinai (cfr. Es 24,18; 34,28), Elia nel deserto (cfr. 1Re 19,8). Il diavolo personifica la radicalità del male. Le tentazioni sono uno scontro di due punti di vista: quello del diavolo e quello di Gesù. Gesù non oppone al diavolo la propria parola, ma la volontà divina, che la precede e ne fonda l'esistenza. A chi lo spinge a considerare la sua condizione di Figlio come un potere, Gesù oppone la propria fedeltà alla volontà di Dio. Il Figlio non esonera se stesso dall'obbedienza all'unico Dio richiesta a tutto Israele; al contrario, adempie la propria missione perché sa che Dio solo deve essere adorato. Rispetto al racconto di Matteo, Luca inverte la seconda e la terza tentazione: il culmine è a Gerusalemme. Ciò è coerente con la struttura geografica e teologica del terzo vangelo (il racconto è un cammino verso la città santa e Gerusalemme è il luogo dell'esodo/innalzamento cfr. 9,31.51) ma, insieme, preannuncia l'ultima tentazione, quella della croce (cfr. v. 13). Il racconto, al termine, fa riferimento al «tempo fissato» (v. 13), nel quale riapparirà il tentatore: è un rimando alla passione (cfr. 22,3.31.35), dove per tre volte sarà detto al Crocifisso di interpretare la sua messianicità in modo differente, salvando se stesso e scendendo dalla croce (cfr. 23,35-39).

IL MINISTERO DI GESÙ IN GALILEA Con la sola eccezione di un approdo nel territorio dei Geraseni (cfr. 8,26), il resto dell'attività di Gesù nel vangelo di Luca è geograficamente localizzata in Galilea, a differenza di Marco e Matteo, che ricordano alcuni sconfinamenti. La chiave di lettura dell'intera sezione è l'episodio di Nazaret (4,16-30), nel quale Gesù rivela di essere l'unto di Dio inviato dall'alto, ma insieme porta alla luce le caratteristiche sorprendenti della sua messianicità. Anticipando al principio del ministero quello che Marco nana solo in un secondo momento (cfr. Mc 6,1-6). Gesù, dunque, compie le opere del Messia e al contempo sorprende, in quanto vi sono azioni che non sono messianiche ma, più propriamente, possono essere definite divine (perdonare i peccati [5,17-26] e dominare la natura [8,22-25]). A questa dinamica se ne aggiunge un'altra, sempre duplice: a Nazaret Gesù è accolto e rifiutato, in perfetta linea con il destino dei profeti.

Gesù a Nazaret Gesù commenta il passo profetico, dichiarando il compimento di quella Scrittura (v. 21 ). Egli non rinvia esplicitamente alla propria persona, ma rende i suoi ascoltatori attenti ai segni che si possono percepire e che annunciano la novità ormai presente. Il lettore è in posizione di superiorità rispetto ai personaggi: sa che Gesù ha ricevuto l'unzione dello Spirito (cfr. 3,22) e che è guidato dallo Spirito (cfr. 4,14). I prodigi proclamati dal profeta si concretizzeranno nelle guarigioni e negli esorcismi che Luca poi descriverà nel seguito della narrazione (cfr. 4,31-5,26). Nella proclamazione del compimento del passo profetico Gesù offre una chiave di lettura importante: il Messia non sarà un guerriero o un essere celeste, ma colui che libera dalla schiavitù, recando una notizia di gioia e di grazia. La reazione dei Nazaretani è duplice: da una parte c'è il riconoscimento della messianicità, dall'altra viene evidenziata l'appartenenza di Gesù alla loro comunità (si potrebbe parafrasare: «È il Messia ed è uno dei nostri!»). Gesù stesso interpreta la loro affermazione per mezzo di un proverbio («Medico, guarisci te stesso!», v. 23): esso rappresenta la mentalità corrente, secondo cui un cittadino ricco o dotato o famoso che non riversi sulla sua città natale i benefici di cui gode è come un medico che non cura se stesso. Se Gesù è il Messia, allora elargirà i beni messianici ai suoi compaesani! Gesù non ha timore di deludere le attese dei compaesani: oltre agli esempi profetici Gesù cita un altro proverbio («Nessun profeta è gradito nella sua patria», v. 24), che precisa la modalità di essere il Messia. Tale presa di posizione provoca un netto rifiuto da parte di tutti i Nazaretani, che si separano anche fisicamente da Gesù. Egli delude le loro attese, ma insieme le supera, chiedendo di liberarsi dai propri pregiudizi. Allo stupore segue la collera. L'evocazione dei benefici accordati a dei non-ebrei suscita l'ira degli astanti (v. 28), che scacciano Gesù con una chiara intenzione omicida. Ma il tempo della passione non è ancora arrivato: Gesù se ne va (v. 30). Dietro questa reazione enigmatica si può forse intravedere un'allusione alla vittoria pasquale sulla morte.

Gesù a Cafarnao Se nel racconto precedente (cfr. 4,16-30) dominava la proclamazione, qui si passa all'azione, alla pratica della guarigione. Nazaret e Cafarnao sono in netto contrasto: nella sua patria Gesù è rifiutato (cfr. v. 29), a Cafarnao invece tutti sono presi da stupore e vorrebbero trattenerlo (cfr. v. 42). Ma in un luogo come nell'altro Gesù si sottrae al tentativo di appropriarsi della sua persona, ribadendo che è stato mandato da Dio (cfr. vv. 18.43) a proclamare (cfr. vv. 18.44) e ad annunciare la buona notizia (cfr. vv. 18.43). A Cafarnao Gesù compie quei miracoli che i Nazaretani reclamavano (cfr. v. 23) e insegna(vv. 31-32), anche se Luca non precisa il contenuto dell'insegnamento. Gesù rimanda al senso della propria missione per spiegare che non può restringersi in un solo luogo. Appare qui per la prima volta il contenuto di quell'«annuncio della buona notizia» (4,18), cioè il «regno di Dio», la manifestazione escatologica della signoria potente di Dio, che porta giustizia e salvezza agli uomini. Le guarigioni sono il segno di quella signoria potente (cfr. 10,9; 11,20).


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L'attività di Giovanni Battista 1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 5Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. 6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! 7Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 9Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». 10Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». 15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». 18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo. 19Ma il tetrarca Erode, rimproverato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che aveva commesso, 20aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione.

Battesimo di Gesù 21Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì 22e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Genealogia di Gesù 23Gesù, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent’anni ed era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli, 24figlio di Mattat, figlio di Levi, figlio di Melchi, figlio di Innai, figlio di Giuseppe, 25figlio di Mattatia, figlio di Amos, figlio di Naum, figlio di Esli, figlio di Naggai, 26figlio di Maat, figlio di Mattatia, figlio di Semein, figlio di Iosec, figlio di Ioda, 27figlio di Ioanàn, figlio di Resa, figlio di Zorobabele, figlio di Salatièl, figlio di Neri, 28figlio di Melchi, figlio di Addi, figlio di Cosam, figlio di Elmadàm, figlio di Er, 29figlio di Gesù, figlio di Elièzer, figlio di Iorim, figlio di Mattat, figlio di Levi, 30figlio di Simeone, figlio di Giuda, figlio di Giuseppe, figlio di Ionam, figlio di Eliachìm, 31figlio di Melea, figlio di Menna, figlio di Mattatà, figlio di Natam, figlio di Davide, 32figlio di Iesse, figlio di Obed, figlio di Booz, figlio di Sala, figlio di Naassòn, 33figlio di Aminadàb, figlio di Admin, figlio di Arni, figlio di Esrom, figlio di Fares, figlio di Giuda, 34figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, figlio di Tare, figlio di Nacor, 35figlio di Seruc, figlio di Ragàu, figlio di Falek, figlio di Eber, figlio di Sala, 36figlio di Cainam, figlio di Arfacsàd, figlio di Sem, figlio di Noè, figlio di Lamec, 37figlio di Matusalemme, figlio di Enoc, figlio di Iaret, figlio di Maleleèl, figlio di Cainam, 38figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio.

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

L'attività di Giovanni Battista Luca, seguendo le convenzioni classiche, ricorda una serie di personaggi politici, stabilendo una sincronia fra l'epoca imperiale romana e quella palestinese, al fine di fissare l'inizio del ministero del Battista. Poi racconta la chiamata di Giovanni, come una vocazione profetica (cfr. Ger 1,1-5; Is 6,1; Ez 1,1-3; Os 1,1): presenta Giovanni come un profeta, il cui ministero è profondamente unito con quello di Gesù. La predicazione del Battista include l'appello al battesimo. I bagni rituali erano conosciuti nel sistema religioso ebraico, ma qui Luca connette il battesimo di Giovanni con il perdono dei peccati: si tratta di una notevole novità, in quanto nel quadro della religione ebraica la remissione delle colpe avviene solo per mezzo di un complesso sistema sacrificale, praticato nel tempio di Gerusalemme. L'annuncio di Giovanni si concentra sulla «conversione», termine dalle molte risonanze bibliche (cfr. Is 6, 10; Ez 3, 19), che indica anzitutto il ritorno a Dio e di conseguenza l'allontanamento dagli idoli e dai peccati. Il battesimo ha dunque il senso di una purificazione in vista del perdono dei peccati realizzato da Dio. La citazione di Is 40,3-5 pinge in una direzione fortemente cristologica, evocando le precedenti parole di Simeone, dove Gesù era visto come «salvezza» per «tutti i popoli» (cfr. 2,30-32), Israele e le genti. La citazione della Scrittura dà alla predicazione di Giovanni un tono speciale: essa comincia com'è scritto nel profeta Isaia, sotto il cui patronato è posta l'attività del Battista. L'annuncio di Giovanni si inserisce dentro una Parola che lo precede e che nessuno può dominare, una Parola che echeggia il cammino dell'esodo guidato da Dio. Inoltre la citazione anticipa alcuni temi di At (dove «la via» designa l'intero movimento cristiano cfr. At 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22). Mentre in Matteo il Battista si rivolge ai farisei e ai sadducei, qui invece alle folle. Il tono è quello della minaccia: Giovanni con forti invettive predice la prossimità dell'ira di Dio (v. 7); in questo senso il Battista s'inscrive nella tradizione dei profeti d'Israele (Amos, Osea, Geremia), che parlano del «giorno del Signore» come manifestazione dell'ira divina contro gli empi. Giovanni propone un battesimo di conversione in quanto l'appartenenza al popolo eletto, non pone al riparo dal castigo; si tratta di convertirsi e di «portare frutti», cioè comportarsi compiendo la volontà di Dio. L'immagine dell'albero che non dà frutto (v. 9) indica che il giorno imminente è considerato da Giovanni sotto l'aspetto del castigo più che della misericordia; la scure drammatizza l'imminenza dell'avvenimento, ponendo l'accento sull'urgenza a fronte dell'ira di Dio. Quindi Lc continua la narrazione indicando i frutti richiesti. Alla triplice domanda che gli è posta dalle folle (v. 10), dagli esattori (v. 12) e dai soldati (v. 14) Giovanni risponde. La presenza di categorie sociali cosi disparate testimonia la considerazione di cui godeva il profeta e la risonanza profonda della sua predicazione. Infine, per mezzo della domanda del popolo, Lc mostra la vivida attesa del Messia in un'epoca segnata dali'oppressione dei Romani. Giovanni oppone i l proprio battesimo con l'acqua al battesimo «in Spirito Santo e fuoco» (v. 16). Il fuoco è un'immagine ambigua: è metafora del giudizio di Dio, ma pure segno della forza dello Spirito a Pentecoste (cfr. At 2,1-4). La dichiarazione dell'indegnità a sciogliere il laccio può essere intesa come professione di umiltà da parte del Battista, ma può essere pure ricondotta al rito giuridico dello scalzamento, nel quadro della legge del levirato (cfr. Dt 25,5-10; Rt 4,7-8). Cosi Giovanni riconosce di non essere il Messia, nel senso di non poter vantare alcun diritto di acquisizione «sponsale» nei confronti del popolo, nonostante il proprio carisma profetico universalmente riconosciuto. È sorprendente che il racconto dell'arresto di Giovanni.sia posto qui, prima del battesimo di Gesù. Luca conclude il suo racconto sul ministero di Giovanni per poi riprendere la sua narrazione su Gesù. A differenza di Marco, Luca non racconta il martirio del Battista.

Battesimo di Gesù Il battesimo di Gesù è riportato da un'unica lunga proposizione. A differenza di Marco (cfr. Mc 1,9-11), Luca non precisa che Gesù fu immerso nel Giordano da Giovanni, né introduce (come fa Mt 3, 13-17) un dialogo fra i due. Il precursore è già stato arrestato (cfr. Le 3,20) e, benché Luca menzioni «tutto il popolo» (v. 21 ), la scena riguarda solo Dio e Gesù: la voce dal cielo si rivolge unicamente a quest'ultimo, senza che gli astanti la intendano. Luca sottolinea quanto avviene dopo il battesimo: Gesù è in preghiera, tratto che spesso lo caratterizza nel terzo vangelo (cfr. 5,16; 6,12; 9,18.28-29; 11,1; 22,41.44.45; 23,34.46), e proprio in quel momento lo Spirito discende e la voce parla. L'apertura del cielo mette in comunicazione il mondo divino e quello degli uomini. Lo Spirito Santo scende su Gesù: si tratta di un dono che permane (a differenza degli altri personaggi presentati in precedenza: Elisabetta, Zaccaria e Simeone). Benché Gesù sia stato concepito per opera dello Spirito Santo e sia nato «santo» (1,35), questo speciale dono è necessario perché inizi il suo ministero (cfr. 4,1.14.18; At 10,38). Da parte di Dio v'è l'affermazione di una singolarissima relazione con Gesù: questi è il Figlio; con l'identità di Gesù il lettore intende pure l'identità di Dio, il Padre di Gesù. Luca pone in parallelo il battesimo di Gesù e la Pentecoste cristiana: Gesù è il solo ad avere ricevuto il dono permanente dello Spirito ma, dopo la sua morte ed esaltazione in cielo, è in grado di donare ai credenti lo Spirito (cfr. At 2,33) che sarà effuso nel giorno di Pentecoste. L'evento ecclesiologico ha il suo modello e fondamento in quello cristologico.

Genealogia di Gesù La genealogia non intende ricostruire con esattezza la filiera storica, ma dimostrare l'appartenenza di Gesù al popolo eletto. Luca poi dà forma a una genealogia del tutto originale: se, infatti, esse (anche quella di Mt 1,1-11) sono sempre discendenti (secondo lo schema X generò Y), la sua è ascendente (Y figlio di X): al terzo evangelista interessa più lo statuto del figlio che non quello del padre, per ribadire cosi la doppia origine, umana e divina, di Gesù. Luca enumera settantasette generazioni, trentasei delle quali sono assenti nell' Antico Testamento e, a differenza di Matteo, non nomina nessuna donna (nemmeno Maria). Egli risale sino ad Adamo, «il padre del mondo» (Sap 10,1) e poi, sorprendentemente, sino a Dio. Ne consegue che Luca inserisce l'origine di Gesù all' interno della creazione: Dio è il creatore di Adamo e di ogni uomo (cfr. At 17,29); Gesù dunque è «vero uomo», appartenente all'umanità. Su questo sfondo, in cui la relazione fra Dio e Adamo è esplicitamente evocata, è da comprendere la speciale relazione di figliolanza divina di Gesù, di cui hanno già detto sia Gabriele (cfr. 1,35), sia la voce dall'alto (cfr. 3,22).


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Nascita di Gesù e visita dei pastori 1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». 15Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

La circoncisione di Gesù 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Presentazione al tempio 22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. 25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: 29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, 30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, 31preparata da te davanti a tutti i popoli: 32luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». 33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». 36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. 39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Gesù dodicenne al tempio 41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

Nascita di Gesù e visita dei pastori Luca, inquadrando gli avvenimenti dentro la più ampia vicenda storica, stabilisce un nesso e fornisce una chiave interpretativa. L'imperatore, ordinando il censimento, è posto dall'evangelista al servizio del piano di Dio: proprio allora nasce il Messia. Ma v'è pure una nota sottilmente ironica: Luca mostra che il salvatore non è l'imperatore romano (che proprio cosi era acclamato) e la pace sulla terra (cfr. 2,14) è legata non alla sua persona, ma a colui che è apparso nel mondo, ovverosia Gesù. Per mezzo poi del viaggio a Betlemme, Luca offre la ragione per la quale Gesù è nato nella patria del re David e non a Nazaret, luogo dove poi crescerà (cfr. 2,51; 4,16). Ai pastori sono offerte notizie già conosciute dal lettore: il che cosa («è nato»), il quando («oggi»), il chi («salvatore, Cristo [cioè Messia], Signore»), il dove («nella città di David»). Il termine «oggi» oltrepassa i l valore cronologico: il tempo sembra quasi fermarsi e fa entrare nella storia il mondo escatologico di Dio. I titoli, poi, definiscono il ruolo di Gesù: egli è colui che porta la salvezza («salvatore» era stato chiamato Dio in 1,47). Se un simile titolo evoca l'idea del liberatore tipica dell'Antico Testamento (cfr. Gdc 3,9.15), v'è pure la traccia di una sottile polemica contro l'ideologia imperiale. Gesù è anche definito «Messia Signore» (caso unico nel NT). Se il titolo «Cristo» è legato alla messianicità ed è in consonanza con la città di David e la promessa fatta da Dio al re d'Israele, il titolo «Signore» ha un forte senso trascendente che supera la dimensione messianica per raggiungere quella divina. Luca, tuttavia, unisce entrambi i titoli, cosicché l'uno determina l'altro: «Cristo» suggerisce quale e che tipo di «Signore» Gesù sia; «Signore», invece, rivela la profondità della sua identità messianica. Si avverte un'anticipazione e una prefigurazione della fede pasquale della Chiesa in colui che è stato risuscitato dai morti. Il fatto che il bambino sia avvolto in fasce ricorda un'usanza normale e pone l'accento sull'attenta cura per il neonato (la loro mancanza indica trascuratezza; cfr. Ez 16,4). Non è però da escludere un'allusione a Salomone che fu «allevato in fasce e circondato di cure» (Sap 7,4), con una sfumatura simbolica regale. Della mangiatoia, invece, parla Isaia in una requisitoria contro Israele: «Un bue riconosce il proprietario e un asino la mangiatoia del suo signore, ma Israele non mi conosce, il mio popolo non mi comprende» (Is 1,3 LXX): alla cura di Dio per il suo popolo, cura che dovrebbe suscitare una risposta d'amore e di fiducia, corrispondono la ribellione e il peccato. La mangiatoia diviene cosi il simbolo dell'azione provvidente di Dio che, invece di una risposta positiva, suscita una forte opposizione, addirittura un rifiuto.

La circoncisione di Gesù In obbedienza alla Legge (cfr. Lv 12,3), Gesù è circonciso l'ottavo giorno (cfr. Gen 17,11-12), entrando cosi a fare parte del popolo dell'alleanza. Grande enfasi è data all'imposizione del nome: Luca ricorda al lettore un dato che egli già conosce, cioè il nome proprio del bambino, Gesù (lo stesso nome di Giosuè, che ha il significato di «Dio aiuta» oppure «Dio è salvezza») imposto non da Giuseppe ma dall'angelo. Il futuro ruolo del bambino è quello di essere il «salvatore» di tutte le genti.

Presentazione al tempio L'evangelista ama rappresentare dei dittici che affianchino un uomo e una donna (cfr. Zaccaria ed Elisabetta in 1,5-25, Giuseppe e Maria in 1,26-38, Naaman e la vedova di Sarepta in 4,25-27, il centurione e la vedova in 7,1-10.11-17, il pastore e la donna in 15,4-7.8-10). Simeone e Anna sono caratterizzati in modo differente: del primo si dà una descrizione interiore (giusto, pio, mosso dallo Spirito che è su di lui, destinatario del dono di una rivelazione) mostrando quello che fa e che dice; della profetessa, invece, viene offerta una descrizione puramente esteriore (gli anni, la tribù d'appartenenza, la sua permanenza nel tempio) spiegando e definendo. Simeone pronuncia due benedizioni: una indirizzata a Dio, l'altra ai genitori di Gesù; le sue parole riguardano gli effetti della venuta del Messia a proposito di se stesso, di tutti i popoli, d'Israele e di Maria. Il discorso di Anna, invece, non è riportato, ma v'è un riferimento pregnante alla liberazione di Gerusalemme. Entrambi sono pii israeliti, attendono il compimento della promessa divina (cfr. vv. 25.3 8), parlano ispirati, benedicono il Signore, sono condotti a riconoscere nel segno del bambino Gesù la visita di Dio. Se Elisabetta e Zaccaria profetavano nella loro casa, qui tutto avviene nel tempio di Gerusalemme, cuore religioso d'Israele. Tuttavia, la profezia di Anna rimane opaca: infatti, non è chiaro il senso delle sue parole e nemmeno la modalità della loro realizzazione né per il lettore né per i personaggi (cfr. v. 33); solo lo sviluppo successivo lo mostrerà. Il cantico di Simeone (vv. 29-32) rappresenta una sintesi lirico-orante della teologia di Luca e anticipa temi che troveranno sviluppo nel vangelo e negli Atti. Il libro degli Atti si chiude con un discorso di Paolo ai giudei di Roma (cfr. At 28,28): le sue parole sono un'eco di quanto aveva detto Simeone (Le 2,29-32). La salvezza di Cristo ha raggiunto tutte le genti: nel momento in cui Paolo è giunto a Roma, nel cuore dell'impero, il vangelo può diffondersi in tutta la terra. L'immagine della spada è da collegare con il «segno di contraddizione» (v. 34): si tratta dell'opposizione del rifiuto cui andranno incontro Gesù e l'annuncio del Vangelo (negli Atti). Anche Maria non è esente dalla sfida della retta interpretazione del segno di suo figlio. L'accento cade sulla difficoltà a obbedire alla parola di Dio.

Gesù dodicenne al tempio L'episodio è narrativamente il culmine dei racconti dell'infanzia: Gesù, infatti, per la prima volta si presenta come l'interprete di se stesso. L'evangelista evoca la festa di Pasqua e il costume del pellegrinaggio, così che l'inizio della narrazione sembra introdurre dentro una serie di usanze consolidate e cicliche. Ma il comportamento di Gesù fa saltare le convenzioni: rimanendo a Gerusalemme, viene a crearsi una forte suspense che dà avvio alla ricerca dei genitori. Al ritrovamento di Gesù nel tempio Maria esplicita l'interrogativo circa il perché del comportamento di Gesù, oltre a rivelare i sentimenti suoi e di Giuseppe («tuo padre»), colmi di sgomento e angoscia (v. 48). La risposta di Gesù (la sua prima parola nel vangelo) è una vera e propria sorpresa, in forma di duplice domanda. In primo luogo, con quel «perché» (v. 49) Gesù punta a svuotare la necessità della ricerca dei suoi genitori: pare quasi che contesti la loro ignoranza a proposito della sua situazione. Poi, in seconda battuta, avanza la motivazione che verte sulla relazione che lo lega al Padre celeste. Infine, richiamandosi alla “necessità” inizia a togliere il velo sulla modalità della rivelazione messianica. In altre parole, il problema non è tanto chi è Gesù (cosa ben conosciuta sia da Maria come dal lettore), ma come si manifesta. Ironicamente, però, quella parola-avvenimento resta incompresa ai genitori (come nel corpo del vangelo resterà incompreso l'annuncio della necessità della passione). Alla finale narrativa (riguardante il ritorno a Nazaret e la sottomissione del dodicenne ai genitori) segue una nota sull'interiorità di Maria, il cui atteggiamento, custodendo quelle parole e quegli avvenimenti nel cuore (pur ribadendo la sostanziale incomprensione di quanto è accaduto) appare del tutto adeguato e invita anche il lettore a una più profonda intelligenza di quel mistero che le parole di Gesù hanno appena fatto intravedere. Sarà l'intero racconto del vangelo ad esplicitare il senso di quanto qui è preannunciato. D'ora in poi si deve ascoltare Gesù!


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PROEMIO

1Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, 2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, 3così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, 4in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

GIOVANNI BATTISTA E GESÙ

Annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni 5Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. 6Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. 7Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni. 8Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, 9gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso. 10Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. 11Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. 12Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. 13Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. 14Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, 15perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre 16e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. 17Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto». 18Zaccaria disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». 19L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. 20Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo». 21Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. 22Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto. 23Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. 24Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: 25«Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».

Annuncio a Maria della nascita di Gesù 26Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». 29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». 34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Incontro tra Maria ed Elisabetta 39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Il cantico di Maria 46Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore 47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, 48perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. 49Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; 50di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. 51Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. 54Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». 56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

La nascita e la circoncisione del Battista 57Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. 59Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. 60Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Il cantico di Zaccaria 67Zaccaria, suo padre, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo: 68«Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, 69e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo, 70come aveva detto per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo: 71salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano. 72Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, 73del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, 74liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, 75in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. 76E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, 77per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati. 78Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, 79per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace».

La vita del Battista 80Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Approfondimenti

(cf LUCA – Introduzione, traduzione e commento a cura di Matteo Crimella © Ed. San Paolo, 2015)

PROEMIO Nel proemio v'è il patto di lettura fra autore e destinatario (che si estende non solo al vangelo ma abbraccia pure il libro degli Atti): l'opera di Luca è destinata a far riconoscere a Teofilo la fondatezza della fede cui è stato iniziato. La narrazione di Luca non si ferma al livello storico: c'è una chiara finalità teologica, tutta tesa a garantire l'affidabilità della sua opera per fortificare la fede dei suoi lettori. Sullo sfondo sta probabilmente la difficile situazione dei cristiani nel tardo periodo apostolico: essi non conoscono più nessuno di coloro che hanno incontrato Gesù; per questo Luca fa riferimento alla tradizione che lo precede. Ma il suo racconto, se è in continuità con quella tradizione (al punto che l'autore tace anche il proprio nome, quasi a sottolineare che si pone all'interno di quel flusso), tuttavia se ne distingue, cosicché da un lato è intrecciato con l'annuncio cristiano fondamentale (il kérygma: Gesù è morto ed è risorto), dall'altro lo configura proprio come narrazione. Luca, uomo di Chiesa, assicurando la trasmissione della tradizione per mezzo di un racconto, compie un duplice cammino: uno all'indietro, per approfondire l'affidabilità di ciò che ha ricevuto; l'altro in avanti, per rifondare la memoria di Gesù, rileggendo la tradizione all'interno della propria contemporaneità. Luca non intende per niente separare la storia e la sua interpretazione, quasi che le due cose siano distinte.

GIOVANNI BATTISTA E GESÙ Con una continua alternanza di spazi e di personaggi, Luca mette in campo Giovanni e Gesù, prima bambini, poi adulti. Il racconto presenta tre paralleli:

  1. l'annuncio della nascita di Giovanni e di Gesù, cui fa seguito l'incontro delle due madri (cfr. l ,5-56);
  2. la narrazione della nascita, della circoncisione e della crescita di Giovanni e di Gesù (cfr. 1,57-2,52);
  3. le attività del Battista ormai adulto cui segue il battesimo, la genealogia e le tentazioni di Gesù adulto (cfr. 3,1-4,13).

Nella narrazione degli inizi Luca differenzia sempre più le due figure, mostrando la superiorità di Gesù su Giovanni Battista: Gesù infatti non è solo il Messia, ma pure il Figlio di Dio; la salvezza che egli porterà raggiungerà non solo i figli d'Israele ma anche tutti i figli di Adamo (la genealogia di Luca risale proprio sino ad Adamo e quindi a Dio).

Annuncio a Zaccaria della nascita di Giovanni La struttura del brano è concentrica: al cuore della narrazione c'è il messaggio dell'angelo, nel quale viene descritta la figura e la missione del Battista. Tutto si svolge nel tempio di Gerusalemme, il simbolo stesso del giudaismo; i protagonisti sono tipici rappresentanti della pietà ebraica. L'intervento di Dio, benché sia conosciuto solo da Zaccaria (che uscendo dal santuario è muto e quindi non può parlare) e dal lettore (messo a parte dal narratore di tutto quanto accade), è pure testimoniato da tutto il popolo, il quale prima sta fuori dal santuario, poi è in attesa ed è meravigliato per l'indugio del sacerdote (v. 21). Zaccaria, pur conoscendo la Scrittura (e sapendo che la promessa di Dio si compie), in realtà non crede all'annuncio dell'angelo. L'angelo Gabriele ricorda a Zaccaria la necessità della fede (quella che Abramo aveva e lui non ha). Il silenzio che colpisce il sacerdote durerà fino al compimento della promessa: a parlare non sarà Zaccaria, saranno i fatti stessi: nel momento in cui esce dal santuario alla presenza della moltitudine, colui che cercava un segno diventa ironicamente egli stesso un segno. La gravidanza di Elisabetta è il secondo segno del compimento della promessa. La donna non commenta il mutismo del marito; interpreta l'attesa di un figlio come un segno dell'intervento di Dio che ha cancellato la sua vergogna. Le sue parole ricordano quelle di un'altra donna sterile, Rachele, che alla nascita di Giuseppe dichiarava: «Dio ha tolto il mio disonore» (Gen 30,23). Pur tuttavia si nasconde per cinque mesi. La cosa è assai singolare, ma ha una funzione narrativa e prepara il seguente episodio: nessuno sa della sua attesa, cosicché all'anziana donna apparirà chiaro (cfr. 1,42-45) che Maria ha appreso della sua gravidanza da una rivelazione celeste.

Annuncio a Maria della nascita di Gesù Prima di presentare i personaggi umani, Luca introduce l'angelo Gabriele, sottolineando il suo ruolo di messaggero divino. L'importanza dell'angelo (già conosciuto dal lettore) è in contrasto con l'insignificanza di Nazaret (cfr. Gv 1,46), villaggio mai citato nell'Antico Testamento, localizzato in Galilea, una regione ai confini, ben differente dal santuario nel cuore del tempio di Gerusalemme. L'angelo non appare a Maria, ma si avvicina a lei: si tratta dunque di un incontro, non di una visione. Non è immediatamente ovvio comprendere che cosa significhi il saluto. L'an-gelo ha fatto riferimento a un'opera divina ma non ha specificato come Dio ha già agito nei confronti della vergine. La reazione di Maria (v. 29) evoca il turbamento di Zaccaria (cfr. v. 12), ma la ragione è differente: il sacerdote era preso dalla paura per l'apparizione angelica, la vergine per le parole di Gabriele. Gabriele la chiama per nome e la invita a superare la paura (cfr. Gen 15,1; Dn 10,12.19); poi dichiara il motivo di tutto ciò: Maria è oggetto di una grazia speciale da parte di Dio. La grazia di cui si parla sta nella maternità, descritta qui con le stesse espressioni dell'angelo ad Agar (cfr. Gen 16,11) e dell'oracolo di Is 7,14: concepire nel grembo, generare, dare il nome. Dio stesso, per mezzo dell'angelo, conferisce un nome che la madre imporrà al bambino. Di fronte a un annuncio cosi pregnante, la domanda di Maria (v. 34) fa emergere la tensione fra quanto ha detto l'angelo e la propria concreta situazione. La sua difficoltà sorge dal fatto che non «conosce» un uomo, cioè non vive ancora con Giuseppe. Maria cioè, in forza dell'efficacia della parola divina, considera quanto annunciato dall'angelo immediatamente realizzabile e per questa ragione pone l'interrogativo riguardante la propria attuale verginità. Se Zaccaria chiedeva un segno concreto in base al quale avrebbe potuto conoscere la verità delle parole dell'angelo (cfr. v. 18), Maria domanda un chiarimento a partire dalla propria concreta situazione che pare essere un ostacolo alla maternità. La risposta dell'angelo (v. 35) riguarda la singolare modalità della generazione e l'identità del nascituro. In forza di un intervento dello Spirito di Dio (cfr. Gen l ,2; 2,7) sarà resa possibile la maternità verginale di Maria. Senza che vi sia una richiesta da parte di Maria, l'angelo le offre un segno. A colei che ha dichiarato all'angelo il limite della propria condizione di verginità, viene dato un segno concreto della potenza divina: la gravidanza dell'anziana e sterile parente Elisabetta. Il carattere straordinario del primo concepimento prepara il secondo, ancor più straordinario (la concezione verginale è del tutto inedita nella tradizione biblica). Maria, definendosi «serva del Signore», afferma la propria sottomissione a Dio e l'accoglienza della sua volontà. L'assenso ha poi un carattere gioioso ed esprime il desiderio di vedere realizzato il disegno divino: Maria collabora attivamente e con tutto il cuore al progetto che si realizzerà proprio per mezzo di lei.

Incontro tra Maria ed Elisabetta In questo racconto si uniscono i motivi conduttori dei due annunci: la fede nella promessa di Dio e l'interpretazione dei segni. La narrazione insiste sul saluto di Maria a Elisabetta, riportato due volte, anzitutto dal narratore, poi da Elisabetta: il primo racconto (vv. 41-42a) sottolinea il sussulto di Giovanni, lo Spirito Santo che ricolma Elisabetta, la proclamazione a voce alta dell'anziana donna; Elisabetta (v. 44), invece, afferma che è stato l'ascolto della voce di Maria a fare sussultare Giovanni e che la danza del figlio nel grembo era un segno di gioia; non si è trattato dunque solo del naturale movimento del bambino nel grembo materno (cfr. Gen 25,22), ma di una vera e propria esultanza, motivata dalla presenza del Messia (cfr. Ml3,20; Sap 19,9).

Il cantico di Maria Il Magnificat (forse un antico inno giudeo-cristiano rielaborato da Luca e inserito nella trama della sua narrazione) è il primo cantico del racconto dell'infanzia. Maria parte dalla sua vita per arrivare all'intera storia della salvezza: non separa se stessa dagli altri perché la grazia proviene da Dio. Ella continua a pensare se stessa in solidarietà coi poveri. Ciò che Dio ha fatto per lei è un segno di ciò che Dio ha fatto e farà per loro. Per la prima volta nel racconto è affermata la logica del capovolgimento, che ritornerà a più riprese: nelle beatitudini e nei guai (cfr. 6,20-26), nelle sentenze a proposito del perdere e salvare la propria vita (cfr. 9,24; 17,33), nell'antitesi fra l'essere esaltato e l'essere umiliato(cfr. 14,11; 18,14), nella parabola del povero Lazzaro e del ricco (cfr. 16,19-31), nella contrapposizione fra l'essere servito e il servire (cfr. 22,24-27). Maria canta l'azione di Dio nella propria vicenda personale dove l'impossibile è divenuto possibile proprio nella generazione di quel figlio che è pure il Figlio dell'Altissimo: «Nulla sarà impossibile a Dio» (1,37). Quanto è avvenuto nel suo grembo è il segno di quel rovesciamento che ella canta: la miseria del mondo è riabilitata dalJa potenza del Dio d'Israele, fedele alla sua promessa.

La nascita e la circoncisione del Battista Mentre la nascita di Giovanni è ridotta a una frase stereotipata (v. 57), la reazione della gente occupa l'intero racconto. Il racconto poi accorda grande importanza non alla circoncisione ma all'imposizione del nome. Il nome esprime la personalità del bambino e indica il disegno di Dio su di lui. L'accento, poi, non va sul significato etimologico del nome (che non viene precisato), ma sul fatto che l'imposizione di un simile nome obbedisce al piano rivelato da Dio a Zaccaria per mezzo dell'angelo.

Il cantico di Zaccaria Il Benedictus canta la fedeltà di Dio che si distende nella storia fino alla venuta del Messia, per mezzo del quale Dio manifesta la sua misericordia e libera il suo popolo dalla schiavitù del peccato. L'inno, dunque, a differenza del Magnificat, è esplicitamente cristologico ed è focalizzato sul Messia più che su Giovanni Battista. Zaccaria ha un duplice ruolo: è il padre del Battista e il rappresentante della speranza escatologica d'Israele. Lo sguardo profetico intreccia i differenti momenti della storia della salvezza: l'opera di Giovanni in riferimento alla promessa di Dio e l'opera di salvezza di Gesù. La novità sostanziale di quanto Zaccaria dice riguarda non tanto la salvezza e la misericordia (temi già annunciati nel Magnificat) quanto la remissione dei peccati (cfr. v. 77), manifestazione della profonda misericordia di Dio (cfr. v. 78). Narrativamente l'inno conduce il lettore alla soglia della nascita del Messia, l'«astro che sorge dall'alto» (v. 78).

La vita del Battista Mentre Zaccaria ed Elisabetta spariscono, il pia- no divino rimane al centro della narrazione. Tuttavia, un tale piano ha un percorso del tutto singolare, ancora fra manifestazione e nascondimento. Come Elisabetta restava nascosta cinque mesi, così Giovanni rimane nel deserto (cfr. v. 80). Ma il narratore mette a parte il lettore della sua futura manifestazione a Israele. Nel capitolo successivo il racconto transita dal Battista a Gesù.


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L’annuncio della risurrezione 1Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. 2Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. 3Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». 4Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. 5Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. 7Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”». 8Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite.

APPENDICE

Le apparizioni del Risorto 9Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. 10Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. 11Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. 12Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. 13Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro. 14Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto.

Il mandato missionario e i segni che accompagneranno quelli che credono 15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Ascensione di Gesù e missione dei discepoli 19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. 20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Approfondimenti

(cf VANGELO SECONDO MARCO – Introduzione, traduzione e commento a cura di Giacomo Perego © Ed. San Paolo, 2011)

L’annuncio della risurrezione La caratterizzazione delle donne è dominata da un vocabolario legato alla morte: le tre discepole comprano olii aromatici per ungere il corpo di Gesù (gesto legato alla sepoltura), i loro discorsi vertono sul «sepolcro» e sulla pietra che ne sigilla l’ingresso. L’immagine tratteggiata nei loro pensieri è quella di un sepolcro sigillato, con all’intemo un cadavere (15,45). Ma la scena che si delinea davanti ai loro occhi è totalmente diversa: la pietra, nonostante le sue dimensioni, è stata rimossa e all’interno del sepolcro non c’è un cadavere ma un giovane; non c’è il corpo senza vita di un uomo disteso e avvolto in una sindone, ma il corpo vivo di un giovane, assiso, avvolto in una veste bianca, che risponde al linguaggio di morte delle donne con un annuncio di risurrezione. Il contrasto è forte. Il giovane consegna alle donne un preciso mandato: esse devono recarsi dai discepoli e annunciare loro che il Ma­ estro li attende in Galilea secondo la promessa di 14,28. A tale mandato le donne rispondono in modo inatteso: invece di recarsi dagli apostoli, escono dal sepolcro dandosi alla foga (immagine che evoca ormai il tipico atteggiamento dei discepoli; cfr. 14,50.52); invece di portare l’annuncio esse si chiudono nel silenzio; invece di essere fortemente confermate nella loro fede, restano scosse da una forte paura. Fuga, silenzio e timore: tre atteggiamenti totalmente inadeguati per chi si propone di essere testimone di una buona notizia. Marco non introduce nella sua narrazione quei fenomeni straordinari destinati a trasformare la scena in una teofania (cfr. il terremoto di Mt 28,2; l’aspetto dell’angelo in Mt 28,3; l’improvvisa apparizione dei due uomini celesti di Lc 24,4). La stessa terminologia esprime più uno stato d’animo negativo di angoscia, che non un timore reverenziale conseguente a una manifestazione divina. Sotto l’ombra della fuga, del silenzio e della paura, le donne – come del resto i discepoli durante la passione – escono di scena come un ulteriore “modello imperfetto” di discepolato da cui il lettore deve guardarsi. Come Pietro in 14,54, anch’esse hanno suscitato un atteggiamento di speranza nel lettore, ma poi lo lasciano deluso. Alla figura della donne si oppone quella del giovane. Marco non porta in scena una figura angelica, ma richiama nella mente del lettore il curioso episodio di 14,51-52. Il nesso è favorito da un gioco di con­trasti: il giovane di 14,51 era avvolto in una sindone, quello di 16,5 è avvolto in una veste bianca; al momento dell’arresto il giovane di 14,51-52 si era dato alla fuga, mentre quello di 16,5 resta assiso all’interno del sepolcro; se la fuga del primo tradiva il timore di essere coinvolto nel destino di passione del Maestro, la posizione, le parole e l’abbigliamento del secondo esprimono il coinvolgimento nella risurrezione; se infine il giovane di 14,51-52 con la sua fuga enfatizzava lo smacco dei discepoli e anticipava quello di Pietro (14,50.54.66-72), l’annuncio di 16,6-7 anticipa la reintegrazione dei discepoli e dello stesso Pietro a cui si rivolge in modo particolare. Dopo la fuga e il silenzio delle donne, il lettore re­ sterà a tu per tu con questo giovane. Egli è l’unica figura che rimane in scena nel momento in cui l’evangelista chiude il suo racconto. Il vangelo di Marco si chiude lasciando sulla scena un solo personaggio: il giovane. L’annuncio che ha affidato alle donne non è stato riferito ma, nonostante ciò, la «buona notizia» ha potuto raggiungere il lettore. Due interrogativi si impongono: come è possibile che, dopo aver insistito tanto sulla fragilità e sul fallimento dei discepoli, Marco concluda il proprio vangelo con un «giovane» che richiama la fuga generale dei discepoli (14,50) e l’immagine della nudità (14,52)? Come ha potuto la buona notizia raggiungere il lettore se le donne, uniche testimoni, l’hanno soffocata sul nascere nel silenzio e nel timore (16,8)? Chiudendo il racconto in questo modo, l’evangelista costringe il lettore a riflet­tere sulle due modalità in cui può sfociare la sequela di Cristo: quella che finisce per soffocare la forza del Vangelo nella paura, nella fuga e nel silenzio o quella di assumere fino in fondo la potenza salvifica del mistero pasquale, varcando lo scandalo della croce e facendo propria la dinamica della risurrezione attestata dal giovane in 16,5-7. Il fatto che l’annuncio del Vangelo abbia raggiunto il lettore attesta che qualcuno alla fine se ne è fatto portavoce riuscendo a compiere tale passaggio, riuscendo, in altri termini, a fare l’esperienza della vera Pasqua.

APPENDICE

La narrazione del Vangelo secondo Marco termina al v. 8. Il vocabolario, lo stile, il contenuto dei vv. dal 9 al 20 rimandano a una mano diversa intervenuta sul racconto probabilmente allo scopo di completare un’opera apparentemente rimasta in sospeso. Nonostante ciò, il testo è riconosciuto come canonico in quanto testimone delle prime generazioni cristiane e spesso ripreso sia nelle citazioni dei Padri sia nella tradizione manoscritta più antica. L’autore di questi versetti pare conoscere molto bene le narrazioni di Lc e Gv, un po’ meno quella di Mt. Rispetto a Mc, egli riprende il tema dell’incredulità e della durezza di cuore dei discepoli ma utilizzando un vocabolario che ha poco a che vedere con la narrazione che precede. Un primo importante tema contenuto in questa “appendice” è quello della proclamazione del Vangelo, che viene presentata non come la trasmissione di un messaggio a cui credere, ma come l’adesione totale di sé a un’esperienza che trasfigura la vita. Non per nulla i segni accompagnano non coloro che «annunciano», ma coloro che «credono»: solo la fede assicura quell’aper­tura che riesce a trasformare il contenuto della predicazione in una esperienza di vita, a cui del resto l’evangelista faceva appello fin dal titolo del suo vangelo (1,1). Un secondo tema è quello dell’universalità dell'annuncio evangelico, nelle cui parole si percepiscono i passi di un Signore, mai stanco di camminare con i suoi sulle strade del mondo. È Lui che agisce in loro, è Lui che consolida la Parola dei discepoli con i segni che la accompagnano, è Lui che continua a fidarsi di uomini increduli e sostanzialmente incapaci consegnando nelle loro mani i tesori del disegno di Dio.


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