📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

PREGHIERA DI UN UOMO TRADITO E UMILIATO 1 Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Maskil. Di Davide.

2 Porgi l'orecchio, Dio, alla mia preghiera, non nasconderti di fronte alla mia supplica.

3 Dammi ascolto e rispondimi; mi agito ansioso e sono sconvolto 4 dalle grida del nemico, dall'oppressione del malvagio.

Mi rovesciano addosso cattiveria e con ira mi aggrediscono.

5 Dentro di me si stringe il mio cuore, piombano su di me terrori di morte.

6 Mi invadono timore e tremore e mi ricopre lo sgomento.

7 Dico: “Chi mi darà ali come di colomba per volare e trovare riposo?

8 Ecco, errando, fuggirei lontano, abiterei nel deserto.

9 In fretta raggiungerei un riparo dalla furia del vento, dalla bufera”.

10 Disperdili, Signore, confondi le loro lingue. Ho visto nella città violenza e discordia:

11 giorno e notte fanno la ronda sulle sue mura; in mezzo ad essa cattiveria e dolore, 12 in mezzo ad essa insidia, e non cessano nelle sue piazze sopruso e inganno.

13 Se mi avesse insultato un nemico, l'avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto.

14 Ma tu, mio compagno, mio intimo amico,

15 legato a me da dolce confidenza! Camminavamo concordi verso la casa di Dio.

16 Li sorprenda improvvisa la morte, scendano vivi negli inferi, perché il male è nelle loro case e nel loro cuore.

17 Io invoco Dio e il Signore mi salva.

18 Di sera, al mattino, a mezzogiorno vivo nell'ansia e sospiro, ma egli ascolta la mia voce;

19 in pace riscatta la mia vita da quelli che mi combattono: sono tanti i miei avversari.

20 Dio ascolterà e li umilierà, egli che domina da sempre; essi non cambiano e non temono Dio.

21 Ognuno ha steso la mano contro i suoi amici, violando i suoi patti.

22 Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell'olio le sue parole, ma sono pugnali sguainati.

23 Affida al Signore il tuo peso ed egli ti sosterrà, mai permetterà che il giusto vacilli.

24 Tu, o Dio, li sprofonderai nella fossa profonda, questi uomini sanguinari e fraudolenti: essi non giungeranno alla metà dei loro giorni. Ma io, Signore, in te confido.

_________________ Note

55,1 Un uomo, prostrato da profonda sofferenza interiore e circondato da pericoli mortali a causa dei molti nemici, rivolge a Dio questa accorata invocazione, ma comprende che solo l’abbandono fiducioso in Dio e la preghiera incessante possono assicurargli salvezza e pace.

55,18 Presso gli Ebrei il giorno inizia con il tramonto del sole (la sera). Il mattino è generalmente inteso come il momento della salvezza e dell’intervento di Dio; il mezzogiorno segna il culmine della giornata e dello splendore del sole.

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Approfondimenti

Calunnia e amicizia tradita Supplica individuale

Il salmo presenta un certo disordine nell'esposizione dei pensieri; l'atmosfera è tesa e agitata. Il tutto sembra rispecchiare il reale stato d'animo del poeta. La lirica, potente e suggestiva per la sua individualità, mostra dei punti di contatto con Geremia (4,19; 9,1-2; 18,19; 23,9) ed esprime un vivo senso dell'amicizia (vv. 14-15). Per lo stile un po' barocco e il lessico aramaizzante il salmo rispecchia l'epoca dell'immediato post-esilio con i problemi e i contrasti interni alla comunità per la ricostruzione della nazione (cfr. Esd e Ne). Domina nel TM per lo più il metro della qînâ (3 + 2 accenti). La simbologia è cosmica, spaziale (urbana), temporale e psicologica. La struttura segue con una certa libertà i classici elementi del genere delle “Suppliche” con la presenza anche della relazione triangolare: “Dio, io (= l'orante), essi (= i nemici)”.

Divisione:

  • vv. 2-4a: appello iniziale;
  • vv. 4b-16: lamentazione;
  • vv. 17-23: motivi di fiducia;
  • v. 24: conclusione.

Il tema del salmo riguarda lo sconvolgimento dell'orante a causa del nemico e dell'empio, che nel v. 14 si dice essere un «amico e confidente».

v. 4a. «al grido... al clamore...»: l'orante si sente sconvolto e assordato dalle grida e urla dei nemici, che ricordano quelli lanciati da popoli invasori.

v. 4b. «Contro di me riversano sventura»: è sottintesa l'immagine di un'inondazione, quasi di un maremoto.

v. 5. «freme...»: alla lett. «si contorce», cfr. Sal 48,7; Prv 17,25; Is 13,8; 21,3; 26,18; Ger 6,24. Si allude alle doglie del parto; «piombano su di me...»: come un peso opprimente che si abbatte irresistibilmente.

v. 7. «Dico: chi mi darà ali...»: inizia il soliloquio evasivo del poeta. Costretto all'inazione, fugge con l'immaginazione. Il desiderio di fuga davanti ai pericoli incombenti è naturale. L'immagine del volo è suggestiva e indica una fuga salvatrice efficace, cfr. Sal 11,1; 84,4.

v. 9. «Riposerei in un luogo di riparo»: il deserto con la sua solitudine è tradizionalmente un luogo di pace.

v. 10a. «Disperdili... confondi le loro lingue»: questa prima maledizione richiama la torre di Babele e la conseguente confusione delle lingue (Gn 11,7-11). Il salmista, seguendo la legge del contrappasso, chiede al Signore di servirsi della confusione delle lingue come a Babele, per distruggere i suoi nemici, essi che si sono serviti del linguaggio in modo distorto, e delle parole come spada sguainata (vv. 13.21-22) per ingannarlo e calunniarlo.

vv. 10b-12. L'orante testimonia i misfatti dei suoi nemici perpetrati in città, dovunque («sulle sue mura,... nelle sue piazze») e di continuo («giorno e notte»). I misfatti elencati sono sette (numero della totalità) e personificati: violenza, contese, iniquità, travaglio, insidie, sopruso e inganno. È difficile accertare nell'originale, il significato esatto dei termini, tuttavia è indubbio che si voglia accennare alla totalità di ogni immoralità, empietà e ingiustizia.

v. 10b. «città»: è molto probabilmente Gerusalemme, dato anche il riferimento al tempio nel v. 15.

v. 14. «Ma sei tu, mio compagno..»: nel soliloquio l'orante profondamente scoraggiato, interpella direttamente l'ex-amico, ora suo nemico, apostrofandolo: «Ma tu, uomo della mia stessa condizione». «mio amico e confidente»: sull'amicizia tradita, cfr. Sal 31,12; 41,10; Ger 12,6; 20,10; Sir 6,6-12; Gb 19,13-19.

v. 15. «ci legava una dolce amicizia... verso la casa di Dio»: il salmista ricorda nostalgicamente i tempi felici dell'amiciza sincera, che comprendeva anche la partecipazione comune ai doveri religiosi, come i probabili pellegrinaggi al tempio.

v. 16. La maledizione del v. 10a si esplicita, diventando più violenta e acquistando i toni funerei. La morte (personalizzata) deve piombare addosso ai nemici improvvisamente, come uno stratagemma, e gli inferi (personalizzati) devono ingoiarli vivi. La morte è immaginata piombare dall'alto come un rapace, e lo šᵉ’ôl dal basso è visto come un drago pronto a inghiottirli. L'imprecazione richiama la maledizione di Mosè sui ribelli Core, Datan e Abiram (Nm 16,30-33).

v. 18. «Di sera, al mattino, a mezzogiorno...»: l'espressione sottolinea la continuità della supplica che avviene tutto il giorno. La scansione temporale: sera, mattino e mezzogiorno è tipicamente ebraica.

v. 20a. «egli che domina da sempre»: lett. «il sedente da sempre». E un titolo di Dio, espresso in forma participiale nel TM, cfr. Sal 74,12. Dio è re e giudice insieme, da sempre e per sempre.

vv. 20b-23. L'orante ricorda ancora le malefatte dei nemici ed esorta se stesso o è esortato ad aver fiducia in Dio (v. 23). I nemici sono descritti fondamentalmente e in generale come ostinati nel male («per essi non c'è conversione») e come empi («non temono Dio») (v. 20b).

v. 22. «Più untuosa del burro... più fluide dell'olio...»: con la duplice immagine del burro e dell'olio il salmista descrive la falsità e l'ipocrisia dei suoi nemici, cfr. Prv 26,23-26.

v. 23. «Getta sul Signore il tuo affanno..»: il versetto è in stile oracolare e allitterato in ebraico; sono possibili due principali interpretazioni: quella psicologica e quella liturgica. Nel primo caso c'è un'autoesortazione. Si ha lo sdoppiamento della personalità del salmista, che in un soliloquio parla al suo “io” esortandolo ad aver fiducia nel Signore. Oppure è possibile che l'orante percepisca una voce interiore con cui Dio si fa sentire nel suo intimo. L'interpretazione liturgica suppone che si tratti di una citazione oracolare. In questo caso un sacerdote o un profeta cultuale esorta con un oracolo il salmista ad aver fiducia in Dio.

v. 24. Questo versetto può considerarsi come risposta all'esortazione del v. 23. E allitterato in alef (cfr. TM). Sono presenti tutti e tre i personaggi del dramma: Dio, i nemici e l'orante. E un versetto ricapitolativo: come imprecazione (v. 24ab), conferma i vv. 10 e 16; come professione di fede del salmista, richiama i vv. 17-19; l'espressione «uomini sanguinari e fraudolenti» rissume le varie caratteristiche dei nemici espresse nel salmo. «li sprofonderai nella tomba»: alla lett. «nel pozzo della fossa». L'espressione equivale a šᵉ’ôl, cfr. v. 16. «alla metà dei loro giorni»: la morte prematura è segno di maledizione e di rigetto da parte di Dio (cfr. Sal 102,25), mentre il morire «sazio di giorni» come i patriarchi e come Giobbe significa benedizione e benevolenza divina (cfr. Lv 18,5; Dt 4,40; 1Re 3,14; Am 5,14; Ez 14,12-21; 18; 33; Gb 42,16-17).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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INVOCAZIONE AL NOME DI DIO 1 Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Maskil. Di Davide. 2 Dopo che gli abitanti di Zif andarono da Saul a dirgli: “Ecco, Davide se ne sta nascosto presso di noi”.

3 Dio, per il tuo nome salvami, per la tua potenza rendimi giustizia.

4 Dio, ascolta la mia preghiera, porgi l'orecchio alle parole della mia bocca,

5 poiché stranieri contro di me sono insorti e prepotenti insidiano la mia vita; non pongono Dio davanti ai loro occhi.

6 Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore sostiene la mia vita.

7 Ricada il male sui miei nemici, nella tua fedeltà annientali.

8 Ti offrirò un sacrificio spontaneo, loderò il tuo nome, Signore, perché è buono;

9 da ogni angoscia egli mi ha liberato e il mio occhio ha guardato dall'alto i miei nemici. _________________ Note

54,1 Considerata come il modello delle lamentazioni, questa supplica procede secondo lo stile che caratterizza tali composizioni nel Salterio: la fiducia in Dio, unica salvezza, non è affievolita dalla malvagità dei potenti, su cui ricade il male compiuto, mentre l’orante riconferma la propria adesione a Dio liberatore.

54,2 Il titolo colloca questo salmo nel contesto dell’episodio narrato in 1Sam 23,14-28.

54,3 Il nome indica Dio stesso (vedi anche v. 8).

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Approfondimenti

Il perfetto modello di supplica Supplica individuale

Il breve salmo contiene in sé tutti gli elementi caratteristici del genere letterario delle “Suppliche individuali”: appello tematico, persecuzione dei nemici, fiducia nell'aiuto di Dio, imprecazione contro i nemici, promessa finale di lode, sicurezza di essere esaudito. Si può perciò considerare un perfetto modello. C'è la presenza del triangolo classico: “Dio, io (= l'orante), essi (= i nemici)”. La simbologia prevalente riguarda il tempo, il corpo, la guerra, e il nome divino. Le circostanze ambientali suggerite dal titolo (v. 2) non sono verificabili nel testo del carme. A livello strutturale c'è un'inclusione con la voce «nome» nei vv. 3 e 8.

Divisione:

  • vv. 3-4: invocazione;
  • vv. 5-9: corpo della supplica.

v. 3. «per il tuo nome»: il salmista ricorre alla potenza del nome divino, cioè a Dio stesso, per essere salvato (cfr. Ger 15,20-21). «rendimi giustizia»: alla lett. «giudicami». È usato il verbo dyn (giudicare), che ha valore giuridico. Da Dio, giudice, l'orante chiede di avere una sentenza favorevole contro i suoi avversari.

v. 5. «gli arroganti... i prepotenti...»: il salmista, che si ritiene giusto, si vede assalito e circondato dai nemici. Questi sono identificati come «arroganti» (zedîm) secondo molti manoscritti, il Targum e il Sal 86,14 quasi identico al nostro versetto. Tuttavia il TM porta zārîm (= estranei, stranieri). «davanti a sé non pongono Dio»: arroganti o estranei che siano, i nemici sono prepotenti, e rifiutano Dio, sfidandolo, cfr. Sal 36,2; 52,8; Is 5,19; Sap 2,1-20.

v. 6. «Ecco, Dio è il mio aiuto»: la frase è nominale. Alla lett. «Ecco, Dio mio aiutante». Il salmista esprime la sua fiducia in Dio. L'«ecco» (hinnēh) indica sorpresa e anche contrapposizione a quanto detto nel v. 5b. Mentre i nemici non pongono Dio davanti a sé, il salmista invece lo ha e confida in lui come suo «aiutante» (‘ōzēr). Stiamo davanti a un altro attributo divino.

v. 7. «Fa' ricadere il male...»: è l'appello imprecatorio secondo la legge del taglione (Dt 19,16-19), con il quale l'orante, qui e altrove, manifesta la sua ansia di giustizia, immedesimandosi nella stessa ottica della giustizia divina, cfr. Abd 15; Sal 7,16-17; 9,16; 35,8; Pr 26,27. «nella tua fedeltà disperdili»: la dispersione invocata consiste nell'annientamento dei nemici.

v. 8. «Di tutto cuore ti offrirò un sacrificio..»: il salmista, sicuro dell'esaudimento, promette di ringraziare il Signore con un sacrificio «di tutto cuore» (alla lett. «spontaneo» nᵉdābâ), cioè fatto con piena libertà e gioia (cfr. Lv 7,16-17; 22,18-21). Questo sacrificio, non prescritto dalla legge, esprime meglio la sua gratitudine (cfr. Sal 51,14).

v. 9. «da ogni angoscia mi hai liberato...»: l'orante vive già nella fede e nella sicura speranza la liberazione ottenuta dal Signore. «e il mio occhio ha sfidato...»: alla lett. «e sui nemici ha guardato il mio occhio»»: cfr. Sal 37,34; 52,8; 59,11; 92,12; 112,8; 118,7). Con questa espressione stereotipata il salmista gusta già il trionfo ottenuto per intervento di Dio sui nemici, che egli vede ora come prostrati ai suoi piedi.

Nel NT il v. 8 è riferito al sacrificio “spontaneo” di Cristo e trova risonanza in Eb 10,9; Gv 10,18

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LA CONDOTTA DEI MALVAGI 1 Al maestro del coro. Su “Macalàt”. Maskil. Di Davide.

2 Lo stolto pensa: “Dio non c'è”. Sono corrotti, fanno cose abominevoli: non c'è chi agisca bene.

3 Dio dal cielo si china sui figli dell'uomo per vedere se c'è un uomo saggio, uno che cerchi Dio.

4 Sono tutti traviati, tutti corrotti; non c'è chi agisca bene, neppure uno.

5 Non impareranno dunque tutti i malfattori che divorano il mio popolo come il pane e non invocano Dio?

6 Ecco, hanno tremato di spavento là dove non c'era da tremare. Sì, Dio ha disperso le ossa degli aggressori, sono confusi perché Dio li ha respinti.

7 Chi manderà da Sion la salvezza d'Israele? Quando Dio ristabilirà la sorte del suo popolo, esulterà Giacobbe e gioirà Israele.

_________________ Note

53,1 Simile al Sal 14, dal quale differisce per qualche variante (vedi il v. 6 e 14,5-6 ), questa composizione di stile sapienziale ripropone la condanna che Dio riserva a chi pensa di sottrarsi alla sua presenza per compiere il male e agire con perfidia.

53,1 Macalàt: termine che ricorre anche in Sal 88,1; potrebbe indicare la tonalità di una melodia particolare (in Gen 28,9 compare come nome di persona).

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Approfondimenti

Dio c'è: difende i giusti e condanna i corrotti Salmo di requisitoria

Questo salmo è quasi sostanzialmente identico al Sal 14, che oggi si ritiene essere più antico. Si dice generalmente che il Salmo 53 sia la versione “Elohista” del Sal 14 “Jahvista”. Ma si tratta probabilmente secondo molti studiosi di due recensioni dello stesso salmo, di cui non si conosce il testo originario. Per qualcuno, il Sal 53 sarebbe l'edizione “settentrionale” (regno del Nord), mentre il Sal 14 quella “meridionale” (regno del Sud).

La differenza maggiore, oltre quella del titolo tra i due salmi, sta nell'oracolo centrale che essi contengono. Nell'oracolo di Sal 14, 5-6 sembra che Dio si preoccupi più del povero. Egli infatti provvede a proteggerlo, dimostrando così che veramente esiste, in risposta allo stolto del v. 1. Nel Sal 53, 6 invece Dio dimostra il suo “esserci per..” con la certezza del suo inappellabile giudizio contro gli empi.

Un'altra piccola differenza sta nei versetti finali dei due rispettivi salmi. Nel Sal 14,7 si parla di «salvezza» (yᵉšû‘āh) al singolare, mentre nel Sal 53,7 c'è «salvezze» (yᵉšû‘ôt) al plurale, significandovi vari “gesti di salvezza” così come in Gdc 5, 11 si trova «giustizie» (ṣidqôt) che indica gli atti concreti di giustizia. Per il commento vedi Sal 14.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LA SORTE DEL PREPOTENTE 1 Al maestro del coro. Maskil. Di Davide. 2 Quando l'idumeo Doeg andò da Saul per informarlo e dirgli: “Davide è entrato in casa di Achimèlec”.

3 Perché ti vanti del male, o prepotente? Dio è fedele ogni giorno.

4 Tu escogiti insidie; la tua lingua è come lama affilata, o artefice d'inganni!

5 Tu ami il male invece del bene, la menzogna invece della giustizia.

6 Tu ami ogni parola che distrugge, o lingua d'inganno.

7 Perciò Dio ti demolirà per sempre, ti spezzerà e ti strapperà dalla tenda e ti sradicherà dalla terra dei viventi.

8 I giusti vedranno e avranno timore e di lui rideranno:

9 “Ecco l'uomo che non ha posto Dio come sua fortezza, ma ha confidato nella sua grande ricchezza e si è fatto forte delle sue insidie”.

10 Ma io, come olivo verdeggiante nella casa di Dio, confido nella fedeltà di Dio in eterno e per sempre.

11 Voglio renderti grazie in eterno per quanto hai operato; spero nel tuo nome, perché è buono, davanti ai tuoi fedeli.

_________________ Note

52,1 Lo sfondo di questa requisitoria, caratteristico della letteratura sapienziale, è l’opposizione tra l’agire del malvagio, che porta alla condanna e alla morte, e l’agire del giusto, che conduce alla pace, alla serenità e alla gioia.

52,2 L’episodio è narrato in 1Sam 21,8; 22,6-23.

52,7 La tenda può essere intesa come il recinto del tempio o come la dimora terrena dell’uomo.

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Approfondimenti

Rimprovero all'uomo menzognero Salmo di requisitoria (+ motivi di lamentazione, sapienziali e liturgici)

Riecheggia il Sal 1 per la contrapposizione tra il malvagio e il giusto. Il malvagio è rimproverato per il suo cattivo uso della lingua che ordisce inganni e iniquità ai danni del giusto. Alla base del salmo è supposta la dottrina della retribuzione terrena. Lo stile è vivace, e sarcastico, simile a quello dei profeti dell'immediato pre-esilio. L'autore adopera il parallelismo sintetico e climatico (progressivo). Il metro nel TM è quello della qînâ (3 + 2 accenti). La simbologia è spazio-temporale, giudiziale, militare, agricola e liturgica.

Divisione:

  • vv. 3-6: requisitoria contro l'empio;
  • vv. 7-9: Dio e i giusti contro l'empio;
  • vv. 10-11: descrizione dell'orante fedele (= il giusto).

v. 4. «come lama affilata...»: la simbologia è militare. Per l'immagine della lingua, come lama di una spada o di un rasoio, vista come strumento di male cfr. Is 7,20; Ger 9,2.7; 36,23; Ez 5,1; Sal 7,13; 9-10,28; 35,20; 55,22; 57,5; 64,4.

v. 7. «ti demolirà... ti spezzerà e ti strapperà... ti sradicherà..»: la sequenza di quattro verbi che indicano distruzione dà vigore alla punizione divina, davvero radicale.

v. 8. «di lui rideranno»: per una simile reazione davanti alla giusta punizione di Dio dell'empio insolente, cfr. Sal 2,4-5; 37,13.

v. 10. «come olivo verdeggiante nella casa di Dio.». l'olivo, con l'olio che ne deriva, è segno di vita e di abbondanza. Il salmista stando nel tempio attingerà dal Signore la sua vita in pienezza e crescerà lussureggiante come un olivo, cfr. Ger 11,16; Os 14,7; Sal 128,3; Gb 15,33. Nel Sal 92, 13 il giusto è paragonato a una palma e a un cedro del Libano...

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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SALMO DI PENTIMENTO 1 Al maestro del coro. Salmo. Di Davide. 2 Quando il profeta Natan andò da lui, che era andato con Betsabea.

3 Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.

4 Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro.

5 Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

6 Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto: così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio.

7 Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre.

8 Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza.

9 Aspergimi con rami d'issòpo e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve.

10 Fammi sentire gioia e letizia: esulteranno le ossa che hai spezzato.

11 Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe.

12 Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.

13 Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito.

14 Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso.

15 Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.

16 Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza: la mia lingua esalterà la tua giustizia.

17 Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode.

18 Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti.

19 Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.

20 Nella tua bontà fa' grazia a Sion, ricostruisci le mura di Gerusalemme.

21 Allora gradirai i sacrifici legittimi, l'olocausto e l'intera oblazione; allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.

_________________ Note

51,1 Grande supplica a Dio per il perdono, che la tradizione cristiana colloca tra i sette “salmi penitenziali” (vedi Sal 6). Ha il suo contesto nella liturgia penitenziale, celebrata nel tempio, che consisteva in accusa dei peccati, richiesta di perdono e offerta di un sacrificio di ringraziamento. Il titolo posto all’inizio (v. 1) attribuisce questo salmo al re Davide, pentito per aver peccato con Betsabea (2Sam 11-12), ma la sua composizione è forse da collocare in epoca più tardiva (forse nel VI sec.). I vv. 20-21 costituiscono probabilmente un’aggiunta posteriore, ambientata nel contesto della ricostruzione di Gerusalemme e del suo tempio, dopo l’esilio babilonese.

51,7 nella colpa io sono nato: allusione alla generale corruzione dell’uomo (vedi anche Gb 14,4).

51,9 issòpo: pianta aromatica, veniva usata per le aspersioni nei riti di purificazione.

51,16 sangue: designa qui ogni genere di violenza, ma anche delitto e morte.

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Approfondimenti

Dio perdona e ricrea l’uomo pentito Supplica individuale

Il Sal 51 è il più conosciuto e più vibrante dei sette salmi penitenziali. Tocca le corde più intime dell'uomo scoprendolo nella sua fragilità, e sulla scia della religione interiore dei profeti (cfr. Geremia, Ezechiele) raggiunge le sfere più alte della rivelazione dell'AT. Per alcuni, al posto che occupa attualmente nel Salterio, costituisce il secondo atto di una liturgia penitenziale (confessione della colpa e richiesta di perdono), mentre il Sal 50, che lo precede, fa da primo momento (l'accusa). L'intera liturgia penitenziale, inoltre, potrebbe essere completata da un oracolo di assoluzione come quello di Ez 36,25-28.

Una lettura postuma attualizzante ha attribuito questo salmo al peccato di Davide e alla sua confessione (v. 2). La simbologia ricorrente nel carme è quella del peccato, catartica, spaziale, somatica e liturgica. Il carme mostra nella stesura ultima di aver subito l'influsso determinante del profetismo, specialmente di Geremia e di Ezechiele. A livello di struttura originaria il salmo termina con il v. 19, che è chiaramente un versetto di sintesi, tipico di una finale, e avente in sé cinque delle sette parole, di cui è composto, ricorrenti nel corpo. Perciò i vv. 20-21 risultano, anche per questo, chiaramente un'aggiunta, oltre che per il contenuto che rispecchia la situazione del postesilio.

Il carme, in cui si contano ben 17 imperativi rivolti a Dio, mostra alcune somiglianze con i Sal 6; 32; 38; 40; 130, ma anche delle caratteristiche proprie che lo distinguono. Se, per esempio, il Sal 32 riguarda la teologia del peccato, il Sal 51 riguarda la teologia del peccatore, perché mira di più al cuore, all'intimo, alla sua angoscia mortale, insieme alla sua volontà di rinnovarsi nella grazia.

Le qualità letterarie e poetiche del carme sono generalmente discrete, dato che il contenuto ha preso il sopravvento sul vigore delle espressioni.

Il salmo si divide tematicamente in due grandi parti: vv. 3-11 (regno del peccato) e vv. 12-19 (regno della grazia).

I vv. 3-11, racchiusi da un'inclusione, sono a struttura concentrica avente per centro il v. 6b (Dio «giusto» e giudice). Vi si incontra per sei volte la radice verbale ḥṭh (peccare) nei vv. 4.5.6.7.9.11, e altre sei volte vocaboli sinonimi di «peccato», come peša‘, ra‘, ‘āwôn nei vv. 3.45.6.7.11. Così il simbolismo numerico del numero «6» (= imperfezione) e del numero «12» (6 + 6) (= pienezza) indica una totalità, una pienezza di imperfezione. Il peccato quindi è visto come presenza ossessiva che travolge l'uomo nel profondo del suo essere.

La seconda parte è introdotta dal v. 12 che segna una forte cesura con la precedente, introducendo il verbo «creare» (br‘). I vv. 12-19 sono costituiti da due microunità, di cui l'una è data dai vv. 12-14 e l'altra dai vv. 15-19. A queste due parti si aggiunge l'attualizzazione finale liturgica post-esilica dei vv. 20-21.

Divisione:

  • vv. 3-11 (I parte): regno del peccato;
  • vv. 12-12 (Il parte): regno della grazia;
  • vv. 20-21: aggiunta liturgica nazionale.

vv. 3-11. Questa parte si può suddividere in:

  • vv. 3-4: appello di purificazione;
  • vv. 5-8: motivazione dell'appello: riconoscimento dei peccati;
  • vv. 9-11: supplica di purificazione.

v. 3. «Pietà di me...»: è il primo grido di aiuto, espressione dell'angoscia del cuore umano. Così iniziano anche i Sal 56; 57. «secondo la tua misericordia»: la richiesta del perdono si basa sull'immagine di Dio misericordioso, cfr. Es 34,6-7. «Misericordia» (ḥesed) è uno dei vocaboli fondamentali dell'alleanza. «nella tua grande bontà»: la voce «bontà» (raḥamîm) richiama le «viscere» materne, simbolo di amore istintivo e totale. Il vocabolo in Es 34,6 e in molti salmi sta accanto a ḥesed. È un antropomorfismo molto ardito che unito a quello paterno di Os 11,1.4 getta luce sull'amore tenero, ma anche forte e appassionato, di Dio. «cancella»: il verbo ebraico mḥh (cancellare), qui adoperato, indica sia «cancellazione» materiale di uno scritto giudiziario o commerciale (Es 32,32-33; Nm 5,23), sia cancellazione ideale di un nome (Es 17,14; Dt 9,14); cfr. Is 43,25; 44,22. «il mio peccato»: il vocabolo ebraico peša‘ sottintende l'immagine di ribellione di un vassallo nei riguardi del suo sovrano (cfr. 2Re 3,4-5), perciò indica rivolta dell'uomo contro Dio (Ger 3,20; Is 1,20; 50,5).

v. 4. «colpe»: «colpa» (‘āwôn) dal verbo ‘wh (=torcere) indica una deviazione tortuosa, anzi in senso opposto alla meta, un'inversione da ciò che è bene. Perciò la conversione è descritta come un «ritornare indietro» (šwb). «mondami»: il verbo ṭhr (= mondare) sottintende l'immagine di splendore ecclissato dallo sporco e reso di nuovo tale con una pulizia fisica (Ml 3,3a). «dal mio peccato»: la voce «peccato» (ḥaṭṭā’t) dal verbo ḥt’ (= sbagliarsi) significa «mancare il bersaglio» (cfr. Gdc 20,16) e in senso traslato «trasgredire, andare fuori strada» (cfr. Prv 19,2), un «errare» dell’uomo lontano da Dio.

v. 5. «Riconosco la mia colpa»: lett. «Perché le mie trasgressioni io riconosco». È la motivazione della richiesta di perdono dei vv. 3-4. Il riconoscimento leale e sincero dei propri peccati e la condizione previa per ottenere il perdono. «il mio peccato mi sta sempre dinanzi»: cfr. Sal 38,18. Il peccato è personalizzato. Esso è il vero nemico del salmista. Lo tiene in assedio (ctr. Sal 17,11-12; 22,13-14). A differenza delle altre “Suppliche individuali”, ove i nemici sono personaggi esterni o le stesse malattie, qui il peccato è un nemico interno all'uomo.

v. 6. «Contro di te, contro te solo...»: si ribadisce con insistenza che il peccato è in fondo sempre contro Dio, anche quando immediatamente ha per oggetto il prossimo. «perciò sei giusto quando parli...»: il salmista riconosce onestamente la giustizia di Dio quando emette la sua sentenza e quindi castiga (cfr. Ez 28,22; Sir 36,4). Riconosce che se Dio lo punisce per i suoi peccati agisce secondo giustizia, ma spera di essere perdonato per la sua misericordia.

v. 7. «Ecco, nella colpa..»: attraverso il merismo della concezione e della nascita si esprime l'intera esistenza che da esse scaturisce come da una sorgente. Il salmista così vuole esprimere la radicalità della condizione di peccato nell'uomo. Esso è come un suo fedele compagno di viaggio. Lo segue dalla concezione fino all'ultimo respiro. Più che come attenuante il versetto è da vedersi come presa d'atto della propria fragilità, che fa aumentare la fiducia nel perdono, cfr. Sal 22. È da escludersi nettamente, perché estranea alla Bibbia, la concezione della peccaminosità legata al processo della generazione.

v. 8. «Ma tu vuoi la sincerità del cuore..»: alla lett. «Ecco sincerità vuoi nell'intimo». Il versetto, di afflato sapienziale, inizia come il precedente con «Ecco» (hēn) e ribadisce e ne sviluppa il pensiero. Si sottolinea che la «verità» profonda, totale, sulla propria colpevolezza e peccaminosità, come l'ha espressa il salmista, è gradita al Signore ed è dono della sapienza di Dio.

v. 9. «issopo»: pianta aromatica usata dagli Ebrei per i riti di purificazione (Lv 14,4.6: caso di lebbra) e generalmente nei sacrifici espiatori (Nm 19,6.18). Esso è connesso in particolare con il rito dell'agnello pasquale (Es 12,22) e con l'alleanza del Sinai (Es 24,8). L'issopo è un simbolo catartico anche nella cultura antica extrabiblica. «più bianco della neve»: cfr. Is 1,18. La metafora della neve è suggestiva per l'abitante della Palestina, che immesso in un panorama torrido e brullo e per di più accecato dal sole, ammira estasiato la neve del Monte Ermon, del Libano e quella che d'inverno cade a volte anche a Gerusalemme. Spesso l'immagine è usata nella Bibbia simbolicamente per il suo candore e le sue qualità, cfr. Sal 147,16; Sir 43,18.

v. 10. «Fammi sentire gioia e letizia...»: si accenna al giubilo (tᵉrû‘â). Il versetto anticipa la seconda parte del salmo, gli effetti del perdono, il regno della grazia. «esulteranno le ossa..»: l'immagine è segno della gioia profonda che coinvolgerà la persona fin nel suo intimo, fin nel profondo delle ossa (cfr. Is 66,14).  v. 11. «Distogli lo sguardo...»: con un forte antropomorfismo il salmista chiede al Signore di allontanare il suo sguardo indagatore e punitivo da tutti i suoi peccati (cfr. Sal 11,4; 14,2; 33,13-15; 53,3; 139). Il volto e lo sguardo di Dio sono considerati sia fonte di collera e di terrore (come qui e Sal 38,2; 90,8), sia fonte di pace e di gioia (Sal 13,2). Nel testo ebraico il versetto è costruito chiasticamente.

v. 12. «Crea»: è usato qui il verbo tecnico «creare» (br’) adoperato nella Bibbia per la creazione, che ha come soggetto sempre Dio (Gn 1,1; Is 48,7; Sal 104,30; 148,5; ecc.). Il salmista chiede al Signore di purificarlo, facendolo diventare nuova creatura, con una trasformazione profonda del cuore e con uno “spirito” saldo, perseverante nel bene e che lo tenga lontano da future cadute, stretto e saldo a lui e fedele alla sua alleanza (Sal 143,10). «cuore... spirito»: questi elementi appartengono alla categoria della nuova alleanza (Ger 24,7; 31,33; 32,39; Ez 36,25-27).

v. 13. «Non respingermi dalla tua presenza»: non si tratta di contraddizione rispetto al v. 11. Lì il salmista supplica il Signore di non guardare i suoi peccati, qui di non allontanarlo. Dio è supplicato di stare lontano dal peccato, ma vicino al peccatore! Lì teme la giustizia divina, qui desidera la sua misericordia. «tuo santo spirito»: lo spirito di Dio è spirito di santità, di separazione da tutto ciò che è profano. Come l'uomo ricevette l'alito, soffio di vita (Gn 2,7; 7,22; Nm 27,16), così il salmista chiede a Dio di conservargli questo respiro (spirito) che lo faccia vivere nell'ambito della sua santità. «non privarmi»: l'aggiunta dell'aggettivo «santo» a «spirito» suppone che l'orante lo possiede e che lo può perdere, perciò non si tratta del puro vivere o esistere, ma di qualcosa in più, di un dono di Dio, che fa vivere in un modo particolare. Lo stesso concetto è indicato con altre espressioni simili come «respingere dal suo volto» (Sal 27,9; 71,9; Is 59,2; Ger 7,15; Gb 3,4).

v. 14. «uno spirito saldo»: alla lettera «uno spirito di generosità» (rûaḥ nᵉdîbāh). Si tratta dello spirito di iniziativa, di dinamismo nuovo, di impulso interiore, che spinge a compiere con generosità e non per forza le azioni di salvato, che il cuore e la mente suggeriscono. L'espressione ricorre in Sal 143,10, ove, quasi personificato, lo spirito accompagna il convertito a essere retto e docile al divino volere.

v. 15. «Insegnerò...»: è la promessa dell'impegno dell'orante, come di regola nel finale delle “Suppliche”. L'impegno del fedele è in primo luogo di carattere missionario. Il salmista, che ha sperimentato l'amore misericordioso di Dio, si trasforma in testimone di amore per la conversione dei peccatori a Dio, insegnando i suoi comandamenti, quella sapienza che gli è stata conculcata.

v. 16. «Liberami dal sangue»: alla lett. «Liberami dai sangui! (pl.)». Le interpretazioni sono diverse. Non si tratta qui di “liberare/prevenire dal commettere” qualcosa, ma di “liberare da.../perdonare” il peccato già commesso. Qui è usata la voce «sangue» al plurale (dammîm) che significa in senso proprio omicidio e in senso lato ogni genere di violenza. Nell'interpretazione davidica del salmo (cfr. titolo) si fa riferimento all'omicidio di Uria (2Sam 12,9.13) e alla pena che comportava. Davide chiede allora di esserne liberato. Alcuni pensano all'idea di morte connessa al «sangue» (cfr. Sal 30,10; Gb 16,18; Prv 1,18). Nel caso, il salmista chiede la salvezza dalla morte prematura, segno della giustizia retributiva di Dio per il peccato, e chiede il perdono e la liberazione secondo lo stile delle “Suppliche” (cfr. 6,5; 13,4; 22,21; 30,10; 94,17; 115,17). Più probabilmente, con questo appello, il salmista chiede per l'ultima volta di essere perdonato dal suo peccato e dalle conseguenze, che comportano una morte spirituale che precede la morte fisica, e tra di esse l'esclusione dalla lode comunitaria, perché nel regno dei morti non si può lodare Dio (Sal 6,6; 88,11-13; Is 38,18; Bar 2,17; Sir 17,22). Egli invece vuole «esaltare la giustizia di Dio» in questa vita.

vv. 18-19. «poiché non gradisci il sacrificio…» la lode, alla fine delle “Suppliche”, si trasforma in ringraziamento, ma l'orante in questi versetti non intende offrire un sacrificio cruento rituale di ringraziamento (che giudica non gradito al Signore: cfr. Sal 50,8-13), ma, nella scia dei profeti (Is 56,2.4), il suo «spirito contrito» e il suo «cuore affranto e umiliato».

vv. 20-21. Questi versetti sono attualizzazione del carme. Aggiunti alla fine dell'esilio o poco dopo il ritorno, applicano a tutta la nazione la situazione del salmo. L'esilio è visto come tempo di penitenza del popolo d'Israele dal «cuore pentito». Scontato perciò il peccato, ora, dopo il ritorno, può riprendere il culto a Dio in Sion, con il tempio e la città ricostruita, secondo lo spirito della profezia (Sal 102,14; 147,2; Ger 31,38; Is 26,1; 33,20; 62,6).L'allusione alle mura fa pensare all'epoca di Neemia (cfr. Ne 2, 17-20).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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IL VERO CULTO 1 Salmo. Di Asaf.

Parla il Signore, Dio degli dèi, convoca la terra da oriente a occidente.

2 Da Sion, bellezza perfetta, Dio risplende.

3 Viene il nostro Dio e non sta in silenzio; davanti a lui un fuoco divorante, intorno a lui si scatena la tempesta.

4 Convoca il cielo dall'alto e la terra per giudicare il suo popolo:

5 “Davanti a me riunite i miei fedeli, che hanno stabilito con me l'alleanza offrendo un sacrificio”.

6 I cieli annunciano la sua giustizia: è Dio che giudica.

7 “Ascolta, popolo mio, voglio parlare, testimonierò contro di te, Israele! Io sono Dio, il tuo Dio!

8 Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici, i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti.

9 Non prenderò vitelli dalla tua casa né capri dai tuoi ovili.

10 Sono mie tutte le bestie della foresta, animali a migliaia sui monti.

11 Conosco tutti gli uccelli del cielo, è mio ciò che si muove nella campagna.

12 Se avessi fame, non te lo direi: mio è il mondo e quanto contiene.

13 Mangerò forse la carne dei tori? Berrò forse il sangue dei capri?

14 Offri a Dio come sacrificio la lode e sciogli all'Altissimo i tuoi voti;

15 invocami nel giorno dell'angoscia: ti libererò e tu mi darai gloria”.

16 Al malvagio Dio dice: “Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza,

17 tu che hai in odio la disciplina e le mie parole ti getti alle spalle?

18 Se vedi un ladro, corri con lui e degli adùlteri ti fai compagno.

19 Abbandoni la tua bocca al male e la tua lingua trama inganni.

20 Ti siedi, parli contro il tuo fratello, getti fango contro il figlio di tua madre.

21 Hai fatto questo e io dovrei tacere? Forse credevi che io fossi come te! Ti rimprovero: pongo davanti a te la mia accusa.

22 Capite questo, voi che dimenticate Dio, perché non vi afferri per sbranarvi e nessuno vi salvi.

23 Chi offre la lode in sacrificio, questi mi onora; a chi cammina per la retta via mostrerò la salvezza di Dio”.

_________________ Note

50,1 Concepito come un giudizio che Dio pronuncia contro il suo popolo, il Sal 50 fa eco al richiamo dei profeti a ricercare il vero culto gradito al Signore. Vengono elencati i diversi sacrifici, con i molti animali offerti dal popolo durante il culto. Dio non ha bisogno di nutrirsi (come era convinzione diffusa presso gli antichi nei confronti delle loro divinità), ma desidera un culto che trasformi il comportamento dell’uomo.

50,1 Asaf: era uno dei capi cantori del tempio di Gerusalemme (1Cr 16,5).

50,8 olocausti: sacrifici in cui la vittima veniva completamente bruciata dal fuoco.

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Approfondimenti

Il culto interiore e la carità Salmo di requisitoria

Il salmo risente della polemica antiritualista dei profeti riformatori dell'VIII sec. a.C. (Amos, Osea, Isaia, Michea). Il messaggio di questo salmo sarà più sviluppato nel Sal 51, di cui sembra essere il primo momento di una grande liturgia penitenziale, ma cfr. anche i Sal 15; 26; 40. Strutturalmente il carme si basa sulla requisitoria profetica (rîb) (cfr. Is 3,13-15; 5,3-4; Os 4, Mic 6, 1-8). La cornice è liturgica (cfr. vv. 1-6). Il metro nel TM è di 3 + 3 accenti in distici appaiati. La simbologia è liturgica, giuridico-processuale, morale, spaziale (cosmica), oracolare, antropomorfica.

Divisione:

  • vv. 1-6: teofania;
  • vv. 7-23: requisitoria.

vv. 1-6. Come una volta sul Monte Sinai (Es 19,16-19; 24,15-17), così ora il Signore nel tempio, in una teofania dallo scenario grandioso come allora, convocando cielo e terra come testimoni (v. 4) (cfr. Is 1,2; Mic 1,2), vuole giudicare (v. 6) il suo popolo unito a lui con il patto di alleanza (v. 5).

v. 1. «Dio degli dei»; è un titolo arcaizzante di Dio con valore di superlativo. È conosciuto a Ugarit.

v. 6. «Il cielo annunzi la sua giustizia..»: il cielo, personificato, è incaricato di annunziare già in anticipo la giustizia di Dio, la sua fedeltà all'alleanza e la legittimità di intentare il processo contro il suo popolo. Egli presenta quindi anche Dio stesso che come giudice entra in tribunale.

vv. 7-23. Requisitoria che si divide in due momenti: vv. 7-15 e 16-23. Nel primo (vv. 7-15) Dio contesta al suo popolo l'inutilità dei sacrifici e nel secondo (vv. 16-23) la violazione del suo decalogo.

v. 7. «Io sono Dio, il tuo Dio»: è l'autopresentazione di Dio con cui inizia il decalogo (cfr. Es 20,2; Dt 5,6) e ritorna spesso nella Bibbia (cfr. Lv 19,2.3.4; Sal 81,11). È chiamata “formula dell'alleanza”.

v. 9. «Non prenderò..»: cfr. Is 1,11-17; Ger 6,20; 7,21-22; Os 6,6; Am 5,21-27; Mic 6,6-8. Non si esprime qui il rigetto assoluto degli atti di culto, ma di quelli senz'anima, frutto solo di ipocrisia e non sostenuti dalla vita intemerata.

v. 14. «Offri a Dio un sacrificio di lode..»: è il sacrifico di ringraziamento (tôdâ), che comportava anche un banchetto sacro offerto a Dio e ai fratelli (Lv 7,12-15). Non si tratta della scelta di un tipo di sacrificio al posto di un altro, ma di un sacrificio sostenuto dalla pratica dei comandamenti (= retta via) (v. 23).

vv. 18-20. «Se vedi un ladro...»: si enumerano solo tre comandamenti a mo' di esempio, cfr. Ger 7,9; Os 4,2.

v. 21. «credevi ch'io fossi come te!»: Dio mette in guardia contro la tentazione dell'uomo di fabbricarsi un “dio” a modo suo, compiacente e addirittura complice del male.

v. 23. «Chi offre un sacrifico di lode...»: Dio mostra la sua salvezza a chi autentica il sacrificio di ringraziamento e di lode con la retta condotta di vita (cfr. Sal 51,18-19; Dn 3,39-40).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LA RICCHEZZA NON PRESERVA DALLA MORTE 1 Al maestro del coro. Dei figli di Core. Salmo.

2 Ascoltate questo, popoli tutti, porgete l'orecchio, voi tutti abitanti del mondo,

3 voi, gente del popolo e nobili, ricchi e poveri insieme.

4 La mia bocca dice cose sapienti, il mio cuore medita con discernimento.

5 Porgerò l'orecchio a un proverbio, esporrò sulla cetra il mio enigma.

6 Perché dovrò temere nei giorni del male, quando mi circonda la malizia di quelli che mi fanno inciampare?

7 Essi confidano nella loro forza, si vantano della loro grande ricchezza.

8 Certo, l'uomo non può riscattare se stesso né pagare a Dio il proprio prezzo.

9 Troppo caro sarebbe il riscatto di una vita: non sarà mai sufficiente

10 per vivere senza fine e non vedere la fossa.

11 Vedrai infatti morire i sapienti; periranno insieme lo stolto e l'insensato e lasceranno ad altri le loro ricchezze.

12 Il sepolcro sarà loro eterna dimora, loro tenda di generazione in generazione: eppure a terre hanno dato il proprio nome.

13 Ma nella prosperità l'uomo non dura: è simile alle bestie che muoiono.

14 Questa è la via di chi confida in se stesso, la fine di chi si compiace dei propri discorsi.

15 Come pecore sono destinati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà di loro ogni traccia, gli inferi saranno la loro dimora.

16 Certo, Dio riscatterà la mia vita, mi strapperà dalla mano degli inferi.

17 Non temere se un uomo arricchisce, se aumenta la gloria della sua casa.

18 Quando muore, infatti, con sé non porta nulla né scende con lui la sua gloria.

19 Anche se da vivo benediceva se stesso: “Si congratuleranno, perché ti è andata bene”,

20 andrà con la generazione dei suoi padri, che non vedranno mai più la luce.

21 Nella prosperità l'uomo non comprende, è simile alle bestie che muoiono.

_________________ Note

49,1 Sulla scia del Sal 37, questa meditazione si ispira alla riflessione sapienziale, che guida l’uomo a una più profonda conoscenza di sé e a una valutazione dei beni e delle ricchezze alla luce di Dio e della sua parola. Sullo sfondo sta la realtà della morte, che fa da severo ammonimento al ricco e al superbo, rendendo illusori il successo e la prosperità

49,15 inferi: il regno dei morti, l'ultima dimora dell'uomo. Vedi Sal 6,6 e nota relativa.

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Approfondimenti

Il Signore riscatta dalla morte Salmo sapienziale

Il salmo è simile per tema ai Sal 37 e 73. Il versetto-antifona che si ripete identico nei vv. 13 e 21 divide il salmo in due sezioni. Esso è strutturato chiasticamente secondo lo schema di A:B=B:A' (temere-šᵉôl=šᵉôl-temere). Il TM del salmo è abbastanza corrotto, ma non tale da comprometterne il senso. Il campo semantico simbolico è somatico, teriomorfo ed escatologico.

Divisione:

  • vv. 2-5: introduzione e autopresentazione del salmista;
  • vv. 6-12: I parte;
  • v. 13: ritornello-antifona;
  • vv. 14-20: II parte;
  • v. 21: ritornello-antifona.

v. 5. «porgerò l'orecchio..»: da chi ascolta l'orante il proverbio? È probabile che si voglia alludere al dono dell'ispirazione, dato che l'espressione ha spesso Dio come soggetto parlante (Sal 17,6; 31,3; 71,2; 86,1; 88,3; 102,3; 116,2). Il salmista ascolta, per poi “spiegare” sulla cetra, cioè attraverso un canto accompagnato dalla cetra com'e il salmo, le cose udite. «proverbio»: il termine classico (masal) sapienziale ha una vasta gamma di significati, come “aforisma, proverbio, massima...”, ma qui, supponendo come soggetto parlante Dio, si tratta probabilmente di un messaggio soprannaturale, di un vero e proprio oracolo. «sulla cetra»: l'accompagnamento dello strumento musicale quale la cetra richiama lo stile degli antichi rapsodi e suppone l'ambiente liturgico di destinazione del messaggio.

vv. 6-12. Prendendo spunto dalla sua esperienza personale, il salmista, che si vede circondato dalla malizia dei malvagi, esorta e incoraggia se stesso e gli altri, al pensiero che tutti moriranno (i malvagi, i sapienti, gli stolti e gli insensati), perché nessuno può comprarsi con il prezzo o il riscatto la vita senza fine (vv. 9-10). Questa parte si divide in: vv. 6-9, ove prevale il «temere» e in vv. 10-12, ove prevale l'immagine della morte (šᵉôl).

v. 8. «Nessuno può riscattare se stesso...»: è un'amara constatazione. Nessuno può pagare il prezzo del riscatto per sospendere o commutare la pena della morte, cui tutti sono condannati (Gn 3,19). Niente potrà bastare (v. 9). Sulla possibilità del «riscatto» nella Bibbia, cfr. Es 13,13-16; 21,30-31; 34,20; Nm 3,49; 18,15-17.

v. 13. Questo ritornello sottolinea amaramente la stoltezza di chi, abbagliato dalle ricchezze, non comprende questa verità: la morte è il destino dell'uomo come degli animali.

vv. 14-20. Si ribadisce la verità della morte dei vv. 10-13, descrivendola con altri dettagli, per poi di nuovo esortare a non temere l'ingiustizia; infatti la morte sarà uguale per tutti e chi muore «con sé non porta nulla» (v. 18). Tuttavia Dio può riscattare il giusto, come il salmista, e strapparlo dalle mani della morte (v. 16).

v. 15. «Come pecore sono avviate...»: il versetto è corrotto. La morte è vista personificata come un pastore che guida il gregge verso la tomba.

v. 16. «Ma Dio potrà riscattarmi..»: cfr. v. 8. Se l'uomo non può riscattarsi da se stesso dalla morte (vv. 8-10), lo può Dio per i suoi fedeli e per chi, come il salmista, spera in lui, cfr. Sal 16,9-10.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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IL MONTE SION, DIMORA DEL SIGNORE 1 Cantico. Salmo. Dei figli di Core.

2 Grande è il Signore e degno di ogni lode nella città del nostro Dio.

La tua santa montagna, 3altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Il monte Sion, vera dimora divina, è la capitale del grande re.

4 Dio nei suoi palazzi un baluardo si è dimostrato.

5 Ecco, i re si erano alleati, avanzavano insieme.

6 Essi hanno visto: atterriti, presi dal panico, sono fuggiti.

7 Là uno sgomento li ha colti, doglie come di partoriente,

8 simile al vento orientale, che squarcia le navi di Tarsis.

9 Come avevamo udito, così abbiamo visto nella città del Signore degli eserciti, nella città del nostro Dio; Dio l'ha fondata per sempre.

10 O Dio, meditiamo il tuo amore dentro il tuo tempio.

11 Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode si estende sino all'estremità della terra; di giustizia è piena la tua destra.

12 Gioisca il monte Sion, esultino i villaggi di Giuda a causa dei tuoi giudizi.

13 Circondate Sion, giratele intorno, contate le sue torri,

14 osservate le sue mura, passate in rassegna le sue fortezze, per narrare alla generazione futura:

15 questo è Dio, il nostro Dio in eterno e per sempre; egli è colui che ci guida in ogni tempo.

_________________ Note

48,1 Questo secondo “canto di Sion” prosegue idealmente la celebrazione della città santa, appena uscita vittoriosa da un pericolo mortale. La bellezza di questo canto scaturisce dalla sovrapposizione di una “geografia spirituale” sulla semplice materialità degli elementi che compongono la città di Gerusalemme (vv. 12-15).

48,8 le navi di Tarsis: grandi navi che raggiungevano le regioni più lontane come Tarsis (località che tuttavia ci resta sconosciuta).

48,9 Signore degli eserciti: vedi nota a 24,10.

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Approfondimenti

Il monte di Sion, dimora di Dio Cantico di Sion

Lo sfondo tematico e teologico è lo stesso del Sal 46, sebbene lì ci sia più drammaticità e immaginazione, mentre qui più realismo e contemplazione della potenza di Dio e della bellezza del suo «monte Sion». Per l'interpretazione storica, l'opinione più seguita è la stessa del Sal 46: la campagna di Sennacherib del 701 e la successiva fuga precipitosa da Gerusalemme (cfr. 2Re 18,13-19,37; Is 31,4-9; 36,1-37,38). Fortemente liturgicizzato (v. 10-15), il salmo sfugge a ogni rigida collocazione (tra inno e rendimento di grazie), conservando la sua libertà e freschezza. Il metro nel TM è per lo più quello elegiaco (3 + 2 accenti), più confacente alla contemplazione. Il simbolismo spaziale è urbano e cosmico; quello militare è significato da vocaboli come «altura, baluardo, fortezza...» e dallo stesso appellativo di Dio chiamato «Signore degli eserciti» (v. 9) come nel Sal 46. In più, il nome di Dio è ripetuto molte volte: due come «Signore» JHWH), e otto come «Dio» o «Dio nostro». Tre concetti circolano nell'inno: quello della bellezza, della potenza militare e della giustizia. Il v. 9 fa da divisione e cerniera tra le due parti del salmo: quella storico-descrittiva (vv. 2-8) e quella liturgica (vv. 10-15). I vv. 2.9.15 fungono da antifone, legate da inclusioni date dall'espressione «città del nostro Dio» (vv. 2.9) e da «nostro Dio» (vv. 2.9.15). Il salmo strutturalmente è abbastanza simmetrico ed equilibrato nelle sue parti.

Divisione:

  • v. 2: professione di fede iniziale;
  • vv. 3-8: parte storico-descrittiva:
  • a) vv. 3-4: interno della città;
  • b) vv. 5-8: esterno della città;
  • v. 9: antifona centrale, conferma della professione di fede;
  • vv. 10-14: parte liturgica:
  • a') vv. 10-12: interno della città;
  • b') vv. 13-14: esterno della città;
  • v. 15: professione di fede finale.

v. 2. «Grande è il Signore»: il salmo inizia solennemente con l'aggettivo «grande» (gādôl) in stato enfatico; per l'espressione cfr. i Sal 96,4; 145,3. È una professione di fede nella grandezza di Dio, colta particolarmente nella presenza attiva e salvifica nella città di Gerusalemme.

v. 3. «gioia di tutta la terra»: è un'espressione indicante il superlativo, cfr. Sal 50,2; Is 60,15; 65,18; 66,10; Lam 2,15. «grande Sovrano» (melek rāb): cfr. Sal 47,3. Questo titolo era frequente nella corte celeste e terrestre. Se lo attribuivano i re assiro-babilonesi, persiani e la massima divinità del pantheon fenicio: Baal.

v. 7. «doglie come di partoriente»: c'è il simbolismo materno del parto, frequente in Geremia (cfr. Ger 4,31; 6,24; 13,21; 22,23; 30,6). L'immagine ricorre nella Bibbia come simbolo di dolori atroci e improvvisi (Es 15,14-15; Is 13,8; 21,3; 26,17; Mic 4,9).

v. 8. «vento orientale»: è il vento di Es 14,21 che squarcia il mare per far passare gli Israeliti in marcia verso la libertà. Esso nel cantico di vittoria di Es 15,10 è riferito al Signore ed è chiamato «tuo alito». «le navi di Tarsis»: sono le grandi navi fenicie capaci di navigare fino a Tarsis, città situata o sulle coste del Mediterraneo occidentale (Is 23,1; Ez 27,25) o tra il Golfo Arabico e l'Oceano Indiano (cfr. 1Re 10,22; 2Cr 9,21). Ma l' espressione è diventata usuale nella Bibbia per indicare navi di grande stazza.

v. 9. Si conferma la professione di fede del v. 2. «Come avevamo udito, così abbiamo visto»: i verbi “udire” “vedere” indicano l'atto di fede, che ha valore di “memoriale” nella Bibbia (cfr. Sal 44,2; 78,3-6; 102,19; Dt 29,21-28). La “grandezza” che Dio ha dimostrato nel passato con atti salvifici (cfr. Es 14) si è realizzata anche al presente.

v. 10. Ricordiamo»: il verbo ebraico usato dmh significa letteralmente «rendere simile, rappresentare, rendere visibile». Si esprime cosi l'efficacia dell'azione liturgica.

vv. 13-14. I vocaboli usati fanno pensare a una processione liturgica. Le opere di difesa, che l'orante invita a contemplare, sono il segno visibile della protezione divina e confermano la stabilità della città.

v. 15. «Questo è il Signore»: alla lett. «Perché questo...». L'espressione «nostro Dio» (’elōhênû) richiama l'alleanza (cfr. inclusione con il v. 2). Si professa inoltre l'eternità di Dio («in eterno, sempre»), e accanto al titolo di «grande Sovrano» (v. 3) si aggiunge anche quello più comune di pastore: «colui che ci guida» (cfr. Sal 23).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LODE A DIO, RE DI TUTTA LA TERRA 1 Al maestro del coro. Dei figli di Core. Salmo.

2 Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia,

3 perché terribile è il Signore, l'Altissimo, grande re su tutta la terra.

4 Egli ci ha sottomesso i popoli, sotto i nostri piedi ha posto le nazioni.

5 Ha scelto per noi la nostra eredità, orgoglio di Giacobbe che egli ama.

6 Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba.

7 Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni;

8 perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte.

9 Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo.

10 I capi dei popoli si sono raccolti come popolo del Dio di Abramo. Sì, a Dio appartengono i poteri della terra: egli è eccelso.

_________________ Note

47,1 Gioiosa celebrazione della regalità universale di Dio, questo salmo è il primo degli inni che cantano il Signore come re (vedi anche i Sal 93; 96-99). È una regalità visibile prima di tutto in Israele, che abita la terra santa (chiamata, nel v. 5, la nostra eredità e orgoglio di Giacobbe), ma poi tende a dilatarsi a tutta la terra, fino ad abbracciare ogni realtà del creato.

47,3 L’appellativo terribile evoca le grandi gesta di Dio in favore del suo popolo.

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Approfondimenti

Il Signore è re di tutti Inno della regalità del Signore

L'inno, breve ed essenziale, è connesso logicamente con il Sal 46 che lo precede e con tutti i «Cantici di Sion», ove si esalta la sede del regno del Signore. L'andamento solenne e trionfale del salmo richiama alla mente dell'orante la solenne processione che accompagnò il trasferimento dell'arca in Gerusalemme (2Sam 6,1-23; Sal 24,1-10). Il salmo, come del resto tutti quelli della “regalità di JHWH”, viene interpretato in modo diverso dagli studiosi. Le principali interpretazioni sono: mitologica, cultuale, escatologica e storico-escatologica. L'inno si divide in due distici a struttura parallela, il cui movimento in crescendo è in ambedue di carattere ascensionale. Il primo termina con il v. 6 e il secondo con il v. 10d. Inoltre l'orizzonte tende a allargarsi in ambedue distici a «tutta la terra» (vv. 3.8), e a «tutti i popoli» e «nazioni» (vv. 2.4.9.10). Il ritmo nel TM è dato dal verso di 3 + 3 accenti. E presente nel salmo il simbolismo spaziale (molto esteso), quello regale e musicale.

Divisione: * vv. 2-6 (I distico): il Signore re d'Israele; * vv. 7-10 (II distico): il Signore re di tutti i popoli.

v. 2. «Applaudite»: il battere le mani, oltre che un gesto gioioso che imprime ritmo alla danza, è un gesto rituale per l'acclamazione del re, cfr. 2Re 11,12. «popoli tutti»: si tratta di un invito all'intera umanità, dato che Dio è re «su tutta la terra» (v. 3).

vv. 3-5. Dio ha i “titoli” per essere lodato ed è intervenuto nella storia a favore d'Israele. Nel v. 3 sono addotti i «titoli di Dio» come avveniva nella cerimonia dell'intronizzazione del re (Is 9,5), e nei vv. 4-5 i suoi interventi salvifici.

v. 3. «terribile»: l'appellativo nôrā’ (terribile, tremendo) nel testo ebraico segue a ‘elyôn (Altissimo). Esso ricorda la trascendenza di Dio, che non significa distacco dall'uomo (Sal 65,6; 66,3; 76,8.13; 89,8; 96,4; 99,3), e richiama le gesta dell'esodo (Es 15,11; Dt 7,21; 10,17). «re grande»: il titolo melek gādôl è usuale presso i re assiri chiamati šarru rabû. «su tutta la terra»: si indica così l'universalità. Il v. 3 richiama quasi alla lettera i titoli divini di Dt 10,17.

v. 4. Si ricorda il trionfo di Dio sulle nazioni attraverso le sue imprese nella storia d'Israele (cfr. Dt 4,38; Gs 24,8-13; Sal 44,4; 105,12-15; 136,17-22). «sotto i nostri piedi»: c'è un richiamo a «lo sgabello dei suoi piedi» di Sal 110,2; Gs 10,24; Sal 8,7; 44,26.

v. 5. Si accenna all'elezione d'Israele che si concretizza nel dono della terra, qualificata come «eredità» (naḥalâ). «vanto di Giacobbe»: la terra promessa, ricevuta in eredità, è considerata oggetto di vanto per il popolo d'Israele (chiamato Giacobbe dal nome del patriarca amato da Dio). Dal fatto che i verbi dell'originale ebraico di questo versetto e di quello successivo sono tutti all'imperfetto, ne scaturisce una continuità di azione di Dio nel liberare e salvare, valida fino a oggi.

v. 6. «Ascende Dio...»: si acclama il Signore che sale... Si tratta di un'intronizzazione regale ideale, che richiama il corteo processionale liturgico del trasporto dell'arca in Gerusalemme sotto il re Davide (2Sam 6,14-15; cfr. Sal 132,8). Lo indicano gli elementi liturgici presenti: il verbo «salire» (‘lh), l'acclamazione (tᵉrû‘â) e il suono del «corno» (šôpar) (cfr. 2Sam 15,10; 2Re 9,13).

v. 7. «Cantate inni...»: Il verbo zmr (= cantare inni) nello stessa forma imperativa plurale «cantate inni» (zammᵉrû) ricorre quattro volte in questo versetto, aprendo e chiudendo il primo e il secondo emistichio, come i rintocchi festosi di una campana, quasi un ritornello assordante. Si ripete, come l'eco, nel v. 8b con l'aggiunta «con arte» (maśkîl). Non basta dunque una lode qualsiasi; ma a Dio, re supremo, è dovuta un'esecuzione perfetta. La voce maśkîl, che si trova nei titoli di 13 salmi, ha una sfumatura di carattere sapienziale; indica quasi una “lode sapiente” che nella tradizione cristiana (Agostino e Giovanni Cristostomo) si completa con le buone opere.

v. 9. «Dio regna»: il verbo «regnare» (mlk) qui ha valore dinamico e quasi ingressivo. Dio cioè si manifesta come re nell'azione efficace del suo governo. «sul suo trono santo»: così come giace, l'espressione «il suo trono santo» (kissē’ qodšô) è hapax in tutta la Bibbia. Il trono è simbolo della regalità. Ci si riferisce qui anzitutto al tempio e all'arca dell'alleanza, considerata trono in terra di Dio, chiamato «colui che siede sui cherubini» dell'arca (Sal 99,1). Ma il trono terrestre è strettamente associato a quello celeste (cfr. Sal 29).

v. 10a. «I capi dei popoli...»: questo versetto specifica la sovranità di Dio nei riguardi di Israele e dei popoli stranieri. Se l'immagine, storicamente parlando, si può riferire agli anziani d'Israele raccolti per l'unzione di Davide a Ebron (2Sam 5,3) e, in seguito, ai vassalli d'Israele e ai loro rappresentanti diplomatici presso la corte, in questo versetto essa si dilata in un panorama più vasto e universale, secondo la visione di Is 2,2-5, che prevede l'afflusso di tutti i popoli a Gerusalemme, per conoscere il vero Dio e camminare per i suoi sentieri. In questo versetto i popoli stranieri sono visti raccogliersi attorno al popolo eletto, per la professione di fede nell'unico vero Dio.

v. 10b. «perché di Dio sono i potenti della terra»: alla lett. «gli scudi della terra». L'immagine dello scudo, simbolo di potenza e di difesa dei regnanti, è riferito generalmente a Dio (cfr. Sal 18,2), ma anche a coloro che governano (cfr. Sal 89,19; 1Sam 8,20; Is 32,2). Si è specificato così il motivo della regalità sui popoli di v. 9. Essi appartengono a Dio che li protegge e difende.

Nel NT il v. 6 del salmo è stato riferito all'ascensione di Cristo e alla sua glorificazione, cfr. Gv 12,32; Mc 16,15-20; Lc 24,46-53; At 1,1-11; Eb 9,24-28; 10,19-23.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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DIO, NOSTRO RIFUGIO E NOSTRA FORZA 1 Al maestro del coro. Dei figli di Core. Per voci di soprano. Canto.

2 Dio è per noi rifugio e fortezza, aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce.

3 Perciò non temiamo se trema la terra, se vacillano i monti nel fondo del mare.

4 Fremano, si gonfino le sue acque, si scuotano i monti per i suoi flutti.

5 Un fiume e i suoi canali rallegrano la città di Dio, la più santa delle dimore dell'Altissimo.

6 Dio è in mezzo ad essa: non potrà vacillare. Dio la soccorre allo spuntare dell'alba.

7 Fremettero le genti, vacillarono i regni; egli tuonò: si sgretolò la terra.

8 Il Signore degli eserciti è con noi, nostro baluardo è il Dio di Giacobbe.

9 Venite, vedete le opere del Signore, egli ha fatto cose tremende sulla terra.

10 Farà cessare le guerre sino ai confini della terra, romperà gli archi e spezzerà le lance, brucerà nel fuoco gli scudi.

11 Fermatevi! Sappiate che io sono Dio, eccelso tra le genti, eccelso sulla terra.

12 Il Signore degli eserciti è con noi, nostro baluardo è il Dio di Giacobbe.

_________________ Note

46,1 Il salmo sembra evocare la vittoria insperata d’Israele sull’esercito del re assiro Sennàcherib che, nel 701, aveva cinto d’assedio Gerusalemme (Is 36,1-37,38). È il primo dei cosiddetti “canti di Sion”, cioè di quei salmi che celebrano la città santa come dimora di Dio e luogo ideale, dove pulsa il cuore della fede d’Israele (gli altri sono Sal 48; 84; 122 e per alcuni anche 137).

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Approfondimenti

Canto dell'Emmanuele Cantico di Sion

È il primo dei salmi identificati come “Cantici di Sion” (Sal 46, 48, 76, 87). Per i vari motivi che vi si intrecciano (cosmici, storici, profetici, escatologico-apocalittici) il salmo si presta a diverse interpretazioni. Quella storica più seguita, sebbene le allusioni del salmo siano piuttosto generiche, si riferisce alla spedizione militare in Palestina (701 a.C.) del re assiro Sennacherib, al tempo del re Ezechia (2Re 18,13-19,37; Is 36,1-37,38). Il salmo è un inno altamente poetico e chiaro teologicamente. Vi si sviluppa prevalentemente il simbolismo bellico, cosmico e quello materno. L'inclusione tra i v. 8 e 12, data dal ritornello «Il Signore degli eserciti è con noi, nostro rifugio è il Dio di Giacobbe», rende il blocco dei vv. 8-12 piuttosto compatto. Alcuni autori, per motivi di carattere formale, suppongono tale ritornello anche dopo il v. 4. Il ritmo nel TM è dato da 4 + 4 accenti.

Divisione:

  • vv. 2-4 (I strofa): Dio sicurezza del suo popolo negli sconvolgimenti cosmici;
  • vv. 5-7 (II strofa): Dio nella sua città, sicurezza contro gli sconvolgimenti cosmici e storici;
  • v. 8: ritornello;
  • vv. 9-11 (III strofa): certezza della vittoria di Dio;
  • v. 12: ritornello.

v. 2. «per noi»: l'espressione, che si ripete anche nei vv. 8 e 12 (nell'originale ebraico) ed è richiamata negli stessi versetti anche da «con noi» (‘immānû), denota un certo sentimento di fierezza da parte dei fedeli che si sentono appartenere al popolo eletto. «Rifugio e forza»: sono due immagini con sfumatura bellica.

v. 5. «Un fiume e i suoi ruscelli...»: in contrasto con le acque turbolente, sconvolte dal terremoto del v. 4, si presentano, rievocando quelle del paradiso (Gn 2,10-14), le acque calme, fecondatrici della città di Sion che danno gioia. Non si tratta di una descrizione realistica del sistema idrico di Gerusalemme (la fonte del Ghicon, e il torrente Cedron son ben poca cosa a confronto), ma di un'enfatizzazione e idealizzazione con chiare allusioni teologiche. Il Signore è la sorgente di acqua viva (cfr. Is 33,21; Ger 2,13; Gl 4,18) e dal suo tempio uscirà l'acqua abbondante e fecondatrice (Ez 47,1-12). «la città di Dio»: non si nomina né Gerusalemme, né Sion, ma è chiaro che si tratta di Gerusalemme, cfr. Sal 87,3; Is 60,14.

v. 7. «Fremettero le genti... egli tuonò...»: sinteticamente, con quattro verbi, come rapide pennellate, si descrive l'assalto dei nemici (primo emistichio) e il pronto intervento liberatorio portentoso di Dio (secondo emistichio), cfr. Sal 2,1; 48,5-6; Is 17,12-14. «egli tuonò»: ci si riferisce al tuono con valore teofanico. La voce di Dio è paragonata al tuono la cui potenza atterrisce, cfr. Sal 18,14; 29,3; 76,7; 1Sam 7,10; Ger 25,30; Am 1,2; Gl 2,11; Gl 4,16.

v. 8. Il ritornello, che si ripete anche nel v. 12, sintetizza la teologia del salmo e conferma la fede espressa dal v. 1. Esso è formato da quattro titoli divini: «Il Signore degli eserciti (JHWH ṣebā’ôt)»: l'appellativo designa l'aspetto bellico ed è molto usato da Isaia (50 volte). «è con noi (‘immānû)»: richiama l'Emmanuele (‘immānû-ēl), il «Dio-con-noi» di Is 7,14; 8,8.10. «una rocca»: l'appellativo «rocca» (miśgāb), di carattere militare, indica una fortezza imprendibile (cfr. Sal 9,10; 18,3; 27,1; 48,4; 59,10; Is 33,16; Ger 48,1). «Dio di Giacobbe»: è un titolo divino arcaico (cfr. Is 2,3; Sal 20,2; 75,10; 76,7; 81,2.5; 84,9; 94,7).

v. 11. «Fermatevi e sappiate..»: l'appello al riconoscimento della sua divinità è rivolto da Dio in prima persona come in Is 33,10-13 ed è caratteristico degli oracoli profetici (cfr. Ger 16,21; Ez 6,7.13-14; 7,4; 1Re 20,28).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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