📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA: Regole; a Diogneto ● PROFETI ● Concilio Vaticano II ● NUOVO TESTAMENTO

Il futuro principe messianico 1E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. 2Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. 3Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. 4Egli stesso sarà la pace! Se Assur entrerà nella nostra terra e metterà il piede nei nostri palazzi, noi schiereremo contro di lui sette pastori e otto capi di uomini, 5che governeranno la terra di Assur con la spada, la terra di Nimrod con il suo stesso pugnale. Egli ci libererà da Assur, se entrerà nella nostra terra e metterà piede entro i nostri confini.

Il resto d'Israele 6Il resto di Giacobbe sarà, in mezzo a molti popoli, come rugiada mandata dal Signore e come pioggia che cade sull’erba, che non attende nulla dall’uomo e nulla spera dai figli dell’uomo. 7Allora il resto di Giacobbe sarà in mezzo a numerose nazioni come un leone tra le belve della foresta, come un leoncello tra greggi di pecore, il quale, se entra, calpesta e sbrana e non c’è scampo. 8La tua mano si alzerà contro tutti i tuoi nemici, e tutti i tuoi avversari saranno sterminati.

MINACCE DI CALAMITÀ

Contro Giuda 9«In quel giorno – oracolo del Signore – distruggerò i tuoi cavalli in mezzo a te e manderò in rovina i tuoi carri; 10distruggerò le città della tua terra e demolirò tutte le tue fortezze. 11Ti strapperò di mano i sortilegi e non avrai più indovini. 12Distruggerò in mezzo a te i tuoi idoli e le tue stele, né più ti prostrerai davanti a un’opera delle tue mani. 13Estirperò da te i tuoi pali sacri, distruggerò le tue città. 14Con ira e furore, farò vendetta delle nazioni che non hanno voluto obbedire».

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Il futuro principe messianico 5,1-5 Celebre testo messianico redatto nella forma di un antico oracolo genealogico-tribale (cfr. Gn 49; Dt 33), che annuncia l'avvento di un misterioso personaggio dalle origini lontane (v. 1) che governerà in pace le nazioni (v. 3). Il suo apparire è messo in rapporto con la fine dell'esilio (v. 2) e con la liberazione dall'oppressione assira (vv. 4-5). Il vaticinio, che ha una chiara impronta isaiana, e che può risalire al profeta Michea, accusa diverse tensioni e incongruenze, dovute al lavoro redazionale. Il v. 2, redatto in prosa, è messo in bocca al profeta e interrompe il discorso. Nei vv. 1.3 parla JHWH, mentre nei vv. 4b-5 interviene il popolo. Nei vv. 1-3 è messa in rilievo l'azione di Dio, invece nei vv. 4b-5 la vittoriosa impresa militare del popolo. La tradizione cristiana ha riconosciuto in questo oracolo una profezia messianica e Mt 2,6 la considera realizzata nella nascita di Gesù a Betlemme.

v. 1. In contrasto con il versetto precedente, JHWH prende la parola identificando la sua causa con quella di Israele. Si rivolge direttamente a Betlemme di Efrata. Il nome Betlemme, che manca nei LXX e sembra essere una glossa tardiva, designa la località situata a 10 km a sud di Gerusalemme, dove è nato Davide (cfr. 1Sam 16,1.4). Il termine «Efrata» (= feconda) designò all'inizio un clan alleato a Caleb (cfr. 1Cr 2,19.24.50) e in seguito la cittadina di Betlemme (Gs 15,59; Gn 35,16; 48,7; Rt 4,11), che fa misera figura di fronte alle altre famose località della Giudea. Ma proprio qui nascerà o da qui sorgerà, seguendo la linea davidica, il principe di Israele, che però non viene chiamato re. Le sue origini tuttavia rimontano alla casa davidica, poiché il padre di Davide, Isai, era efrateo di Betlemme (1Sam 16,1-13). Da questo versetto un po' imbarazzato e contorto emerge un ritratto ricco e profondo del Messia. Viene da Betlemme come Davide, è scelto da Dio nella sua condizione di povertà e porta a compimento nella sua persona il vaticinio di Natan, che è stato interpretato in senso individuale ed escatologico dal profeta Isaia (9,1-6; 11,1-9).

v. 2. Allusione all'esilio a Babilonia e al ritorno dei Giudei dispersi, messo in rapporto con la nascita del Messia, di cui si menziona la madre. Non è escluso che il redattore pensi a Is 7,14.

v. 3. Presentato sotto la figura di un pastore e re potentissimo (cfr. Sal 12; 110), il Messia svolge tre funzioni: conduce il suo popolo, lo protegge e provvede per lui.

vv. 4-5. Lo stico 4a permette diverse interpretazioni. Seguendo la versione della BC, il Messia è descritto come la sorgente e la garanzia della prosperità e del benessere sia materiale che spirituale. I vv. 4b-5 sembrano essere il frammento di una composizione più diffusa e tardiva in cui si afferma che ogni nemico, anche potentissimo, rappresentato da Assur, dovrà fare i conti con un'accanita resistenza. Le cifre 7 e 8 indicano un numero considerevole (cfr. Am 1,3; Prv 30,15). Previsione del futuro e avvenimenti contemporanei sono accostati e si compenetrano vicendevolmente, come sovente avviene negli oracoli profetici. Nimrod (v. 5) era una figura leggendaria dell'antico Oriente (cfr. Gn 10,10ss.) e designa il paese di Assur.

Il resto d'Israele 5,6-8 L'oracolo, ricco di immagini (rugiada, leone), è composto di due strofe simmetriche: annuncio di benedizione riservata al resto (v. 6) e suo trionfo sui pagani (v. 7). Il v. 8 sembra essere un'aggiunta del redattore, di difficile interpretazione.

v. 6. La rugiada, considerata di origine divina, è simbolo di abbondanza e prosperità (cfr. Is 26,19; 45,8; Os 14,6; Sal 72,6; Ez 34,26). Caratteristica del nuovo popolo messianico è la totale fiducia nel Signore.

v. 7. Il resto, paragonato a un leone, simbolo di arditezza e violenza, compie la punizione dei popoli pagani, riportando la vittoria.

v. 8. Il versetto che sviluppa il concetto espresso in 5,7, introduce l'oracolo seguente. La mano levata è segno di vittoria (cfr. Es 14,8; Dt 32,27).

MINACCE DI CALAMITÀ 5,9-7,7 Questa sezione comprende quattro pericopi di varia ampiezza, in cui si annuncia la soppressione di ogni falsa sicurezza (5,9-14), si accusa il popolo di ingratitudine (6,1-8), di ingiustizia (6,9-16) e di depravazione (7,1-7). Viene usato il genere letterario del processo, che si conclude con il verdetto del castigo (6,13ss.; 16b; 7,4bss.). Non mancano testi che indicano la via della salvezza (cfr. 6,8; 7,7).

Contro Giuda _5,9-14 Il brano, che presenta delle affinità con Is 2,6-8, e fa una sintesi dei peccati di Israele, contiene l'annuncio della soppressione di tutto ciò che poteva puntellare la falsa sicurezza del popolo: la potenza militare (vv. 9-10), la magia (v. 11) e l'idolatria (vv. 12-13). La pericope termina con una minaccia contro le nazioni ribelli (v. 14).

vv. 9-10. La soppressione delle armi e di ogni opera difensiva è il presupposto di un'era di pace (cfr. Os 3,4; 8,14; 14,4; Is 30,1-3.15s.; 31,1-3).

v. 11. «I sortilegi» sono probabilmente degli oggetti di divinazione a noi sconosciuti (cfr. 1Sam 28; Ger 27,9; Ez 13,18; Ml 3,5).

v. 12. «le stele» sono delle pietre usate come memoriale e oggetto di culto. Su di esse venivano offerti dei sacrifici (cfr. Dt 12,3-4; Es 23,24; 2Re 23,13-14).

v. 13. «i pali sacri» erano il simbolo della dea cananea della fertilità, moglie di Baal; erano di legno e potevano avere forme diverse, come quella di un albero, di un bastone o di un legno scolpito (cfr. Dt 7,5; 12,3; 16,21; 1Re 15,3; 2Re 23,4-7).

v. 14. Il castigo delle genti è un tema dell'attesa escatologica (cfr. Is 60,12; Zc 14,17ss.).

(cf. STEFANO VIRGULIN, Michea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

PROMESSE

Il regno divino universale 1Alla fine dei giorni il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e si innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno i popoli. 2Verranno molte genti e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore e al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. 3Egli sarà giudice fra molti popoli e arbitro fra genti potenti, fino alle più lontane. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. 4Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e più nessuno li spaventerà, perché la bocca del Signore degli eserciti ha parlato! 5Tutti gli altri popoli camminino pure ognuno nel nome del suo dio, noi cammineremo nel nome del Signore, nostro Dio, in eterno e per sempre.

Restaurazione di Gerusalemme 6«In quel giorno – oracolo del Signore – radunerò gli zoppi, raccoglierò i dispersi e coloro che ho trattato duramente. 7Degli zoppi io farò un resto, dei lontani una nazione forte». E il Signore regnerà su di loro sul monte Sion, da allora e per sempre. 8E a te, torre del gregge, colle della figlia di Sion, a te verrà, ritornerà a te la sovranità di prima, il regno della figlia di Gerusalemme. 9Ora, perché gridi così forte? In te non c’è forse un re? I tuoi consiglieri sono forse periti, perché ti prendono i dolori come di partoriente? 10Spasima e gemi, figlia di Sion, come una partoriente, perché presto uscirai dalla città e dimorerai per la campagna e andrai fino a Babilonia. Là sarai liberata, là il Signore ti riscatterà dalla mano dei tuoi nemici.

Vittoria sui nemici di Dio 11Ora si sono radunate contro di te molte nazioni, che dicono: «Sia profanata, e godano i nostri occhi alla vista di Sion». 12Ma esse non conoscono i pensieri del Signore e non comprendono il suo consiglio, poiché le ha radunate come covoni sull’aia. 13Àlzati e trebbia, figlia di Sion, perché renderò di ferro il tuo corno e di bronzo le tue unghie e tu stritolerai molti popoli: consacrerai al Signore i loro guadagni e le loro ricchezze al padrone di tutta la terra. 14Ora fatti delle incisioni, o figlia guerriera; hanno posto l’assedio intorno a noi, con la verga percuotono sulla guancia il giudice d’Israele.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

PROMESSE 4,1-5,8 Raccolta redazionale di oracoli eterogenei dovuti a diversi autori e diversi contesti che hanno per tema principale la restaurazione escatologica del popolo di Dio oppresso e umiliato. Gerusalemme diventerà il centro del regno di Dio (4,1-5), i dispersi saranno riuniti (4,6-8) e i nemici annientati (4,9-12.13s.; 5,4-5); il Messia instaurerà il suo regno (5,1-5); Israele sarà superiore a tutti i popoli (5,6-8). La restaurazione di Israele è presentata ora come imminente, ora come futura, compiuta con mezzi militari o senza forzatura.

Il regno divino universale 4,1-5 Ammirabile poema escatologico, che descrive la gloria messianica di Gerusalemme (v. 1), punto di raccolta di tutte le nazioni (v. 2), che vivono in pace sotto la guida di Dio (vv. 3-4); la conclusione contiene una solenne professione di fede in JHWH (v. 5). Il testo viene riprodotto con qualche variante in Is 2,1-4 e presenta delle forti somiglianze con Is 60. È possibile che per la composizione di questo testo profetico sia stato utilizzato un oracolo preesitente e che il brano sia da riportare al periodo postesilico. La pericope, che è uno dei vertici teologici dell'AT, è in evidente contrasto con 3,12.

v. 1. «Alla fine dei giorni»: l'espressione indica la fine di un'epoca e l'inaugurazione di quella definitiva (cfr. Dt 4,30; Ger 48,47; 49,39; Os 3,5). L'elevazione e la saldezza del monte Sion è da intendersi in senso metaforico: il tempio del Signore attira a sé tutti i popoli, quale centro religioso mondiale.

v. 2. I popoli pagani in modo spontaneo esprimono il significato del loro volontario accorrere a Gerusalemme (cfr. Is 42,1.4; 49,6; 55,3ss.; Zc 14,16-19). «le vie» sono i precetti del Signore (cfr. Dt 8,6; 10,12; Ger 22,5); «i sentieri» sono gli insegnamenti dei sapienti d'Israele (cfr. Sal 25,4.10; 119,15). Sion è il luogo della rivelazione divina e dell'insegnamento religioso e morale destinato a tutti i popoli.

v. 3. Il diretto governo mondiale di Dio si esprime nell'eliminazione della guerra e nel lavoro fecondo (cfr. Is 9,3; 11,6-9; Sal 46,9ss.; 76,3-7).

v. 4. Versetto proprio di Michea, mancante in Is 2,1-4. La tipica immagine agricola palestinese esprime la sicurezza e la felicità del regno di Dio (cfr. 1Re 5,5; Zc 3,10). La formula conclusiva del versetto significa che Dio si rende garante della veracità delle promesse.

v. 5. Il v., che sembra fuori posto, è una professione di monoteismo di origine liturgica.

Restaurazione di Gerusalemme 4,6-10 Oracolo promissorio del tempo esilico in cui si afferma che il Signore raccoglierà gli sbandati (v. 6) e li trasformerà in una grande nazione (v. 7), retta da un discendente della casa davidica (v. 8). In un secondo oracolo introdotto da una lamentazione si preannuncia l'esilio babilonese e la liberazione (vv. 9-10).

v. 6. «In quel giorno» si riferisce alla restaurazione postesilica (cfr. Os 2,18.20.23; Am 2,16). «gli zoppi» sono gli esiliati (cfr. Sof 3,19; Ez 34,4). Dio stesso ha voluto direttamente la deportazione e l'esilio onde purificare Israele (cfr. Ger 25,29; 31,28; Zc 8, 4).

v. 7. «il resto» è il popolo rinnovato, reso forte spiritualmente, sul quale regna il Signore (cfr. Am 5,15; Is 10,20s; 27,5; Sal 93,1; 96,10; 99,1).

v. 8. La «Torre del gregge» è un'espressione metaforica, che designa Gerusalemme come un gregge che pascola in un terreno custodito da una torre di guardia. Il regno futuro è presentato come una rinascita di quello del tempo di Davide e di Salomone (cfr. 1Re 9,19; Ger 34,1).

v. 9. Lamentazione composta da interrogazioni retoriche, che considerano Gerusalemme, privata del re e dei capi, come una donna che si trova nelle doglie del parto (cfr. Ger 4,31; 6,24; 15,6; 30,6s.).

v. 10. L'annuncio della deportazione e dell'esilio è seguito dalla liberazione espressa con i termini dell'esodo dall'Egitto (cfr. Es 6,4; Dt 9,26; 15,15; 21,8).

Vittoria sui nemici di Dio 4,11-14 Brano dal genere letterario complesso, in cui si fondono elementi profetici e apocalittici, e si prospetta un assalto generale delle nazioni contro Sion (v. 11), ma il popolo di Dio riporterà la vittoria finale (vv. 12-13). In conclusione si legge un invito al lutto (v. 14).

v. 11. Il v. si riferisce probabilmente alla catastrofe del 987 a.C., cioè alla distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor.

v. 12. Il piano di Dio, incomprensibile agli uomini (cfr. Is 55,8; Ger 49,20; 50,45), è che i nemici vittoriosi rappresentano dei covoni, che saranno bruciati dopo la mietitura (cfr. Zc 12,6).

v. 13. La vittoria di Sion sugli avversari è espressa con l'immagine del bue cornuto dotato di forza invincibile (cfr. 1Sam 2,1; Sal 75,11; Ez 29,21) che calpesta il grano, e con quella dell'animale furioso che schiaccia il nemico con le unghie (cfr. Is 41,15).

v. 14. Versetto di difficile interpretazione, congiunto talvolta col brano seguente. È un frammento di poema, che ha come tema l'assedio di Gerusalemme (cfr. v. 9s.). «figlia dell'orda» significa «esposta all'esercito degli assalitori». Le incisioni sono segno di lutto e dolore. «il giudice d'Israele» è il personaggio del v. 9. «percuotere sulla guancia» è un gesto che implica un grande insulto (cfr. Gb 16,16).

(cf. STEFANO VIRGULIN, Michea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Contro i giudici e i falsi profeti 1Io dissi: «Ascoltate, capi di Giacobbe, voi governanti della casa d’Israele: Non spetta forse a voi conoscere la giustizia?». 2Nemici del bene e amanti del male, voi togliete loro la pelle di dosso e la carne dalle ossa. 3Divorano la carne del mio popolo e gli strappano la pelle di dosso, ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi, come carne in una pentola, come lesso in un calderone. 4Allora grideranno al Signore, ma egli non risponderà; nasconderà loro la faccia, in quel tempo, perché hanno compiuto azioni malvagie. 5Così dice il Signore contro i profeti che fanno traviare il mio popolo, che annunciano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano la guerra. 6Quindi, per voi sarà notte invece di visioni, tenebre per voi invece di responsi. Il sole tramonterà su questi profeti e oscuro si farà il giorno su di loro. 7I veggenti saranno ricoperti di vergogna e gli indovini arrossiranno; si copriranno tutti il labbro, perché non hanno risposta da Dio. 8Mentre io sono pieno di forza, dello spirito del Signore, di giustizia e di coraggio, per annunciare a Giacobbe le sue colpe, a Israele il suo peccato.

Contro un'autorità venale 9Udite questo, dunque, capi della casa di Giacobbe, governanti della casa d’Israele, che aborrite la giustizia e storcete quanto è retto, 10che costruite Sion sul sangue e Gerusalemme con il sopruso; 11i suoi capi giudicano in vista dei regali, i suoi sacerdoti insegnano per lucro, i suoi profeti danno oracoli per denaro. Osano appoggiarsi al Signore dicendo: «Non è forse il Signore in mezzo a noi? Non ci coglierà alcun male». 12Perciò, per causa vostra, Sion sarà arata come un campo e Gerusalemme diverrà un mucchio di rovine, il monte del tempio un’altura boscosa.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Contro i giudici e i falsi profeti 3,1-8 Nei vv. 1-3 vengono esposte le accuse in seconda e terza persona contro i capi che sfruttano il popolo e viene loro comminato il castigo (v. 4). Nel v. 5 Dio denuncia i profeti mercenari e minaccia il castigo sotto forma di notte, guai e vergogna (vv. 6-7). In forma autobiografica Michea espone le caratteristiche del vero messaggero di JHWH (v. 8). Dal punto di vista della forma letteraria del processo i vv. 5-8 sono tra i migliori brani dell'AT.

v. 1. Il discorso, che fa seguito ai vv. 2,10-11, è rivolto agli alti magistrati del regno di Giuda. «conoscere la giustizia» significa praticare le prescrizioni stabilite da Dio per il popolo dell'alleanza (cfr. Am 5,6; 6,12).

vv. 2-3. Le metafore violente e quasi brutali descrivono lo sfruttamento dei poveri, soprattutto nei processi legali condotti dai giudici, che sguazzano nei festini e nei bagordi (cfr. Is 1,16.23; 3,14s.; Am 2,6ss.; Sof 1,9; Ger 2,34; Ez 22,29). Il «lesso in una caldaia» è un'immagine realistica e brutale, riutilizzata da Ezechiele (Ez 34,10).

v. 4. Il castigo è generico. JHWH nasconde la faccia quando sembra abbandonare i suoi fedeli (cfr. Is 8,17; 54,8; 59,2; Ger 33,5; Ez 39,23s.).

v. 5. La formula iniziale del v. è rara in Michea. I profeti che ricevevano dei doni in viveri e denaro per i loro servizi (cfr. 1Sam 9,7) sono accusati di essere dei mercenari.

v. 6. Il castigo è la cessazione dell'ispirazione profetica. La notte, durante la quale i profeti ricevevano le comunicazioni divine (cfr. Gn 15,12-21; 1Sam 3; 2Sam 7,5; 1Re 3,4-15), diventa un tempo di sventura (cfr. Es 11,4; 12,8; Is 5,30; 8,22; Ger 13,16; Gb 34,20).

v. 7. «Coprirsi il labbro», cioé tutta la parte interiore del viso, è segno di confusione, lutto e impurità (cfr. Lv 13,45; Ez 24,17.22).

v. 8. Parlando della sua esperienza profetica Michea traccia, per contrasto, il vero ritratto del testimone di Dio.

Contro un'autorità venale 3,9-12 Oracolo di minaccia di fattura classica, rivolto contro i capi corruttibili del paese, contenente un'introduzione con i nomi dei destinatari (v. 9a), le colpe dovute alla venalità (vv. 9b-11) e il tragico castigo (v. 12). Il brano non è dissimile da 3,1-4, ma più dettagliato. I vv. 9.10.12 sono in seconda persona, mentre il v. 11 è in terza persona.

v. 9. «la giustizia» sono le norme che proteggono i diritti degli innocenti nelle dispute circa la vita e la proprietà (cfr. Es 23,1ss.; Dt 16,19).

v. 10. «il sangue» è una metafora che significa vessazione, ingiustizia e violenza (cfr. Sal 5,7; 26,9; Is 1,15). I lussuosi palazzi di Gerusalemme erano stati costruiti con mezzi illeciti. Il profeta stigmatizza la passione per le ricche costruzioni (cfr. Is 1,15-21; Ger 22,13s.).

v. 11. Sono sintetizzati i reati delle varie categorie dei detentori del potere. I giudici proferiscono le sentenze secondo le gratificazioni che sono loro fatte con lo scopo di corromperli (cfr. Es 23,8; Dt 16,19; Am 5,12; Is 1,23; 5,23; 33,15). L'insegnamento dei sacerdoti riguarda le decisioni prese nei casi pratici (cfr. Es 22,8; Dt 17,8-13; Ger 18,18; Ez 7,26; Ag 2,11-14; Ml 2,7). Gli ultimi stichi esprimono la falsa fiducia dei capi nei benefici dell'alleanza (cfr. Es 17,1; 24,9; Dt 6,15; 7,21; 23,15).

v. 12. Con grande coraggio il profeta preannuncia la totale distruzione della città santa. Questo scandaloso annuncio, pronunciato per la prima volta nella storia di Giuda, sarà ricordato ancora un secolo dopo al tempo di Geremia (cfr. Ger 26,18).

(cf. STEFANO VIRGULIN, Michea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Contro i ricchi avari 1Guai a coloro che meditano l’iniquità e tramano il male sui loro giacigli; alla luce dell’alba lo compiono, perché in mano loro è il potere. 2Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l’uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità. 3Perciò così dice il Signore: «Ecco, io medito contro questa genìa una sciagura da cui non potranno sottrarre il collo e non andranno più a testa alta, perché sarà un tempo di calamità. 4In quel tempo si intonerà su di voi una canzone, si leverà un lamento e si dirà: “Siamo del tutto rovinati; ad altri egli passa l’eredità del mio popolo, non si avvicinerà più a me, per restituirmi i campi che sta spartendo!”. 5Perciò non ci sarà nessuno che tiri a sorte per te, quando si farà la distribuzione durante l’assemblea del Signore».

Discussione con gli avversari 6«Non profetizzate!», dicono i profeti. «Non profetizzate riguardo a queste cose, cioè che non ci raggiungerà l’obbrobrio». 7È forse già cosa detta, o casa di Giacobbe? È forse stanca la pazienza del Signore o questo è il suo modo di agire? Non sono forse benefiche le sue parole per chi cammina con rettitudine? 8Ma voi contro il mio popolo insorgete come nemici: strappate il mantello e la dignità a chi passa tranquillo, senza intenzioni bellicose. 9Cacciate le donne del mio popolo fuori dalle loro piacevoli case, e togliete ai loro bambini il mio onore per sempre. 10«Su, andatevene, perché questo non è più luogo di riposo». A causa della sua impurità provoca distruzione e rovina totale. 11Se uno che insegue il vento e spaccia menzogne dicesse: «Ti profetizzo riguardo al vino e a bevanda inebriante», questo sarebbe un profeta per questo popolo.

Promessa di salvezza 12Certo ti radunerò tutto, o Giacobbe; certo ti raccoglierò, resto d’Israele. Li metterò insieme come pecore in un recinto sicuro, come una mandria in mezzo al pascolo, dove muggisca lontano dagli uomini. 13Chi ha aperto la breccia li precederà; forzeranno e varcheranno la porta e usciranno per essa. Marcerà il loro re innanzi a loro e il Signore sarà alla loro testa.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Contro i ricchi avari 2,1-5 Classico oracolo rivolto contro i latifondisti, contenente la denuncia del loro peccato (vv. 1-2), la minaccia del castigo pronunciata da Dio stesso (v. 4a), e seguita da un satirico lamento (v. 4b) e dall'annuncio di un nuovo castigo (v. 5). È il primo forte richiamo del profeta alla pratica della giustizia sociale.

v. 1. Il «guai» annuncia il castigo divino sotto la forma dell'imprecazione (cfr. Am 5,18; 6,1; Is 5,8ss.).

v. 2. Si tratta dell'accaparramento delle terre e delle case dei piccoli coltivatori a causa dei debiti. La proprietà tramessa in eredità era considerata come inalienabile (cfr. Es 20,17; Dt 5,21; Ab 2,11; Gb 31,38s.).

v. 3. La sciagura minacciata da Dio è forse l'esilio presentato sotto la figura del giogo pesante, segno di schiavitù (cfr. Dt 28,48; Is 9,4; 10, 27).

v. 4. Il canto satirico afferma che Dio stesso provvederà a espropriare i latifondisti e a spartire l'eredità tra gli stranieri. Lo sfruttamento vergognoso dei poveri è un'infedeltà all'alleanza, che esige il rispetto della fraternità e della comunione. La distribuzione della terra agli stranieri è il segno che l'alleanza con Dio è infranta.

v. 5. Con la fune si delimitava il terreno, era toccato in sorte (cfr. Nm 26,56). «l'adunanza del Signore»: è la comunità restaurata di Israele (cfr. Nm 16,3; 20,4).

Discussione con gli avversari 2,6-11 Dialogo tra gli uditori di Michea, che controbattono le minacce (vv. 6-7), e il profeta che rimprovera i delitti (vv. 8-9), ribadisce le minacce (v. 10) e presenta sarcasticamente i profeti apprezzati dagli interlocutori (v. 11).

vv. 6-7. Si protesta contro gli oracoli del profeta che sono giudicati offensivi e teologicamente inconcepibili, perché contrari ai privilegi del popolo eletto (cfr. Is 41,8; Am 3,2), alle promesse di JHWH (Gn 12,2s.) e al suo antecedente comportamento (Es 34,6). «profetizzare»: lett. «stillare», è un'espressione rara, usata tre volte nel v. 6 e due volte nel v. 11 (cfr. Am 7,16; Ez 21,2.7). Si suppone che il linguaggio del profeta scenda sugli ascoltatori come le gocce d'acqua sulla terra arida (cfr. Gdc 5,4; Sal 68,9; Gb 29,22; Prv 5,3) o come il mosto nella gola di chi lo degusta (cfr. Gl 4,18). «Non profetizzare»; è usato in senso peggiorativo. «riguardo a queste cose» (v. 6): cioè le minacce e i rimproveri. «e sue parole» (v. 7) sono le promesse e le benedizioni del Signore. Le tre domande retoriche del versetto contengono degli argomenti in favore della non realizzazione delle minacce. Però il versetto è alquanto oscuro.

v. 9. Patetica denuncia dello sradicamento di una famiglia agricola. Si tratta di persone che hanno chiesto denaro in prestito, e non potendolo restituire, sono cacciate dalle loro case e messe sulla strada. «il mio onore»: è il diritto di proprietà e perciò l'onore di appartenere di pieno diritto al popolo di Dio, almeno allo scadere del settimo anno (cfr. 2Re 4,1).

v. 10. Il primo stico contiene le parole degli aguzzini indirizzate agli sfrattati del v. 9, costretti ad abbandonare in fretta le case. Il secondo stico sembra appartenere al profeta il quale denuncia l'ingiustizia di condannare la gente per un nulla.

v. 11. Con mordace ironia è descritta la caricatura del profeta gradito al popolo: è un illuminato che non critica mai, ma annuncia solamente benessere e lusso (vino e birra); questo è un falso profeta.

Promessa di salvezza 2,12-13 Brano promissorio indipendente senza rapporto con ciò che precede e segue, introdotto durante l'esilio babilonese per controbilanciare le minacce della pericope precedente. Dio annuncia il raggruppamento di Israele disperso tra i popoli (v. 12), e il profeta descrive l'uscita del popolo eletto dal paese della schiavitù sotto la guida del re-Signore (v. 13). La pericope presenta delle profonde affinità con Ez 34; 37,15-28.

v. 12. «Giacobbe» designa tutto il popolo d'Israele. Il «resto di Israele» è ciò che resterà del popolo dopo le prove purificatrici che il Signore gli avrà fatto subire (cfr. Is 46,3; Sof 3,13; Ger 6,6; 31,7; Ez 9,8; 40,13). L'immagine del gregge disperso e riunito designa spesso la liberazione dalla cattività babilonese (cfr. Ez 34,5s.11-16; Is 40,11).

v. 13. I verbi ebraici del versetto sono nella forma del perfetto profetico. Il veggente presenta come realizzato un evento che ritiene imminente. Le immagini della guerra santa e della marcia attraverso il deserto capitanata da JHWH servono a descrivere il ritorno in patria degli esiliati (cfr. Is 49,9-12, 52,12; Ger 31,7ss.).

(cf. STEFANO VIRGULIN, Michea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Titolo 1Parola del Signore, rivolta a Michea di Morèset, al tempo di Iotam, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda. Visione che egli ebbe riguardo a Samaria e a Gerusalemme.

DENUNCE E MINACCE

Processo contro Samaria e Gerusalemme 2Udite, popoli tutti! Fa’ attenzione, o terra, con quanto contieni! Il Signore Dio sia testimone contro di voi, il Signore dal suo santo tempio. 3Poiché ecco, il Signore esce dalla sua dimora e scende e cammina sulle alture della terra; 4si sciolgono i monti sotto di lui e le valli si squarciano come cera davanti al fuoco, come acque versate su un pendio. 5Tutto ciò per l’infedeltà di Giacobbe e per i peccati della casa d’Israele. Qual è l’infedeltà di Giacobbe? Non è forse Samaria? Quali sono le alture di Giuda? Non è forse Gerusalemme? 6Ridurrò Samaria a un mucchio di rovine in un campo, a un luogo per piantarvi la vigna. Rotolerò le sue pietre nella valle, scoprirò le sue fondamenta. 7Tutte le sue statue saranno frantumate, tutti i suoi guadagni andranno bruciati, di tutti i suoi idoli farò scempio, perché li ha messi insieme a prezzo di prostituzione e in prezzo di prostituzione torneranno. 8Perciò farò lamenti e griderò, me ne andrò scalzo e nudo, manderò ululati come gli sciacalli, urli lamentosi come gli struzzi, 9perché la sua piaga è incurabile ed è giunta fino a Giuda, si estende fino alle soglie del mio popolo, fino a Gerusalemme.

Lamentazione su Giuda 10Non l’annunciate in Gat, non piangete, a Bet-Leafrà rotolatevi nella polvere. 11Emigra, popolazione di Safir, nuda e vergognosa; non è uscita la popolazione di Saanan. Bet-Esel è in lutto; ha tolto a voi la sua difesa. 12Si attendeva il benessere la popolazione di Marot, invece è scesa la sciagura da parte del Signore fino alle porte di Gerusalemme. 13Attacca i destrieri al carro, o abitante di Lachis! Essa fu l’inizio del peccato per la figlia di Sion, poiché in te sono state trovate le infedeltà d’Israele. 14Perciò tu darai un regalo d’addio a Morèset-Gat, le case di Aczib saranno una delusione per i re d’Israele. 15Ti farò ancora giungere un conquistatore, o abitante di Maresà. Fino ad Adullàm arriverà la gloria d’Israele. 16Tàgliati i capelli, ràsati la testa per via dei tuoi figli, tue delizie; allarga la tua calvizie come un avvoltoio, perché vanno in esilio lontano da te.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Titolo 1,1 Versetto redazionale molto ampio e letterariamente stereotipato (cfr. Os 1,1; Is 1,1; Sof 1,1), che riunisce due formule introduttive diverse contenenti il nome del profeta, il luogo d'origine, il tempo e l'ambiente. Michea significa: «Chi è come JHWH», frase che sottolinea il carattere trascendente e incomparabile del Signore. «Parola» e «visione» mettono in rilievo l'origine divina degli oracoli. La serie dei tre re si ritrova in Os 1,1 e Is 1,1 (che aggiunge il nome di Ozia), e sembra rappresentare uno schema convenzionale. Michea operò soprattutto al tempo del re Ezechia (725-698 a.C.).

DENUNCE E MINACCE 1,2-3,12 Serie di oracoli pronunciati dal profeta in diverse occasioni contenenti descrizioni di processo, rimproveri, lamentazioni, minacce di punizione dei capi e del popolo di Samaria e Giuda, responsabili di ingiustizie sociali, con l'aggiunta di una promessa del tempo esilico (2,13s.). Viene descritta in modo dettagliato la corruzione della società ebraica della seconda metà del sec. VIII a.C.

Processo contro Samaria e Gerusalemme 1,2-9 Dopo un universale appello all'attenzione (v. 2), viene descritta una solenne teofania (vv. 3-4), cui seguono un atto di accusa (v. 5) e un oracolo di condanna (vv. 6-7) con i segni di un motivato cordoglio (vv. 8-9). Sembra che in origine l'oracolo trattasse solamente di Samaria prima della sua caduta nel 722 a.C. e più tardi sia stato adattato a Giuda (vv. 5.8-9). Il genere letterario del brano è il processo giudiziario tipico dei profeti (cfr. Os 2,4ss.; 4,1-5; Is 3,13ss.; 5,3s.; Ger 2,9; 25,32).

v. 2. Solenne invito a partecipare al processo divino rivolto dal profeta al mondo intero redatto in stile escatologico (cfr. Is 2,2; Sal 49,2). JHWH è l'unico Dio dell'universo e il giudice supremo delle genti. «il suo santo tempio» è il cielo, dimora di Dio (cfr. Os 5,15; Is 18,4; Sal 14,2).

vv. 3-4. Classica descrizione dell'apparizione divina in cui vengono usate le immagini tradizionali e simboliche del terremoto e delle eruzioni vulcaniche, che mettono in risalto la maestà e santità divine (cfr. Es 19,16-19; Am 4,13; Is 26,21; Sal 18,8-16; 93,3ss.).

v. 5. L'idolatria, motivo del processo, è personificata nella capitale del regno del Nord. Anche Gerusalemme, secondo un'addizione posteriore, è diventata centro di profanazione.

v. 6. Dio stesso annuncia la distruzione della capitale nordica da parte di truppe straniere; scomparirà persino il ricordo della sua localizzazione.

7. Per il profeta, Samaria è una prostituta, cioè una sposa infedele, come Israele è per Osea, Geremia ed Ezechiele. Dopo aver distrutto gli idoli di Samaria eretti con i proventi del culto licenzioso, gli Assiri ne utilizzeranno il metallo prezioso per pagare a loro volta le prostitute (cfr. Am 2,7s.; Os 4,14). Tale era la sorte degli idoli catturati in una guerra vittoriosa.

vv. 8-9. Prolettica lamentazione di Michea sui futuri avvenimenti che colpiranno Gerusalemme. Si profila all'orizzonte l'assedio di Gerusalemme da parte di Sennacherib nel 701 a.C. I versetti potrebbero essere congiunti con la pericope seguente. «nudo» significa «senza mantello» (cfr. Is 20,2). «le soglie del mio popolo» indicano Gerusalemme, in quanto la città difende l'accesso a tutta la regione. «il mio popolo» è un'espressione amata da Michea, che la usa nove volte nel libro.

Lamentazione su Giuda _1,10-16 Il profeta suppone un esercito straniero che avanza dal paese filisteo contro Gerusalemme e occupa le varie città giudee, che vengono interpellate per nome ed esortate a compiere dei riti funebri (vv. 10-15). Infine c'è un accorato invito a Gerusalemme paragonata a una madre in lutto (v. 16). Delle dodici località nominate, sette sono conosciute e si trovano tutte nella Sefela, mentre le altre non sono note. Malgrado il testo corrotto, frequenti sono le allitterazioni, le paronomasie e i giochi di parole riguardanti i nomi delle località. È difficile appurare se si tratti di un'invasione già avvenuta o di una calamità futura. Potrebbe darsi che si tratti della campagna di Sargon, re assiro, in Palestina (711 a.C.), durante la quale fu distrutta Gat, o forse meglio, del passaggio dell'esercito di Sennacherib, che nel 701 a.C. si diresse dalla Filistea verso Gerusalemme.

v. 10. Gat è una delle cinque città filistee, la più vicina a Moreset, patria di Michea. «avvoltolarsi nella polvere»; è segno di dolore e di penitenza (cfr. Gs 7,6; 2Sam 13, 19; Ger 6,26; Gb 2,12; Lam 2,10).

v. 13. Lachis, una delle più importanti fortezze di Israele, si trova a una decina di km a sud-ovest di Moreset. Esiste un gioco di parole tra il nome di Lachis e il termine «carro». «l'inizio del peccato» è forse un'allusione al culto licenzioso, di cui la città era sede, o un riferimento alla dipendenza politica dall'Egitto, con il quale Lachis aveva dei contatti. Potrebbe essere anche un accenno alla potenza militare, che faceva perdere la fiducia in Dio, siccome a Lachis c'erano delle scuderie che potevano servire di guarnigione, «la figlia di Sion»: termine che ricorre nove volte in Michea, è una personificazione di Gerusalemme, che rappresenta tutta la Giudea (cfr. Is 1,8; 10,32; 16,1; 37,22; Ger 4,31).

v. 14. L'evocazione di Moreset rivela che Michea è toccato in ciò che ha di più caro: la sua piccola patria. Il nome del villaggio richiama quello della fidanzata, per cui gli abitanti dovranno consegnarsi al loro nuovo padrone con i doni usuali che si fanno in occasione del matrimonio (cfr. 1Re 9,16).

v. 15. «Adullam» è il rifugio del fuggitivo Davide (cfr. 1Sam 22,1; 2Sam 23,13). La «gloria d'Israele»: nome divino connesso con l'arca dell'alleanza (1Sam 4,21), designa forse i capi del popolo che saranno costretti a trovare rifugio, come Davide, ad Adullam.

v. 16. Il profeta si rivolge a Gerusalemme, non nominata espressamente, ma sottintesa nelle forme verbali femminili ebraiche. La città è considerata come una madre che ha intorno a sé tanti figli (cioè le località menzionate nei vv. 10-15), ed esprime il suo dolore per la sua e la loro sorte. La rasatura dei capelli in segno di cordoglio (cfr. Ger 7,29; 16,6; Gb 1,20) era una pratica interdetta dalla legge (cfr. Lv 9,27s.; 21,5; Dt 14,1), perché i capelli, i quali crescono continuamente, erano considerati come strettamente collegati con la vita dell'uomo.

(cf. STEFANO VIRGULIN, Michea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

La misericordia di Dio 1Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu sdegnato. 2Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. 3Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». 4Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?». 5Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all’ombra, in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. 6Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino. 7Ma il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa si seccò. 8Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venire meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere». 9Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!». 10Ma il Signore gli rispose: «Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita! 11E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?».

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

La misericordia di Dio 4,1-11 La storia sembrerebbe conclusa: la parola profetica è giunta infine a Ninive, la città s'è convertita e Dio l'ha perdonata. Ma che cosa fa Giona? E lui infatti il personaggio centrale del libro. Tramite la sua reazione alla salvezza di Ninive egli interpella la comunità giudaica contemporanea ed ogni futuro lettore. Quest'ultimo capitolo è costituito essenzialmente da un dibattito fra i due attori rimasti in scena: Dio e Giona; l'oggetto di tale dibattito è l'atteggiamento misericordioso di Dio nei confronti della città, anzi è la stessa concezione di Dio (cfr. v. 2).

L'articolazione del capitolo è semplice.

In una prima scena (vv. 1-4) Giona e Dio parlano in Ninive; sono preponderanti le parole di Giona, dalle quali emerge un netto allontanamento d'animo da questa città, mentre Dio lo invita alla riflessione con una breve domanda terminale (v. 4).

Nella seconda scena (vv. 5-8) non c'è dialogo verbale – infatti le parole del v. 8b sono un augurio che Giona indirizza a se stesso –, bensì d'azione: al precedente allontanamento psicologico di Giona corrisponde ora la sua uscita dalla città e la costruzione di un riparo di frasche; di rimando segue l'azione di Dio, che fa crescere una pianta di ricino e che manda un verme a roderla e un vento a essiccarla.

Nella terza scena (vv. 9-11) riappare il dialogo, questa volta però dominato dalla voce di Dio! Egli lo apre con la medesima domanda con cui aveva terminato la prima tornata (v. 4) e lo chiude con una nuova lunga domanda (vv. 10-11), che costituisce allo stesso tempo la conclusione del libro.

v. 1. Come la piena di un fiume, pare che tutto il male, avvenuto o minacciato, si sia riversato ora su Giona. Ciò corrisponde letterariamente ad una forte espressione verbale ebraica, costituita da un verbo che significa «provocare del male» e dal complemento oggetto interno «male», sottolineato ancora dall'aggettivo «grande». La traduzione più vicina suona: «questo però provocò in Giona un grandissimo male». E il perdono accordato a Ninive che provoca nel profeta tutto ciò! Di che cosa si tratta? Per la settima volta ritorna questo termine «male», che qualifica la malizia di Ninive (1,2), la sciagura in mare (1,7.8), la malvagia condotta dei Niniviti (3, 8.10a) e infine il male minacciato da Dio alla città (3, 10b). E tutto questo male che il profeta ritiene si sia abbattuto su di lui, e se prima era Dio ad essere ardente di collera (v. 9), ora lo è Giona.

v. 2. Più che di preghiera, si tratta di uno sfogo! Con un ritorno narrativo alla scena iniziale del libro, Giona chiarisce il motivo vero della sua fuga: fugge non perché ignaro, come i marinai (cfr. «forse»: v. 1,6) o come i Niniviti (cfr. «Chi sa..», v. 3,9), ma perché perfettamente consapevole; la sua non è semplicemente una fuga da Dio, quanto una fuga dal Dio di Israele, quale s'è rivelato soprattutto nella teofania sinaitica (cfr. Es 34,6), un Dio cioé misericordioso, clemente, longanime e di amore. Il comune denominatore di questi epiteti divini è dato dall'amore misericordioso e perdonante, di gran lunga preponderante rispetto alla sua giustizia punitrice. Ai quattro titoli precedenti l'autore di Giona aggiunge, come già Gl 2,13, il “pentimento” benevolo di Dio di fronte al castigo minacciato; mentre in Gioele però è riferito all'atteggiamento di Dio nei confronti di Gerusalemme, qui è riferito al suo atteggiamento verso Ninive. Ma è proprio tale istanza teologica che Giona rifiuta, come se Dio dovesse avere due volti, uno per Israele e uno per i pagani! Infatti questa confessione su Dio risuona sulle labbra Giona fredda ed intellettuale, quasi una formula liturgica ripetuta, ma non accolta nella vita.

vv. 3-4. L'incomprensione di questo Dio spinge il profeta ad invocare una seconda volta (cfr. 1,12) la morte, come già un tempo gli Israeliti prima del miracolo del mare (Es 14,12) ed Elia nella sua fuga da Gezabele (1Re 19,4); mentre pero i primi erano realmente di fronte al pericolo della morte e il secondo di fronte al fallimento della sua missione profetica, qui Giona è di fronte al successo della propria predicazione! L'ironia non può essere maggiore. Nonostante tutta la sua sicurezza esteriore Giona conosce davvero Dio? Con una domanda semplice, ma assai pertinente (v. 4), il Signore vuole arrivare al cuore stesso del profeta.

vv. 5-8. Nel contesto attuale della narrazione l'uscita di Giona dalla città – nell'ordine cronologico essa potè avvenire anche subito dopo l'annuncio di 3,4 – è la risposta alla domanda di Dio (v. 4) e anche il simbolo di quel rifiuto di condividere coi Niniviti il medesimo amore misericordioso di Dio, già espresso verbalmente nei vv. 2-3. Come già sulla nave aveva cercato un ripostiglio ben recondito, così qui la capanna di frasche rappresenta nuovamente la scelta di un egoismo esasperato, sordo ad ogni solidarietà umana. Agisce Giona? Agisce Dio, anzi pare quasi che si diverta servendosi della sua signoria sulla natura (pianta di ricino, verme, vento), come già al c. 2 con l'invio del grosso pesce. In realtà Dio non vuole indispettire il suo profeta, bensì condurlo a capire esistenzialmente quanto sia gioioso (cfr. «grande gioia», v. 6) per l'uomo sperimentare l'ombra benefica di Dio – è lui infatti la vera ombra dell'uomo (cfr. Sal 17,8; 36,8; 63,8 ecc.) – e all'opposto quanto sia inutile una vita lontana dalla sua presenza, inutile fino al punto di invocare la morte.

vv. 9-11. A questo punto Giona può riascoltare la precedente domanda di Dio. Pur essendo materialmente uguale alla prima, essa suona diversa, perché nel frattempo s'è venuta caricando di significato grazie alla parabola della pianta di ricino. Il profeta ha provato un grande dispiacere, giungendo sino all'invocazione della morte, perché Dio ha fatto seccare quella piccola pianta di ricino; come potrebbe Giona rallegrarsi per il castigo inviato a Ninive? E positivamente: se Dio deve prendersi cura ed aver pietà di Giona rimasto senza ombra, non dovrebbe a maggior ragione prendersi cura e aver pietà di una città immensa come Ninive? Come in Gioele alla confessione dell'amore misericordioso di Dio (2,13) segue l'invocazione perché egli abbia pietà di Gerusalemme (2,17), così qui nella domanda finale di Dio non risuona implicito per Giona, dopo aver confessato soltanto intellettualmente l'amore misericordioso divino (4,2b), l'invito ad invocare da Dio questa pietà? Sì, perché soltanto così Dio potrà arrivare finalmente al cuore del profeta.

Il libro, che s'era aperto con una parola di Dio rivolta a Giona, si chiude ancora su una parola di Dio indirizzata al profeta. Si tratta di una domanda che non riceve più la risposta di Giona. Ma Giona siamo noi! Questa domanda è rivolta a noi, perché non ci lasciamo sopraffare dalla tristezza del fratello maggiore, ma possiamo gridare col padre della parabola: «bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,32).

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Giona – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Peredicazione di Giona 1Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: 2«Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». 3Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. 4Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta». 5I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. 6Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. 7Per ordine del re e dei suoi grandi fu poi proclamato a Ninive questo decreto: «Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. 8Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. 9Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!». 10Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Peredicazione di Giona 3,1 Questo capitolo riprende, ma in senso inverso, i due movimenti orizzontale e verticale con cui si era aperto il libro: orizzontalmente Giona non fugge più verso Tarsis, ma, ubbidiente alla nuova chiamata di Dio, che equivale poi alla prima (cfr. 1,1-2), si reca finalmente a Ninive. È Dio – e la duplice ripetizione dell'espressione «parola del Signore» lo sottolinea – il vero autore di questa missione a Ninive. Una volta raggiunta Ninive, la narrazione si snoda lungo un movimento verticale, di ascesa, avente per oggetto i Niniviti. Al primo grido del profeta (v. 4; BC = «e predicava») risponde il popolo della città invocando (lett. «gridando») un digiuno e vestendo di sacco (v. 5); questa risposta arriva poi sino al re, il quale a sua volta partecipa vestendosi di sacco (v. 6); infine il movimento raggiunge l'intera amministrazione dello stato tramite il decreto del re e dei suoi ministri, decreto che coinvolge ogni essere vivente, sia uomo che animale, e che diventa un possente grido (BC = «si invochi», v. 8) lanciato a Dio (vv. 7-9). Al culmine di questo movimento ascensionale Dio ascolta il grido dei Niniviti e annulla il castigo minacciato (v. 10). Il movimento ascensionale è segnato dunque, all'inizio come alla fine, dalla presenza di Dio.

Fra le numerose corrispondenze con i due capitoli precedenti due sembrano particolarmente importanti, anzitutto quella fra i Niniviti e i marinai. Graficamente si potrebbe esprimere così: marinai/popolo – capitano/re – nave/città. Come la preghiera dei marinai viene da Dio ascoltata ed essi sono liberati dal pericolo della morte, così la preghiera dei Niniviti è accolta dal Signore; si tratta in entrambi i casi di pagani, sicché nella storia del c. 1 è già prefigurata la storia del c. 3.

Un secondo parallelo emerge invece dal c. 2, in cui si era evidenziata la caduta di Giona e il suo movimento di ascesa fino al ritorno alla presenza di Dio e dunque alla salvezza. Anche Ninive conosce un simile movimento: votata alla distruzione, riemerge fino a ottenere il perdono di Dio. La vicenda di Giona salvato unicamente dalla misericordia di Dio costituisce così il preludio della salvezza di Ninive.

Quanto al Giona del c. 3, egli si colloca in una posizione ambigua rispetto al Giona dei due capitoli precedenti. Da un lato è il profeta ubbidiente, che si reca a Ninive e vi predica; dall'altro, però, dopo questa menzione iniziale egli scompare dalla scena, lasciando una traccia di dubbio nel lettore: è contento Giona della salvezza di Ninive? Spetterà al prossimo capitolo rispondere alla domanda.

vv. 1-3. Vengono riprese dal c. 1,1-2 le parole dell'invio profetico, senza però la motivazione del v. 2b; quanto al messaggio Dio lo comunicherà a suo tempo. Come in una novella l'autore descrive Ninive come «la grande città» (cfr. Gn 10,12), così estesa da richiedere un cammino di tre giorni. Il contrasto con la piccolezza del profeta ebraico non può essere maggiore, e dalla sua parola profetica scaturirà una forza tale da convertire l'intera città.

v. 4. «quaranta giorni»: l'espressione evoca molti passi biblici in particolare il diluvio (Gn 7,4.12.17; 8,6), la teofania sinaitica (Es 24,18; 34,28), il cammino di Elia verso l'Oreb (1Re 19,8). Si tratta di un tempo determinato, fissato da Dio per 1l castigo o per la penitenza o per la grazia. Nel nostro caso il contesto immediato fa pensare a un tempo di castigo, tuttavia la tradizione storico-salvifica lascia aperta la speranza in un tempo di penitenza e di grazia. «sarà distrutta»: ad eccezione di 2Sam 10,3 dove è riferito alla città degli Ammoniti, il verbo nella Bibbia allude sempre alla distruzione di Sodoma e di Gomorra (Gn 19,21.25.29; Dt 29,22; Am 4,11; Ger 20,16; Lam 4,6). Sara dunque inevitabile la distruzione di Ninive oppure, a differenza delle città della Pentapoli, si troveranno in essa almeno dieci giusti (cfr. Gn 18, 22-33)?

v. 5. La risposta dei Niniviti è immediata, credono nella verità della parola profetica e soprattutto emerge quasi incontenibile una fiduciosa speranza in Dio. Questa si esprime nella scelta penitenziale del digiuno e del vestito di sacco, intesi come segno di conversione interiore (cfr. v. 8) e poi in un atteggiamento di preghiera, quale apparirà dal decreto del re (cfr. v. 9). Il coinvolgimento è totale, tocca piccoli e grandi, arriverà al re e ai suoi ministri ed interesserà persino gli animali. Siamo ben lontani dal piccolo numero richiesto per la salvezza di Sodoma e di Gomorra!

v. 6. «notizia»: più che notizia converrebbe tradurre «la parola»; si tratta infatti della parola annunciata dal profeta. Viene spontaneo il confronto col re Ioiakim che getta nel fuoco la parola profetica di Geremia (Ger 36).

vv. 7-8a. Anche gli animali partecipano al giudizio di Dio sugli uomini (cfr. Ger 21,6), perciò vengono talvolta associati ai riti penitenziali (cfr. Gdt 4,10). Qui l'autore sottolinea con particolare vigore questa partecipazione del mondo animale, per evidenziare la completa accoglienza della parola profetica. Ma non è sempre così in Israele, dove un Isaia può amaramente constatare che gli animali sono più attenti alla parola che non gli uomini (1,3).

v. 8b-10. In 8b risuona con forza l'invito pressante e ripetuto di Geremia ad abbandonare la condotta malvagia (18,11; 25,5; 26,3; 35,15; 36,3.7). Il v. 9 chiarisce poi il senso della preghiera del Niniviti, anzitutto attraverso l'interrogativo iniziale: «Chi sa che Dio...?». È il medesimo atteggiamento del capitano della nave, il quale rivolgendosi a Dio usa il «forse» (1,6); questi pagani sanno cioè che Dio è sovranamente libero e che nessun atto di culto o di penitenza potrebbe costituire un titolo di diritto alla salvezza, essendo tale dono gratuito ed esclusivo di Dio. Nello stesso tempo, però, la preghiera dei Niniviti esprime una fiduciosa speranza: se l'uomo torna indietro dal male, anche Dio potrebbe «pentirsi» (BC = «impietosirsi») e tornare indietro dall'ardore della sua collera. Solo una volta questa preghiera era già stata elevata a Dio, là dove Mosè dopo il peccato del vitello d'oro chiedeva a Dio di tornare indietro dall'ardore della sua collera e di pentirsi del male destinato al suo popolo (Es 32,12b). Dio cambia forse atteggiamento quando tratta con i pagani? Non ha egli già salvato i marinai? Non dovrebbe salvare anche i Niniviti? Non aveva già parlato in questo senso Geremia (18,7-8)? La risposta a queste domande non si fa attendere e infatti al v. 10 solennemente si afferma il perdono di Dio a Ninive. Al ritorno dei Niniviti dalla loro condotta malvagia corrisponde la revoca misericordiosa (= di pentimento) da parte di Dio del castigo minacciato; e come il primo non era stato solo a livello di intenzioni, bensì di opere, così il «pentimento» di Dio è avvalorato dalla conferma finale: «e non lo fece». Il v. 10b riprende ancora una volta, quasi letteralmente, il testo di Es 32,14, che a conclusione della preghiera di Mosè così dice: «Allora il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo». La passata esperienza salvifica di Israele diventa ora esperienza salvifica di Ninive! Si attua così la promessa di Ger 18,7-8.

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Giona – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Giona nel ventre del pesce – Preghiera 1Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. 2Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio, 3e disse: «Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha risposto; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce. 4Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare, e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. 5Io dicevo: “Sono scacciato lontano dai tuoi occhi; eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio”. 6Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l’abisso mi ha avvolto, l’alga si è avvinta al mio capo. 7Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore, mio Dio. 8Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te, fino al tuo santo tempio. 9Quelli che servono idoli falsi abbandonano il loro amore. 10Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio e adempirò il voto che ho fatto; la salvezza viene dal Signore». 11E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Giona nel ventre del pesce – Preghiera 2,1-11 2,1-11. Terminata la comparsa dei marinai, riappaiono nuovamente in scena i due personaggi chiave del libro: Dio e Giona, come in apertura del libro; tuttavia il Giona presente non è più il profeta che sfida Dio e che spera di sfuggire da una tutela ritenuta opprimente, bensì il profeta gettato in mare, costretto cioè al riconoscimento della signoria di Dio. È Dio in effetti che continua a condurre la storia, come appare dal soggetto dell'azione iniziale (v. 1) e terminale del capitolo (v. 11), ma si tratta di una storia che continua: non sarà la morte l'ultima tappa della fuga di Giona, bensì il grosso pesce, la settima ed ultima tappa della fuga, un tempo cioè di conversione in vista della missione a Ninive. Questo tempo intermedio è occupato dal salmo (vv. 3-10), che costituisce perciò narrativamente e teologicamente l'antifuga, cioè il cammino di ritorno a Dio.

vv. 1-2. L'autore introduce, questa volta dal mondo della natura animale, un nuovo personaggio: un grosso pesce. Esso, più ancora della tempesta della scena precedente, serve non solo ad eccitare enormemente la fantasia di un popolo non marinaro come Israele, ma soprattutto a sottolineare la signoria assoluta di Dio, l'imperscrutabilità delle sue vie e la vanità del tentativo umano di sottrarsi al suo progetto. «tre giorni e tre notti» costituiscono un lasso di tempo relativamente lungo (cfr. 3,3; 1Sam 30,12; Est 4,16; Lc 2,46) ed anticipano già l'annuncio della liberazione, per evidenziare che questa dipende esclusivamente da Dio. Tuttavia la preghiera di Giona non risulta meno importante. Anzitutto risponde alla unanime domanda: che fa il profeta durante questo tempo nel ventre del pesce? Ma specialmente essa serve a proporre, attraverso Giona, alla contemporanea comunità giudaica dell'autore e a ogni futuro lettore, un itinerario di conversione che spezzi il cerchio di un egoismo spirituale vano e pericoloso. Di qui la necessità di dare spazio al v. 2 tramite l'inserzione di un salmo.

vv. 3-10. Il salmo è articolato su due movimenti contrastanti: il discendere e il salire; essi appaiono esplicitamente al centro del salmo (v. 7), ma percorrono tramite i loro simboli tutto il salmo, per ricongiungersi al resto della narrazione. Infatti l'espressione del v. 7 «Sono disceso alle radici dei monti» costituisce il termine estremo di quel lungo movimento di caduta che ha visto Giona scendere progressivamente a Giaffa (1,3), poi sulla nave (1,3), poi ancora nel luogo più riposto della nave (1,5) e infine nell'abisso del mare (2,7). Toccato il fondo della caduta, il profeta ricomincia a risalire verso Dio: è quanto esprime la frase del v. 7b: «Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita». Partendo da questi due verbi chiave il salmo si riempie di simbolismo. Immagini del discendere sono: «gli inferi» (v. 3), la profondità (BC = «abisso», v. 4), «il cuore del mare» (v. 4), «l'abisso» (v. 6), «le radici dei monti» (v. 7), «la fossa» (v. 7). L'immagine del salire è essenzialmente rappresentata dall'espressione «il tuo santo tempio» (vv. 5b.8b); siccome però si tratta del tempio del Signore e al v. 8b «Signore» (cfr. «te») è parallelo a «tempio» (BC = «dimora»), anche le menzioni del Signore evocano il simbolismo del salire (vv. 7b.8a.8b). Il movimento del salmo non è schematico e rigido, bensì segue le articolazioni della vita, dove bene e male si alternano. Dopo aver espresso fin dall'inizio la sua fiducia incondizionata nell'esaudimento divino (v. 3), il salmista rievoca l'amara esperienza della caduta (v. 4), con angoscia si domanda se potrà salvarsi (v. 5), di nuovo ripensa alla situazione di caduta (v. 6); ma quando sembra che tutto sia finito (v. 7a), sorge improvvisa e gratuita la salvezza donata da Dio (v. 7b) e questo movimento di risalita è segnato dalla preghiera del salmista (v. 8), dal suo impegno esistenziale per Dio (v. 9) e dal sacrificio di lode (v. 10).

v. 3. In apertura di salmo risuona enfatico il verbo «ho gridato» (BC = «ho invocato») posto in bocca a Giona. E la prima risposta del profeta all'invito di Dio a gridare (1,2), invito ripreso dal capitano (1, 6) e accolto dai marinai (1, 14), ed è il preludio al compimento della missione in Ninive (3,4: «e gridò»; BC = «e predicava»).

v. 4. «Mi hai gettato». Pur trattandosi di un'altra forma verbale, è una sintesi della teologia del «gettare» presente nel c. 1. Giona riconosce il Signore come il regista vero della sua storia; siamo lontani dal precedente riconoscimento di una signoria soltanto cosmica e astratta (cfr. 1, 9).

v. 5. Risuonano di nuovo le parole del Sal 31,23, come già prima al v. 3b; esse esprimono la profonda nostalgia di Dio da parte dell'uomo. La presenza di Dio, che con tutta naturalezza nel capitolo precedente fa sentire la sua voce al profeta, è qui concepita essenzialmente come presenza cultuale, legata al tempio di Gerusalemme. È qui che l'uomo può trovare e ritrovare con sicurezza Dio.

v. 7b. L'espressione iniziale «Ma tu» sottolinea che la salvezza è opera esclusiva di Dio. Giona sperimenta ora, come già i marinai, la misericordia divina che libera dal pericolo della morte. Non avranno diritto anche i Niniviti a questa misericordia? Il profeta che non sapeva e non voleva pregare ha ritrovato la voce e la piena confidenza in Dio: «Signore mio Dio!». Il versetto seguente insisterà ancora su questa preghiera ritrovata di Giona.

v. 9. «il loro amore»: si tratta di un attributo indicativo di Dio stesso; chi si abbandona agli idoli abbandona il vero bene.

v. 10. A sua insaputa Giona si unisce ora ai marinai per elevare il sacrificio di lode ed offrire voti al Signore. Riconosce che la salvezza viene unicamente dal Signore! Sarà disposto il profeta a riconoscere questo anche a Ninive? Ed è sul termine «Signore» che si chiude il salmo.

v. 11. Riprendendo il tono satirico, il racconto ci mostra ora plasticamente un Giona «vomitato» sull'asciutto. Colui che voleva fuggire fino a Tarsis e poi scendere per sempre negli abissi del mare, si trova ora di nuovo al punto di partenza! Ma la lezione non è stata inutile, Giona ha capito che è impossibile fuggire lontano dal Signore.

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Giona – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Missione di Giona 1Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: 2«Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me». 3Giona invece si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s’imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore.

Rifiuto della missione 4Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi. 5I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più in basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. 6Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse: «Che cosa fai così addormentato? Àlzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo». 7Quindi dissero fra di loro: «Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questa sciagura». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. 8Gli domandarono: «Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?». 9Egli rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra». 10Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: «Che cosa hai fatto?». Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato. 11Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?». Infatti il mare infuriava sempre più. 12Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia». 13Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. 14Allora implorarono il Signore e dissero: «Signore, fa’ che noi non periamo a causa della vita di quest’uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere». 15Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. 16Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Missione di Giona 1,1-3 L'inizio del libro è brusco ed insieme drammatico; infatti, senza titolo o prologo il lettore è immediatamente confrontato con una scena dove si oppongono due protagonisti: Dio e un uomo, Giona. Le storie di vocazione conoscono certo le obiezioni del profeta o le sue riserve (cfr. per es. Es 4,1-17; Ger 1,6), ma nessuna riporta un rifiuto così netto e immediato. E non c'è bisogno di titolo, perché è la stessa possibilità dell'uomo o di Israele di essere antiprofeta che costituisce il vero titolo del libro, titolo che interpella la coscienza ed esige una risposta. La drammaticità di questa scena è letterariamente espressa dall'opposizione delle due espressioni che includono l'unità: «parola del Signore» (v. 1) – «lontano dal Signore» (v. 3). La parola del Signore si pone sin dall'inizio come protagonista e soggetto vero della storia; lungo la narrazione assumerà volti diversi: la tempesta, la parola del capitano della nave, il silenzio dei tre giorni nel ventre del pesce, la storia del ricino; ma sarà sempre essa ad interpellare il profeta. L'assolutezza di questa parola si esprime negli imperativi del v. 2: «alzati», «va'», «grida» (BC = «proclama»). Il rifiuto di Giona è altrettanto assoluto: si alza sì (BC = «si mise in cammino»), ma per fuggire; va sì, ma a Tarsis; il tutto senza dire una parola! Inizia così la fuga del profeta da Dio, fuga che si esprime in due movimenti, uno orizzontale e uno verticale. Chiamato ad andare a Ninive, Giona si dirige a Tarsis, all'estremità opposta occidentale allora conosciuta, non lontano dall'attuale Gibilterra. La triplice menzione della città ne sottolinea il significato simbolico: non soltanto essa rappresenta l'anti-Ninive geografica, ma pure il paese della ricchezza mineraria (cfr. Ger 10,9; Ez 27,12), dove perciò non si sente la parola di Dio (Is 66,19) e si è «lontani dal Signore» (nota la duplice ripetizione dell'espressione al v. 3). Il secondo è un movimento di discesa-degradazione, che porterà Giona via via giù in fondo al mare: chiamato ad elevarsi fino a Dio per ascoltarne la voce, egli comincia a scendere verso il basso: dapprima scende a Giaffa, poi scende su una nave (letteralmente: «... vi scese per partire con loro verso Tarsis»). Giaffa è la prima tappa della sua fuga; Tarsis è la seconda tappa (progettata). Riuscirà Giona nella sua fuga?

Rifiuto della missione 1,4-16 Alla domanda precedente risponde questa nuova scena sulla nave. Essa si apre con Dio che scatena (letteralmente: «getta») una terribile tempesta (v. 4); i marinai pieni di paura gettano a loro volta in mare zavorra e merci (v. 5), ma non basta. Dovranno gettare Giona stesso, allora soltanto il mare si calmerà (v. 15) e la loro paura diventerà timore del Signore (v. 16). La soluzione del dramma sta nella confessione di Giona, che infatti occupa il centro della scena (v. 9). Se il dramma appare evidente, non meno vera è l'ironia del narratore: il profeta che rifiuta di recarsi a Ninive per timore di una predicazione che conduca al pentimento, si imbatte, precisamente durante la sua fuga, in una Ninive galleggiante, i cui marinai troveranno la conversione proprio grazie al suo rifiuto!

v. 4. Essendo Giona sordo allo spirito (letteralmente: «vento») profetico, Dio scatena un altro spirito, un vento di tempesta, di fronte al quale il profeta non potrà più nascondersi!

v. 5. Alla preghiera di paura e all'azione affannosa dei marinai si contrappone la totale passività del passeggero ebreo. Pur essendo lui il vero peso della nave e il destinatario della tempesta, egli continua la sua fuga da Dio. Scende ancora e questa volta nel luogo più riposto della nave, per non udire Dio che ora gli parla attraverso la natura; il ripostiglio nascosto e profondo è la terza tappa della fuga da Dio. Ma tutto ciò non basta ancora ad evitare l'interpellazione di Dio, per cui Giona decide di non pensare e cade in un sonno profondo; non si tratta di un semplice dormire, bensì di un letargo, di un preludio alla morte da parte di uno che rifiuta la responsabilità della propria vocazione. È questa la quarta tappa della fuga di Giona.

v. 6. Le parole di invio da parte di Dio, non udite o equivocate, risuonano ora chiaramente sulla bocca del capitano: alzati, grida (cfr. v. 2). Sebbene in modo ancora un po' ambiguo, il Dio di Giona comincia ad entrare nell'orizzonte di fede di questi marinai, che lottano per la salvezza. Per la medesima salvezza pregheranno e agiranno gli abitanti di Ninive (cfr. 3,9), dei quali i marinai prefigurano già l'istanza della conversione e della fede nel vero Dio; non a torto la tradizione interpretativa giudaica ha visto in quei marinai i rappresentanti delle 70 nazioni pagane. Ma Giona, invitato a invocare il proprio Dio, tace; il suo silenzio caparbio e ostinato è un ulteriore allontanamento: la quinta tappa della fuga del profeta.

v. 8. La serie di cinque domande, che i marinai pongono al profeta, al di là del contesto immediato delle sorti cadute su di lui, è l'espressione narrativa di una domanda presente fin dall'inizio e che è venuta via via crescendo: chi è questo Giona a cui Dio affida la missione profetica? E soprattutto: chi è questo Giona che osa opporsi così frontalmente a Dio?

v. 9. Finalmente una parola di Giona, che finora s'è chiuso in un mutismo assoluto! Si presenta anzitutto come un Ebreo, titolo che invita a pensarlo come rappresentante del popolo ebreo. Effettivamente è alla contemporanea comunità giudaica che attraverso questa novella intende rivolgersi l'autore, per scuoterla dal suo torpore e dalla sua chiusura nazionalistica. Però non si riconosce o non vuole ancora riconoscersi come profeta. Di qui l'insufficienza di tale confessione, insufficienza pure presente nella presentazione del suo Dio. Questo Dio infatti è soltanto un Dio dai tratti cosmici, che non entra ancora in un rapporto personale con gli uomini. Non sappiamo se, all'invito da parte del capitano di pregare, Giona abbia risposto o no; di fatto questa sua confessione non è una preghiera, ma solo un riconoscimento parziale ed intellettuale di Dio.

v. 10. La confessione di Giona, e in particolare la menzione del Signore, fa percepire ai marinai in tutta la sua gravità il significato di questa fuga lontano dal Signore. Narrativamente la domanda: «Che cosa hai fatto?» esprime un movimento di allontanamento rispetto al profeta. Positivamente emerge nei marinai un sentimento di «grande timore»; esso non proviene più dall'ignoranza degenerata in panico (cfr. v. 5), né da un semplice riconoscimento impersonale come quello di Giona (cfr. v. 9), ma dall'accettazione, sia pure ancora iniziale, di questo Dio che si manifesta nella tempesta e al quale l'uomo non può fuggire.

vv. 11-13. Due movimenti di segno opposto si delineano: Giona che chiede d'essere gettato in mare, l'equipaggio che cerca disperatamente di guadagnare la terraferma. Con la sua richiesta il profeta vuole disgiungersi da quegli uomini e delimita un nuovo spazio; si offre solo al mare, per liberarne i compagni. Nelle sue parole emerge la presa di coscienza della verità dei fatti: è lui il vero peso da gettare in mare! Però non c'è spazio né per una confessione di colpa, né per una preghiera, né per una domanda circa la volontà di Dio. Prorompe un unico desiderio: la morte! È questa la sesta tappa, ritenuta definitiva, della fuga del profeta da Dio. D'altra parte il tentativo dei marinai di raggiungere la terraferma, simbolo della salvezza in contrapposizione al mare, simbolo della morte, si rivela inutile, perché è impossibile remare contro JHWH. La ripetuta menzione di un infuriare sempre più violento del mare (cfr. vv. 5.11.13) indica proprio questo. Giona arriverà sì alla terraferma, ma solo quando JHWH vorrà.

vv. 14-15. Come al v. 5 i marinai all'azione uniscono la preghiera, così qui, accanto al tentativo generoso di riportare la nave alla costa, compare la preghiera. E essenzialmente una invocazione di salvezza, non più affidata all'interesse del profeta ebreo (cfr. v. 6), bensì elevata da loro stessi a danno dello stesso profeta. In questa preghiera risuona la lingua dei salmi (cfr. 115,3; 135,6), ma sulle labbra di pagani che riconoscono in tutto l'accaduto, e quindi anche nell'inevitabile sacrificio di Giona, l'esecuzione della volontà di Dio. Così il profeta viene gettato in mare: è la conseguenza e lo scopo a cui mirava il gesto iniziale di Dio, che «gettava» sul mare la tempesta (v. 4). Il segno, infatti, è dato dal sopravvenire immediato della bonaccia.

v. 16. Il versetto finale non dice nulla di Giona; apparentemente egli ha raggiunto il suo scopo di fuggire da Dio per sempre nel regno dei morti. L'attenzione è invece rivolta ai pagani di questa Ninive galleggiante, che pagani non sono più. Ancora una volta ritorna il termine «timore», ma ora è accompagnato per la prima volta dalla specificazione «del Signore», è l'espressione che nel linguaggio biblico indica un rapporto di fiducia e di obbedienza in JHWH (cfr. Gn 22,12; Es 20,20; Sal 111,10). Concretamente questo riconoscimento di JHWH si esprime con i sacrifici, verosimilmente sacrifici di ringraziamento per lo scampato pericolo, e con i voti, cioè con la promessa di una vita consona alla nuova fede in JHWH. Ciò che Giona aveva voluto evitare col suo rifiuto di recarsi a Ninive, si è ora avverato proprio durante e mediante la sua fuga! Tutto questo, perché è JHWH il vero protagonista della storia, che con lui si apre (cfr. v. 4) e con lui si chiude (cfr. v. 16).

(cf. MICHELANGELO PRIOTTO, Giona – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Titolo e prologo 1Visione di Abdia. Così dice il Signore Dio per Edom: Udimmo un messaggio da parte del Signore, un messaggero è stato inviato fra le nazioni: «Alzatevi, marciamo contro Edom in battaglia!».

GIUDIZIO SU EDOM

Annuncio del castigo 2«Ecco, ti faccio piccolo fra le nazioni, tu sei molto spregevole. 3La superbia del tuo cuore ti ha ingannato, tu che abiti nelle caverne delle rocce, delle alture fai la tua dimora e dici in cuor tuo: “Chi potrà gettarmi a terra?”. 4Anche se, come l'aquila, ponessi in alto il tuo nido, anche se lo collocassi fra le stelle, di lassù ti farò precipitare». Oracolo del Signore.

Descrizione del castigo 5Se entrassero da te ladri o predoni di notte, come sarebbe finita per te! Non ruberebbero quanto basta loro? Se vendemmiatori venissero da te, non ti lascerebbero forse appena qualche grappolo? 6Come è stato perquisito Esaù! Come sono stati scovati i suoi tesori nascosti! 7Ti hanno cacciato fino alla frontiera, tutti i tuoi alleati ti hanno ingannato, i tuoi amici ti hanno vinto, quelli che mangiavano il tuo pane ti hanno teso tranelli: in lui non c’è senno! 8«In quel giorno – oracolo del Signore – non disperderò forse i saggi da Edom e l’intelligenza dal monte di Esaù? 9Saranno terrorizzati i tuoi prodi, o Teman, e sarà sterminato ogni uomo dal monte di Esaù. 10A causa della violenza contro Giacobbe, tuo fratello, la vergogna ti coprirà e sarai sterminato per sempre. 11Anche se tu stavi in disparte, quando gli stranieri ne deportavano le ricchezze, quando i forestieri entravano per le sue porte e si spartivano a sorte Gerusalemme, ti sei comportato proprio come uno di loro».

Ammonimento profetico 12Non guardare con gioia al giorno di tuo fratello, al giorno della sua sventura. Non gioire dei figli di Giuda nel giorno della loro rovina. Non spalancare la bocca nel giorno della loro angoscia. 13Non varcare la porta del mio popolo nel giorno della sua sventura, non guardare con compiacenza la sua calamità; non stendere la mano sui suoi beni nel giorno della sua sventura. 14Non appostarti ai crocicchi delle strade per massacrare i suoi fuggiaschi; non fare mercato dei suoi superstiti nel giorno dell’angoscia.

IL GIORNO DEL SIGNORE

15Perché è vicino il giorno del Signore contro tutte le nazioni. Come hai fatto tu, così a te sarà fatto; ciò che hai fatto agli altri, ricadrà sul tuo capo. 16Poiché come avete bevuto sul mio monte santo, così berranno tutte le nazioni senza fine, berranno e tracanneranno, e saranno come se non fossero mai state. 17Ma sul monte Sion vi saranno superstiti e sarà un luogo santo, e la casa di Giacobbe possederà i suoi possessori. 18La casa di Giacobbe sarà un fuoco e la casa di Giuseppe una fiamma, la casa di Esaù sarà come paglia: la bruceranno e la consumeranno, non scamperà nessuno della casa di Esaù, poiché il Signore ha parlato.

CONQUISTE DI ISRAELE

19Quelli del Negheb possederanno il monte di Esaù e quelli della Sefela la terra dei Filistei; possederanno il territorio di Èfraim e di Samaria e Beniamino possederà il Gàlaad. 20Gli esuli di questo esercito dei figli d’Israele possederanno Canaan fino a Sarepta e gli esuli di Gerusalemme, che sono in Sefarad, possederanno le città del Negheb. 21Saliranno vittoriosi sul monte di Sion, per governare il monte di Esaù, e il regno sarà del Signore.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Con i suoi 21 versetti, il libro del profeta Abdia è il più corto dell’Antico Testamento. Non abbiamo informazioni a riguardo del suo autore, a parte il suo nome che significa “servitore (o adoratore) dell’Eterno”. Nell’antico Testamento, sono menzionate oltre dieci persone che portano questo nome, ma il profeta non è accostabile a nessuna di esse. Per questo fatto è difficile datare questo scritto. Il libro del profeta Abdia, dai tempi più antichi, occupa un posto sicuro e incontestato nel canone dell’Antico Testamento ebraico e della Bibbia.

Titolo e prologo 1 1. Il titolo consiste di soli due termini, ciò che costituisce un caso unico nei libri profetici. «Visione»: parola tecnica che indica il contenuto del messaggio ricevuto da Dio anche sotto forma di audizione (cfr. Is 2,1; 13,1; 30,10). Il nome Abdia ricorre ancora una decina di volte nell'AT (cfr. 1Re 18,3; Esd 8,9, ecc.). La frase «Così dice il Signore Dio» non è seguita direttamente da un oracolo divino, per cui da alcuni esegeti viene spostata all'inizio del v. 2. «Edom» è una tribù semitica imparentata con Israele; essa occupava la regione montagnosa situata tra il Mar Morto e il golfo di Agaba sul Mar Rosso. L'inimicizia tra Edom e Israele, che rimontava alle origini (cfr. Gn 25,22ss.29-34; 27,41), si è manifestata in occasione del passaggio di Israele verso la terra promessa (cfr. Nm 20,14-21) ed è scoppiata violenta durante la distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. (cfr. Ez. 35,6; Lam 4,21; Gl 4,19; Sal 137,7). L'oracolo divino contiene un appello alle nazioni (che sono probabilmente i paesi vicini, quali Ammon, Moab e le tribù arabe) perché muovano guerra a Edom (cfr. Ger 49,14). «Udimmo» (i LXX hanno il singolare) si riferisce ai membri della corte celeste o meglio ai contemporanei del profeta.

GIUDIZIO SU EDOM 2-14 Il brano è un'unità letteraria redazionale contenente accuse e annunci di castigo contro Edom. La punizione è formulata da Dio stesso (vv. 2-4) e viene descritta in forma ironica di lamentazione (vv. 5-7). Al secondo annuncio di castigo (vv. 8-11) segue un ammonimento profetico (vv. 12-14).

Annuncio del castigo 2-4 Mediante un oracolo simile a una dichiarazione di guerra il Signore proclama l'umiliazione di Edom, piccolo paese tra gli altri popoli, ma arrogante e fiero della sua posizione geografica.

V. 2. Dio agisce secondo un principio dialettico, precipitando nell'abisso gli orgogliosi ed elevando gli umili (cfr. 1Sam 2,3-8; Is 2,6-18; 3,16ss.; 14,29s.; Sof 3,1-13).

v. 3. Viene descritta in modo i poetico la superbia di Edom, fondata sul sentimento della propria sicurezza e sulla fiducia riposta nella posizione imprendibile della sua capitale (cfr. Ger 49,16; 50,31; Ez 7,10). I «crepacci rocciosi» alludono probabilmente alla città principale di Petra (Sela) e a tutto il paese costituito dal massiccio montagnoso dello Seir, ricco di grotte e fortificato alle frontiere settentrionale e meridionale. L'espressione oratoria dell'orgoglio di Edom («Chi potrà gettarmi a terra») si ritrova in Is 14,13s.

v. 4. Nello stile dell'oracolo viene utilizzata l'immagine della caduta dell'aquila, il gigante dei rapaci (cfr. Ez 17,7), celebre per la robustezza delle sue ali, l'audacia e la rapidità del suo volo (cfr. Ger 49,16; 51,53; Nm 24,21, Ab 2,9).

Descrizione del castigo 5-11 Edom sarà saccheggiato e deportato (vvb 5-6), tradito dai suoi alleati (v. 7), privato dei suoi «saggi» e dei suoi «prodi» (vv. 8-9). La colpa di Edom è di aver compiuto violenze a danno del proprio fratello Giacobbe, e di aver partecipato al saccheggio di Gerusalemme (vv. 10-11).

v. 5. Con due immagini, quella dei ladri notturni che asportano tutto, lasciando dietro qualcosa di poco conto, e quella della vendemmia della vigna (cfr. Ger 49,9; Is 17,6; 24,13; Mic 7,1), viene descritta ironicamente la gravità dell'umiliazione subita da Edom, cioè la sua totale distruzione.

v. 6. Le due esclamazioni alludono all'estensione del disastro subito da Esaù, che è un altro nome di Edom (cfr. Ger 49,10; Is 14,12.15). Le grotte inaccessibili del paese non hanno protetto gli oggetti preziosi e i viveri ivi nascosti (cfr. Gdc 6,2.11).

v. 7. Gli antichi alleati, cioè le tribù nomadi con le quali Edom aveva collaborato nel commercio (cfr. Is 42,11), hanno fatto voltafaccia, cacciando l'amico dal suo territorio, onde prenderne il posto. Così Edom divenne fuggitivo e schiavo (cfr. Gdc 11,3): «mangiare il pane» significa intrattenere rapporti di amicizia e intimità (cfr. Sal 41,10). Probabilmente l'ultimo stico del v. introduce il v. seguente.

v. 8. Per meglio assicurare la rovina di Edom il Signore annulla tutta la sapienza politica e diplomatica e la bravura militare di cui il paese era fiero (cfr. Ger 49,7; Bar 3,22s.; Gb 2,11; 15,18; Prv 30,1; 31,1). «in quel giorno»: formula profetica che introduce il giudizio del Signore (cfr. Is 27,1s.; Ger 39,16s.; Gio 4,1; Zc 14,9). «il monte di Esaù» è il massiccio centrale del territorio di Edom, chiamato Seir (cfr. Gn 36,7.9; Dt 2,5; Ez 35,15).

v. 9. Il fatto che i valorosi difensori del paese siano obbligati a rinunciare al combattimento, è la causa della deportazione e dello spopolamento della regione. «Teman» può indicare la città o la regione situata nella parte settentrionale di Edom; qui però sembra indicare tutto il paese (cfr. Ger 49,7.20; Am 1,12; Ab 3,3).

v. 10. Edom è colpevole del più efferato crimine, quello del fratricidio. «Giacobbe tuo fratello» indica qui Israele, il popolo discendente da Giacobbe e perciò appartenente alla stessa stirpe di Esaù (cfr. Gn 25,22-28; 35,9s.). Più particolarmente il termine designa il paese di Giuda, contro il quale si esercitò la violenza di Edom (cfr. v. 18; Gl 4,19). La «vergogna» è una specie di potenza mortale che paralizza completamente l'uomo e che perciò equivale alla morte.

v. 11. Quando Gerusalemme fu distrutta dai Babilonesi, Edom, anziché prestare aiuto, si tenne in disparte e partecipò al saccheggio della città (cfr. Lam 4,22; Ez 35,5.12; 25,12; Sal 137,7). «entrare per le porte» significa riportare vittoria. Si «gettavano le sorti» per distribuire i beni materiali degli abitanti vinti e sottomessi (cfr. Gl 4,3; Na 3,10).

Ammonimento profetico 12-14 Il profeta si trasporta col pensiero al momento dell'occupazione di Gerusalemme da parte dei Babilonesi e con una finzione letteraria invita Edom ad astenersi da tutte le violenze che ha commesso. Mediante otto imperativi negativi, che mettono in luce la gioia maligna di Edom (v. 12), la sua avidità (v. 13) e crudeltà (v. 14), vengono esposte in un impressionante crescendo le colpe, che si sarebbero dovute evitare. Per otto volte viene ripetuta la frase «il giorno di tuo fratello», «della sventura», «della rovina», «dell'angoscia», alludendo al momento della distruzione di Gerusalemme e del tempio del Signore.

v. 12. «Spalancare la bocca» significa pronunciare frizzi e parole ironiche all'indirizzo della città distrutta (cfr. Ez 15,13; Sal 35,21; 81,11; Is 57,4).

v. 13. La «soglia del mio popolo» è Gerusalemme, la capitale del popolo di Dio.

v. 14. Si allude al fatto increscioso che gli Edomiti consegnarono all'esercito babilonese i fuggiaschi israeliti di Gerusalemme che si erano rifugiati nel loro territorio.

IL GIORNO DEL SIGNORE 15-18 Il castigo finale di Edom è incluso nel giudizio che Dio porterà sulle nazioni (v. 15a). In modo ideale e immaginario il Signore annuncia agli Israeliti che tutti i loro nemici saranno sconfitti (v. 16); Sion oppressa diventerà il luogo della salvezza e il potere passerà nelle sue mani (v. 17), mentre Edom sarà distrutto per sempre (v. 18), Lo stile è laborioso e il pensiero assume dei toni apocalittici.

v. 15a. «il giorno del Signore» è il momento della grande rivelazione di Dio, che fa giustizia nel mondo inaugurando il suo regno (cfr, Am 5,18; Gl 1,5; 2,1s; Sof 1,14ss; Ger 25,15; Ml 3,17).

v. 15b. La legge del taglione viene applicata a Edom come a Babilonia (cfr. Ger 50, 15.29; Gio 4,4.7) e ai nemici di Gerusalemme (cfr. Lam 3,64; Gl 4,4.7). La severa punizione di Edom si giustifica con ragioni giuridiche e teologiche.

v. 16. «avete bevuto», si sottintende: la coppa della sofferenza (cfr. Ger 25,15.27s.,49,12; Ez 23,31-34, Ab 2,16; Sal 60,5; 75,9). Tutti i nemici di Israele saranno annientati in modo così radicale, che scomparirà anche il loro ricordo.

v. 17. La salvezza è destinata ai superstiti di Israele, cioè ai membri del popolo eletto, sopravvissuti alla catastrofe (cfr. Gl 3,5). Non sono esclusi i pagani che prodigiosamente sfuggono al massacro, «la casa di Giacobbe» indica tutto il paese di Giuda, i cui abitanti conquisteranno le regioni appartenenti alle nazioni nemiche. Il «monte Sion» diventa di nuovo il luogo della dimora del Signore, in cui si pratica il culto legittimo (cfr. Gl 4,18-21).

v. 18. «La casa di Giacobbe» designa il territorio di Giuda nel quale sorge il monte Sion, mentre «la casa di Giuseppe» indica il regno del Nord (cfr. Gl 4,19; Am 5,6; Zc 10,6). I due regni riuniti nell'epoca finale provocheranno la rovina totale e assoluta di Edom. Le immagini del fuoco, della fiamma e della paglia vengono usate per descrivere una sconfitta militare e specialmente la distruzione degli empi (cfr. Es 11,13-16; Os 2,2; Ger 31,18; Ez 37,15-22).

CONQUISTE DI ISRAELE 19-21 Questi vv. in prosa, probabilmente aggiunti al libretto di Abdia, suppongono il ritorno degli esuli da Babilonia e presentano il programma di conquiste territoriali compiute dagli abitanti dei distretti giudaici in tutte le direzioni (vv. 19-20). L'ultimo v. presenta con linguaggio liturgico il regno universale di Dio (v. 21). Il testo presenta delle difficoltà testuali e l'interpretazione è controversa.

v. 19. Il «Negheb», situato a sud della Palestina, è il territorio che confina con Edom. La «Sefela» abbraccia la zona pianeggiante situata tra il Mediterraneo e la montagna. Il «territorio di Efraim e di Samaria» comprende la parte centrale e montagnosa del paese. Il «Galaad» si trova in Transgiordania. Le conquiste si fanno in direzione dei quattro punti cardinali (cfr. Gn 28,14), a partire dalle regioni meridionali per concludere con quelle settentrionali.

v. 20. «Canaan» indica la regione fenicia. «Zarefta» si trova nella Fenicia sulla costa del Mediterraneo (cfr. 1Re 1,8ss.) a sud di Sidone. «Sefarad» è probabilmente Sardi, città della Licia in Asia Minore. Questo nome ha dato origine al termine «Sefardim», che indica gli Ebrei di Spagna e dell'Africa settentrionale.

v. 21. Tutti coloro che soffrirono da parte di Edom e ora proclamano la sua caduta, e quindi la sua servile condizione di vassallaggio, salgono in processione al monte Sion, dal quale reggono il paese occupato (ctr. Sal 2,10; 72,1s.) in nome del Signore, re dell'universo. L'ultimo stico rappresenta il tipico grido di trionfo dell'escatologia giudaica (cfr. Sal 22,29; 103,19; 145,11ss.).

(cf. STEFANO VIRGULIN, Abdia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage