📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

ORACOLI CONTRO LE GENTI

Contro i vicini d'Israele

Gli Ammoniti 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, rivolgiti agli Ammoniti e profetizza contro di loro. 3Annuncerai agli Ammoniti: Udite la parola del Signore Dio. Così dice il Signore Dio: Poiché tu hai esclamato: “Bene!”, quando il mio santuario è stato profanato, quando la terra d’Israele è stata devastata e quando la casa di Giuda è stata condotta in esilio, 4per questo, ecco, io ti do in mano ai figli d’oriente. Metteranno in te i loro accampamenti e in mezzo a te pianteranno le loro tende, mangeranno i tuoi frutti e berranno il tuo latte. 5Farò di Rabbà un pascolo per cammelli e delle città di Ammon un ovile per pecore. Allora saprete che io sono il Signore. 6Perché così dice il Signore Dio: Poiché hai battuto le mani, hai pestato i piedi e hai gioito in cuor tuo con totale disprezzo per la terra d’Israele, 7per questo, eccomi: io stendo la mano su di te e ti darò in preda alle genti; ti sterminerò dai popoli e ti cancellerò dal numero delle nazioni. Ti annienterò e allora saprai che io sono il Signore.

I Moabiti 8Così dice il Signore Dio: Poiché Moab e Seir hanno detto: “Ecco, la casa di Giuda è come tutti gli altri popoli”, 9ebbene, io tiro un fendente sulle spalle di Moab, in tutto il suo territorio anniento le sue città, decoro del paese, Bet-Iesimòt, Baal-Meon, Kiriatàim, 10e le do in possesso ai figli d’oriente, come diedi loro gli Ammoniti, perché non siano più ricordati fra i popoli. 11Così farò giustizia di Moab e sapranno che io sono il Signore.

Edomiti e Filistei 12Così dice il Signore Dio: Poiché Edom ha sfogato crudelmente la sua vendetta contro la casa di Giuda e s’è reso colpevole vendicandosi su di essa, 13per questo, così dice il Signore Dio: Anch’io stenderò la mano su Edom, vi sterminerò uomini e bestie, ne farò un deserto. Da Teman fino a Dedan cadranno di spada. 14La mia vendetta su Edom la compirò per mezzo del mio popolo, Israele, che tratterà Edom secondo la mia ira e il mio sdegno. Si conoscerà così la mia vendetta. Oracolo del Signore Dio. 15Così dice il Signore Dio: Poiché i Filistei si sono vendicati con animo pieno di odio e si sono abbandonati allo sterminio, mossi da antico rancore, 16per questo, così dice il Signore Dio: Ecco, io stendo la mano sui Filistei; sterminerò i Cretei e annienterò il resto della costa del mare. 17Farò su di loro terribili vendette con castighi furiosi, e sapranno che io sono il Signore, quando eseguirò su di loro la vendetta».

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Approfondimenti

ORACOLI CONTRO LE GENTI 25,1-32,32 In questa seconda parte dell'opera ezechieliana abbiamo una raccolta di oracoli contro i popoli circonvicini. Il profeta li compose probabilmente nel periodo che va dal gennaio 587 al 585, quando si chiuse in un più completo silenzio, prima del suo nuovo ministero (24,27; 33,21). Portano infatti quasi tutti datazioni comprese fra quegli anni, eccetto quello di 29,17-21 (aprile 571), inserito qui a complemento del vaticinio precedente (29,1-16). Sono messaggi a distanza, come parecchi di quelli pronunziati contro la Giudea e Gerusalemme dallo stesso Ezechiele, e come lo erano stati quelli di Amos (Am 1.2), di Isaia (Is 13-23), di Geremia (Ger 46-51). Annunziano gravi rovine a tutte quelle nazioni che per la caduta del popolo eletto hanno goduto o hanno contribuito, o hanno mostrato sentimenti d'orgoglio di fronte al Dio supremo JHWH. Ciò poteva essere di qualche conforto per i figli d'Israele nella loro immensa sventura. Il Dio dei padri non si era dimenticato di loro nonostante le apparenze contrarie. Lui veglia su tutti i popoli, e come si serve di loro per purificare e correggere le infedeltà della sua gente, ha anche il potere di punire e umiliare chiunque attenta all'onore del suo nome. La forma letteraria è per lo più quella del “giudizio di condanna”, con l'esposizione delle colpe (l'accusa), introdotta da «Poiché» (kî) e con il pronunziamento della sentenza, preceduta dal laken, «perciò», e quasi sempre con la conclusione della formula del riconoscimento di JHWH. Lo stile è poetico più che nel resto del libro, con immagini rapide, ben costruite, con tratti stereotipi e a volte mitici e trascendenti. Dio dimostra di essere il dominatore supremo della storia, di cui il popolo eletto si può fidare pienamente.

Contro i vicini d'Israele 25,1-17 Il c. 25 raggruppa cinque “giudizi” di JHWH contro i popoli che circondano Giuda: gli Ammoniti, una tribù imparentata con il clan di Giacobbe (Gn 19,38) dimorante a est del Mar Morto e del Giordano, spesso in lotta con gli Israeliti; i Moabiti e gli Edomiti, congiunti anch'essi con gli Ebrei, gli uni per via di Lot (Gn 19,37), gli altri per via di Esaù (Gn 25,29s.), residenti a est-sud-ovest del Mar Morto e del Giordano, anche loro in perenne discordia con gli Ebrei (2Sam 8; 2Re 14,7); i Filistei, altro antico avversario d'Israele, un clan di immigrati non semiti, provenienti, pare, dalle coste dell'Asia Minore e attestatisi fin dal tempo dei Giudici (sec. XII) nel litorale di Canaan, con l'incessante tentativo di penetrare nell'interno del paese (2Sam 5,17ss.; 1Re 16,16ss.). Nessuno di questi oracoli porta una data; dall'animosità che riflettono è probabile siano stati redatti subito dopo il crollo di Gerusalemme, come a neutralizzare senza indugio lo scherno degli inveterati nemici.

Gli Ammoniti 25,1-7 1° e 2° oracolo. Il profeta è invitato a rivolgere il suo volto e la sua parola contro il paese di Ammon, come aveva fatto per i monti di Giuda (6,1). Dovette sentirsi particolarmente ferito dagli oltraggi del popolo fratello: ha insultato JHWH, esultando anzitutto per la distruzione del suo santuario (v. 3a), ma anche per la devastazione e dispersione del popolo a lui sacro (v. 3b). Anche se Israele non è stato fedele e ha osato profanare il tempio santo, tuttavia ha stretti legami col supremo Signore (20,5), e ogni oltraggio all'uno è offesa all'onore dell'altro (36,20s.). Viene comminata l'esatta ritorsione: totale consegna ai razziatori del deserto siro-arabico, che faranno del territorio di Ammon e di Rabba (la capitale) un loro accampamento e ne sequestreranno tutti i prodotti (v. 4). In questa precisa corrispondenza dovranno riconoscere che ha parlato e agito l'onnipotente Dio del popolo eletto (v. 5). Anche nel suo rapporto con le genti l'Altissimo persegue la gloria del suo nome.

6-7. Quest'altro oracolo contro gli Ammoniti rincara la dose della requisitoria e della punizione. L'esclamazione di scherno è divenuta un esultanza corale («mani», «piedi», «cuore»: v. 6) a ludibrio del paese di JHWH, il quale risponde adeguatamente, apostrofando in seconda persona e «stendendo la mano», per cancellarlo dalla scena dei popoli. Il riconoscimento della sua grandezza è ancora una volta assicurato da quest'energico intervento (v. 7).

I Moabiti 25,8-11 3° oracolo. L'accusa contro i Moabiti è di aver disprezzato il clan di Giuda quasi fosse un popolo qualunque, affidato a una delle tante divinità. In cambio JHWH spezzerà il fianco, cioè la montagna che protegge le sue città, dandole in preda ai beduini del deserto, e distruggendo quel piccolo regno, fino a far riconoscere la sua divina maestà (v. 11).

Edomiti e Filistei 25,12-17 4° e 5° oracolo. Anche a Edomiti e Filistei è riservata una corrispondente ritorsione. Tutti e due questi popoli, approfittando del disastro del 586, hanno esercitato la loro furente vendetta, alimentata da «antico rancore» (v. 15), devastando il paese di Giuda fino allo sterminio degli abitanti. JHWH stenderà su di essi «la mano» possente (vv. 13a.16a), «compirà la sua vendetta» (vv. 14.17), servendosi degli stessi Giudei (cfr. gli attacchi da parte degli Ebrei in Abd 18; 1Mac 5,65), sterminando da Teman a Dedan (importanti località di frontiera a nord-est del Mar Morto, di cui gli Edomiti andavano fieri), e la costa dei Filistei. Si riconoscerà l'intervento punitivo del Dio d'Israele e di conseguenza la sua grandezza. Il Dio dell'alleanza mosaica afferma così il suo dominio al di là della terra a lui sacra; vigila sulle attività delle nazioni, e se permette che oltraggino o danneggino l'infedele suo popolo, non lascerà che calpestino l'onore del suo nome divino: per questo ha sempre risparmiato il resto del ribelle Israele (20,9.32s.), per questo lo restaurerà (36,21s.), per questo interviene a dimostrare la sua onnipotenza nei giusti castighi. Già in questi primi oracoli JHWH si presenta come il signore della storia. Controlla le vicende delle nazioni, e se può permettere che esse devastino il suo paese, saprà poi indurle con adeguati castighi a riconoscere la sua trascendente azione fino a ristabilire la gloria del suo nome. Rimane così intatto il suo primitivo disegno, quello di manifestare la sua grandezza attraverso la stirpe di Giacobbe, al cospetto dei popoli (5,5; 20,5s.). E il progetto che Ezechiele ha già delineato nel discorsi storico-giudiziari del suo primo ministero (cc. 16.20) e che svilupperà più chiaramente nei messaggi consolatori del ministero successivo (cc. 34-37).

** E X C U R S U S ** “Ezechiele 25:17” è un passo biblico di fantasia che il personaggio Jules Winnfield recita tre volte nel film Pulp Fiction di Quentin Tarantino.

Ezekiel 25:17 by Quentin Tarantino (Performed by Samuel L. Jackson in Pulp Fiction, 1994)

«Ezekiel 25:17

The path of the righteous man is beset on all sides by the Inequities of the selfish and the tyranny of evil men

Blessed is he who, in the name of charity and good will shepherds the weak through the valley of darkness for he is truly his brother's keeper and the finder of lost children

And I will strike down upon thee with great vengeance and furious Anger those who attempt to poison and destroy my brothers

And you will know My name is the Lord when I lay my vengeance upon thee».

Ezechiele 25,17 «Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te».

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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L'assedio di Gerusalemme

Registrazione della data 1Nell’anno nono, nel decimo mese, il dieci del mese, mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, metti per iscritto la data di oggi, di questo giorno, perché proprio oggi il re di Babilonia punta contro Gerusalemme.

Una parabola in atto 3Proponi una parabola a questa genìa di ribelli dicendo loro: Così dice il Signore Dio: Metti su la pentola, mettila e versaci acqua. 4Mettici dentro i pezzi di carne, tutti i pezzi buoni, la coscia e la spalla, e riempila di ossi scelti; 5prendi il meglio del gregge. Mettici sotto la legna e falla bollire molto, sì che si cuociano dentro anche gli ossi. 6Poiché così dice il Signore Dio: Guai alla città sanguinaria, alla pentola arrugginita, da cui non si stacca la ruggine! Vuotala pezzo per pezzo, senza tirare su di essa la sorte, 7poiché il suo sangue è dentro, lo ha versato sulla nuda roccia, non l’ha sparso in terra per ricoprirlo di polvere. 8Per provocare la mia collera, per farne vendetta, ha posto il suo sangue sulla nuda roccia, senza ricoprirlo. 9Perciò così dice il Signore Dio: Guai alla città sanguinaria! Anch’io farò grande il rogo. 10Ammassa la legna, fa’ divampare il fuoco, fa’ consumare la carne, versa il brodo e le ossa siano riarse. 11Vuota la pentola sulla brace, perché si riscaldi e il rame si arroventi; si distrugga l’impurità che c’è dentro e si consumi la sua ruggine. 12Quanta fatica! Ma l’abbondante sua ruggine non si stacca, non scompare da essa neppure con il fuoco. 13La tua impurità è esecrabile: ho cercato di purificarti, ma tu non ti sei lasciata purificare. Perciò dalla tua impurità non sarai purificata, finché non avrò sfogato su di te la mia collera. 14Io, il Signore, ho parlato! Questo avverrà, lo compirò senza revoca; non avrò né pietà né compassione. Ti giudicherò secondo la tua condotta e i tuoi misfatti». Oracolo del Signore Dio.

Il cordoglio del profeta 15Mi fu rivolta questa parola del Signore: 16«Figlio dell’uomo, ecco, io ti tolgo all’improvviso colei che è la delizia dei tuoi occhi: ma tu non fare il lamento, non piangere, non versare una lacrima. 17Sospira in silenzio e non fare il lutto dei morti: avvolgiti il capo con il turbante, mettiti i sandali ai piedi, non ti velare fino alla bocca, non mangiare il pane del lutto». 18La mattina avevo parlato al popolo e la sera mia moglie morì. La mattina dopo feci come mi era stato comandato 19e la gente mi domandava: «Non vuoi spiegarci che cosa significa quello che tu fai?». 20Io risposi: «La parola del Signore mi è stata rivolta in questi termini: 21Annuncia agli Israeliti: Così dice il Signore Dio: Ecco, io faccio profanare il mio santuario, orgoglio della vostra forza, delizia dei vostri occhi e anelito delle vostre anime. I figli e le figlie che avete lasciato cadranno di spada. 22Voi farete come ho fatto io: non vi velerete fino alla bocca, non mangerete il pane del lutto. 23Avrete i vostri turbanti in capo e i sandali ai piedi: non farete il lamento e non piangerete, ma vi consumerete per le vostre iniquità e gemerete l’uno con l’altro. 24Ezechiele sarà per voi un segno: quando ciò avverrà, voi farete proprio come ha fatto lui e saprete che io sono il Signore. 25Tu, figlio dell’uomo, il giorno in cui toglierò loro la loro fortezza, la gioia della loro gloria, l’amore dei loro occhi, la brama delle loro anime, i loro figli e le loro figlie, 26allora verrà a te un profugo per dartene notizia. 27In quel giorno la tua bocca si aprirà per parlare con il profugo, parlerai e non sarai più muto e sarai per loro un segno: essi sapranno che io sono il Signore».

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Approfondimenti

L'assedio di Gerusalemme 24,1-27 Col c. 24 si chiude la serie dei messaggi di Ezechiele ai compagni d'esilio prima della caduta della capitale giudaica. Dopo aver denunziato in tanti modi le gravi infedeltà della nazione e predetta l'ineluttabile sentenza della fine, la parola di JHWH pone il suo sigillo a quella proclamazione con tre impressionanti vaticini:

  • il 1° sull'inizio dell'assedio di Gerusalemme (vv. 1-2);
  • il 2° sulla sua completa rovina (vv. 3-14);
  • il 3° sul cordoglio che ne dovranno fare gli esuli (vv. 15-24. 25-27).

In tutti e tre, il linguaggio assume forma simbolica: nel primo, si tratta di mettere per iscritto una data, come era stato ingiunto a Isaia (Is 8, 1.16) e a Geremia (Ger 51,60): quel gesto aveva un suo particolare significato; nel secondo viene mimata la scena di una pentola (come nel canto della spada: 21,14-22), fatta arroventare fino alla consunzione: è un canto in versi, scandito da una serie di comandi, quasi un evento già in atto; nel terzo il lutto del profeta per la morte della diletta moglie è assunto come preludio del profondo dolore per la fine della città santa. La forma letteraria conferisce massima intensità e autenticità alla parola profetica.

Registrazione della data 24,1-2 Dopo la data della prima apparizione presso il Chebar (1,1s.: luglio 593) e quella del grande giudizio storico (20,1: agosto 588), il veggente registra quella del 5 gennaio 588, in cui JHWH gli sta parlando: è un giorno memorabile. È Dio stesso che questa volta ordina di segnarlo quale data d'inizio dell'assedio della capitale di Giuda; per una duplice finalità: avrebbe documentato l'origine soprannaturale dei messaggi d'Ezechiele (nessuno umanamente avrebbe potuto conoscere con esattezza un tale evento a ca. 1.000 km di distanza); e poi sigillava con ulteriore energia la realtà dell'evento annunziato in forza del dinamismo della parola: come nel caso di Ger 51,60-64 (la dichiarazione della fine di Babilonia segnata in un rotolo da sommergere segretamente nell'Eufrate conteneva già in germe la sua realizzazione). Era davvero una grande data quel giorno: crollo di un mondo di colpe e spiraglio di una nuova era!

Una parabola in atto 24,3-14 In quello stesso incontro JHWH propone al suo portavoce di recitare una parabola per gli ostinati connazionali (2,5; 12,2s.). Ma più che di un racconto si tratta di un mimo “processuale”, vivace rappresentazione di “un giudizio”, per spezzare ogni residuo di illusione. Mentre ripete i comandi dell'interlocutore invisibile, Ezechiele probabilmente li esegue con i suoi gesti: fingerà di porre su due massi una pentola, di immettervi dell'acqua e del materiale da cuocere («carne e pezzi buoni»), e di attizzare un gran fuoco, fino a far liquefare gli ossi (vv. 3-5).

A questo punto viene data una prima sentenza con un lākēn («Perciò») (v. 6): alla città è riservata la consumazione per incendio, come «alla pentola arrugginita». Il sangue delle vittime richiama l'immagine del rosso-ruggine, che provoca una digressione non molto coerente: tutto il contenuto della pentola-Gerusalemme dev'essere consunto senza far distinzione tra le varie categorie di persone, «senza fare le parti» (o «senza gettar le sorti»: glossa di v. 6c), come sembra vorrebbero i responsabili di Palestina (11,3; cfr. 21,3); tutti infatti sono pervasi di sangue, come lo è la pentola di ruggine, un sangue che è stato lasciato «sulla nuda roccia», non lavato da sincero pentimento (v. 7; 18,21.31), e che esige una giusta espiazione (Gn 4,10).

Un secondo lākēn («Perciò») e la ripetizione di un «Guai» introduce una più dura sentenza (v. 9), come in Os 2,11 dopo Os 2,8. Vien quindi dato l'ordine di accatastare più legna, di far arroventare perfino il rame della pentola ormai vuota: l'incendio dovrà divampare anche sui palazzi e sul tempio (10,2); non dovrà restare nulla di impunito di quegli esecrandi delitti. L'ultima frase in versi esprime il furore del portavoce di JHWH nel denunziare la pervicacia dei suoi connazionali, raggiunti dall'estremo castigo (v. 12c). E in prosa si dà la spiegazione di quel radicale trattamento (v. 13). Il Signore ha cercato con tutti i mezzi di farli rinsavire, ma sempre invano: non rimane che il rimedio estremo a male estremo: la «collera» divina (v. 13b). Chi ha orecchie e occhi per intendere avrebbe dovuto scorgere in quelle vivide scene l'apice di tutto un ministero: un annunzio di condanna, segnato in pergamena e sceneggiato, su un passato di crimini e di ostinazione, in vista di un'autentica purificazione. I più gravi castighi intravisti dai veri profeti hanno sempre il traguardo di una suprema salvezza.

Il cordoglio del profeta 24,15-27 Nel 3° simbolo viene coinvolta una dolorosa esperienza del veggente del Chebar, come nel gesto dell'immobilità di 4,4-8. Gli sarà tolta la persona più cara al suo cuore, la giovane moglie, «delizia dei suoi occhi» (v. 16); ma gli viene ingiunto di non manifestare alcun segno di cordoglio, quale soleva essere per gli orientali velarsi il volto, piangere, fare lamenti, prender parte al banchetto funerario; potrà solo gemere in silenzio, come impietrito dall'immenso dolore. Quello strano comportamento suscita la curiosità degli astanti (v. 19), come nell'azione simbolica dell'emigrante (vv.12,9s.), e intensifica l'effetto della spiegazione. Nel fare l'applicazione del segno ora parla con l'“io” di JHWH (vv. 21 e 24), ora parla lui stesso (vv. 22-23). Probabilmente al v. 22 si dovrà sottintendere l'«Annunzia» del v. 21a. In ogni caso, l'imminente distruzione della città e del tempio santo («il mio santuario», v. 21) qui è messa in stretto parallelo con l'improvvisa sottrazione della amata sposa del profeta (v. 21).

Nel vivo cordoglio di Ezechiele si riflette anzitutto quello di JHWH dimorante in Sion e nel Santo dei Santi; ma vi si scorge soprattutto l'angoscia di chi aveva fatto di quelle mura l'incanto degli occhi e l'anelito della propria anima, con tutto ciò che rappresentava di magica fiducia per sé e i congiunti rimasti in patria (v. 21b). Ezechiele viene proposto come simbolo del comportamento degli esuli nell'ora più tragica della loro storia (v. 24). A lui è ordinato in quella tristissima circostanza di non esternare il suo dolore, come sarebbe stato naturale, ma di piangere solo con gemiti silenziosi (v. 17). Agli emigrati del 597 è imposto di evitare per la fine di Gerusalemme gesti convulsi e grida di disperazione, come chi è stato colpito dalla più tremenda delle sventure, ma semplicemente di «consumarsi e gemere» (v. 23) nell'intimo della loro anima, fino a rendersi conto della radice dei loro mali: l'aver dimenticato il rispetto del loro sommo benefattore e essersi abbandonati a culti magici e idolatrici. L'ispirazione divina adopera la profonda emozione sponsale dell'esule sacerdotale per far sentire, anche se velatamente, la commozione di JHWH nel disporre la rovina del suo tempio, e per proclamare nella maniera più forte la causa prima di quella catastrofe. Nel silenzio dolorante di Ezechiele, i deportati di Giuda avrebbero dovuto leggere il dispiacere del loro Signore per il crollo di Sion, la loro nefasta infedeltà, e la prospettiva di un'autentica restaurazione, meta di tutta l'attività profetica e traguardo indefettibile del mandante divino (v. 24).

L'ultimo brano del capitolo (vv. 25-27) è un messaggio rivolto privatamente a Ezechiele. Pare sia stato aggiunto qui in un secondo tempo. Moderni esegeti dubitano della sua genuinità; alcuni lo riducono solo ai vv. 25.27; altri lo integrano con i vv. 3,25-26. La difficoltà principale starebbe nella contraddizione fra il giorno della caduta di Gerusalemme (v. 25) e il giorno stesso, «quel giorno», dell'arrivo del fuggitivo in Tel-Aviv (vv. 26a.27). Ma a tale difficoltà pensiamo si possa ovviare, se prendiamo le espressioni «il giorno in cui», «in quel giorno» in un senso più ampio, come la lingua ebraica e altri passi del nostro volume (38,10; 39,11) ci consentono. Ezechiele medesimo, completando quel tratto finale dei suoi vaticini di «guai», può aver inteso così: «v. 25 (il giorno in cui =) quando toglierò loro la loro fortezza... v. 26 (in quel giorno =) in quel tempo verrà a te un profugo per dartene notizia; v. 27 in quel giorno la tua bocca si aprirà... e non sarai più muto e sarai per loro un segno»: come verrà confermato in 33,22.

Con queste predizioni il profeta di Tel-Aviv poneva un sigillo al grande messaggio del «giorno» decisivo di JHWH (7,7.11), a conclusione di tutta la sua proclamazione di sventure. Un fatidico «giorno», segnato sulla pergamena, metteva in moto l'azione più volte preannunziata e ritenuta dai suoi compagni d'esilio una pura favola (12,22.27); dava fuoco a una pentola ormai tutta ruggine e immondezza (24, 6-14); vedeva scomparire la sposa del rappresentante del sovrano divino e insieme il palladio della sicurezza dei deportati di Sion... Quel «giorno» confermava nella testimonianza di un profugo da Gerusalemme le esatte previsioni dell'umile veggente, ne comprovava la missione e lo liberava dal mutismo: lo faceva parlare liberamente e autorevolmente. Tutto convergeva a rendere evidente l'origine sovrumana della parola profetica. Segni e prodigi, dichiarerà un giorno il divino maestro, accompagneranno il messaggio dei veri araldi del regno (Mc 16,14-18): mostreranno a tutti la potenza salvifica dell'amore che veniva offerto all'umanità. La parola divina porta in sé la forza di compiere ciò che significa e di autoverificarsi.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Storia di Samaria e Gerusalemme

Processo alle nazioni sorelle 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, vi erano due donne, figlie della stessa madre, 3che si erano prostituite in Egitto fin dalla loro giovinezza, dove venne premuto il loro petto e oppresso il loro seno verginale. 4Esse si chiamano Oolà la maggiore e Oolibà la più piccola, sua sorella. L’una e l’altra divennero mie e partorirono figli e figlie. Oolà è Samaria e Oolibà è Gerusalemme. 5Oolà, mentre era mia, si dimostrò infedele: arse d’amore per i suoi spasimanti, gli Assiri suoi vicini, 6vestiti di porpora, prìncipi e governatori, tutti giovani attraenti, cavalieri montati su cavalli. 7Concesse i suoi favori a loro, al fiore degli Assiri, e si contaminò con gli idoli di coloro dei quali si era innamorata. 8Non rinunciò alle sue relazioni amorose con gli Egiziani, i quali avevano abusato di lei nella sua giovinezza, avevano oppresso il suo seno verginale, sfogando su di lei la loro libidine. 9Per questo l’ho data in mano ai suoi amanti, in mano agli Assiri, dei quali si era innamorata. 10Essi scoprirono la sua nudità, presero i suoi figli e le sue figlie e la uccisero di spada. Divenne così come un monito fra le donne, per la condanna esemplare che essi avevano eseguito su di lei. 11Sua sorella Oolibà la vide e si corruppe più di lei nei suoi amoreggiamenti; con le sue infedeltà superò la sorella. 12Spasimò per gli Assiri suoi vicini, prìncipi e governatori, vestiti di porpora, cavalieri montati su cavalli, tutti giovani attraenti. 13Io vidi che si era contaminata e che tutt’e due seguivano la stessa via. 14Ma ella moltiplicò le prostituzioni. Vide uomini effigiati su una parete, figure di Caldei, disegnati con il minio, 15con cinture ai fianchi, ampi turbanti in capo, dall’aspetto di grandi capi, rappresentanti i figli di Babilonia, originari di Caldea: 16ella se ne innamorò non appena li vide e inviò loro messaggeri in Caldea. 17I figli di Babilonia andarono da lei al letto degli amori e la contaminarono con le loro fornicazioni ed ella si contaminò con loro finché ne fu nauseata. 18Poiché aveva messo in pubblico le sue tresche e scoperto la sua nudità, anch’io mi allontanai da lei come mi ero allontanato dalla sorella. 19Ma ella continuò a moltiplicare prostituzioni, ricordando il tempo della sua gioventù, quando si prostituiva in Egitto. 20Arse di libidine per quegli amanti lussuriosi come asini, libidinosi come stalloni, 21e così rinnovasti l’infamia della tua giovinezza, quando in Egitto veniva oppresso il tuo seno, premuto il tuo petto giovanile. 22Per questo, Oolibà, così dice il Signore Dio: Ecco, io suscito contro di te gli amanti di cui mi sono disgustato e condurrò contro di te da ogni parte 23i figli di Babilonia e di tutti i Caldei, quelli di Pekod, di Soa e di Koa e con loro tutti gli Assiri, tutti giovani attraenti, prìncipi e governatori, tutti capitani e cavalieri famosi; 24verranno contro di te dal settentrione con cocchi e carri e con una moltitudine di popolo e si schiereranno contro di te da ogni parte con scudi grandi e piccoli e con elmi. A loro ho rimesso il giudizio e ti giudicheranno secondo le loro leggi. 25Scatenerò la mia gelosia contro di te e ti tratteranno con furore: ti taglieranno il naso e gli orecchi e i superstiti cadranno di spada; deporteranno i tuoi figli e le tue figlie e ciò che rimarrà di te sarà preda del fuoco. 26Ti spoglieranno delle tue vesti e s’impadroniranno dei tuoi gioielli. 27Metterò fine alle tue scelleratezze e alle tue prostituzioni commesse in Egitto: non alzerai più gli occhi verso di loro, non ricorderai più l’Egitto. 28Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io ti consegno in mano a coloro che tu odii, in mano a coloro di cui sei nauseata. 29Ti tratteranno con odio e si impadroniranno di tutti i tuoi beni, lasciandoti nuda e scoperta; saranno svelate la turpitudine delle tue scelleratezze, la tua libidine e le tue prostituzioni. 30Così sarai trattata perché tu mi hai tradito con le nazioni, perché ti sei contaminata con i loro idoli. 31Hai seguito la via di tua sorella, la sua coppa porrò nelle tue mani. 32Così dice il Signore Dio: Berrai la coppa di tua sorella, profonda e larga, sarai oggetto di derisione e di scherno; la coppa sarà di grande misura. 33Tu sarai colma d’ubriachezza e d’affanno. Coppa di desolazione e di sterminio era la coppa di tua sorella Samaria. 34Anche tu la berrai, la vuoterai, ne succhierai i cocci, ti lacererai il seno, poiché io ho parlato». Oracolo del Signore Dio. 35Perciò così dice il Signore Dio: «Tu mi hai dimenticato e mi hai voltato le spalle: sconterai la tua disonestà e le tue prostituzioni!».

Giudizio complessivo 36Il Signore mi disse: «Figlio dell’uomo, non giudicherai tu Oolà e Oolibà? Non mostrerai loro i loro abomini? 37Sono state adultere e le loro mani sono lorde di sangue, hanno commesso adulterio con i loro idoli; persino i figli che mi avevano partorito, li hanno fatti passare per il fuoco in loro pasto. 38Ancora questo mi hanno fatto: in quello stesso giorno hanno contaminato il mio santuario e profanato i miei sabati; 39dopo avere immolato i loro figli ai loro idoli, sono venute in quel medesimo giorno al mio santuario per profanarlo: ecco quello che hanno fatto dentro la mia casa! 40Si rivolsero anche a uomini di paesi lontani, invitandoli per mezzo di messaggeri, ed essi giunsero. Per loro ti sei lavata, ti sei dipinta gli occhi, ti sei adornata dei tuoi vestiti preziosi, 41ti sei stesa su un magnifico divano davanti a una tavola imbandita, su cui hai posto il mio olio, i miei profumi. 42Si udiva lo strepito di una moltitudine festante di uomini venuti dal deserto, i quali avevano messo braccialetti ai polsi e una splendida corona sul capo. 43Io pensavo di costei, abituata agli adultèri: “Ora costoro si faranno complici delle sue prostituzioni”. 44Infatti entrarono da lei, come si entra da una prostituta: così entrarono da Oolà e da Oolibà, donne di malaffare. 45Ma uomini retti le giudicheranno come si giudicano le adultere e le assassine. Le loro mani sono lorde di sangue». 46Così dice infatti il Signore Dio: «Si farà venire contro di loro una folla ed esse saranno abbandonate alle malversazioni e al saccheggio. 47La folla le lapiderà e le farà a pezzi con le spade; ne ucciderà i figli e le figlie e darà alle fiamme le case. 48Eliminerò così un’infamia dalla terra e tutte le donne impareranno a non commettere infamie simili. 49Faranno ricadere la vostra infamia su di voi e sconterete i vostri peccati di idolatria: saprete così che io sono il Signore Dio».

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Approfondimenti

Storia di Samaria e Gerusalemme 23,1-49 Riprendendo l’immagine della sposa (vedi c. 16) si narra la storia di Samaria, capitale del regno settentrionale, e di Gerusalemme: due sorelle, entrambe spose del Signore, che però l’hanno tradito, comportandosi da prostitute. Il profeta allude alle successive alleanze politiche con gli Assiri, gli Egiziani e i Babilonesi. Va ricordato che nell’antichità l’alleanza con altri popoli comportava anche un riconoscimento delle loro divinità. Oolà significa “la sua tenda”; Oolibà: “la mia tenda è in essa”. Il termine “tenda” allude al santuario. Il regno di Samarìa si era costruito i suoi santuari (a Dan e Betel), mentre in Gerusalemme si trovava il vero santuario del Signore, il tempio costruito da Salomone.

Processo alle nazioni sorelle 23,1-35 1-4. Quella di Israele è stata sempre un'avventura di prostituzioni (16,1-34): viene qui descritta con immagini realistiche, per esprimere la compiacenza e la mania dei culti egiziani, cui si dedicarono i clan di Giacobbe, secondo Ezechiele, fin dalla loro dimora in Egitto (20,8). Erano già legati a JHWH per via della sua libera elezione e delle promesse date ai loro padri, le tribù che poi saranno quelle di Samaria, designate col nome oholah, «una sua tenda», cioè colei che ha una propria tenda, o un santuario distinto da quello legittimo del monte Sion; e quelle che staranno attorno a Gerusalemme, col nome 'oholibah, «in essa la mia tenda», o colei in cui è il mio santuario.

5-10. Con quella quasi originaria inclinazione, Samaria, appena staccatasi da Gerusalemme, strinse rapporti di amicizia con l'impero degli Assiri, la cui influenza si era estesa fino in Siria, detti «suoi vicini» (v. 5; cfr. 2Re 17,1-5; Os 7,11). Non si trattava solo di relazioni diplomatiche, simboleggiate in rappresentazioni e gesti di tipo sessuale (vv. 5s.) ma espressamente di adozione dei loro culti idolatrici (v. 7). I trattati politici con le potenze pagane inducevano automaticamente all'accettazione delle divinità straniere e all'abbandono del puro jahvismo. La punizione è stata delineata nel processo del c. 16: consegna all'arbitrio di quei guerrieri tanto amati, i quali dopo averla assoggetta agli idoli di pietra («scoprirono la sua nudità», in senso metaforico-cultuale: v. 10), la devastarono e ne dispersero gli abitanti (conquista e distruzione del regno del Nord a opera di Sargon II nel 721). Con quell'esemplare condanna ne fecero un monito per gli altri popoli (v. 10).

11-35. Dietro questo terribile precedente, oholibah avrebbe dovuto perlomeno mettere un freno alla sua atavica passione per le divinità straniere. Invece, come constaterà Ger 3,8-11, si abbandonò perdutamente a quegli stessi idoli d'Oriente superando la sorella maggiore. Non solo invaghendosi dei potenti Assiri (epoca di Manasse: 2Re 21), ma innamorandosi anche dei Caldei, conosciuti già al tempo di Ezechia (Is 39) e introdotti in pieno nella Giudea sotto Ioiakim e Sedecia (Ger 29; 51). Con termini sessuali ancora più realistici viene descritta la frenesia di Gerusalemme per i culti politeisti, come in 16,28-32, quasi un ritorno di fiamma «al tempo della sua gioventù, quando si prostituiva in Egitto» (vv. 19-21). Né valse a nulla assistere alla sorte paurosa della sorella del Nord (cfr. Ger 3,6-11). Interviene allora un più duro verdetto, contrassegnato da un laken («perciò»), un appellativo, una formula del messaggero, un «Ecco» di sfida (v. 22): saranno sospinti contro di lei dalla gelosia divina (v. 25) gli stessi popoli a cui si era consegnata: Caldei e altri clan babilonesi (gli abitanti di Pekod, Soa e Koa) e assiri; con la loro ferocia e il loro scherno le faranno dimenticare le inveterate manie per le sue scelleratezze; privata dei suoi figli e di tutti i suoi beni e preda del fuoco, non oserà più alzare gli occhi verso le false divinità (vv. 27s.); dovrà svuotare fino alla feccia la coppa toccata già in sorte alla sua sorella: molto più colpevole di costei, le è riservata una più radicale e eloquente punizione (vv. 33s.).

Giudizio complessivo 23,36-49 Abbiamo un nuovo giudizio che completa i precedenti. Le due sorelle sono ora apostrofate come un'unica persona (vv. 40b-43). Le accuse vengono rincarate. Sono adultere, sanguinarie, sacrileghe: hanno prestato culto agli idoli, abbandonando il loro vero sposo; sono giunte a immolare sui loro altari i figli, dono di JHWH; hanno trasgredito il sabato e contaminato il santo tempio entrandovi con le mani ancora insanguinate (v. 39). Quasi ciò non bastasse, hanno fatto di tutto per attirare a sé l'interesse dei popoli pagani, per stringere con loro alleanze religiosamente compromettenti (cfr. 16, 24-30). La simbologia sessuale si fa plastica e vivace: l'adultera si adorna di gioielli e di profumi, si asside voluttuosamente a mensa, per accogliere tra canti e suoni i suoi ospiti, venuti dal deserto. Ne riceve onori e lusinghe, «braccialetti» e «corona», ed essa cederà a tutti i loro desideri, fino a prostrarsi ai loro dei! (vv. 40-45). Il verdetto suona anch'esso vibrante: gli stessi suoi amanti saranno i suoi giustizieri «uomini retti» (v. 45a); eseguiranno l'adeguata condanna delle «adultere e assassine», consegnandole alla lapidazione (Dt 22,24), all'eccidio e al fuoco (Ez 21,12): pena deterrente per chi volesse commettere simili infamie: «tutte le donne impareranno a non commetterle» (v. 48), e i superstiti riconosceranno la potenza e la santità del sovrano d'Israele (v. 49). Con quest'ultimo processo viene denunziata una speciale malizia della nazione eletta: l'essersi lasciata trascinare dall'antica inclinazione all'idolatria e l'aver trascurato il salutare avvertimento che le proveniva dalla rovina del clan di Samaria. Le cattive abitudini ereditate dagli antenati possono essere un'attenuante delle colpe dei figli, ma, se non controllate, possono divenire occasione di più gravi cadute e di nuove responsabilità. A maggior ragione, se si è avuta l'opportunità di constatarne in altri le tristi conseguenze. È stato proprio il caso delle tribù giudaiche. Favorite di una presenza singolare del Dio altissimo (il tempio di Sion, le promesse davidiche), non hanno mai saputo rinunziare del tutto ai culti pagani dei loro avi, e vi si sono completamente abbandonate, dopo aver assistito alla distruzione delle consorelle tribù del Nord. La tremenda punizione che le attende metterà in luce dinanzi agli altri popoli quanto importa porre un freno ai propri impulsi e saper accogliere gli ammonimenti che la storia ci offre.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La corruzione di Gerusalemme

Contro gli abitanti di Gerusalemme 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Tu, figlio dell’uomo, forse non giudicherai, non giudicherai tu la città sanguinaria? Mostrale tutti i suoi abomini. 3Tu riferirai: Così dice il Signore Dio: O città che sparge il sangue in mezzo a se stessa, perché giunga il suo tempo, e fabbrica a suo danno idoli con cui contaminarsi! 4Per il sangue che hai sparso, ti sei resa colpevole e ti sei contaminata con gli idoli che hai fabbricato: hai affrettato il tuo giorno, sei giunta al termine dei tuoi anni. Ti renderò perciò l’obbrobrio dei popoli e lo scherno di tutta la terra. 5I vicini e i lontani si faranno beffe di te, o città disonorata e piena di disordini. 6Ecco in te i prìncipi d’Israele, ognuno secondo il suo potere, intenti a spargere sangue. 7In te si disprezzano il padre e la madre, in te si maltratta il forestiero, in te si opprimono l’orfano e la vedova. 8Hai disprezzato le mie cose sante, hai profanato i miei sabati. 9Vi sono in te calunniatori che versano il sangue. C’è in te chi banchetta sui monti e chi commette scelleratezze. 10In te si scopre la nudità del proprio padre, in te si vìola la donna in stato di mestruazione. 11Uno reca oltraggio alla donna del prossimo, l’altro contamina con incesto la nuora, altri vìola la sorella, figlia del padre. 12In te si ricevono doni per spargere il sangue, tu presti a interesse e a usura, spogli con la violenza il tuo prossimo e di me ti dimentichi. Oracolo del Signore Dio. 13Ecco, io batto le mani per le frodi che hai commesso e per il sangue che è versato in mezzo a te. 14Reggerà il tuo cuore e saranno forti le mani per i giorni che io ti preparo? Io, il Signore, l’ho detto e lo farò: 15ti disperderò fra le nazioni e ti disseminerò in paesi stranieri, ti purificherò della tua immondezza; 16in te sarò profanato di fronte alle nazioni e tu saprai che io sono il Signore».

Contro la corruzione della nazione 17Mi fu rivolta questa parola del Signore: 18«Figlio dell’uomo, la casa d’Israele si è cambiata in scoria per me; sono tutti bronzo, stagno, ferro e piombo dentro un crogiuolo: sono scoria di argento. 19Perciò così dice il Signore: Poiché vi siete tutti cambiati in scoria, io vi radunerò dentro Gerusalemme. 20Come si mettono insieme argento, bronzo, ferro, piombo, stagno dentro un crogiuolo e si soffia nel fuoco per fonderli, così io, con ira e con sdegno, vi metterò tutti insieme e vi farò fondere; 21vi radunerò, contro di voi soffierò nel fuoco del mio sdegno e vi fonderò in mezzo alla città. 22Come si fonde l’argento nel crogiuolo, così sarete fusi in mezzo ad essa: saprete che io, il Signore, ho riversato il mio sdegno contro di voi».

Contro i crimini dei capi 23Mi fu rivolta questa parola del Signore: 24«Figlio dell’uomo, di’ a Gerusalemme: Tu sei una terra non purificata, non lavata da pioggia in un giorno di tempesta. 25Dentro di essa infatti i suoi prìncipi, come un leone ruggente che sbrana la preda, divorano la gente, s’impadroniscono di tesori e ricchezze, moltiplicano le vedove in mezzo ad essa. 26I suoi sacerdoti violano la mia legge, profanano le mie cose sante. Non fanno distinzione fra il sacro e il profano, non insegnano a distinguere fra puro e impuro, non osservano i miei sabati e io sono profanato in mezzo a loro. 27I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni. 28I suoi profeti hanno come intonacato con fango tutti questi delitti con false visioni e vaticini bugiardi e vanno dicendo: Così parla il Signore Dio, mentre invece il Signore non ha parlato. 29Gli abitanti della campagna commettono violenze e si danno alla rapina, calpestano il povero e il bisognoso, maltrattano il forestiero, contro ogni diritto. 30Io ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese perché io non lo devastassi, ma non l’ho trovato. 31Io rovescerò su di loro il mio sdegno. Li consumerò con il fuoco della mia collera. La loro condotta farò ricadere sulle loro teste». Oracolo del Signore.

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Approfondimenti

La corruzione di Gerusalemme 22,1-31 Nel c. 22 sono raccolti tre oracoli di giudizio contro Gerusalemme che impersona sempre il regno giudaico. Avvicinandosi ancora di più il tempo della punizione, il profeta è invitato a fare il processo all'attuale depravazione della sua nazione (v. 2); sempre con la finalità del riconoscimento della santità divina (vv. 16.22). Ogni oracolo, introdotto dalla formula dell'evento della parola, presenta al solito una doppia fase giudiziaria: notificazione delle colpe: «Mostrale tutti i suoi abomini» (v. 2b); emissione del verdetto: «Ti renderò perciò l'obbrobrio dei popoli» (v. 4b).

Contro gli abitanti di Gerusalemme 22,1-16 1° oracolo. Il profeta fa l'elenco delle iniquità di Gerusalemme. Le conosceva già personalmente prima della sua deportazione, ma ne avrà avuto un'ulteriore informazione dai profughi giunti dalla Palestina e dalla stessa illustrazione soprannaturale (cc. 8-10). L'enumerazione comincia con due delitti speciali: omicidi e idolatrie, che sintetizzano tutte le altre trasgressioni (8,6-16; 8,17). Ad essi viene subito applicata la prima sentenza (v. 4b); segnano il culmine della ribellione: la nazione destinata a onorare il Dio dell'alleanza dinanzi ai popoli (5,5) ha fallito completamente alla sua missione (15,2-5), non suscita che scherno da tutti i popoli «vicini e lontani», si sta precipitando da sé verso la sua fine (vv. 4s.). Vengono poi enunciati i singoli misfatti. Sono riferiti a caso e senza un ordine, come a dire che se ne potrebbero addurre tanti altri. Sono citate al primo posto le colpe dei capi del popolo, dispotici e sanguinari (v. 6); offese ai genitori (Es 21,15.17), oppressioni di più deboli (forestieri, orfani, vedove: Lv 19,33s.); violazione del sabato e di luoghi sacri (5,11; 8,5ss.); calunnie che portano a risse e assassini; e poi ignominie sessuali condannate dalla legge: incesti tra i più prossimi congiunti, adulteri, rapporto con la mestruata (allora ritenuto sconveniente: Lv 20,18); usure, frodi negli affari... Sono sufficienti per concludere all'accusa finale: «di me ti dimentichi» (v. 12): la sposa prediletta ha cancellato il ricordo del suo sovrano Signore (16,22; Ger 2,2). Risuona allora un secondo pronunciamento giudiziario, sottolineato da un «Ecco», che è la logica conseguenza di quel cumulo di delitti: la giustizia divina avrà la sua rivincita («batto le mani» per la gioia: v. 13; cfr. 21,19; 25,6) sull'enorme perversione della sua città, in procinto ormai di essere raggiunta dall'inesorabile condanna (v. 14). «Reggerà il tuo cuore?»: l'interrogazione retorica mette in risalto l'eccezionalità dell'adeguato castigo, l'epilogo doloroso del regno di Giuda nel 587-586. Il quale, però, viene ancora una volta ricordato, non avrà come scopo il totale annientamento del popolo eletto, ma una sua profonda purificazione in vista di una ricomposizione dell'eredità santa del Dio di Giacobbe e di un pieno riconoscimento della sua misericordia (vv. 15s.: come delineato più a lungo nei cc. 16.20.36).

Contro la corruzione della nazione 22,17-22 2°oracolo. I Giudei di Palestina per l'enormità della loro malizia son diventati tutti «scoria», dichiara il giudice divino, tanto da dover essere raccolti nella loro capitale come in una immensa fornace, in cui si sogliono deporre svariati metalli per la loro fusione: è un'immagine molto densa. Fuori metafora, gli Israeliti saranno intimamente pervasi dalle sofferenze dell'assedio e poi dall'incendio della città, proprio «come si fonde l'argento nel crogiolo» (v. 22). Anche qui appare, almeno sotto il velo del simbolo, l'azione punitiva ma insieme purificatrice del divino artefice, che dalla scoria saprà estrarre il metallo prezioso dei giusti (9,4.6).

Contro i crimini dei capi 22,23-31 3° oracolo. È una denunzia specifica delle colpe dei responsabili della città. Precede una constatazione generale con il simbolo della terra polverosa e ingombra, non lavata a lungo da alcuna pioggia (v. 24). Vengono quindi enumerati i crimini dei singoli capi: i principi di casa reale, come leoni famelici dilacerano le persone con soprusi e assassini («moltiplicano le vedove», v. 25) per impossessarsi dei loro beni; i sacerdoti violano la legge e le norme del sabato, profanano le cose sacre, e non insegnano al popolo a distinguere al cospetto del Signore ciò che ritualmente contamina (Lv 11,47); altri dirigenti sono paragonati a lupi che giungono a sopprimere le persone per ottenere lauti guadagni (v. 27), e altri signori benestanti sfruttano i più deboli con vessazioni e rapine (v. 29); mentre i profeti ne favoriscono la perversa condotta con false assicurazioni della compiacenza divina (v. 28; cfr. 13,10). Il Signore sempre misericordioso dell'alleanza ha cercato chi potesse fermare il corso della sua giustizia, «si ergesse sulla breccia» del muro (v. 30; 13,5). Egli avrebbe desiderato, come al tempo di Sodoma e Gomorra (Gn 18), come nelle gravi trasgressioni del deserto sinaitico (Es 33), che degli uomini giusti si interponessero con le loro suppliche a stornare o attenuare i meritati castighi; ma non è sorto tra loro alcun valido mediatore (v. 30). La corruzione è cosi estesa e profonda che nulla ormai sarà capace di eliminarla, se non il fuoco sterminatore, già annunziato nell'oracolo della scoria (vv. 17-22). Viene riconfermato, con queste riflessioni, il valore del duplice principio di solidarietà nel male come nel bene: la colpa esorbitante dei governanti coinvolge tutta la massa, ma l'intercessione dei pochi onesti ha il potere, al cospetto di Dio, di stornare o ridurre un castigo generale. La denunzia particolareggiata del profeta serve a convincere i suoi connazionali in esilio della giustizia degli imminenti disastri, e a far riflettere che non si possono trasgredire impunemente le norme della convivenza civile e religiosa. Si è tutti responsabili del retto ordinamento e benessere collettivo. Ciascuno deve contribuirvi dalla propria situazione, riducendo al massimo gli elementi negativi e apportando efficaci mediazioni di salvezza.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il canto della spada

Oracolo contro la Giudea 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, volgi la faccia verso il mezzogiorno, parla alla regione australe, e profetizza contro la selva del mezzogiorno. 3Dirai alla selva del mezzogiorno: Ascolta la parola del Signore. Dice il Signore Dio: Ecco, io accenderò in te un fuoco che divorerà in te ogni albero verde e secco: la fiamma ardente non si spegnerà e tutto ciò che si vede sarà bruciato dal mezzogiorno al settentrione. 4Ogni vivente vedrà che io, il Signore, l’ho accesa e non si spegnerà». 5Io dissi: «Ah! Signore Dio, essi vanno dicendo di me: “Non è forse costui uno che parla per enigmi?”».

Oracolo contro Gerusalemme 6Mi fu rivolta questa parola del Signore: 7«Figlio dell’uomo, volgi la faccia verso Gerusalemme e parla contro i suoi santuari, profetizza contro la terra d’Israele. 8Tu riferirai alla terra d’Israele: Così dice il Signore Dio: Eccomi contro di te. Sguainerò la spada e ucciderò in te il giusto e il peccatore. 9Se ucciderò in te il giusto e il peccatore, significa che la spada sguainata sarà contro ogni mortale, dal mezzogiorno al settentrione. 10Così ogni vivente saprà che io, il Signore, ho sguainato la spada ed essa non rientrerà nel fodero. 11Tu, figlio dell’uomo, piangi: piangi davanti a loro con i fianchi spezzati e pieno d’amarezza. 12Quando ti domanderanno: “Perché piangi?”, risponderai: Perché è giunta la notizia che il cuore verrà meno, le mani s’indeboliranno, lo spirito sarà costernato, le ginocchia si scioglieranno in acqua. Ecco è giunta e si compie». Oracolo del Signore Dio.

La danza della spada 13Mi fu rivolta questa parola del Signore: 14«Figlio dell’uomo, profetizza e di’ loro: Così dice il Signore Dio: Spada, spada aguzza e affilata, 15aguzza per scannare, affilata per lampeggiare! 16L’ha fatta affilare perché la si impugni, l’ha aguzzata e affilata per darla in mano al massacratore! 17Grida e laméntati, o figlio dell’uomo, perché essa pesa sul mio popolo, su tutti i prìncipi d’Israele: essi cadranno di spada insieme con il mio popolo. Perciò battiti il fianco, 18perché è una prova: che cosa accadrebbe se nemmeno ci fosse un bastone sprezzante? Oracolo del Signore Dio. 19Tu, o figlio dell’uomo, profetizza e batti le mani: la spada si raddoppi e si triplichi, è la spada dei massacri, la grande spada del massacro che li circonda. 20Perché i cuori si struggano e si moltiplichino le vittime, ho messo a ogni porta la punta della spada, fatta per lampeggiare, affilata per il massacro. 21Volgiti a destra, volgiti a sinistra, ovunque si diriga la tua lama. 22Anch’io batterò le mani e sazierò la mia ira. Io, il Signore, ho parlato».

La spada di Nabucodonosor contro Gerusalemme 23Mi fu rivolta questa parola del Signore: 24«Figlio dell’uomo, traccia due strade per il passaggio della spada del re di Babilonia; proverranno tutte e due dallo stesso paese. Tu metti un segnale a capo della strada che conduce nella città. 25Traccia la strada per cui la spada giunga contro Rabbà degli Ammoniti e contro Giuda a Gerusalemme, città fortificata. 26Infatti il re di Babilonia è fermo al bivio, all’inizio delle due strade, per interrogare le sorti: agita le frecce, interroga i terafìm, osserva il fegato. 27Nella sua mano destra è uscito il responso: “Gerusalemme”, per porre contro di essa gli arieti, per farle udire l’ordine del massacro, echeggiare grida di guerra, disporre gli arieti contro le sue porte, innalzare terrapieni, costruire trincee. 28Ma questo non è che un vano presagio agli occhi di quelli che hanno fatto loro solenni giuramenti. Egli però ricorda loro l’iniquità per cui saranno catturati. 29Perciò così dice il Signore: Poiché voi avete fatto ricordare le vostre iniquità, rendendo manifeste le vostre trasgressioni e palesi i vostri peccati in tutto il vostro modo di agire, poiché ve ne vantate, voi resterete presi al laccio. 30A te, malfattore infame, principe d’Israele, il cui giorno è venuto, al colmo della tua iniquità, 31così dice il Signore Dio: Deponi il turbante e togliti la corona; tutto sarà cambiato: ciò che è basso sarà elevato e ciò che è alto sarà abbassato. 32In rovina, in rovina, in rovina ridurrò Gerusalemme e non si rialzerà più, finché non giunga colui al quale appartiene di diritto e al quale io la darò.

La spada contro gli Ammoniti 33Tu, figlio dell’uomo, profetizza e annuncia: Così dice il Signore Dio agli Ammoniti e riguardo ai loro insulti. Di’ dunque: La spada, la spada è sguainata per la strage, è affilata per sterminare, per lampeggiare 34– mentre tu hai false visioni e ti si predicono vaticini bugiardi –, per essere messa alla gola dei malfattori infami, il cui giorno è venuto, al colmo della loro iniquità. 35Rimettila nel fodero. Nel luogo stesso in cui tu fosti creato, nella terra stessa in cui sei nato, io ti giudicherò; 36rovescerò su di te il mio sdegno, contro di te soffierò nel fuoco della mia ira e ti abbandonerò in mano di uomini violenti, portatori di distruzione. 37Sarai preda del fuoco, la terra sarà intrisa del tuo sangue; non ti si ricorderà più perché io, il Signore, ho parlato».

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Approfondimenti

Il canto della spada 21,1-37 Il c. 21 possiamo considerarlo come il canto della spada-simbolo dei giusti giudizi di Dio. Comprende una serie di oracoli omogenei, annunzianti assalti nemici, introdotti ciascuno dalla formula dell'evento della parola «Mi fu rivolta questa parola». Siamo molto probabilmente nel primo periodo dell'intervento babilonese definitivo contro la nazione giudaica, eccetto, pare, per il 5° oracolo (vv. 33-37: contro Ammon e contro la stessa spada) che presuppone già avvenuta la caduta di Gerusalemme.

  • Il 1°(v. 1-5) preannunzia l'incendio della selva del sud;
  • il 2° (vv. 6-12) l'azione devastatrice della spada sulla città santa e tutto il territorio d'Israele;
  • il 3° (vv. 13-22), la danza della spada nella mano del massacratore;
  • il 4° (vv. 23-32) l'ineluttabile marcia della spada di Nabucodonosor contro la capitale giudaica;
  • il 5° (vv. 33-37) l'opera della spada contro i nemici più vicini di Giuda, gli Ammoniti, e il suo rientro nel fodero infuocato.

Il profeta canta la certezza del processo purificatore di JHWH, con i terribili emblemi dell'incendio e della spada in marcia: occorre accettarlo e trarne le adeguate conseguenze.

Oracolo contro la Giudea 21,1-5 1° oracolo. Come nei vaticini contro le genti (Am 1-2; Is 13-21) e contro i monti di Giuda pronunziati da Babilonia (Ez 6), qui il veggente deve stare a guardare in direzione della regione a cui dovrà rivolgere la parola di JHWH (v. 2). La Giudea è detta «selva del mezzogiorno» in quanto gli assalti degli eserciti d'oriente piombavano su di lei salendo prima attorno al deserto siro-arabico, fino alla valle del Carmelo e quindi scendendo dal nord (Ger 1,14) verso il Negheb. L'immagine della selva per Gerusalemme richiamava il vaticinio di Is 10,33s. (la foresta abbattuta dalla scure degli Assiri); quella del fuoco, la predizione dell'incendio più volte espressa negli oracoli precedenti (cc. 9-10; 15). L'incenerimento dell'albero secco e di quello verde, nella sua polarità, ribadiva la distruzione totale del regno giudaico, come già prevista altrove (15,5-8): «dal mezzogiorno al settentrione» (v. 3), non resterà pietra su pietra! Vi si riconoscerà l'azione possente del Dio dell'alleanza tradito dal suo popolo: i grandi disastri fanno riflettere sulle loro cause più profonde. Non se ne danno però per intesi i compagni d'esilio. Essi attendono la realizzazione delle promesse antiche. Come nel passato, si aspettano che JHWH intervenga a favore della sua nazione contro qualsiasi potenza nemica. Continuano a considerare le parole di Ezechiele come delle favole (v. 5; cfr. 12,22.27): il profeta ne fa un accenno nel suo dialogo con JHWH. Non ne fa un problema come il suo collega in Palestina (Ger 17,15-18), ma una delicata confidenza con colui che è il supremo Signore degli eventi.

Oracolo contro Gerusalemme 21,6-12 2° oracolo. Immediata la risposta: una conferma più esplicita e particolareggiata dell'imminente devastazione. L'oggetto da colpire ora è chiaramente designato: il veggente dirigerà il suo volto verso la capitale Gerusalemme e tutta la sua regione, e annunzierà l'abbattersi della spada di JHWH su di essa fino allo sterminio di ogni abitante, «il giusto e il peccatore» (polarità-totalità che corrisponde all'«albero verde e secco» del v. 3). Si renderà così manifesta a tutti l'azione della giustizia divina (v. 10). A rendere più impressionante la parola, il portavoce del Signore non si contenterà del solo annunzio; rappresenterà nella sua persona ai loro occhi il vivo cordoglio che la notizia dell’evento provocherà in quegli ostinati (v. 11): lo spezzarsi dei reni (māt'naîm) e le ginocchia vacillanti sono segno di dolori lancinanti (v. 12; Is 21,3; Na 2,11). Il profeta nel proclamare quella strage sperimenta nel suo organismo ciò che fra poco proveranno i suoi uditori nell'apprendere il verificarsi dell'incredibile sventura, vista già come presente (v. 12; Ger 4, 19-21): un nuovo richiamo al dinamismo della parola.

La danza della spada 21,13-22 3° oracolo. È come un inno declamato allo strumento giustiziere di JHWH. Sempre sotto ispirazione, Ezechiele deve così recitare a nome del sovrano d'Israele un appello alla spada: con la ripetizione del suo nome («spada, spada»), con due qualificativi («aguzza e affilata»), e con due specifiche funzioni: perché lampeggi sinistramente, e sia posta in mano a un massacratore (vv. 14-16); un primo invito al messaggero: gema e gridi e si batta il fianco, perché la spada si sta per abbattere sul popolo eletto e i suoi capi (v. 17; il v. 18 è troppo corrotto da estrarne un senso coerente); un secondo invito è per un incitamento simbolico alla spada (il poeta-profeta le «batta le mani»: v. 19a), perché moltiplichi i suoi colpi («raddoppi e triplichi») su coloro che le stanno attorno, e adempia il suo compito di lampeggiare, atterrire i cuori e sterminare (v. 20); un appello finale alla spada, che fa da inclusione all'inizio del carme: la spada diriga verso tutti i lati la sua lama, perché Dio stesso «batterà le mani» per il trionfo della sua giustizia (v. 21s.). E una variante espressiva dei due oracoli precedenti. La spada è qui uno strumento preparato dalla mano stessa di JHWH, reso adatto al suo progetto di distruzione, inesorabile fino al pieno espletamento della sua funzione. Non può essere fermata dal pianto del profeta. Troverà anzi in lui e nel mandante divino un entusiasta animatore. L'esattezza e vivacità delle immagini hanno un particolare effetto nella proclamazione della parola profetica.

La spada di Nabucodonosor contro Gerusalemme 21,23-32 4°oracolo. È un preannunzio specifico dell'intervento della spada, chiamata adesso con un titolo concreto, «il re di Babilonia». Ezechiele riferirà il messaggio divino con un nuovo gesto simbolico: traccerà, probabilmente su una tavola d'argilla come in 4,1, due strade provenienti da una stessa località; una diretta verso la capitale degli Ammoniti, a est del Giordano, l'altra verso Gerusalemme; su questa metterà un segnale (vv. 24s.). A questo punto, egli dovrà spiegare che già il re caldeo, giunto al bivio, si interrogherà su quale delle due strade gli converrà dirigersi col suo esercito. Ricorrerà pertanto ai suoi consueti mezzi di consultazione: l'estrazione delle frecce su cui sono segnate le due direttrici, l'osservazione del fegato degli animali (epatoscopia), la richiesta di una conferma ai suoi idoli domestici (terapim; cfr. 1Sam 15,23) a mezzo dei barû (specie di indovini). Il responso, preannunzia il portavoce di JHWH, sarà proprio «Gerusalemme»; per cui verrà dato l'ordine dell'attacco con le conseguenti disposizioni per il combattimento e per l'annientamento del nemico: grida di guerra, arieti contro le porte, ordine di massacro (v. 27). Agli abitanti di Giuda tutto ciò potrà sembrare un puro sogno. Essi si ritengono sostenuti da antiche indefettibili promesse (i giuramenti di JHWH trasmessi dai loro padri: Is 7,14; Ez 16,8; 20,5). Ma si illudono. Il Signore ha ormai richiamato più volte alla loro coscienza le loro gravi infedeltà al patto, per cui non meritano di essere difesi (v. 28b): il soggetto qui è chiaramente JHWH, per via del contesto e della spiegazione che segue. E difatti, ecco le parole conclusive del Signore: le malvagità dei Giudei sono sotto gli occhi di tutti, i loro stessi nemici ne denunziano le ribellioni (accenno, pare, alla rottura del patto di Sedecia, 17,15); subiranno per questo devastazioni e schiavitù: «presi al laccio» come belve (v. 29). In particolare sta per venire il rendiconto per il principe d'Israele, «il tempo dell'iniquità finale»: privato delle insegne di governo («turbante» e «corona»), la sorte sua e del suo regno sarà sconvolta (vv. 30s.); il potere della dinastia andrà in frantumi («rovina rovina rovina»: una specie di superlativo) e passerà nelle mani di colui a cui Dio stesso lo consegnerà (più che a un possibile successore, probabilmente allo stesso re di Babilonia, detto altrove «servo del Signore»: Ger 43,10; Ez 29,20).

La spada contro gli Ammoniti 21,33-37 5° oracolo. Ha un duplice obiettivo: anzitutto è il complemento dell'oracolo contro Gerusalemme (vv. 33s.). Il re di Babel non si limiterà a colpire la città dei Giudei, ma dopo la sua conquista marcerà per la seconda strada del bivio, quella che porta ad Ammon. Anche per gli Ammoniti è venuta l'ora della colpa finale: hanno inveito contro i loro conterranei con scherni e disprezzo (25,1-7); la spada affilata e aguzza è stata preparata pure per essi: anche loro si credevano di essere al sicuro: hanno avuto «false visioni»! In secondo luogo quindi riguarda la spada medesima: finito il suo compito, Dio ordina che sia posta simbolicamente nel fodero da cui era stata tratta (v. 35); ritorni cioè nel paese d'origine, nella vallata di Babilonia, «nel luogo stesso in cui fosti creato»; e lì sarà data in pasto al fuoco a opera di uomini artefici di distruzione: “chi di spada ferisce, di spada perisce”. Una eloquente lezione di filosofia della storia! (come in Is 10,12-16.24-26). All'appressarsi della catastrofe, il veggente-poeta mette in moto tutte le immagini più impressionanti per scuotere i suoi recalcitranti uditori: la giustizia divina sarà un fuoco travolgente, l'esecuzione di un massacro incontenibile, il balenio di mille spade, l'urlo sinistro di una falange in attacco. E il tema della inesorabilità di un verdetto sovrumano. L'uomo ne deve dedurre la gravità delle colpe commesse e la necessità di un radicale cambiamento. Chi assiste a così terribili eventi ed è ancora capace di raziocinio non può non concepire un salutare timore e non preoccuparsi del pericolo che incombe. Tanto più se considera che quella suprema giustizia non fa accezione di persona, sia Giudeo o gentile, sia chi è stretto da un'alleanza sacra sia chi è chiamato a eseguire una punizione ed ha abusato dei suoi poteri. La giustizia eterna raggiunge ogni razza e ogni categoria di esseri umani. Dio si dimostra il dominatore santo e assoluto della storia.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Visione profetica della storia d'Israele

Esposizione delle colpe 1Nell’anno settimo, nel quinto mese, il dieci del mese, alcuni anziani d’Israele vennero a consultare il Signore e sedettero davanti a me. 2Mi fu rivolta questa parola del Signore: 3«Figlio dell’uomo, parla agli anziani d’Israele e di’ loro: Così dice il Signore Dio: Venite voi per consultarmi? Com’è vero che io vivo, non mi lascerò consultare da voi. Oracolo del Signore Dio. 4Vuoi giudicarli? Li vuoi giudicare, figlio dell’uomo? Mostra loro gli abomini dei loro padri. 5Di’ loro: Così dice il Signore Dio: Quando io scelsi Israele e alzando la mano giurai per la stirpe della casa di Giacobbe, apparvi loro nella terra d’Egitto e alzando la mano giurai per loro dicendo: “Io sono il Signore, vostro Dio”. 6Allora alzando la mano giurai di farli uscire dalla terra d’Egitto e condurli in una terra scelta per loro, stillante latte e miele, che è la più bella fra tutte le terre. 7Dissi loro: “Ognuno getti via gli abomini che sono sotto i propri occhi e non vi contaminate con gli idoli d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio”. 8Ma essi mi si ribellarono e non vollero ascoltarmi: non gettarono via gli abomini dei propri occhi e non abbandonarono gli idoli d’Egitto. Allora io decisi di riversare sopra di loro il mio furore e di sfogare contro di loro la mia ira, in mezzo al paese d’Egitto. 9Ma agii diversamente per onore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni in mezzo alle quali si trovavano, poiché avevo dichiarato che li avrei fatti uscire dalla terra d’Egitto sotto i loro occhi. 10Così li feci uscire dall’Egitto e li condussi nel deserto; 11diedi loro le mie leggi e feci loro conoscere le mie norme, perché colui che le osserva viva per esse. 12Diedi loro anche i miei sabati come un segno fra me e loro, perché sapessero che sono io, il Signore, che li santifico. 13Ma gli Israeliti si ribellarono contro di me nel deserto: essi non seguirono le mie leggi, disprezzarono le mie norme, che bisogna osservare perché l’uomo viva, e violarono sempre i miei sabati. Allora nel deserto io decisi di riversare su di loro il mio sdegno e di sterminarli. 14Ma agii diversamente per onore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni di fronte alle quali io li avevo fatti uscire. 15Nel deserto alzando la mano avevo anche giurato su di loro che non li avrei più condotti nella terra che io avevo loro assegnato, terra stillante latte e miele, la più bella fra tutte le terre, 16perché avevano disprezzato le mie norme, non avevano seguito le mie leggi e avevano profanato i miei sabati, mentre il loro cuore si era attaccato ai loro idoli. 17Tuttavia il mio occhio ebbe pietà di loro e non li distrussi, non li sterminai tutti nel deserto. 18Dissi ai loro figli nel deserto: “Non seguite le leggi dei vostri padri, non osservate le loro norme, non vi contaminate con i loro idoli: 19io sono il Signore, vostro Dio. Seguite le mie leggi, osservate le mie norme e mettetele in pratica. 20Santificate i miei sabati e siano un segno fra me e voi, perché si sappia che io sono il Signore, vostro Dio”. 21Ma anche i figli mi si ribellarono, non seguirono le mie leggi, non osservarono e non misero in pratica le mie norme, che danno la vita a chi le osserva; profanarono i miei sabati. Allora nel deserto io decisi di riversare il mio sdegno su di loro e di sfogare contro di loro la mia ira. 22Ma ritirai la mano e agii diversamente per onore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni, di fronte alle quali io li avevo fatti uscire. 23Nel deserto, alzando la mano avevo anche giurato su di loro che li avrei dispersi fra le nazioni e disseminati in paesi stranieri, 24perché non avevano messo in pratica le mie norme e avevano disprezzato le mie leggi, avevano profanato i miei sabati e i loro occhi erano sempre rivolti agli idoli dei loro padri. 25Allora io diedi loro persino leggi non buone e norme per le quali non potevano vivere. 26Feci sì che si contaminassero nelle loro offerte, facendo passare per il fuoco ogni loro primogenito, per atterrirli, perché riconoscessero che io sono il Signore. 27Parla dunque alla casa d’Israele, figlio dell’uomo, e di’ loro: Così dice il Signore Dio: I vostri padri mi offesero ancora in questo: essi agirono con infedeltà verso di me, 28sebbene io li avessi introdotti nella terra che alzando la mano avevo giurato di dare loro. Essi volsero lo sguardo verso ogni colle elevato, verso ogni albero verde: là fecero i loro sacrifici e portarono le loro offerte provocatrici; là depositarono i loro profumi soavi e versarono le loro libagioni. 29Io dissi loro: “Che cos’è quest’altura verso cui voi andate?”. Il nome altura è rimasto fino ai nostri giorni. 30Ebbene, di’ alla casa d’Israele: Così dice il Signore Dio: Vi contaminate secondo il costume dei vostri padri, vi prostituite secondo i loro abomini, 31vi contaminate con tutti i vostri idoli fino ad oggi, presentando le vostre offerte e facendo passare per il fuoco i vostri figli, e io mi dovrei lasciare consultare da voi, uomini d’Israele?

Il giudizio divino Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, non mi lascerò consultare da voi. 32E ciò che v’immaginate in cuor vostro non avverrà, mentre voi andate dicendo: “Saremo come le nazioni, come le tribù degli altri paesi, che prestano culto al legno e alla pietra”. 33Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, io regnerò su di voi con mano forte, con braccio possente e con ira scatenata. 34Poi vi farò uscire di mezzo ai popoli e vi radunerò da quei territori dove foste dispersi con mano forte, con braccio possente e con ira scatenata 35e vi condurrò nel deserto dei popoli e lì a faccia a faccia vi giudicherò. 36Come giudicai i vostri padri nel deserto del paese d’Egitto, così giudicherò voi, oracolo del Signore Dio. 37Vi farò passare sotto il mio bastone e vi condurrò sotto il vincolo dell’alleanza. 38Separerò da voi i ribelli e quelli che si sono staccati da me; li farò uscire dal paese in cui dimorano come forestieri, ma non entreranno nella terra d’Israele: così saprete che io sono il Signore. 39A voi, casa d’Israele, così dice il Signore Dio: Andate, servite pure ognuno i vostri idoli, ma alla fine mi ascolterete e non profanerete più il mio santo nome con le vostre offerte, con i vostri idoli. 40Sul mio monte santo, infatti, sull’alto monte d’Israele – oracolo del Signore Dio – mi servirà tutta la casa d’Israele, tutta riunita in quella terra. Là mi saranno graditi e là richiederò le vostre offerte e le primizie dei vostri doni, tutto quello che mi consacrerete. 41Quando vi avrò liberati dai popoli e vi avrò radunati dai paesi nei quali foste dispersi, io vi accetterò come soave profumo, mi mostrerò santo in voi agli occhi delle nazioni. 42Allora voi saprete che io sono il Signore, quando vi condurrò nella terra d’Israele, nella terra che alzando la mano giurai di dare ai vostri padri. 43Là vi ricorderete della vostra condotta, di tutti i misfatti dei quali vi siete macchiati, e proverete disgusto di voi stessi, per tutte le malvagità che avete commesso. 44Allora saprete che io sono il Signore, quando agirò con voi per l’onore del mio nome e non secondo la vostra malvagia condotta e i vostri costumi corrotti, o casa d’Israele». Oracolo del Signore Dio.

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Approfondimenti

Visione profetica della storia d'Israele 20,1-44 Siamo nel 7° anno dalla deportazione, cioè nel 591, a due anni dall'inaugurazione del Chebar, a un anno circa dalla visione del tempio (8,1ss.). Gli anziani tornano a consultare Ezechiele (vv. 1s.). Ma il profeta per ispirazione divina risponde come era stato suggerito in 14,1-11: a quegli ostinati che vengono a interrogare ipocritamente il veggente, darà Dio stesso una risposta, un oracolo di giudizio, cioè in conformità ai loro perversi propositi (vv. 3s.).

Il processo giudiziario implica:

A) un'esposizione delle colpe: vv. 4-31; B) la sentenza della pena, o condanna: vv. 31b-44.

In A), l'accusa si articola in una serie di ribellioni, corrispondente ad altrettanti benefici del sovrano d'Israele in varie fasi:

  • vv. 4-9: nei primordi del clan israelitico in territorio egiziano;
  • vv. 10-17: nell'epoca della prima generazione nel deserto del Sinai;
  • v. 18-26: nell'epoca della seconda generazione ancora nel deserto;
  • vv. 27-31a: dopo l'ingresso in Palestina e tuttora nel periodo esilico.

In B), la condanna, in un duplice atteggiamento di JHWH:

  • rifiuto a lasciarsi consultare: v. 31b;
  • promessa che non permetterà il verificarsi dei loro tristi progetti: vv. 32-33;
  • attraverso un intervento di giudizio e di cernita nel nuovo esodo verso la terra dei padri: vv. 34-44.

Benché il testo nella seconda parte (vv. 32-44) possa essere stato ritoccato dopo il 586 (forse dai discepoli del profeta), riteniamo tuttavia rifletta sostanzialmente la concezione di Ez sul piano salvifico di JHH e sulla previa purificazione del suo popolo (36, 24s.).

Esposizione delle colpe 20,1-31a 1-9. In Egitto. Il primo beneficio era stato l'elezione col giuramento di essere il loro Dio e quindi con la rivelazione del suo grande nome, più la promessa di liberarli dalla schiavitù degli Egiziani per introdurli nel più bel paese del mondo, fertile e ospitale (vv. 5-6). Si esigeva solo, dai figli di Giacobbe, che abbandonassero i culti idolatrici e aderissero esclusivamente a lui (v. 7). Vi è qui condensata la rivelazione mosaica, con le clausole fondamentali del patto e le promesse di assistenza al popolo (Dt 7,7-28).

8a. «Ma essi mi si ribellarono e non mi vollero ascoltare... in mezzo al paese d'Egitto». E la prima grande trasgressione. Ancora nel paese dei faraoni vengono meno al loro supremo Signore, continuando a venerare gli idoli d'Egitto. Di questo fatto, altrove, nell'AT, non abbiamo alcuna testimonianza. Osea (Os 2,17) e Geremia (Ger 2,2) parlano anzi dal vivo amore d'Israele per JHWH al momento dell'uscita dall'Egitto. Probabilmente si tratta di una visuale un po' estremista di Ezechiele, che vuol mettere in risalto la perenne «dura cervice» dei suoi connazionali fin dai loro padri (2,3; 16,44s., 23,3).

8b. Conseguenza giuridica. Avrebbero dovuto essere abbandonati dal loro partner divino e consegnati allo sterminio a opera dei loro avversari. «Decisi di riversare sopra di loro il mio furore»: un'espressione biblico-orientale per indicare la pena meritata da chi, disprezzando la «sorgente di acqua viva», va ad abbeverarsi a cisterne screpolate (Ger 2,13); non è tanto il Signore a infliggere la morte, quanto l'insipienza di chi, sottraendosi al riparo della sua ombra, va a esporsi ai dardi della peste e del sole a mezzogiorno (Sal 91,4.6; Is 30,2s.12s.).

9a. Ripensamento misericordioso. Per un mistero di pietà e di gloria divina la sentenza punitiva viene sospesa. Per amore del suo nome, il Signore decide di preservarli dall'annientamento al cospetto degli Egiziani, affinché dinanzi a costoro non sia profanato l'onore di colui che aveva giurato di trarre il suo popolo dal loro dominio, e perché nessuno potesse accusarlo di infedeltà o di debolezza (36,20s.). È la ragione che più volte Mosè stesso presenterà al Dio giusto e onnipotente, in procinto di abbandonare alla deriva il popolo che si era scelto tra le genti (Es 32,12; Nm 14,13-16). Si conclude così la prima fase della ribellione del clan di Giacobbe.

10-17. Prima generazione nel deserto del Sinai. 10-12. Nuovo beneficio. Oltre l'estrazione dalla prigionia egiziana e quel misterioso risparmio nel deserto, il Signore dà al suo popolo leggi e norme sapienti «che danno vita», e il rito del riposo sabatico, segno di totale appartenenza a JHWH (Es 23,12; Lv 20,8; Dt 5,15).

13a. Nuova ribellione. Gli Israeliti rifiutano l'obbedienza alle leggi divine, trasgrediscono il culto del sabato. Sono qui accennate le rivolte di Core e di Datan (Nm 16) contro gli ordinamenti mosaici, e l'adorazione del vitello d'oro (Es 32).

13b-17. Ricorre di nuovo la situazione di giusta condanna per lo sterminio, e subito il pietoso risparmio da parte del Dio dell'alleanza per amore del suo nome (vv. 14-17). Solo che qui c'è un'aggiunta: il Signore non li farà perire immediatamente nel deserto, ma non permetterà che quella generazione raggiunga la terra promessa (v. 15); l'onore di JHWH sarà così salvo di fronte ai popoli che hanno saputo delle sue promesse alla stirpe di Giacobbe, e d'altra parte sarà resa manifesta a tutti la sua giustizia (39, 23s.).

18-26. Seconda generazione nel deserto. 18-20. Dio si rivolge ai figli di quei ribelli, dando nuove esortazioni, perché si tengano lontani dalle idolatrie, e osservino i suoi decreti e i sabati, dati come pegno della sua sovrana assistenza.

21-24. Si ripete la rivolta di quest'altra generazione, la sentenza di condanna, il risparmio per l'onore del nome divino. Vi è però anche adesso un rimando: il Signore non impedirà loro di entrare nella sua terra; tuttavia arrivati lì, dovranno un giorno prendere la via dell'esilio; e nel frattempo permetterà che restino implicati in pratiche cultuali perniciose, quali l'uso dei sacrifici idolatrici fino all'immolazione dei loro figli al dio Moloch (16,36). Si tratta dei culti illeciti presso le alture sacre a imitazione dei Cananei, in specie del rito cruento, tanto deprecato dalla legislazione mosaica, ma al quale indulsero in certe circostanze gli stessi Ebrei (Lv 18,21; Dt 18,10-12).

25-26. La frase metterebbe in risalto l'universalità della causa prima permissiva, nel senso già visto in 14,9; ma alcuni la spiegano come una riflessione rispondente alla mentalità degli uditori (cfr. Mic 6,7b).

27-31a. I contemporanei del profeta. Ad essi appartengono il gruppo degli anziani venuti a consultarlo e nei quali si addensano le colpe delle generazioni passate. Il portavoce di JHWH torna a interpellarli, col dichiarare le loro responsabilità: voi, dice, beneficiati col dono prezioso della terra dei padri, imitate costoro in tutte le loro ribellioni, con l'attaccamento agli idoli, con le oblazioni impure sulle alture sacre (il cui nome bāmâ è sulle vostre labbra) e perfino con il sacrificare attraverso il fuoco i vostri figli (vv. 30s.). Mancano a questo punto la sentenza di condanna e il misericordioso risparmio, i quali però saranno ripresi, in maniera analoga, nel verdetto finale di tutto il “processo”.

Il giudizio divino 20,31b-44 La risposta del giudice divino a quel tentativo di consultazione (v. 1) è duplice: riflette un suo procedimento costante con quei “figli ribelli”.

31b. Anzitutto il rifiuto a lasciarsi consultare. Sono come i loro padri, coltivano gli idoli nel loro cuore, indegni di ricevere una risposta diretta ai loro interrogativi (14,3).

32-44. L'agire di JHWH secondo il piano di glorificazione del suo nome. Il Signore non lascerà che essi si sottraggano al suo governo. Non permetterà che si verifichi quel che vanno progettando o prevedendo. Essi ruminano nel loro animo questi pensieri: poiché il Signore continua a minacciare la completa rovina del regno di Giuda, noi esuli finiremo col rinnegare l'antica elezione e ci ridurremo a servire gli dei delle nazioni (v. 32). Non si vede chiaro dal contesto se si tratta di un progetto o di una semplice prospettiva; ma sia l'uno che l'altra pare abbiano l'intento di ricattare il sovrano d'Israele e di provocare un suo ripensamento sulla sorte della loro patria. JHWH dichiara solennemente, «com'è vero che io vivo» (v. 33), che li tratterà in perfetta coerenza col suo modo di procedere nella storia dei figli d'Israele; persisterà a regnare su di loro come ha fatto nelle precedenti generazioni, anche loro malgrado (v. 33); li risparmierà cioè dall'estinguersi tra le genti e li radunerà con la sua potenza dalle regioni dove sono stati dispersi; ma insieme farà una cernita (vv. 35s.); nel deserto siro-efraimitico o semplicemente in quello della stessa dispersione, prima cioè di rientrare nella terra del padri, i metterà alla prova e opererà una separazione tra i giusti e i malvagi (34,20-22), come il pastore che sa distinguere una per una le sue pecore (vv. 37s.), e reintrodurrà nel suo paese solo quelli a lui fedeli, escludendone gli apostati (v. 38b): «così saprete che io sono il Signore» (v. 38). L'onore del Signore santo e fedele ne risulterà ancora una volta illeso, come nelle epoche passate, e conclude il grande processo intentato contro gli ostinati esuli di Tel-Aviv: viene predetto che tutti i reduci un giorno lo glorificheranno, vergognandosi delle ricorrenti loro infedeltà e constatando l'inesauribile misericordia del loro Dio (v. 44; cfr. 16,62s.; 36,31s.).

Col solito suo stile casuistico il profeta ha tracciato una visione teologica della storia del suo popolo, la dinamica cioè dell'agire divino nelle vicende d'Israele. C'è una chiamata a vivere nella venerazione di JHWH, a cui corrisponde pace e prosperità. Ma sopravviene l'infedeltà collettiva del clan di Giacobbe. In forza della legge del taglione, il Dio del patto avrebbe dovuto lasciare alla deriva la sua nazione; tuttavia in virtù del rispetto del suo onore, che verrebbe profanato tra le genti, risparmia o rimanda il castigo. E ormai una costante messa in rilievo in quattro tornanti della storia del popolo eletto. Questa medesima dinamica si realizzerà nel presente e nel prossimo futuro, sugli esuli che stanno di fronte al veggente con la loro arroganza, e sugli altri loro contemporanei tuttora ribelli ai voleri divini. Dio non mostrerà loro la sua compiacenza; non li ascolterà neanche. Pure non li lascerà sfuggire al suo dominio; ma pronunzierà un severo giudizio: li recupererà attraverso il doloroso vaglio del nuovo deserto, con l'esclusione degli ostinati dalla terra sacra e col rientro in patria di chi si sarà ravveduto. Solo allora lui tornerà a essere luce e benedizione per Israele, glorificando il suo nome, come sempre. E un iter ormai collaudato da secoli di alternanze e che sarà ribadito nei messaggi successivi (36,16-32; 39,25-29). Vi si riflette il piano di Dio rivelato fin dai primi capitoli della Genesi per la storia dell'intera umanità.

Il creatore non intende mai abbandonare all'estinzione il capolavoro delle sue mani, la famiglia umana: l'ha messo all'esistenza perché domini il cosmo e lo faccia servire alla sua gloria; e quando non gli ha più ubbidito, gli ha lasciato esperimentare l'angoscia del suo allontanamento dalla fonte della vita e gli ha fatto sempre sperare un traguardo di liberazione e di imperitura salvezza attraverso i suoi profeti e poi, in modo più chiaro, con la voce del suo Messia.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Lamentazioni sugli ultimi re 1Intona ora un lamento sui prìncipi d’Israele 2dicendo: Che cos’era tua madre? Una leonessa fra leoni. Accovacciata in mezzo ai leoni nutriva i suoi cuccioli. 3Essa allevò uno dei cuccioli che divenne un leoncello, imparò a sbranare la preda, a divorare gli uomini. 4Ma contro di lui le genti fecero lega, restò preso nella loro fossa e in catene fu condotto in Egitto. 5Quando essa vide che era lunga l’attesa e delusa la sua speranza, prese un altro cucciolo e ne fece un leoncello. 6Divenuto leoncello, se ne andava e veniva fra i leoni, e imparò a sbranare la preda, a divorare gli uomini. 7Penetrò nei loro palazzi, devastò le loro città. Il paese e i suoi abitanti sbigottivano al rumore del suo ruggito. 8Lo assalirono le genti, le contrade all’intorno; tesero un laccio contro di lui e restò preso nella loro fossa. 9Lo chiusero in una gabbia, lo condussero in catene al re di Babilonia e lo misero in una prigione, perché non se ne sentisse la voce sui monti d’Israele. 10Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era rigogliosa e frondosa per l’abbondanza dell’acqua. 11Ebbe rami robusti, buoni per scettri regali; il suo fusto si elevò in mezzo agli arbusti, mirabile per la sua altezza e per l’abbondanza dei suoi rami. 12Ma essa fu sradicata con furore e gettata a terra; il vento d’oriente seccò i suoi frutti e li fece cadere; il suo ramo robusto inaridì e il fuoco lo divorò. 13Ora è trapiantata nel deserto, in una terra secca e riarsa; 14un fuoco uscì da un suo ramo, divorò tralci e frutti ed essa non ha più alcun ramo robusto, uno scettro per regnare». Questo è un lamento e come lamento viene usato.

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Approfondimenti

Lamentazioni sugli ultimi re 19,1-14 In questo capitolo abbiamo una duplice composizione poetica in forma di lamento funebre. Il ritmo dei versi, come al solito nelle lamentazioni, è di 3 accenti più 2, ma con varie irregolarità: il testo ebraico è alquanto corrotto (ad es. vv. 7.9). Inizia con l'invito di JHWH a intonare un canto di cordoglio (v. 1) e si conclude con l'affermazione che si è trattato di una vera lamentazione (v. 14c).

Consta di due parti:

  • vv. 2-9: il canto allegorico della leonessa e dei suoi cuccioli, in cui è raffigurata la nazione giudaica o la stessa casa davidica, con le disavventure dei suoi re fino alla prima caduta di Gerusalemme nel 597;
  • vv. 10-14: il canto della vite travolta dal vento d'oriente, in cui è descritta la sorte della capitale giudaica, fino alla conquista definitiva dei Babilonesi nel 587: probabilmente composto e aggiunto da Ezechiele dopo quella data.

2-9. Con fine ironia Gerusalemme è paragonata a una leonessa (come la grande vite dai lunghi rami di 17,6), che vive tra i leoni, assisa cioè accanto alle famose potenze di allora. Alleva i suoi cuccioli con la speranza di farne degli alti sovrani. Uno di essi infatti, Ioacaz, il secondogenito del defunto Giosia, sale sul trono di Giuda nel 609 (cfr. v. 3). Con immagini coerenti viene delineata la triste avventura. Presto «impara... a divorare gli uomini»: «Egli fece ciò che è male agli occhi del Signore, come avevano fatto i suoi padri», informa 2Re 23,32; viene messo al bando dalle nazioni collegate con il faraone Necao II, catturato col tranello della fossa e, impostigli i raffi al naso (come si soleva per i prigionieri di guerra), è spedito in Egitto (2Re 23,33). L'ambiziosa leonessa non rinunzia alle sue illusioni: sogna di essere alla pari con i grandi della terra, invece di contentarsi del ruolo affidatole dal suo Signore: «delusa la sua speranza, prese un altro cucciolo» (v. 5; Ger 22,10-12). Morto il tiranno Ioiakim insediato da Necao, pone sul trono un altro dei suoi leoncelli, Ioiachin, nel 601 (2Re 24,6-9). Il quale si comporta egualmente come i suoi antenati, ed egualmente viene catturato dalle schiere dei paesi vicini soggetti ai Caldei (v. 8); e incatenato come Ioacaz, è condotto dai Babilonesi nella loro lontana terra.

10-14. Ora il profeta-poeta si rivolge idealmente al prigioniero, cambiando immagine alla leonessa-madre. Essa «era come una vite... rigogliosa e frondosa», piantata presso acque abbondanti dalla grande aquila, perché rimanesse rivolta e sottomessa al re di Babel (cfr. 17,5s.). Ma cresciuta in rami robusti e adatti per scettri regali (cioè con uomini dalle buone capacità di governo) si eleva talmente in altezza (a mezzo del principe Sedecia: 17,5), che riesce a coinvolgere vari altri regni contro i dominatori babilonesi, sì da suscitare l'energico intervento delle truppe di Nabucodonosor, «il vento d'oriente» (v. 12); viene strappata dal suolo, deposta nel deserto d'oriente e divorata dal fuoco (17,19-21). Non ha più alcun ramo robusto, alcun principe che possa continuare a regnare: un richiamo al fuoco inceneritore di 15, 6. E la finale deportazione del 587. Il pianto di cordoglio è così completo: contiene l'intera tragedia del popolo di Giuda, dalla deposizione dei due re legittimi eredi di Giosia (Ioacaz e Ioiachin) all'epilogo del residuo regno di Sion sotto il giogo babilonese. Il tema centrale pare sia quello di una accorata commiserazione a scopo istruttivo sulla sorte della nazione giudaica, caduta ormai sotto il giudizio del Signore: perché potesse riconoscere come tutti i tentativi di riprendersi, senza alcun rispetto al re supremo d'Israele, sarebbero stati vanificati dagli strumenti della giustizia divina. Bisogna alla fine arrendersi e confessare le proprie aberrazioni, e cioè l'aver trascurato la regalità di JHWH e l'essersi fidati unicamente delle forze umane. Solo da questo riconoscimento potrebbe iniziare l'attesa di un'era nuova escatologica (16,61s.; 20,43s.; 36,31s.).

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Difesa del comportamento del Signore

Un falso preconcetto 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Perché andate ripetendo questo proverbio sulla terra d’Israele: “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati”? 3Com’è vero che io vivo, oracolo del Signore Dio, voi non ripeterete più questo proverbio in Israele. 4Ecco, tutte le vite sono mie: la vita del padre e quella del figlio è mia; chi pecca morirà. 5Se uno è giusto e osserva il diritto e la giustizia, 6se non mangia sui monti e non alza gli occhi agli idoli della casa d’Israele, se non disonora la moglie del suo prossimo e non si accosta a una donna durante il suo stato d’impurità, 7se non opprime alcuno, restituisce il pegno al debitore, non commette rapina, divide il pane con l’affamato e copre di vesti chi è nudo, 8se non presta a usura e non esige interesse, desiste dall’iniquità e pronuncia retto giudizio fra un uomo e un altro, 9se segue le mie leggi e osserva le mie norme agendo con fedeltà, egli è giusto ed egli vivrà, oracolo del Signore Dio. 10Ma se uno ha generato un figlio violento e sanguinario che commette azioni inique, 11mentre egli non le commette, e questo figlio mangia sui monti, disonora la donna del prossimo, 12opprime il povero e l’indigente, commette rapine, non restituisce il pegno, volge gli occhi agli idoli, compie azioni abominevoli, 13presta a usura ed esige gli interessi, questo figlio non vivrà; poiché ha commesso azioni abominevoli, costui morirà e dovrà a se stesso la propria morte. 14Ma se uno ha generato un figlio che, vedendo tutti i peccati commessi dal padre, sebbene li veda, non li commette, 15non mangia sui monti, non volge gli occhi agli idoli d’Israele, non disonora la donna del prossimo, 16non opprime alcuno, non trattiene il pegno, non commette rapina, dà il pane all’affamato e copre di vesti chi è nudo, 17desiste dall’iniquità, non presta a usura né a interesse, osserva le mie norme, cammina secondo le mie leggi, costui non morirà per l’iniquità di suo padre, ma certo vivrà. 18Suo padre invece, che ha oppresso e derubato il suo prossimo, che non ha agito bene in mezzo al popolo, morirà per la sua iniquità. 19Voi dite: “Perché il figlio non sconta l’iniquità del padre?”. Perché il figlio ha agito secondo giustizia e rettitudine, ha osservato tutte le mie leggi e le ha messe in pratica: perciò egli vivrà. 20Chi pecca morirà; il figlio non sconterà l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Sul giusto rimarrà la sua giustizia e sul malvagio la sua malvagità. 21Ma se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commesso e osserva tutte le mie leggi e agisce con giustizia e rettitudine, egli vivrà, non morirà. 22Nessuna delle colpe commesse sarà più ricordata, ma vivrà per la giustizia che ha praticato. 23Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? 24Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, imitando tutte le azioni abominevoli che l’empio commette, potrà egli vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà.

Urgenza di conversione 25Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? 26Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. 27E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. 28Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà. 29Eppure la casa d’Israele va dicendo: “Non è retta la via del Signore”. O casa d’Israele, non sono rette le mie vie o piuttosto non sono rette le vostre? 30Perciò io giudicherò ognuno di voi secondo la sua condotta, o casa d’Israele. Oracolo del Signore Dio. Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. 31Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Perché volete morire, o casa d’Israele? 32Io non godo della morte di chi muore. Oracolo del Signore Dio. Convertitevi e vivrete.

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Approfondimenti

Difesa del comportamento del Signore 18,1-32 Dopo l'esposizione allegorica della vite infedele, e nel periodo più vicino al 586, il profeta interviene ancora una volta contro un particolare pregiudizio della sua comunità riguardante il modo di agire di JHWH nelle dolorose vicende che continuano a pesare su tutto il popolo eletto, esuli compresi: perché, vanno ripetendo, gli attuali Israeliti devono soffrire tanto, e allo stesso tempo si esige da loro quella radicale conversione, di cui parla con insistenza il veggente (12,3; 14,6-11)? «I padri han mangiato l'uva acerba e i denti dei figli si sono allegati» (v. 2): è retto da parte del Signore un tal modo di comportarsi? (vv. 25.29). Il portavoce di JHWH è sollecitato a dare due insegnamenti: smontare quell'errore deleterio: 1-24; riaffermare la necessità della loro conversione: 25-32.

Un falso preconcetto 18,1-24 1-4. Dio non vuole assolutamente che quel detto (v. 2) venga ripetuto nella comunità di Babilonia: «Com'è vero che io vivo, voi non lo ripeterete più» (v. 3); è un'energica proibizione, avvalorata da una speciale formula di giuramento. Ne va di mezzo l'esito della missione profetica: la conversione del resto d'Israele! A dimostrare l'inconsistenza dell'accusa (mancanza di rettitudine da parte di JHWH), viene enunziato un principio basilare: «Ecco, tutte le vite sono mie» (v. 4); la vita di ogni individuo è proprietà del supremo Signore, ne può disporre liberamente, e sta a lui poterla sottrarre a chiunque ha peccato.

5-18. Vengono presentate 3 ipotesi:

1) la vita sarà concessa a chi si sarà comportato secondo le norme della giustizia; e vengono qui citati 12 casi in consonanza con la legge, alcuni positivi, altri negativi: non mangiar carne senza averne fatto uscire il sangue, ritenuto sede della vita (Lv 19,26); non volgere lo sguardo in segno di adorazione e fiducia agli idoli (Dt 4,15ss.); non commettere adulterio o contaminarsi con le donne mestruate (Lv 20,18); non fare angherie; non rifiutare a un debitore povero il pegno da lui depositato, necessario alla sua vita (Dt 24,6); non compiere rapine; non prestare con usura; dar da mangiare all'affamato; vestire gli ignudi; giudicare lealmente; osservare la legge con sincerità. In tutti questi casi e altri simili (la lunga enumerazione è esemplificativa) si tratta di una persona «giusta» (śadîq): merita le sia conservata la vita; 2) il figlio di questo giusto viene meno alla rettitudine in tutti quei casi: è dichiarato “ingiusto” ed è meritevole di morte (vv. 10-13); 3) il figlio di quest'uomo “ingiusto” si astiene dal commettere le colpe di suo padre: è retto e quindi degno di vivere; morirà solo suo padre (vv. 14-18).

L'induzione è completa e la conclusione evidente: non merita la pena di morte chi si è comportato secondo le leggi «che danno la vita» (20,21); la merita invece chi, pur essendo figlio di un uomo giusto, ha agito contro di esse; né la merita chi, pur essendo figlio di un uomo malvagio, ha agito secondo le leggi di vita. JHWH, Signore assoluto della vita, la darà a chiunque se ne rende degno, anche se è legato a un parente cattivo; la toglierà a chi la demerita, anche se congiunto a un genitore retto. Egli ne dispone secondo equità, senza farsi condizionare da connessioni estrinseche.

19-24. A questo punto intervengono gli uditori del profeta. Essi vedono crollare la base delle loro recriminazioni, e cioè il principio di solidarietà nel male (v. 19a); perché mai, dicono, per quanto riguarda la vita, Dio non tien conto delle colpe dei parenti? Se questa, pensano, è la vera norma della giustizia, essi non potrebbero avere più nulla di che lamentarsi; mentre al contrario, se il principio della responsabilità collettiva rimane, essi avrebbero ragione di contestare. Non badano, però, a una distinzione: la responsabilità collettiva riguarda la pena esteriore, non tocca il rapporto di pace profonda e integrale in cul ognuno si trova di fronte al Signore. In quell'ambito, ogni essere umano libero è reo di morte o meritevole di vita, senza implicazioni con eventuali congiunti, sia giusti che ingiusti. Nelle grandi catastrofi sociali, permesse dal Signore per i suoi fini, vengono d'ordinario coinvolti individui malvagi e onesti, padri colpevoli e figli innocenti (21,8s.) per via del principio di solidarietà collettiva; ma c'è un livello di “vita” e di “morte” al quale si accede solo in forza del principio di responsabilità personale: è il livello di piena intimità col Dio trascendente, o di radicale distacco da lui. In quella dimensione somma, si tiene conto solo dello stato attuale di giustizia o di iniquità del singolo credente, svincolato da qualsiasi altro legame contingente. Tale principio anzi si estende ad altre situazioni: alla persona che, dopo aver commesso di quelle trasgressioni, si ravvede e ritorna all'osservanza delle leggi di vita (v. 21). Dio dimentica le passate mancanze e lo riammette nella sua intimità (v. 23). Come, al contrario, se un giusto si perverte dalla via del bene, diviene meritevole di morte, senza che gli giovino le opere buone compiute (v. 24; 33,13-15). La soluzione dell'apparente contraddizione fra l'invocato principio di solidarietà nelle persistenti tribolazioni dell'esilio e il principio di responsabilità individuale nella distinzione del duplice livello di “vita-morte”: quello delle sofferenze puramente temporali e transitorie («denti allegati» per i disagi dell'esilio), e quello della pace-benessere interiore-integrale sotto lo sguardo dell'Onnipotente (sentirsi amati da lui, iscritti nel libro del popolo eletto – 9,4; 13,9 –, destinati alla restaurazione futura), intravisto già dai salmisti e dai profeti (Sal 16; 48; 73,16-28; Am 5,4.14): trovarsi «nel sentiero della vita, con gioia piena nella sua presenza, e dolcezza senza fine alla sua destra» (Sal 16, 11); con «più gioia nel cuore di quando abbondano vino e frumento» (Sal 4,8); «è Dio la mia sorte per sempre... il mio bene è stare vicino a Dio» (Sal 13,26.28): rimanere sempre con Dio è il massimo dei beni, il colmo della felicità, a cui i pii Israeliti potevano aspirare (Sal 63,3s.; 42,2s.; Ez 3,3; 9,6). Per tale stato ha valore unicamente la perfetta sintonia d'amore col Dio tre volte santo.

Urgenza di conversione 18,25-32 Secondo questa visuale, Ezechiele può concludere all'ineccepibile rettitudine dell'agire divino nei confronti degli esuli tuttora in terra pagana e all'urgenza della loro conversione. Non è JHWH a essere in difetto nell'esigere il cambiamento di condotta, pur lasciandoli soffrire in forza del principio di responsabilità collettiva: la conversione è necessaria perché abbiano la pienezza della “vita” e si allontanino dal precipizio della “morte”. Persistendo nel male, trascurano il principio di responsabilità personale e si avviano alla vera completa rovina. Sono quindi loro i malvagi, perché non vogliono ascoltare l'invito alla salvezza, e non il Signore il quale non desidera altro se non la loro purificazione e la loro autentica comunione di “vita” con lui (v. 25b). Si decidano allora a cambiare strada, a ritrarsi da tutti i loro peccati, inciampo, miksôl, per la loro perdizione, e a rifarsi «un cuore nuovo e uno spirito nuovo» (v. 31), cioè un modo retto di pensare e di sentire nei riguardi dello stesso agire di JHWH, che «non gode della morte di chi muore» (v. 32a): si troveranno nella via della vera imperitura salvezza (v. 32b). Vi è in questa istruzione profetica un chiaro insegnamento esistenziale: è sempre giusto e benevolo l'operare dell'Altissimo nelle vicende dei singoli individui e della storia. Se permette la sofferenza e i grandi disagi sociali, lo fa secondo misteriosi disegni per la salvezza e santificazione delle anime, nel pieno rispetto della libertà umana. Mai queste avversità potranno intaccare il profondo rapporto di comunione vitale con lui. In quest'ambito può intervenire solo il personale uso della nostra volontà in positivo o in negativo.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La vite orgogliosa e il nuovo germoglio

La vite orgogliosa 1Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, proponi un enigma e racconta una parabola alla casa d’Israele. 3Tu dirai: Così dice il Signore Dio: Un’aquila grande, dalle grandi ali e dalle lunghe penne, folta di piume dal colore variopinto, venne sul Libano e strappò la cima del cedro; 4stroncò il ramo più alto e lo portò in un paese di mercanti, lo depose in una città di negozianti. 5Scelse un germoglio del paese e lo depose in un campo da seme; lungo il corso di grandi acque, lo piantò come un salice, 6perché germogliasse e diventasse una vite estesa, poco elevata, che verso l’aquila volgesse i rami e le radici crescessero sotto di essa. Divenne una vite, che fece crescere i tralci e mise i rami. 7Ma c’era un’altra aquila grande, larga di ali, ricca di piume. E allora quella vite, dall’aiuola dove era piantata, rivolse verso di essa le radici e tese verso di essa i suoi tralci, perché la irrigasse. 8In un campo fertile, lungo il corso di grandi acque, essa era piantata, per mettere rami e dare frutto e diventare una vite magnifica. 9Di’: Così dice il Signore Dio: Riuscirà a prosperare? O forse l’aquila non sradicherà le sue radici e vendemmierà il suo frutto e seccheranno tutti i tralci che ha messo? Non ci vorrà un grande sforzo né ci vorrà molta gente per sradicare dalle radici. 10Ecco, essa è piantata: riuscirà a prosperare? O non seccherà del tutto, non appena l’avrà sfiorata il vento d’oriente? Proprio nell’aiuola dove è germogliata, seccherà!».

Applicazione della parabola 11Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore: 12«Parla dunque a quella genìa di ribelli: Non sapete che cosa significa questo? Di’: Ecco, il re di Babilonia è giunto a Gerusalemme, ne ha preso il re e i prìncipi e li ha portati con sé a Babilonia. 13Si è scelto uno di stirpe regale e ha fatto un patto con lui, obbligandolo con giuramento. Ha deportato i potenti del paese, 14perché il regno fosse debole e non potesse innalzarsi e osservasse e mantenesse l’alleanza con lui. 15Ma questi gli si è ribellato e ha mandato messaggeri in Egitto, perché gli fossero dati cavalli e molti soldati. Potrà prosperare, potrà scampare chi ha agito così? Chi ha infranto un patto potrà uscirne senza danno? 16Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, proprio nel paese del re che gli aveva dato il trono, di cui ha disprezzato il giuramento e infranto l’alleanza, presso di lui, in piena Babilonia, morirà. 17Il faraone, con le sue grandi forze e il suo ingente esercito non gli sarà di valido aiuto in guerra, quando si eleveranno terrapieni e si costruiranno baluardi per distruggere tante vite umane. 18Ha disprezzato un giuramento, ha infranto un’alleanza: ecco, aveva dato la mano e poi ha agito in tal modo. Non potrà trovare scampo. 19Perciò così dice il Signore Dio: Com’è vero che io vivo, farò ricadere sopra il suo capo il mio giuramento che egli ha disprezzato, la mia alleanza che ha infranta. 20Stenderò su di lui la mia rete e rimarrà preso nel mio laccio: lo condurrò a Babilonia e là lo giudicherò per l’infedeltà commessa contro di me. 21Tutti i migliori delle sue schiere cadranno di spada e i superstiti saranno dispersi ai quattro venti: così saprete che io, il Signore, ho parlato.

Il germoglio davidico 22Così dice il Signore Dio: Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; 23lo pianterò sul monte alto d’Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà. 24Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò».

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Approfondimenti

La vite orgogliosa e il nuovo germoglio 17,1-24 In questo capitolo Ezechiele propone una “parabola”, māšāl, sotto forma di hîdāh, “indovinello”, che serve a stimolare l'attenzione degli uditori, ma che viene presto trasformata in chiara allegoria. Si tratta di rappresentare gli eventi dal 597 al 587-586, dalla caduta di Ioiakim fino alla definitiva rovina del regno giudaico, più un accenno alla futura ricostituzione. Conquistata Gerusalemme nel 597, Nabucodonosor trasporta in Babilonia il re Ioiachin con tutta la sua famiglia e lascia a governare il paese suo zio, Mattania, cambiandogli il nome in Sedecia. Questi gli giura obbedienza, ma dopo alcuni anni, fiducioso dell'aiuto del faraone, rivale dei Babilonesi, si ribella al grande imperatore, suscitando il pronto intervento delle sue truppe con l'annientamento del trono di Giuda. Ciò però non impedirà che si compia il progetto divino della crescita del germe davidico sul monte Sion, rifugio di tutti i popoli della terra. Il poema consta di tre parti:

  • vv. 1-10: la parabola della vite orgogliosa;
  • vv. 11-21: spiegazione della parabola;
  • vv. 22-24: trapianto e crescita del germoglio.

La vite orgogliosa 17,1-10 Sulla scena compaiono due grandi aquile, con al centro una vite rigogliosa. La prima (impero di Babilonia), dalle larghe ali (simbolo di maestà) e dalle variegate piume (simbolo di molti domini), scende sul Libano (l'alto monte di Sion), stacca la cima del cedro (il re Ioiachin) e la depone in un paese di mercanti (in Babilonia, conosciuta come terra di commercio). Ma insieme sceglie un germoglio dello stesso luogo dove sorgeva il cedro (Sedecia della medesima famiglia di Ioiachin) e lo colloca in un campo ben irrigato, come salice in terreno umido: con l'intento che si sviluppasse in una vite florida, ma sottomessa all'aquila: «e diventasse una vite estesa... che verso l'aquila volgesse i rami e le radici crescessero sotto di essa» (v. 6). E difatti crebbe meravigliosamente. Avvenne però che un'altra possente aquila si levò all'orizzonte (sulle sponde del Nilo); illudendosi di svincolarsi dal giogo della prima, la vite diresse verso il nuovo volatile le sue diramazioni («radici» e «tralci», v. 7). Sperava poter usufruire delle fertili acque in potere di quell'aquila: «perché la irrigasse» (v. 7b). L'allegoria-favola in complesso è coerente e nitida. Si conclude con due pressanti interrogazioni retoriche, che coinvolgono gli uditori: potrà prosperare una simile pianta, che a tradimento ha voluto sottrarsi alla protezione della prima possente aquila per consegnarsi alla sua rivale? Non piomberà su di essa l'aquila «larga di ali, folta di penne» (v. 7) a svellere e disseccare col vento infuocato dell'est radici e rami? «Riuscirà a prosperare.... non seccherà del tutto, non appena l'avrà sfiorata il vento d'oriente?» (v. 9s.).

Applicazione della parabola 17,11-21 L'eloquenza della metafora è illustrata da una particolareggiata applicazione. L'uditorio avrebbe dovuto recepire da sé: «Non sapete che cosa significa questo?» (v. 11). I compagni dell'esule profeta sono sempre «la genia di ribelli» che ancora non accetta le tristi previsioni sulla sorte di Gerusalemme, e si è già a pochi mesi dall'assalto definitivo dei Caldei. L'aquila più grande, spiega allora dettagliatamente Ezechiele, è il re Nabucodonosor che, deportato Ioiachin in Babilonia con i figli e i notabili del paese, pose sul trono di Giuda Sedecia, stipulando con lui un'alleanza: Nabucodonosor nel nome del suo dio Marduch, Sedecia nel nome di JHwH; in modo che la modesta nazione giudaica potesse sussistere sotto il protettorato dell'impero orientale (v. 13). Con la salita al trono egiziano dell'intraprendente Ofra nel 588, Sedecia si lascia indurre dai suoi consiglieri ad appoggiarsi al faraone contro i Babilonesi. Infrange così il patto stipulato in nome del Dio dei padri commettendo una flagrante slealtà e uno spergiuro (v. 16). Il Signore farà cadere sul suo capo quella duplice infedeltà. Probabilmente proprio in quello stesso tempo in cui Ezechiele proferiva l'oracolo, Nabucodonosor sbaragliava le truppe egiziane accorse in aiuto degli assediati gerosolimitani (Ger 37,5); e quindi riprendeva l'assalto alla città santa, fino alla capitolazione di alcuni mesi dopo. Sedecia, come ci racconta 2Re 25,1-11, verrà catturato, accecato e condotto prigioniero in Babilonia, e il resto del suo esercito annientato. Quando tutto ciò si sarà verificato, conclude il profeta, gli esuli suoi connazionali potranno riconoscere che JHWH aveva parlato in lui e ne trarranno le auspicate conseguenze (v. 21). La giustizia eterna raggiunge ogni opposizione al disegni del supremo Signore dei popoli, ogni presunzione, ogni inganno verso i propri simili, ogni irriverenza contro l'onore del suo nome. Il vero bene di ciascuno o della collettività coincide con l'osservanza dei voleri divini e col rispetto dei diritti altrui.

Il germoglio davidico 17,22-24 Questi versi sono probabilmente un'aggiunta posteriore dello stesso Ezechiele. Nel ricomporre i suoi oracoli avrà creduto bene integrare il piccolo carme allegorico delle aquile e del germoglio trapiantato in terra pagana con un accenno al futuro rampollo della stirpe davidica (di cui forse avrà un giorno sentito parlare il suo collega Geremia: Ger 23,5), coltivato da JHWH stesso sul suo monte santo. Troviamo simili integrazioni in vari altri vaticini di sventura (5,3-4; 11,14-20; 16,60-63; Am 9,8-12; Is 7,14s.). Riprende la parola il Signore (v. 22). Come ha predetto la rovina e il castigo salutare (vv. 11-21), così ora preannunzia un evento del tutto salvifico. Non sarà più una potenza pagana, strumento della giustizia divina, a staccare un ramoscello dalla «cima del cedro» (vv. 3.22), ma la mano benefica di JHWH; né lo trasporterà lontano dalla sua terra, ma lo pianterà sul monte della sua dimora, in Sion, presso il suo tempio. Si tratta certamente del germe di Davide: «un germoglio spunterà dal tronco di Jesse» (Is 11,1), secondo l'antica promessa (2 Sam 7,12ss.; Is 53,2). Alimentato dalle acque della benedizione divina (31,4), «diventerà un cedro magnifico», alla cui ombra verranno a dimorare tutti gli uccelli: kôl sippôr, come in 31,6, significa “ogni categoria di volatili, cioè popoli di ogni regione e razza.

Fuori metafora, si preludia a un nuovo regno della discendenza davidica, di straordinarie dimensioni, a cui accorreranno tutti i popoli della terra, secondo la profezia isaiana (Is 2,2-5; Mic 4,1-5; Ez 34,23-25). Sarà la realizzazione, vista in lontananza, di quel Regno di Dio, rappresentato dallo stesso Gesù in un piccolo seme cresciuto in grandioso albero (Mt 13,31s.), rifugio e sede di tutte le nazioni. Nessuno si sarebbe aspettato un rigoglio e un'estensione così mirabile. Ogni uomo vi potrà scorgere la potenza di quel Dio che umilia i grandi imperi e innalza i più modesti clan, e «fa seccare l'albero verde e germogliare l'albero secco» (v. 24). È nella debolezza, dirà Paolo, che si manifesta l'onnipotenza di colui che guida, tra le vicende del mondo, la sua comunità di universale salvezza (2Cor 12,5-10).

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Allegoria della sposa infedele

Giudizio rigoroso 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, fa’ conoscere a Gerusalemme tutti i suoi abomini. 3Dirai loro: Così dice il Signore Dio a Gerusalemme: Tu sei, per origine e nascita, del paese dei Cananei; tuo padre era un Amorreo e tua madre un’Ittita. 4Alla tua nascita, quando fosti partorita, non ti fu tagliato il cordone ombelicale e non fosti lavata con l’acqua per purificarti; non ti fecero le frizioni di sale né fosti avvolta in fasce. 5Occhio pietoso non si volse verso di te per farti una sola di queste cose e non ebbe compassione nei tuoi confronti, ma come oggetto ripugnante, il giorno della tua nascita, fosti gettata via in piena campagna. 6Passai vicino a te, ti vidi mentre ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi nel tuo sangue 7e cresci come l’erba del campo. Crescesti, ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza. Il tuo petto divenne fiorente ed eri giunta ormai alla pubertà, ma eri nuda e scoperta. 8Passai vicino a te e ti vidi. Ecco: la tua età era l’età dell’amore. Io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità. Ti feci un giuramento e strinsi alleanza con te – oracolo del Signore Dio – e divenisti mia. 9Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio. 10Ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ti ricoprii di stoffa preziosa. 11Ti adornai di gioielli. Ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo; 12misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. 13Così fosti adorna d’oro e d’argento. Le tue vesti erano di bisso, di stoffa preziosa e ricami. Fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo. Divenisti sempre più bella e giungesti fino ad essere regina. 14La tua fama si diffuse fra le genti. La tua bellezza era perfetta. Ti avevo reso uno splendore. Oracolo del Signore Dio. 15Tu però, infatuata per la tua bellezza e approfittando della tua fama, ti sei prostituita, concedendo i tuoi favori a ogni passante. 16Prendesti i tuoi abiti per adornare a vari colori le alture su cui ti prostituivi. 17Con i tuoi splendidi gioielli d’oro e d’argento, che io ti avevo dato, facesti immagini d’uomo, con cui ti sei prostituita. 18Tu, inoltre, le adornasti con le tue vesti ricamate. A quelle immagini offristi il mio olio e i miei profumi. 19Ponesti davanti ad esse come offerta di soave odore il pane che io ti avevo dato, il fior di farina, l’olio e il miele di cui ti nutrivo. Oracolo del Signore Dio. 20Prendesti i figli e le figlie che mi avevi generato e li offristi in cibo. Erano forse poca cosa le tue prostituzioni? 21Immolasti i miei figli e li offristi a loro, facendoli passare per il fuoco. 22Fra tutti i tuoi abomini e le tue prostituzioni non ti ricordasti del tempo della tua giovinezza, quando eri nuda e ti dibattevi nel sangue! 23Dopo tutta la tua perversione – guai, guai a te! Oracolo del Signore Dio – 24ti sei fabbricata un giaciglio e costruita un’altura in ogni piazza. 25A ogni crocicchio ti sei fatta un’altura, disonorando la tua bellezza, offrendo il tuo corpo a ogni passante e moltiplicando le tue prostituzioni. 26Hai concesso i tuoi favori ai figli d’Egitto, tuoi corpulenti vicini, e hai moltiplicato le tue infedeltà per irritarmi. 27A questo punto io ho steso la mano su di te. Ho ridotto il tuo cibo e ti ho abbandonato in potere delle tue nemiche, le figlie dei Filistei, che erano disgustate della tua condotta sfrontata. 28Non ancora sazia, hai concesso i tuoi favori agli Assiri. Non ancora sazia, 29hai moltiplicato le tue infedeltà nel paese dei mercanti, in Caldea, e ancora non ti è bastato. 30Com’è stato abietto il tuo cuore – oracolo del Signore Dio – facendo tutte queste azioni degne di una spudorata sgualdrina! 31Quando ti costruivi un giaciglio a ogni crocevia e ti facevi un’altura in ogni piazza, tu non eri come una prostituta in cerca di guadagno, 32ma come un’adultera che, invece del marito, accoglie gli stranieri! 33A ogni prostituta si dà un compenso, ma tu hai dato il compenso a tutti i tuoi amanti e hai distribuito loro doni perché da ogni parte venissero a te, per le tue prostituzioni. 34Tu hai fatto il contrario delle altre donne, nelle tue prostituzioni: nessuno è corso dietro a te, mentre tu hai distribuito doni e non ne hai ricevuti, tanto eri pervertita. 35Perciò, o prostituta, ascolta la parola del Signore. 36Così dice il Signore Dio: Per le tue ricchezze sperperate, per la tua nudità scoperta nelle tue prostituzioni con i tuoi amanti e con tutti i tuoi idoli abominevoli, per il sangue dei tuoi figli che hai offerto a loro, 37ecco, io radunerò da ogni parte tutti i tuoi amanti con i quali sei stata compiacente, coloro che hai amato insieme con coloro che hai odiato; li radunerò contro di te e ti metterò completamente nuda davanti a loro perché essi ti vedano tutta. 38Ti infliggerò la condanna delle donne che commettono adulterio e spargono sangue, e riverserò su di te furore e gelosia. 39Ti abbandonerò nelle loro mani e distruggeranno i tuoi giacigli, demoliranno le tue alture. Ti spoglieranno delle tue vesti e ti toglieranno i tuoi splendidi ornamenti: ti lasceranno scoperta e nuda. 40Poi ecciteranno contro di te la folla, ti lapideranno e ti trafiggeranno con la spada. 41Incendieranno le tue case e sarà eseguita la sentenza contro di te sotto gli occhi di numerose donne. Ti farò smettere di prostituirti e non distribuirai più doni. 42Quando avrò sfogato il mio sdegno su di te, non sarò più geloso di te, mi calmerò e non mi adirerò più. 43Per il fatto che tu non ti sei ricordata del tempo della tua giovinezza e mi hai provocato all’ira con tutte queste cose, adesso io ti farò pagare per le tue azioni – oracolo del Signore Dio – e non aggiungerai altre scelleratezze a tutti gli altri tuoi abomini.

Ulteriore sentenza 44Ecco, tutti quelli che usano proverbi diranno di te: “Quale la madre, tale la figlia”. 45Tu sei degna figlia di tua madre, che ha abbandonato il marito e i suoi figli: tu sei sorella delle tue sorelle, che hanno abbandonato il marito e i loro figli. Vostra madre era un’Ittita e vostro padre un Amorreo. 46Tua sorella maggiore è Samaria, che con le sue figlie abita alla tua sinistra. Tua sorella più piccola è Sòdoma, che con le sue figlie abita alla tua destra. 47Tu non soltanto hai seguito la loro condotta e agito secondo i loro costumi abominevoli, ma come se ciò fosse stato troppo poco, ti sei comportata peggio di loro in tutta la tua condotta. 48Per la mia vita – oracolo del Signore Dio –, tua sorella Sòdoma e le sue figlie non fecero quanto hai fatto tu insieme alle tue figlie! 49Ecco, questa fu l’iniquità di tua sorella Sòdoma: essa e le sue figlie erano piene di superbia, ingordigia, ozio indolente. Non stesero però la mano contro il povero e l’indigente. 50Insuperbirono e commisero ciò che è abominevole dinanzi a me. Io le eliminai appena me ne accorsi. 51Samaria non ha peccato la metà di quanto hai peccato tu. Tu hai moltiplicato i tuoi abomini più di queste tue sorelle, tanto da farle apparire giuste, in confronto con tutti gli abomini che hai commesso. 52Devi portare anche tu la tua umiliazione, perché hai fatto sembrare giuste le tue sorelle. Esse appaiono più giuste di te, perché i tuoi peccati superano i loro. Anche tu dunque, devi essere svergognata e portare la tua umiliazione, perché hai fatto sembrare giuste le tue sorelle. 53Ma io cambierò le loro sorti: cambierò le sorti di Sòdoma e delle sue figlie, cambierò le sorti di Samaria e delle sue figlie; anche le tue sorti muterò di fronte a loro, 54perché tu possa portare la tua umiliazione e tu senta vergogna di quanto hai fatto: questo le consolerà. 55Tua sorella Sòdoma e le sue figlie torneranno al loro stato di prima. Samaria e le sue figlie torneranno al loro stato di prima. Anche tu e le tue figlie tornerete allo stato di prima. 56Eppure tua sorella Sòdoma non era forse sulla tua bocca al tempo del tuo orgoglio, 57prima che fosse scoperta la tua malvagità, così come ora tu sei disprezzata dalle figlie di Aram e da tutte le figlie dei Filistei che sono intorno a te, le quali ti deridono da ogni parte? 58Tu stai scontando la tua scelleratezza e i tuoi abomini. Oracolo del Signore Dio. 59Poiché così dice il Signore Dio: Io ho ricambiato a te quello che hai fatto tu, perché hai disprezzato il giuramento infrangendo l’alleanza.

Punizione singolare 60Ma io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna. 61Allora ricorderai la tua condotta e ne sarai confusa, quando riceverai le tue sorelle maggiori insieme a quelle più piccole, che io darò a te per figlie, ma non in forza della tua alleanza. 62Io stabilirò la mia alleanza con te e tu saprai che io sono il Signore, 63perché te ne ricordi e ti vergogni e, nella tua confusione, tu non apra più bocca, quando ti avrò perdonato quello che hai fatto». Oracolo del Signore Dio.

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Approfondimenti

Allegoria della sposa infedele 16,1-63 Il lungo c. 16 è chiaramente divisibile in tre sezioni:

  • vv. 1-43: un primo grande giudizio sulla nazione ebraica impersonata in Gerusalemme, con l'accusa (vv. 1-34) e la sentenza di punizione (vv. 35-43);
  • vv. 44-59: un'ulteriore sentenza contro Gerusalemme-regno giudaico, a confronto con Samaria e Sodoma;
  • vv. 60-63: una speciale forma di castigo per Gerusalemme, culminante nella formula del riconoscimento di JHwH.

Gli esegeti non concordano sulla genuinità d'autore e sull'epoca di composizione dei tre brani. Quasi tutti attribuiscono sostanzialmente a Ezechiele la prima sezione. Per il resto, riteniamo molto probabile l'opinione di coloro che estendono l'azione del nostro profeta anche ai vv. 44-63 negli anni successivi alla caduta di Gerusalemme (587): vi è molto dello stile e della costante concezione teologica ezechieliana. Con un “processo” intentato a mezzo del suo portavoce, Dio rivela la grande malvagità del popolo eletto, la necessità di un suo intervento punitivo, ma insieme la sua insondabile misericordia nel ricondurre nella via della salvezza il resto dei figli d'Israele.

Chiamata e missione profetica 16,1-43 L'accusa (vv. 1-34) prende la forma di una parabola allegorica, sotto la figura di una fanciulla. Gerusalemme è la misera figlia di genitori pagani, nata nella terra dei Cananei, i cui antenati erano Amorrei e Ittiti: il clan dei capostipiti ebrei proveniva da Ur dei Caldei (Gn 11,31). La neonata fu trattata fin dalla nascita con noncuranza, priva di quegli ordinari servizi necessari per la sopravvivenza, e abbandonata in aperta campagna (v. 5): furono i gravi disagi della famiglia abramitica in Canaan e poi in Egitto (Gn 12-20; 42; Es 1-2). Stava lì per estinguersi avvolta nel «suo sangue» (v. 6). Non si poteva descrivere meglio la nullità su cui Dio poserà il suo sguardo.

L'allegoria continua. Un passante la vede e ne ha compassione: era il Signore onnipotente, il quale con la sua parola creatrice la salva dalla morte e le infonde vigore (vv. 6s.). Crebbe infatti e si fece grande, e quando il suo salvatore la vede pronta a corrispondere al suo amore, decide di prenderla in sposa: «stese su di lei il lembo del suo mantello» (v. 8): sarà il gesto di Booz per il suo fidanzamento con Rut (Rt 3,9; Dt 23,1). Essa era povera e diseredata in terra straniera («nuda e scoperta», v. 7); JHWH la assume a sua nazione speciale nel patto sinaitico: in quella b'rît («alleanza») per cui lui si impegnava a proteggerla e riportarla nella terra dei padri e lei a venerarlo come suo supremo Signore e benefattore (Ez 20,5s.): «giurai alleanza con te... e divenisti mia» (v. 8b). Di una misera creatura votata alla morte, l'Altissimo ne fa la sua pre-diletta!

9-14. Viene gratificata di preziosissimi doni, tali da renderla degna di sì grande sposo: vestiti in ricamo, calzari di pelle, velo di bisso, braccialetti e collane e orecchini, corona sul capo e poi tanti gioielli e cibi prelibati (v. 10-13). Vi sono rappresentati i numerosi benefici accordati da JHWH a quel manipolo di schiavi, fuggiti per sua grazia dall'Egitto e guidati prodigiosamente fino all'ingresso in Palestina (Esodo; Numeri), dove si costituiranno in un'unica anfizionia (Giudici) e quindi nel magnifico regno davidico-salomonico (2Sam). Il Santo d'Israele richiama con nostalgia il fulgore della sua sposa (cfr. Ger 2,2s.): ammirata dai popoli circonvicini per l'armonia delle sue istituzioni e per la perfezione dei suoi ordinamenti, in essa risplendeva un raggio della sua gloria divina (v. 14).

15-19. Ma come ha risposto la tanto amata fanciulla? Il termine che presso i profeti qualifica il comportamento della nazione ebraica è “prostituzione”, znh, «prostituirsi» (Os 1,2): una prostituzione quasi ossessiva, descritta con immagini realistiche; la consegna di tutta se stessa agli idoli di pietra, lasciando il culto del vero Dio. «Infatuarsi» (v. 15) traduce il verbo bth, «confidare»: qui va inteso nel senso di stimarsi e fidarsi di sé eccessvamente, fino a dimenticarsi di aver ricevuto tutto quello che si ha dal munifico supremo Signore e credersi autonomi da lui, e a potersi dedicare all'esaltazione delle divinità cananee, adorando le loro alture sacre, bamôt, con elargizioni di gioielli, profumi e offerte preziose, in un crescendo di infamia e di ingratitudine. Sono le varie pratiche di idolatria, in uso da generazioni tra i discendenti di Giacobbe (Ez 20,8.28), specialmente nell'epoca del re Manasse (2Re 21) e dopo la morte di Giosia (2Re 23,29-37).

20-34. Ma c'è di più. La fedifraga arriva a sacrificare, facendoli passare attraverso il fuoco (olocausti cruenti: 20, 26), i doni più scelti ottenuti dal Signore, i propri figli: non ricordando più di dovere a lui, fin dalla nascita, la continua preservazione dalla morte. Peggio ancora: prolungando la metafora sponsale, l'adultera si costruisce dei posti di prostituzione, da ogni parte, per procurarsi nuove occasioni di infedeltà; va cioè in cerca di alleanze politiche compromettenti con nazioni pagane, con l'Egitto per premunirsi contro gli Assiri, e poi con l'Assiria per liberarsi dagli Egiziani, e infine con i Caldei: offrendo l'adito al sincretismo religioso e quindi alla venerazione delle loro divinità (vv. 24-29). Si verificherà così qualcosa di strano: quel che non suole avvenire alle ordinarie donne di strada. L'ingrata sposa di JHwH pagherà con eccellenti regali i suoi amanti, mentre è di solito alle prostitute che si offrono compensi! A quale stato di abiezione si è spinta l'insaziabile sete di seduzione di Gerusalemme (vv. 33s.). L'indegnità del peccatore qui raggiunge il colmo: si sacrificano i migliori beni donati generosamente dal creatore, per onorare i suoi nemici!

35-43. L'adeguata condanna. Alla terribile accusa segue, secondo giustizia, un altrettanto energico verdetto. Inizia col laken, «perciò» (v. 35). La città santa dovrà fare attenzione alla sentenza del giudice divino: l'esatta corrispondenza alla legge del taglione deve scuoterla salutarmente. Gerusalemme, abbandonando Dio, si è compiaciuta degli dei stranieri e dei loro adoratori: saranno costoro ad assalirla tutti insieme (v. 37), sia quelli che ha amato di più, sia quelli che ha amato meno (sn', oltre che «odiare» ha anche il senso di «amare di meno»: Gn 29,33; Mt 10,37; cfr. Ez 23,28). Sarà allora privata di tutto il suo splendore, e ricoperta solo di vergogna (v. 37b); giustiziata secondo la condanna degli assassini e delle adultere, cioè con la distruzione degli stessi luoghi serviti ai culti idolatrici e con la lapidazione degli spergiuri (Lv 24,16s.; Dt 22,23s.): ridotta alla primitiva sua miseria e in fin di vita, come la neonata del deserto gemente nel suo sangue (vv. 39-41). Sarà così nella impossibilità di andare in cerca delle vane divinità e ripagherà la gelosia del sovrano suo sposo (cfr. Os 2,9). Dovrà accorgersi di aver lasciato la gioia della «sua giovinezza» (v. 43), la «sorgente di acqua viva» (Ger 2, 13a) per abbeverarsi a «cisterne screpolate» (Ger 2,13b); e finirà di «accumulare altre scelleratezze oltre tutti gli altri suoi abomini» (v. 43), e potrà “calmare l'ira divina” (v. 42). Un castigo già esemplare e di sicura efficacia!

Ulteriore sentenza 16,44-59 Ma non termina lì la pena della rea: le è preparata una più scottante umiliazione. Gerusalemme, tradendo il suo sposo divino, ha seguito un costume di famiglia, quello dei genitori politeisti (di origine ittita e amorrea: v. 3; adoratori del dio semita 'el), e delle sue sorelle, anch'esse adultere, la più grande (Samaria con le città dipendenti, il regno israelitico del Nord) e la più piccola (Sodoma con le città a lei consociate, antica popolazione del sud), che hanno commesso gravi trasgressioni nel riguardi della divinità: superbia e lusso ostrenato e mancanza di pietà per gli oppressi (vv. 48-50). Le loro colpe però non hanno raggiunto la malizia di quelle di Gerusalemme. Quelle di Samaria non ne hanno toccato addirittura neanche la metà (v. 51). Eppure esse sono state duramente punite da più di un secolo, mentre Gerusalemme è divenuta il dileggio di tutte le nazioni circonvicine per la sua enorme scelleratezza ed è tuttora in vita (v. 57). Ha reso quasi «giuste» (v. 52), agli occhi dei pagani, le sue perverse sorelle, le ha, per dir così, «consolate» (v. 54) di fronte alle proprie nefandezze. E come dovrà sprofondare nella vergogna, quando un giorno il Signore misericordioso si degnerà di restaurare nella loro prosperità tutte e tre quelle regioni, ponendo al centro proprio Gerusalemme!

Punizione singolare 16,60-63 Ma vi sarà un eccezionale sovrappiù: JHWH dopo anni si ricorderà del patto speciale accordato alla sposa prediletta «al tempo della sua giovinezza» (v. 60). Non si potrà mai dimenticare di quel suo primo amore (cfr. Os 3;11; Ger 2,2s.) e di quella sua immensa pietà (Ger 31,3; Ez 20,39; 34,23-25; 36,22-26). Finirà con ristabilire con lei una nuova «eterna alleanza», dopo naturalmente averla purificata dalle sue colpe (36,25s.); e le darà come dote e dominio altre nazioni, più piccole e più grandi di lei. Essa allora sarà indotta a ripensare alla malvagità e ingratitudine del tempo passato e a immergersi nella più grande confusione, e nel più sincero dispiacere di ciò che aveva compiuto. Quel gesto sublime di bontà dovrà servire alla massima umiliazione della sua amata nazione e insieme al suo più profondo e stabile ravvedimento (v. 63).

Lo stringente “giudizio profetico” è di enorme forza persuasiva. Anzitutto per gli uditori di Ezechiele del primo periodo. Mostra agli esuli infatuati dell'intangibilità di Sion (24,21) la logicità dell'imminente castigo: a estrema ingratitudine non può corrispondere che una radicale condanna. La nazione israelitica era debitrice di tutto alla pietà dell'Onnipotente: la preservazione dalla morte, l'elevazione a popolo speciale, la sua regalità. Non ne aveva alcun titolo, anzi solo demeriti: le radici pagane, la miseria a cui era ridotta. L'essere stata guardata e adottata con tanta cura era segno di un immenso amore. L'averlo poi tradito per concedersi a false divinità era il sommo degli oltraggi che si potevano commettere. I compagni del nostro profeta avrebbero avuto di che riflettere per convincersi della perfetta giustizia dei decreti di guai sulla loro patria. Inoltre, quando il veggente del Chebar, dopo il crollo del 587, spingerà le sue considerazioni sul modo come JHWH ha trattato le due nazioni sorelle a nord e a sud di Sion, aggiungerà nuovi motivi di vergogna per Gerusalemme-Giuda: il Signore supremo aveva protratto la sua misericordia al di là di ogni limite verso la sua nazione, mentre già da secoli aveva colpito Samaria e Sodoma meno “ingiuste” di lei. Ma il processo raggiungerà il paradosso con l'annunzio di una più incredibile generosità: la restaurazione della nazione-sposa, a cui saranno offerte in dono altre tribù della Palestina, non in forza di antiche benemerenze, ma solo per pura bontà. L'umiliazione della infedele sarà incommensurabile ed essa non avrà più l'ardire di sottrarsi al rispetto e all'esaltazione dell'unico vero suo bene (v. 62). Ci si ricollega con il prodigioso inimmaginabile recupero dell'adultera di Os 3, e del figlio sempre ribelle e ingrato, ricondotto in casa, di Os 11,8-11.

È un processo grandemente significativo per noi. Rappresenta il luminoso itinerario che persegue la parola divina per l'autentica conversione dei cuori. Nella bontà misericordiosa del Padre lo stesso Gesù faceva prender coscienza delle colpe personali suscitando la sincera metanoia e conducendo i discepoli a un'incondizionata dedizione per la sua persona.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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