📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA: Regole; a Diogneto ● PROFETI ● Concilio Vaticano II ● NUOVO TESTAMENTO

L'Azione simbolica di Isaia 1Nell’anno in cui il tartan, mandato ad Asdod da Sargon re d’Assiria, giunse ad Asdod, la assalì e la prese. 2In quel tempo il Signore disse per mezzo di Isaia, figlio di Amoz: «Va’, lèvati il sacco dai fianchi e togliti i sandali dai piedi!». Così egli fece, andando nudo e scalzo. 3Il Signore poi disse: «Come il mio servo Isaia è andato nudo e scalzo per tre anni, come segno e presagio per l’Egitto e per l’Etiopia, 4così il re d’Assiria condurrà i prigionieri d’Egitto e i deportati dell’Etiopia, giovani e vecchi, nudi e scalzi e con le natiche scoperte, vergogna per l’Egitto. 5Allora saranno abbattuti e confusi a causa dell’Etiopia, loro speranza, e a causa dell’Egitto, di cui si vantavano. 6In quel giorno gli abitanti di questo lido diranno: “Ecco che cosa è avvenuto della speranza nella quale ci eravamo rifugiati per trovare aiuto ed essere liberati dal re d’Assiria! Ora come ci salveremo?”».

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Approfondimenti

L'Azione simbolica di Isaia 20,1-6 La narrazione si riferisce a quel periodo movimentato che coinvolse gli stati vassalli dell'Assiria quando nel 715 il re etiope Shabako, sottomettendo l'Egitto e dando inizio alla XXV dinastia, apparve come l'unica forza che avrebbe potuto contrapporsi all'impero assiro. La città filistea di Asdod si fece promotrice dei diffusi fermenti di inquietudine e nel 713 diede inizio alla rivolta. Questa fu definitivamente domata ad opera del tartan (ufficiale militare) di Sargon II nel 711.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Giudizio contro l'Egitto 1Oracolo sull’Egitto. Ecco, il Signore cavalca una nube leggera ed entra in Egitto. Crollano gli idoli dell’Egitto davanti a lui e agli Egiziani viene meno il cuore nel petto. 2«Aizzerò gli Egiziani contro gli Egiziani: combatterà ognuno contro il proprio fratello, ognuno contro il proprio prossimo, città contro città e regno contro regno. 3Lo spirito che anima l’Egitto sarà stravolto e io distruggerò il suo progetto; per questo ricorreranno agli idoli e ai maghi, ai negromanti e agli indovini. 4Ma io consegnerò gli Egiziani in mano a un duro padrone, un re crudele li dominerà». Oracolo del Signore, il Signore degli eserciti. 5Si prosciugheranno le acque del mare, il fiume si inaridirà e seccherà. 6I suoi canali diventeranno putridi, diminuiranno e seccheranno i torrenti dell’Egitto, canne e giunchi sfioriranno. 7I giunchi sulle rive e alla foce del Nilo e tutte le piante del Nilo seccheranno, saranno dispersi dal vento, non saranno più. 8I pescatori si lamenteranno, gemeranno quanti gettano l’amo nel Nilo, quanti stendono le reti sull’acqua saranno desolati. 9Saranno delusi i lavoratori del lino, le cardatrici e i tessitori impallidiranno; 10i tessitori saranno avviliti, tutti i salariati saranno costernati. 11Quanto sono stolti i prìncipi di Tanis! I più saggi consiglieri del faraone formano un consiglio insensato. Come osate dire al faraone: «Sono figlio di saggi, figlio di re antichi»? 12Dove sono, dunque, i tuoi saggi? Ti rivelino e manifestino quanto ha deciso il Signore degli eserciti a proposito dell’Egitto. 13Stolti sono i prìncipi di Tanis; si ingannano i prìncipi di Menfi. Hanno fatto traviare l’Egitto i capi delle sue tribù. 14Il Signore ha mandato in mezzo a loro uno spirito di smarrimento; essi fanno smarrire l’Egitto in ogni impresa, come barcolla un ubriaco nel vomito. 15Non gioverà all’Egitto qualunque opera faccia il capo o la coda, la palma o il giunco.

La conversione dell'Egitto 16In quel giorno gli Egiziani diventeranno come femmine, tremeranno e temeranno al vedere la mano che il Signore degli eserciti agiterà contro di loro. 17La terra di Giuda sarà il terrore degli Egiziani; quando se ne parlerà, ne avranno spavento, a causa della decisione che il Signore degli eserciti ha preso contro di loro. 18In quel giorno ci saranno cinque città nell’Egitto che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti; una di esse si chiamerà Città del Sole. 19In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo alla terra d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: 20sarà un segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nella terra d’Egitto. Quando, di fronte agli avversari, invocheranno il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che li difenderà e li libererà. 21Il Signore si farà conoscere agli Egiziani e gli Egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno. 22Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani, ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà. 23In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri. 24In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. 25Li benedirà il Signore degli eserciti dicendo: «Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità».

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Approfondimenti

Giudizio contro l'Egitto 19,1-15 I cc. 19-20 trattano dell'Egitto. Mentre 20, 1-6, come è generalmente riconosciuto, contiene un detto autentico del profeta Isaia, il c. 19 è costituito da una unità “redazionale” nella quale sono raggruppati detti diversi. La prima divisione è costituita dal poema dei vv. 1-15 e dai cinque supplementi riuniti nei vv. 16-25. A un esame attento anche il poema, che annuncia il giudizio, è ben lungi dall'essere unitario.

I vv. 1-4, caratterizzati da una formula introduttiva («Ecco») e da una conclusione («Oracolo del Signore degli eserciti»), suppongono una grave crisi politica che fa precipitare l'Egitto nell'anarchia e lo porta a cadere nelle mani di un «duro padrone» (v. 4). La pericope sembra risalire al tardo esilio o agli inizi del periodo postesilico. Il sovrano in questione è probabilmente da identificare con Nabucodonosor che conquistò l'Egitto (cfr. Ger 43,8-13; Ez. 29,17.20; 30,10-11a.20-26).

I vv. 5-10, invece, interrompono il discorso della crisi politica per descrivere una catastrofe naturale connessa con il prosciugamento del Nilo. Essi rappresentano un'aggiunta posteriore.

I vv. 11-14 (il v. 15 è secondario) mostrano una maggiore connessione con i vv. 1-4, in quanto riprendono e sviluppano il motivo della stoltezza del v. 3. Tuttavia la loro riflessione, improntata alle categorie e ai valori della sapienza, orienta a considerare questi versetti come un'unità originariamente autonoma, sorta dopo l'esilio in un ambiente sapienziale dove, al tempo stesso, era ancora forte la tradizione deuteronomistica.

Letto nella sua forma redazionale definitiva il poema dei vv. 1-15 sviluppa, con un efficace crescendo, l'annuncio del giudizio contro l'Egitto. La prima strofa (vv. 1-4) delinea il crollo dell'ordine religioso e statale del paese; la seconda (v. 5-10) preannuncia il venir meno del Nilo alla sua funzione di fonte vitale del benessere economico; infine la terza strofa (vv. 11-15), con la descrizione dei capi e dei consiglieri in preda a «uno spirito di smarrimento», chiude il triste quadro di una crisi nella quale, con il naufragio della saggezza dei capi, viene anche a mancare l'ultima risorsa della speranza.

1. «il Signore cavalca una nube»: l'espressione, che affonda le sue radici nelle tradizioni religiose del mondo cananeo, indica la teofania del Signore che viene per giudicare (come accentua il nostro testo) e per portare la salvezza (cfr. Sal 68,5.34; 104,3; Dt 33,26). Il vacillare degli idoli e la paura degli Egiziani, descritta con un'espressione che richiama il motivo della guerra sacra (cfr. Dt 20,6; 2Sam 17,10), pongono la parola che segue nella luce della potenza invincibile del Signore.

5-10. La strofa centrale descrive l'intensificarsi dell'angustia a causa di un'improvvisa siccità dovuta al prosciugarsi delle acque del Nilo e di tutti i suoi canali, indispensabili per un irrigazione estesa e capillare (vv. 5-6). Gli effetti della siccità colpiscono la vegetazione e l'agricoltura (v. 7), la pesca (v. 8), l'attività tessile (v. 9) fino a minare la sicurezza del lavoro e dell'economia (v. 10). Un testo egizio del 2000 a. C., noto come la Profezia di Nefer-Ro-bu, contiene una descrizione della siccità del Nilo e delle sue conseguenze economiche, dove si incontrano molte affermazioni affini a quelle del nostro testo (ANET 444-446). L'autore biblico ha potuto ispirarsi a descrizioni simili a questa per favorire nei suoi uditori e lettori una riflessione sulla serietà del giudizio divino e, quindi, sulla responsabilità che hanno i popoli davanti al Signore della storia.

11-15. L'Egitto, un tempo famoso per la sua sapienza (cfr. Is 30,4; Sal 78,12.43; Ez 30,14), diventa preda dell'insipienza e della stoltezza. La vera sapienza consiste nel conoscere il disegno del Signore (v. 12; cfr. Gb 28,28). Perciò i capi delle grandi città (come Tanis e la stessa capitale Menfi), che sono incapaci di discernere con intelligenza il disegno divino, portano il popolo alla sua totale perdizione (v. 13). In questa realtà, come afferma il v. 14, si manifesta il giudizio: il Signore stesso ha infuso in essi non lo spirito della sapienza e del consiglio, ma uno spirito di smarrimento (cfr. 1Re 22,20ss.; 2Re 19,7; Gb 12,24) che li rende fonte di rovina per il popolo.

La conversione dell'Egitto 19,16-25 La presente sezione in prosa, con cui si intende reinterpretare l'annuncio del giudizio contro l'Egitto dei v. 1-15, riunisce cinque aggiunte, tra loro distinte mediante la locuzione «In quel giorno» (vv. 16.18.19.23.24). L'elemento che le accomuna è il fatto che esse sono tutte un annuncio di salvezza: la prima per Giuda e le altre per l'Egitto, l'Assiria e, quindi, per tutti i popoli. L'universalismo di questi detti conferisce loro un valore e un fascino particolari. Quanto al tempo di composizione, tutto orienta a ritenere che risalgono all'inizio dell'epoca alessandrina (l'«Egitto», in questa ipotesi, connota il regno dei Lagidi, mentre l'«Assiria» indica il regno dei Seleucidi che aveva la Siria come proprio centro).

16-17. La prima aggiunta (vv. 16-17) riprende il tema del consiglio del Signore del v. 12 e lo reinterpreta. Non è da escludere che questo detto supponga qualche fatto militare avvenuto nel territorio di Giuda tra l'esercito dei Lagidi e quello dei Seleucidi. Ad ogni modo il detto trascende l'occasione storica per concentrare l'attenzione sul piano del Signore.

18. Il versetto suppone la presenza della diaspora in Egitto (le «cinque città» purtroppo non sono identificabili, perché non siamo sicuri se l'autore intendeva riferirsi a Ger 44,1.15). In Egitto i Giudei hanno introdotto la «lingua di Canaan» (l'espressione connota significativamente la lingua “giudaica”, nella quale avviene la redazione della Scrittura) e la fede in JHWH (espressa con la formula «giurare per il Signore degli eserciti», cfr. Dt 10, 20). L'autore contempla questa presenza come un seme cui è riservato un importante avvenire. L'insediamento della diaspora nell'importante «Città del sole» (Heliopolis) ne è un segno eloquente.

19-22. L'orizzonte del terzo detto si innalza a un livello ancora più esplicitamente soteriologico ed universale. L'Egitto possiede al suo centro un altare in onore di JHWH e al suo confine si erge una stele come segno che tutto il paese è sotto la protezione del Signore (il detto suppone un contesto nel quale non tutte le prescrizioni deuteronomiche erano vincolanti). La stessa storia dell'Egitto è ora illuminata dalla luce teologica che Israele ha maturato nella comprensione della propria storia: quando il Signore «percuoterà» gli Egiziani, essi si convertiranno a lui ed egli realizzerà l'espiazione delle loro colpe e li guarirà (v. 22).

23-25 Gli ultimi due detti sviluppano, in un inarrestabile crescendo, la visione salvifica dischiusa dai vv. 19-22. Le due grandi potenze antagoniste della storia umana, l'Egitto e l'Assiria, si trovano ora sulla strada della comunicazione pacifica che conduce un popolo nel territorio dell'altro. Il culmine di questa visione è costituito dai vv. 24-25 che delineano, nella fede, un mondo raggiunto dalla benedizione divina. In esso l'Egiziano e l'Assiro – e quindi tutti i popoli – sono chiamati con i titoli propri di Israele. In questo orizzonte di speranza, che si situa nella linea di Is 2,2-4; Sof 2,11; 3,9b-10; Ger 12,14-17, risalta la funzione di Israele nella storia: egli è l'«eredità» del Signore (v. 24; cfr. Dt 4,20; Sal 28,9; 94,5), eletto da JHWH per testimoniare il futuro dell'umanità nuova.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Contro l'Etiopia 1Ah! Terra dagli insetti ronzanti, che ti trovi oltre i fiumi dell’Etiopia, 2che mandi ambasciatori per mare, in barche di papiro sulle acque: «Andate, messaggeri veloci, verso un popolo alto e abbronzato, verso un popolo temuto ora e sempre, un popolo potente e vittorioso, la cui terra è solcata da fiumi». 3O voi tutti abitanti del mondo, che dimorate sulla terra, appena si alzerà un segnale sui monti, guardatelo! Appena squillerà la tromba, ascoltatela! 4Poiché questo mi ha detto il Signore: «Io osserverò tranquillo dalla mia dimora, come il calore sereno alla luce del sole, come una nube di rugiada al calore della mietitura». 5Poiché prima della raccolta, quando la fioritura è finita e il fiore è diventato un grappolo maturo, egli taglierà i tralci con roncole, strapperà e getterà via i pampini. 6Saranno abbandonati tutti insieme agli avvoltoi dei monti e alle bestie della terra; su di essi gli avvoltoi passeranno l’estate, su di essi tutte le bestie della terra passeranno l’inverno. 7In quel tempo saranno portate offerte al Signore degli eserciti da un popolo alto e abbronzato, da un popolo temuto ora e sempre, da un popolo potente e vittorioso, la cui terra è solcata da fiumi; saranno portate nel luogo dove è invocato il nome del Signore degli eserciti, sul monte Sion.

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Approfondimenti

Contro l'Etiopia 18, 1-7 Con 18,1 inizia una nuova pericope (cfr. l'interiezione iniziale) che si conclude nel v. 6, dato che il v. 7, in prosa, si presenta chiaramente come un'aggiunta secondaria La, pericope manca di un titolo proprio, comunque contiene un detto, ritenuto sostanzialmente autentico, contro il popolo di Kush. Questo termine indica un esteso territorio a sud dell'Egitto che corrisponde all'attuale Etiopia settentrionale, al Sudan e alla Somalia. Legato politicamente all'Egitto, il paese di Kush nel sec. VIII offrì una propria dinastia (la XV) di faraoni. Il detto di Isaia suppone una sua presa di posizione quando a Gerusalemme giunsero degli ambasciatori provenienti da Kush, per indurre il re Ezechia a un'alleanza antiassira con l'Egitto. Alcuni mettono in rapporto questa ambasciata con gli anni 705-701, quando alla morte di Sargon l'Egitto si mise a capo di una grande lega contro l'Assiria; altri, invece, ritengono, con maggiore probabilità, che questa ambasciata si verificò poco prima della rivolta di Asdod del 713-711.

Il testo originario è costituito da un detto «Guai (Ah)», (vv. 1-2, eccetto la frase «il cui paese è solcato da fiumi», che è una glossa armonizzatrice), ampliato da una minaccia (vv. 4-6a). Oltre il v. 7, anche il v. 3 e il v. 6b sono delle aggiunte che reinterpretano il testo attualizzandolo.

2. «popolo alto e abbronzato»: si avverte qui un'eco dell'impressione che la venuta degli ambasciatori etiopi produsse in Gerusalemme, impressione che concorda con altre testimonianze dell'antichità. Al riguardo è nota la frase di Erodoto (I,20.114) che presenta gli Etiopi come «i più alti, i più belli e i più longevi degli uomini».

3. Qui il messaggio dei vv. 4-6 e la loro reinterpretazione nel v. 7 sono estesi a tutti i popoli della terra. L'invito ad attendere il segnale sul monte e il suono della tromba sottolineano che il dramma dell'Egitto e dell'Assiria assume la dimensione di una catastrofe universale che coinvolge il mondo avverso al disegno divino.

4-6. Di fronte al frenetico agitarsi dei regni e degli uomini il Signore è presentato come il “sovrano della storia”, colui che nella pace della sua dimora si rivolge al mondo per realizzarvi il suo disegno di salvezza (v. 4a; cfr. Sal 33,13-14). Alludendo al regno di Kush con l'immagine della vigna il profeta annuncia che possono maturare i fiori e questi trasformarsi in grappoli, però JHWH non permetterà che l'uomo raccolga i frutti dei propri progetti, quando sono antitetici al suo disegno. Prima della raccolta le potenze avverse al piano divino saranno stroncate come si tagliano i tralci e si gettano via i pampini. Il fallimento dei progetti “umani” è ulteriormente sottolineato con la lugubre rappresentazione dei caduti in guerra, sui quali piombano gli «avvoltoi» e le «bestie selvatiche» (v. 6a).

7. L'aggiunta del v. 7, che si richiama alla descrizione del v. 2, è una rilettura postesilica del nostro testo fatta alla luce della riforma di Giosia, ormai compresa secondo le prospettive universalistiche di Is 60,1-13, di Ag 2,7-9 e di Sof 3,9-10. Anche un popolo lontano, come gli abitanti di Kush, verrà con offerte sul monte Sion, «nel luogo del (dove è invocato il) Nome del Signore degli eserciti». La locuzione, che ricorre unicamente qui, unisce insieme i termini «luogo» e «Nome», che rappresentano due elementi essenziali nella teologia deuteronomistica. Come il giudizio di Israele sfocia nella sua salvezza, così anche il giudizio dei popoli culmina nel loro pellegrinaggio al monte dove avviene l'incontro con il Salvatore (cfr. Is 19,21-25; 56,3-6; 66,18-19.21).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Crollo di Damasco e fine di Israele 1Oracolo su Damasco. Ecco, Damasco cesserà di essere una città, diverrà un cumulo di rovine. 2Le città di Aroèr saranno abbandonate; saranno pascolo delle greggi, che vi riposeranno senza esserne scacciate. 3A Èfraim sarà tolta la cittadella, a Damasco la sovranità. Al resto degli Aramei toccherà la stessa sorte della gloria degli Israeliti. Oracolo del Signore degli eserciti. 4In quel giorno verrà ridotta la gloria di Giacobbe e la pinguedine delle sue membra dimagrirà. 5Avverrà come quando il mietitore prende una manciata di steli, e con l’altro braccio falcia le spighe, come quando si raccolgono le spighe nella valle dei Refaìm. 6Vi resteranno solo racimoli, come alla bacchiatura degli ulivi: due o tre bacche sulla cima dell’albero, quattro o cinque sui rami da frutto. Oracolo del Signore, Dio d’Israele. 7In quel giorno si volgerà l’uomo al suo creatore e i suoi occhi guarderanno al Santo d’Israele. 8Non si volgerà agli altari, lavoro delle sue mani; non guarderà ciò che fecero le sue dita, i pali sacri e gli altari per l’incenso. 9In quel giorno avverrà alle tue fortezze come alle città abbandonate, che l’Eveo e l’Amorreo evacuarono di fronte agli Israeliti e sarà una desolazione. 10Perché hai dimenticato Dio, tuo salvatore, e non ti sei ricordato della Roccia, tua fortezza, tu pianti giardini ameni e innesti tralci stranieri. 11Nel giorno in cui li pianti, li vedi crescere e al mattino vedi fiorire i tuoi semi, ma svanirà il raccolto nel giorno della sventura e del dolore insanabile.

L'assalto dei popoli 12Ah, il tumulto di popoli immensi, tumultuanti come il tumulto dei mari, fragore di nazioni come lo scroscio di acque che scorrono veementi! 13Le nazioni fanno fragore come il fragore di molte acque, ma egli le minaccia, esse fuggono lontano; come pula sono disperse sui monti dal vento e come vortice di polvere dinanzi al turbine. 14Alla sera, ecco, era tutto uno spavento, prima del mattino, già non è più. Questo è il destino di chi ci depredava e la sorte di chi ci saccheggiava.

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Approfondimenti

Crollo di Damasco e fine di Israele 17,1-11 Il titolo riguarda solo i vv. 1-3. I versetti che seguono trattano della fine dell'Israele del Nord (vv. 5-6), della conversione al Signore (vv. 7-8) e, ancora, della caduta di Israele (v. 9) per aver dimenticato JHWH e perseverato nelle pratiche idolatriche (vv. 10-11). I vari temi, che appartengono a detti di epoche diverse, sono disposti redazionalmente in modo da formare un'unità in senso lato. Ciò appare anzitutto dal v. 3, dove si annuncia che al «resto degli Aramei» toccherà la stessa sorte degli Israeliti. In questo modo l'annuncio della caduta di Israele assume la funzione di indicare il castigo riservato a Damasco. Inoltre è chiara l'intenzione del redattore di presentare i vv. 4-11 come un'unità. Infatti l'annuncio del castigo di Israele dei vv. 4-6 forma un'inclusione essendo ripreso nei vv. 9-11 con l'esplicitazione della causa che lo ha provocato. In tal modo l'annuncio della conversione (vv. 7-8) riceve il massimo rilievo in quanto occupa la posizione centrale. Questo dato mette in luce che, a livello della redazione finale, la fine politica del regno di Israele non era intesa come scomparsa del popolo del Signore, ma come premessa di un mondo nuovo che avrebbe avuto nella conversione il suo inizio e le sue possibilità.

1-3. Contengono un annuncio del giudizio contro Damasco, che risale al periodo della guerra siro-etraimitica, forse poco prima del 732, quando la città fu sconfitta da Tiglat-Pilezer III. Il detto, sostanzialmente autentico, associa il castigo di Damasco a quello di Israele: Efraim perde la sua fortezza e Damasco la sua sovranità. Con l'aggiunta del v. 2 si intese sottolineare che la minaccia del castigo si era adempiuta. Al riguardo è molto eloquente l'immagine dei greggi che si accovacciano «senza esserne scacciati», immagine che, dipendendo da Sof 3,13 e Gb 11,19, tradisce il carattere recente dell'aggiunta.

4-6. Uniti al detto precedente mediante la frase redazionale «In quel giorno», questi versetti contengono un annuncio di giudizio rivolto contro Israele, la cui potenza e autonomia saranno drasticamente ridotte (qui Giacobbe non connota Israele come popolo del Signore, ma denota il regno del Nord come in Os 10,11; Am 6,8; 7,2.5; Mic 1,5).

7-11. Questi versetti sono costituiti da tre aggiunte interpretative. La più antica di queste è rappresentata dai vv. 9-10a che, in sintonia con i vv. 4-5, continua nell'annuncio del giudizio Il v. 9, il cui testo ebraico è poco comprensibile, sembra annunciare alle città di Israele la stessa sorte toccata un tempo alle città cananee. Si avrebbe quindi un movimento antitetico a quello dell'ingresso nella terra. Allora il Signore “scacciava” i popoli perché Israele potesse entrare nella terra promessa, ora Israele viene allontanato dalle sue città che rimangono abbandonate e nella desolazione (cfr. Is 6,11). L'autore vede la causa del giudizio nel fatto che il popolo ha abbandonato il Signore, unica «Roccia» di difesa, unico «salvatore». Il linguaggio e la concezione deuteronomistica, qui supposte, orientano a situare i nostri versetti nel periodo postesilico. Questo quadro fu successivamente integrato mediante l'inserzione dei vv. 7-8. L'aggiunta riflette una tendenza del postesilio di considerare le minacce del giudizio adempiuete con l'esilio e di porre il futuro di Israele nella prospettiva della salvezza.

I vv. 10b-11 rappresentano l'ultima aggiunta del presente brano. Formalmente i versetti continuano la descrizione della colpa di Israele già indicata sinteticamente nel v. 10a. In realtà l'espressione «piante amene» si riferisce ai culti licenziosi in onore del dio della vegetazione Tammuz (cfr. Ez 8,14), le cui pratiche nel periodo ellenistico furono associate al culto di Adone. I versetti testimoniano quindi una rilettura recente nella quale traspare lo stesso anelito dei testi più antichi quando orientano il popolo del Signore a una vita di fedeltà totale ed esclusiva al suo Dio.

L'assalto dei popoli 17,12-14 La pericope, chiaramente delimitata dal «Guai (Ah)», che la separa da quanto precede, e dall'epifonema del v. 14b, che ne segna la riflessione conclussiva, appartiene probabilmente alla redazione giosiana. Il testo suppone una rilettura teologica degli avvenimenti del 701, quando Gerusalemme fu scampata dalla distruzione minacciata da Sennacherib. Questa liberazione fu in seguito compresa con la categoria della presenza del Signore nel suo tempio. Una simile reinterpretazione avviene soprattutto nell'opera deuteronomistica. Essa vide, nella liberazione di Gerusalemme (cfr. 2Re 19,35), il segno che confermava la verità della sua tesi fondamentale secondo cui la presenza del Signore in mezzo al suo popolo è garanzia permanente di vittoria (cfr. Dt 20,1-4).

Il pericolo è richiamato in tutta la sua gravità (vv. 12-13a) nell'immagine del «rumore dei popoli» simile al fragore delle acque impetuose (il ripetersi in ebraico di parole che finiscono in -îm, -ôm, -ûm, produce un effetto onomatopeico di particolare efficacia). L'immagine, che l'autore prende da Is 8,7, rievoca nell'uditore e nel lettore la forza inarrestabile dell'esercito assiro, costituito appunto da soldati di diverse nazionalità. Proprio questa forza inarrestabile è resa inoffensiva dal Signore. Il modo con cui l'autore descrive l'intervento di JHWH richiama da vicino l'evento dell'esodo, come è narrato in Es 14,24-25. In quest'ottica il messaggio del testo si presenta con una particolare ricchezza: il Signore opera costantemente la liberazione del suo popolo e perpetua, nel tempo, la notte luminosa della Pasqua (cui forse allude il v. 14a). La condizione richiesta è che il popolo dell'alleanza non si rivolga agli idoli, ma si appoggi con fede al suo Dio, al Santo di Israele.

La solenne dichiarazione del v. 14b, che richiama i testi recenti di Gb 27,13 e 31,2-3, testimonia la rilettura del testo in una prospettiva escatologica. L'annuncio del Signore, che viene a liberare dal «fragore di molte acque», si realizza sempre: in ogni generazione e in tutte le prove che il popolo di JHWH sperimenta lungo la sua storia.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Mandate l’agnello al signore della regione, da Sela del deserto al monte della figlia di Sion. 2Come un uccello fuggitivo, come una nidiata dispersa saranno le figlie di Moab ai guadi dell’Arnon. 3Dacci un consiglio, prendi una decisione! Rendi come la notte la tua ombra in pieno mezzogiorno; nascondi i dispersi, non tradire i fuggiaschi. 4Siano tuoi ospiti i dispersi di Moab; sii loro rifugio di fronte al devastatore. Quando sarà estinto il tiranno e finita la devastazione, scomparso il distruttore della regione, 5allora sarà stabilito un trono sulla mansuetudine, vi siederà con tutta fedeltà, nella tenda di Davide, un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia. 6Abbiamo udito l’orgoglio di Moab, il grande orgoglioso, la sua alterigia, il suo orgoglio, la sua tracotanza, l’inconsistenza delle sue chiacchiere. 7Per questo i Moabiti innalzano un lamento per Moab, si lamentano tutti; per le focacce di uva di Kir-Carèset gemono tutti costernati. 8Sono squallidi i campi di Chesbon, come pure la vigna di Sibma. Signori di popoli ne hanno spezzato i tralci che raggiungevano Iazer, penetravano fin nel deserto; i loro rami si estendevano liberamente, arrivavano al mare. 9Per questo io piangerò con il pianto di Iazer sulla vigna di Sibma. Ti inonderò con le mie lacrime, o Chesbon, o Elalè, perché sui tuoi frutti e sulla tua vendemmia è piombato un grido. 10Sono scomparse gioia e allegria dai frutteti; nelle vigne non si levano più lieti clamori né si grida più allegramente. Il vino nei tini non lo pigia il pigiatore, il grido di gioia è finito. 11Perciò le mie viscere fremono per Moab come una cetra, il mio intimo freme per Kir-Carèset. 12Si vedrà Moab affaticarsi sulle alture e venire nel suo santuario per pregare, ma senza successo. 13Questo è il messaggio che pronunciò un tempo il Signore su Moab. 14Ma ora il Signore dice: «In tre anni, come gli anni di un salariato, sarà svilita la gloria di Moab con tutta la sua numerosa popolazione. Ne rimarrà solo un resto, piccolo e insignificante».

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Approfondimenti

16,1-5. L'invito che il poeta rivolge a Moab si ispira a 2Re 3,4 dove si narra che Moab inviava al re di Israele centomila agnelli e la lana di centomila arieti come segno della sua condizione di re vassallo. In questa luce la miglior traduzione del v. 1 sembra essere: «Mandate gli agnelli del signore del paese dalla Rupe (o forse: da Petra che è nel deserto al monte della figlia di Sion». Si tratta dell'invito rivolto ai Moabiti perché riconoscano la “sovranità” del tempio di Gerusalemme. In altri termini il nostro testo riprende la promessa di Is 2,2-4 per indicarne una forma di concretizzazione storica in riferimento a un popolo preciso. Nella configurazione attuale del testo canonico, l'interpolazione del v. 2 mediante l'immagine suggestiva delle donne in fuga come uccelli spaventati e una «nidiata» che si disperde, sottolinea l'urgenza per il popolo di Moab di conoscere la parola che viene da Gerusalemme. L'invito dell'autore si rivolge esplicitamente a Sion perché estenda, secondo il diritto sacrale, la condizione di “ospiti protetti” ai dispersi di Moab (v. 4a). La protezione di Sion sarà efficace tanto che la descrizione orienta lo sguardo al tempo in cui scomparirà l'oppressione dei tiranni e si stabilirà la signoria del «sovrano-che-realizza-la-giustizia (un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia)» (vv. 4b-5). Il nostro autore, richiamandosi a Is 9,6; 11,3-5, ma anche ai grandi testi della “teologia regale” di Sion (cfr. 2Sam 7,16; Sal 72, 4-5; 89,3.15.25), delinea con accenti escatologico-messianici il sovrano futuro con il quale il trono di Davide «sarà reso stabile».

7. «focacce di uva di Kir-Careset». Da Os 3,1, dove l'affermazione che gli Israeliti «amano le schiacciate d'uva» è parallela alla dichiarazione che essi «si volgono a dei stranieri», possiamo arguire che l'autore del nostro testo pensa ad alcune usanze cultuali di natura idolatrica diffuse soprattutto a Kir-Careset (da molti identificato con Kir-Moab, el Kerak).

12-14. Il v. 12 ha il tono di un detto di giudizio; è un'aggiunta con cui si sottolinea che la stessa moltiplicazione delle pratiche cultuali e delle preghiere nel santuario non avrà effetto. L'ultima aggiunta è rappresentata dai vv. 13-14 con i quali si intese anzitutto dichiarare esplicitamente che l'annuncio della sventura dei cc. 15-16 è parola del Signore (nel nostro testo prevale quindi l'ottica delle aggiunte che sviluppavano il tema del giudizio). Inoltre l'autore, secondo un interesse proprio dei circoli apocalittici, si preoccupa di conoscere con maggiore precisione il piano di Dio nella storia. Compare cosi l'indicazione di tre anni come termine entro i quali la «gloria di Moab» diventerà «spregevole (sarà deprezzata)» e quindi, paradossalmente, si trasformerà nel suo opposto. Questi anni sono qualificati «come anni di un salariato», anni di fatica e di stenti, di sofferenza e di angustia, al punto che il resto che riuscirà a sopravvivere sarà «piccolo», privo di forza e, quindi, insignificante.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Sentenze su Moab 1Oracolo su Moab. Sì, è stata devastata di notte, Ar-Moab è stata distrutta; è stata devastata di notte, Kir-Moab è stata distrutta. 2È salita la gente di Dibon sulle alture, per piangere; sul Nebo e su Màdaba Moab innalza un lamento; ogni testa è rasata, ogni barba è tagliata. 3Nelle sue strade si indossa il sacco, sulle sue terrazze e nelle sue piazze ognuno fa il lamento e si scioglie in lacrime. 4Emettono urla Chesbon ed Elalè, la loro eco giunge fino a Iaas. Per questo gli armati di Moab alzano lamenti, e il loro animo freme. 5Il mio cuore geme per Moab; i suoi fuggiaschi giungono fino a Soar. Piangendo, salgono la salita di Luchìt. Sulla via di Coronàim mandano grida strazianti. 6Le acque di Nimrìm sono un deserto, l’erba si è seccata, finita è la pastura; non c’è più nulla di verde. 7Per questo fanno provviste, trasportano le loro riserve al di là del torrente dei Salici. 8Risuonano grida per tutto il territorio di Moab; il suo urlo giunge fino a Eglàim, fino a Beer-Elìm il suo urlo. 9Le acque di Dimon sono piene di sangue, eppure colpirò Dimon con altri mali: un leone per i fuggiaschi di Moab e per il resto della regione.

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Approfondimenti

Sentenze su Moab 15,1-16,14 I cc. 15-16 sono una raccolta di testi relativi a Moab. Se si prescinde da 16,13-14, un detto di minaccia che annuncia la fine imminente della «gloria di Moab», e che è riconosciuto comunemente come un'aggiunta recente, i due capitoli risultano costituiti da tre parti disposte in forma concentrica (lamento, richiesta-promessa, lamento).

Nella pericope di 15,1-8 si ha un lamento su Moab (il v. 9, che contiene una minaccia di giudizio contro Dimon, è un'aggiunta).

La parte centrale (16,1.3-5) tratta della richiesta di aiuto che i Moabiti rivolgono a Gerusalemme, e riferisce il messaggio della risposta (il v. 2, interpolato, è un detto di minaccia contro «le figlie di Moab»).

Infine il brano di 16,6-11 è un lamento per la distruzione dei vigneti di Moab (il v. 12 è un'aggiunta che contiene un'ulteriore minaccia contro Moab, alla quale si agganciarono successivamente i vv. 13-14).

Sorprendono, inoltre, le numerose corrispondenze della prima e terza parte di Is 15-16 con Ger 48. La datazione di questi detti, e della loro attuale composizione redazionale, risulta anzitutto difficile per la scarsa conoscenza storica del popolo dei Moabiti. L'importante stele di Mesa, scoperta nel 1868 nelle vicinanze di Diban, contiene molte delle località menzionate in Is 15-16, tuttavia non offre un grande aiuto alla comprensione del testo perché si riferisce a eventi del sec. IX. La difficoltà risulta particolarmente accentuata dal linguaggio convenzionale e generico dei nostri due capitoli. Un importante orientamento, a nostro avviso, è offerto dal testo di Is 16,1.3-5. che svolge un ruolo centrale nella composizione. Questa pericope si muove nella stessa prospettiva di Is 2,2-4, di cui è un'applicazione concreta. In base a questo dato possiamo ritenere che la “composizione” dei nostri detti possa risalire al tempo in cui l'inaugurazione della torah mise in luce il ruolo “unico” di Gerusalemme.

15,1-8. Nella prima pericope (15,1-8) il poeta inizia rievocando un assalto notturno che porta la devastazione e la distruzione nelle principali città settentrionali di Moab (v. 1). Il dramma viene quindi descritto attraverso un lamento pubblico celebrato nel santuario di Dibon (vv. 2-3) e successivamente esteso ad altre città con l'evidente intento di stornare la sventura incombente (v. 4a). La poesia raggiunge il suo vertice quando il poeta percepisce che sentimenti («reni»), energie («anima») e pensiero («cuore»), tutto è scosso e sembra naufragare. Qui si inserisce l'ultimo quadro nel quale, secondo il Testo masoretico, il poeta si unisce personalmente («cuore») al dolore, mentre contempla la fuga delle popolazioni che dal nord precipitano verso il sud, forse con la speranza di salvarsi in Giuda (vv. 5-8).

9. A questa descrizione, che nella redazione finale proseguiva in 16, 1, venne aggiunto il v. 9. Il detto si richiama anzitutto al termine «acque» del v. 6 per affermare che le acque di Dimon (probabilmente è la deformazione intenzionale del nome della città di Dibon, per creare un'assonanza con il termine “sangue”) sono piene di sangue per la violenza in essa perpetrata. La violenza sanguinaria costituisce il motivo dell'intervento diretto di JHWH (è lui “l'io” che parla a partire dal secondo emistichio del v. 9) per colpire ulteriormente «il resto» di Moab.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Certo, il Signore avrà pietà di Giacobbe e si sceglierà ancora Israele e li ristabilirà nella loro terra. A loro si uniranno gli stranieri e saranno annessi alla casa di Giacobbe. 2I popoli li accoglieranno e li ricondurranno nella loro terra, e la casa d’Israele se li farà propri nella terra del Signore, rendendoli schiavi e schiave; così faranno prigionieri coloro che li avevano resi schiavi e domineranno i loro avversari.

La morte del superbo dominatore 3In quel giorno avverrà che il Signore ti libererà dalle tue pene, dal tuo affanno e dalla tua dura schiavitù a cui eri stato assoggettato. 4Allora intonerai questa canzone sul re di Babilonia e dirai: «Ah, come è finito l’aguzzino, è finita l’aggressione! 5Il Signore ha spezzato la verga degli iniqui, il bastone dei dominatori, 6che percuoteva i popoli nel suo furore, con colpi senza fine, che dominava con furia le nazioni con una persecuzione senza respiro. 7Riposa ora tranquilla tutta la terra ed erompe in grida di gioia. 8Persino i cipressi gioiscono per te e anche i cedri del Libano: “Da quando tu sei prostrato, non sale più nessuno a tagliarci”. 9Gli inferi di sotto si agitano per te, per venirti incontro al tuo arrivo; per te essi svegliano le ombre, tutti i dominatori della terra, e fanno sorgere dai loro troni tutti i re delle nazioni. 10Tutti prendono la parola per dirti: “Anche tu sei stato abbattuto come noi, sei diventato uguale a noi”. 11Negli inferi è precipitato il tuo fasto e la musica delle tue arpe. Sotto di te v’è uno strato di marciume, e tua coltre sono i vermi. 12Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora? Come mai sei stato gettato a terra, signore di popoli? 13Eppure tu pensavi nel tuo cuore: “Salirò in cielo, sopra le stelle di Dio innalzerò il mio trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nella vera dimora divina. 14Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo”. 15E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso! 16Quanti ti vedono ti guardano fisso, ti osservano attentamente: “È questo l’individuo che sconvolgeva la terra, che faceva tremare i regni, 17che riduceva il mondo a un deserto, che ne distruggeva le città, che non apriva la porta del carcere ai suoi prigionieri?”. 18Tutti i re dei popoli, tutti riposano con onore, ognuno nella sua tomba. 19Tu, invece, sei stato gettato fuori del tuo sepolcro, come un virgulto spregevole; sei circondato da uccisi trafitti da spada, deposti sulle pietre della fossa, come una carogna calpestata. 20Tu non sarai unito a loro nella sepoltura, perché hai rovinato la tua terra, hai assassinato il tuo popolo. Non sarà più nominata la discendenza degli iniqui. 21Preparate il massacro dei suoi figli a causa dell’iniquità dei loro padri, e non sorgano più a conquistare la terra e a riempire il mondo di rovine». 22«Io insorgerò contro di loro – oracolo del Signore degli eserciti –, sterminerò il nome e il resto di Babilonia, la prole e la stirpe – oracolo del Signore. 23Io la ridurrò a dominio del riccio, a palude stagnante; la spazzerò con la scopa della distruzione». Oracolo del Signore degli eserciti.

La vittoria divina sull'Assiro 24Il Signore degli eserciti ha giurato dicendo: «In verità, come ho pensato, accadrà, e come ho deciso, succederà. 25Io spezzerò l’Assiria nella mia terra e sui miei monti la calpesterò. Allora sparirà da loro il suo giogo, il suo peso dalle loro spalle sarà rimosso». 26Questa è la decisione presa per tutta la terra e questa è la mano stesa su tutte le nazioni. 27Poiché il Signore degli eserciti lo ha deciso; chi potrà renderlo vano? La sua mano è stesa, chi gliela farà ritirare?

Contro i Filistei 28Nell’anno in cui morì il re Acaz fu pronunciato questo oracolo: 29«Non gioire, Filistea tutta, perché si è spezzata la verga di chi ti percuoteva. Poiché dalla radice della serpe uscirà una vipera e il suo frutto sarà un drago alato. 30I più poveri si sazieranno sui miei prati e i miseri riposeranno tranquilli; ma farò morire di fame la tua stirpe e ucciderò il tuo resto. 31Urla, o porta, grida, o città; trema, Filistea tutta, perché dal settentrione si alza il fumo e non c’è disertore tra le sue schiere». 32Che cosa si risponderà ai messaggeri delle nazioni? «Il Signore ha fondato Sion e in essa si rifugiano gli umili del suo popolo».

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Approfondimenti

14,1-2.I vv. 1-2 del c. 14 sono di un redattore che ha voluto esplicitare la conseguenza della caduta di Babilonia, presentando una sintesi concisa della speranza giudaica che ha trovato la sua grande espressione in Is 55-66. Il suo messaggio si condensa in tre punti:

  1. gli esuli ritorneranno alla loro terra;
  2. il ritorno sarà favorito dai popoli presso i quali essi si trovano (v. 2a che riflette l'esperienza della diaspora);
  3. Israele, rientrato in possesso della terra, renderà schiavi i suoi oppressori (v. 2b; cfr. Is 61,5).

L'espressione, indubbiamente forte, intende sottolineare l'impossibilità che l'oppressore possa ancora operare come tale. Questo messaggio è illuminato dal v. 1: la caduta di Babilonia è il segno che il Signore si volge nuovamente al suo popolo con tenerezza. L'autore usa il verbo rhm che, derivando dal sostantivo rehem (grembo), connota propriamente l'amore di una donna che ha l'esperienza della maternità. Il tema della tenerezza materna del Signore, ispirato in particolare da Is 49,15; 54,4-10, illumina l'annuncio della rinnovata elezione di Israele. In realtà si incontra qui la consapevolezza che è necessario un nuovo inizio perché il popolo dopo la propria infedeltà possa essere ristabilito nella sua autentica identità. Questo nuovo inizio, che richiama da vicino la promessa della nuova alleanza di Ger 31 e l'annuncio dello spirito nuovo di Ez 36, è una realtà ed è opera non dell'uomo, ma della “tenerezza” del Signore.

14, 3-23. Il brano è delimitato dal v. 3, con cui inizia l'introduzione, e dal v. 23, come risulta dalla formula conclusiva «parola del Signore degli eserciti», e dal fatto che il v. 24 segna l'esordio di una nuova pericope. Il testo è composto da un quadro redazionale in prosa costituito dai vv. 3-4a (introduzione) e 22-23 (conclusione) e dal poema dei vv. 4b-20a (i vv. 5 e 20b-21 sono delle aggiunte). Il poema, che si configura come un'elegia satirica, è da annoverare tra le grandi pagine poetiche di tutta la letteratura mondiale. In esso si descrive la morte di un sovrano che segna la fine di un incubo per tutta la terra. L'individuazione di questo personaggio, che consente anche di precisare l'occasione in cui è sorto il poema, ha dato luogo a opinioni tra loro diversissime. La potenza del sovrano orienta a ritenere che il poema descrive la fine di Nabucodonosor, la cui figura col passare del tempo era stata sempre più associata alla visione simbolica di Babilonia come centro del potere antidivino e oppressore dei popoli (per questo la composizione del nostro carme si comprende meglio in epoca postesilica). L'introduzione, che riferisce il carme al «re di Babilonia» (v. 4a) riproduce quindi l'originaria destinazione del poema, anche se lo pone redazionalmente in contatto con il cantico della caduta di Babilonia che si riferiva a un evento sicuramente posteriore alla morte del potente sovrano. Il nostro poema è uno spazio totalmente occupato dalla parola. Alla voce del narratore («e dirai», v. 4a) altre voci si aggiungono, per poi nuovamente scomparire nel flusso della narrazione principale: la voce dei «cipressi» e dei «cedri del Libano» (v. 8b); quella delle «ombre» di tutti i dominatori e i re della terra (v. 9-11); infine, dopo il ricordo dell'orgoglioso progetto del tiranno quando era in vita (vv. 13b-14), la voce di coloro che lo vedono inerte nella morte (vv. 16b-17). Sotto il profilo tematico il carme si suddivide in quattro parti:

  1. il giubilo della terra per la fine del tiranno (vv. 4b-8);
  2. la sua accoglienza nello s'ôl (9-11);
  3. la caduta del «figlio dell'aurora» (12-15);
  4. la sua fine ingloriosa (16-21).

4b-8. La prima parte del poema (v. 4b-8) inizia nello stile del lamento funebre («Ah, come...»; cfr. 2Sam 1,19.25.27) per poi svelare subito il suo intento satirico. In una rapida successione di frasi l'autore crea un contrasto dalle molte suggestioni: la fine del tiranno rende possibile il «riposo» della terra, la fine di colui che con la sua violenza toglieva il «respiro» fa risuonare il grido di gioia proprio di chi sperimenta la liberazione dalla schiavitù e dalla morte (cfr. 44,23; 49,13; 54,1; 55,12).

9-11. La scena della seconda unità (vv. 9-11) è ambientata nello s'ôl. Il poeta immagina (v. 9) che i morti, chiamati «ombre» (perché incapaci di un'esistenza piena) vengono destati per andare incontro al nuovo venuto. Con un tono, che tradisce l'animo del poeta interprete della gioia della terra, la voce di tutte le «ombre» enfatizza che anche il grande tiranno («Anche tu», v. 10b) è stato «abbattuto» (è privo della forza vitale) come i morti («come noi») e quindi in tutto «uguale» a loro. L'elegia satirica rivela qui il suo centro ispiratore e il suo messaggio profondo. Nella morte si manifesta l'uguaglianza di tutti gli uomini come è poeticamente ribadito dall'affermazione che il fasto precipita nello s'ôl e dalla macabra immagine della salma del tiranno, che giace nella putrefazione e ha per coperta i vermi.

12-15. Si descrive la caduta del grande dominatore ricorrendo al linguaggio di un mito diffuso nel mondo accadico e ugaritico e, probabilmente, presente anche nel racconto greco di Fetonte. Il tiranno viene paragonato al protagonista del mito, Hêlel che, innalzatosi per raggiungere la montagna celeste dell'assemblea divina e sottrarre al Dio altissimo il dominio del mondo, finisce invece col precipitare nel regno dei morti. Il nucleo del mito esprime il progetto del tiranno che intendeva erigere il proprio trono nel cielo rendendosi uguale a Dio nel governo del mondo (vv. 13-14). Nella sicurezza con cui si dichiara sconfitta ogni pretesa dell'uomo di uguagliarsi a Dio si avverte ancora l'influsso della condanna isaiana dell'orgoglio umano.

16-21. La poesia sosta presso la salma del tiranno. La voce di coloro che la contemplano si concentra in una domanda: «È questo colui che sconvolgeva la terra, che face va tremare i regni?» (le assonanze tra «sconvolgeva» e «faceva tremare» sono ancora più forti nel testo ebraico). Nell'interrogativo la morte ricompare come criterio ermeneutico dell'esistenza autentica, un criterio che guida gli oppressi a non accettare nessuna teoria che legittimi l'ingiustizia degli uomini e delle strutture. Con la visione della «carogna» del tiranno, insepolta, il poema ha raggiunto la sua degna conclusione, soprattutto perché la mancanza di sepoltura era considerata nell'antico mondo orientale il disonore più infamante e influiva negativamente nella condizione futura del defunto. E questa la conseguenza di chi, nel suo orgoglio, ha causato la rovina del paese e la morte del suo popolo. L'aggiunta dei vv. 20b-21, che appartiene alla stessa mano del v. 5, richiama la sentenza sapienziale «non sarà più nominata la discendenza dell'iniquo» per annunciare la morte degli stessi figli del tiranno, così che in una nuova generazione non si rinnovi l'errore di quanti vogliono conquistare la terra («non sorgano più...»), riempiendo il mondo di rovine, quali satelliti del potere centrale di un impero oppressore.

14,24-27. La pericope è considerata da molti studiosi come la seconda parte del detto «Guai» contro l'Assiria e i suo superbo progetto di distruggere le nazioni (10,5-14). In questa ipotesi essa conserverebbe un messaggio del profeta pronunciato in occasione dell'assedio di Sennacherib contro Gerusalemme nel 701. Molto probabilmente, però, il nostro testo ha una storia alquanto complessa. Certamente il v. 25b riflette la redazione giosiana in quanto si richiama esplicitamente alla liberazione dal giogo annunciata in 9,3. Il v. 25 si trova ora incorniciato da un solenne “giuramento” del Signore nel quale egli assicura che realizzerà il suo piano (v. 24) e che nessuno potrà rendere vano il suo consiglio. Il linguaggio e le categorie di questa cornice si ispirano ai cc. 40-66 del libro di Isaia, un chiaro indizio che essa risale all'epoca postesilica, come conferma l'ultimo stico del v. 27 dove abbiamo una reinterpretazione delle profezie della «mano stesa». Mentre in Isaia la metafora della mano stesa serviva a indicare che nonostante la gravità delle prove subite il popolo del Signore si trovava ancora sotto il giudizio divino per le proprie infedeltà, qui l'immagine è rivolta contro l'Assiria e le potenze che si oppongono al disegno salvifico del Signore per il suo popolo. Per la comunità, che vive a Gerusalemme, le amare esperienze del passato (Assiria, Babilonia) hanno avuto fine. Ora, invece, la mano del Signore è stesa contro i nemici del suo popolo e nessuno potrà farla ritirare.

14,28-32. La pericope costituita dai vv. 28-32 è stata inserita nell'attuale contesto mediante l'intestazione (v. 28) che la interpreta come una sentenza contro un popolo straniero. Gli studiosi sono propensi a ritenere autentici i vv. 29.31 mentre i vv. 30 e 32 sono delle aggiunte dovute all'inserzione della pericope nel contesto di 13,1-14,27. Nella parte autentica abbiamo una parola di Isaia pronunciata dopo la morte di Tiglat-Pilezer III (che avvenne nello stesso anno in cui morì Acaz). Secondo altri essa si verificò alla morte di Sargon II (705).

29. Il profeta invita la Filistea a non gioire per la morte del re assiro, definito come la verga che la percuoteva. Forse la morte del re assiro aveva spinto la Filistea a favorire l'idea di una coalizione contro l'Assiria e un simile progetto poteva anche contagiare il regno di Giuda. Il motivo che Isaia adduce è formulato con un'immagine eloquente: «dalla radice del serpe uscirà una vipera e il suo frutto sarà un drago alato». La metafora, che si ispira all'immaginario popolare e all'iconografia mesopotamica (serpenti alati), insinua che il successore del re sarà ancora più forte e determinato.

32. Il versetto suppone l'invio di messaggeri da parte dei Filistei per coinvolgere Giuda nella ribellione contro l'Assiria. La risposta suggerita da Isaia richiama l'opera del Signore che ha fondato Sion. Il Signore è il protettore della sua città e del suo popolo.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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DETTI CONTRO LE NAZIONI

La fine di Babilonia 1Oracolo su Babilonia, ricevuto in visione da Isaia, figlio di Amoz. 2Su un monte brullo issate un segnale, alzate per loro un grido; fate cenni con la mano perché varchino le porte dei nobili. 3Io ho dato un ordine ai miei consacrati; ho chiamato anche i miei prodi a strumento del mio sdegno, entusiasti della mia grandezza. 4Frastuono di folla sui monti, simile a quello di un popolo immenso. Frastuono fragoroso di regni, di nazioni radunate. Il Signore degli eserciti passa in rassegna un esercito di guerra. 5Vengono da una terra lontana, dall’estremo orizzonte, il Signore e le armi della sua collera, per devastare tutta la terra. 6Urlate, perché è vicino il giorno del Signore; esso viene come una devastazione da parte dell’Onnipotente. 7Perciò tutte le mani sono fiacche, ogni cuore d’uomo viene meno. 8Sono costernati. Spasimi e dolori li prendono, si contorcono come una partoriente. Ognuno osserva sgomento il suo vicino: i loro volti sono volti di fiamma. 9Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile, con sdegno, ira e furore, per fare della terra un deserto, per sterminarne i peccatori. 10Poiché le stelle del cielo e le loro costellazioni non daranno più la loro luce; il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà la sua luce. 11Io punirò nel mondo la malvagità e negli empi la loro iniquità. Farò cessare la superbia dei protervi e umilierò l’orgoglio dei tiranni. 12Renderò l’uomo più raro dell’oro fino e i mortali più rari dell’oro di Ofir. 13Allora farò tremare i cieli e la terra si scuoterà dalle fondamenta per lo sdegno del Signore degli eserciti, nel giorno della sua ira ardente. 14Allora avverrà come a una gazzella impaurita e come a un gregge che nessuno raduna: ognuno si dirigerà verso il suo popolo, ognuno correrà verso la sua terra. 15Quanti saranno trovati, saranno trafitti, quanti saranno presi, periranno di spada. 16I loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi; saranno saccheggiate le loro case, violentate le loro mogli. 17Ecco, io suscito contro di loro i Medi, che non pensano all’argento né si curano dell’oro. 18Con i loro archi abbatteranno i giovani, non avranno pietà del frutto del ventre, i loro occhi non avranno pietà dei bambini. 19Babilonia, perla dei regni, splendore orgoglioso dei Caldei, sarà sconvolta da Dio come Sòdoma e Gomorra. 20Non sarà abitata mai più né popolata di generazione in generazione. L’Arabo non vi pianterà la sua tenda né i pastori vi faranno sostare le greggi. 21Ma vi si stabiliranno le bestie selvatiche, i gufi riempiranno le loro case, vi faranno dimora gli struzzi, vi danzeranno i sàtiri. 22Urleranno le iene nei loro palazzi, gli sciacalli nei loro edifici lussuosi. La sua ora si avvicina, i suoi giorni non saranno prolungati.

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Approfondimenti

DETTI CONTRO LE NAZIONI 13,1-23,18 La seconda sezione della «Visione di Isaia» è costituita dai detti contro le genti (cc. 13-23) e dalla cosiddetta “Apocalisse isaiana” (cc. 24-27). La prima parte presenta una certa omogeneità non solo contenutistica ma anche formale (il titolo “oracolo”, preposto a molte pericopi, significa «detto», «sentenza»).

Uno sguardo generale ai cc. 13-23 mette in evidenza che l'omogeneità non è costante. Il titolo di 14,28 appare formato secondariamente a imitazione delle altre intestazioni. Una situazione speciale, poi, è quella di 22,15b. Altre unità, inoltre, sono prive di questo titolo (ad es. 14,24-27). Infine il c. 22 si rivolge non alle nazioni dei gentili, ma alla stessa Gerusalemme e ai suoi alti ufficiali.

Due sono le ipotesi elaborate per spiegare l'insieme dei dati letterari. Secondo la prima i cc. 13-23 sono costituiti da due raccolte. Anzitutto si formò una raccolta a partire da diversi brani autentici di Isaia, che ora si trovano sparsi all'interno della sezione. Inoltre si ebbe anche una raccolta di testi non autentici introdotti dalla parola “oracolo”. Altro materiale si aggiunse ancora dopo la fusione delle due raccolte.

La seconda ipotesi spiega la sezione partendo da un nucleo di detti isaiani risalenti a diversi momenti dell'attività del profeta: 14,24-25a; 14,28-32; 17,1-3; 17,4-6; 18,1-2.4; 22,1b-3.7.12-14; 22,15-18. In una seconda fase, verso il 678 circa, si aggiunsero dei testi che sviluppavano una comprensione teologica degli avvenimenti del 701 (14,26; 17,12-14a; 23,1-14). Un brano che sicuramente venne aggiunto al tempo di Giosia è 22,19-23.

L'intervento degli editori deuteronomistici, meno esteso di quello incontrato nei cc. 1-12, ha di mira l'idolatria (17,9-10a), la sapienza illusoria dell'Egitto (19,1-4.11-15), le cause della rovina di Gerusalemme (22,4.8b-11).

Uno sviluppo decisivo si verificò nella prima metà del sec. V quando la raccolta assunse la forma di sentenze contro i popoli stranieri o, più specificamente, contro il mondo delle genti.

In un momento successivo questo insieme venne riletto applicando la condanna del mondo dei gentili ai Giudei empi, che non vivevano la fedeltà all'alleanza.

Infine nel periodo ellenistico si introdussero alcune aggiunte per offrire un orientamento ad alcune tematiche attuali e pressanti: il proselitismo e la conversione dei gentili (14,1-2a; 18,7; 19,18-25), la fine della diaspora giudaica (16,4b-5), infine la polemica antisamaritana (17,10b-11).

Anche i cc. 24-27, che meritano una considerazione a parte per la loro origine e il loro messaggio, a livello della redazione finale della «Visione di Isaia» sono stati considerati come il culmine dei detti contro i popoli.

La fine di Babilonia 13,1-14,2 In 13,2 inizia il messaggio contro Babilonia che, nell'intenzione del redattore finale, si estende fino a 14,23. L'esame del testo permette una più appropriata delimitazione. Il carme contro Babilonia è racchiuso nel c. 13 (vv. 2-22). Infatti il testo di 14,1-4a è chiaramente redazionale: i vv. 1-2 si riferiscono al carme precedente e mostrano le consolanti prospettive che la caduta della città dischiude agli esuli. I vv. 3-4a, invece, introducono un'elegia satirica per la morte del re di Babilonia che si estende dal v. 4b al v. 21. Infine i vv. 22-23, in prosa, sono stati aggiunti per formare la conclusione redazionale del poema.

L'evento storico che il poema su Babilonia (13,2-22) celebra, interpretandolo teologicamente, è con molta probabilità la sconfitta subita dalla città nel 482 quando Serse ne distrusse i templi e la privò anche del ruolo modesto che ancora le rimaneva di capoluogo di una provincia all'interno dell'impero persiano. Il tema della caduta di Babilonia è qui trasfigurato. In sintonia con la concezione propria della profezia escatologica, di cui il nostro testo è una testimonianza, Babilonia appare come il simbolo della capitale di una potenza mondiale antidivina e conseguentemente disumana. La sua fine è, dunque, segno che il giorno del Signore ha fatto irruzione nella storia dell'umanità.

Il poema sviluppa il tema in quattro unità. – I vv. 2-5 descrivono i preparativi della battaglia decisiva contro Babilonia. – I vv. 6-8 anticipano poeticamente l'angoscia e il terrore delle vittime prima ancora che le schiere del Signore si siano messe in marcia. – I vv. 9-16 contengono l'annuncio della venuta del giorno del Signore e le conseguenze catastrofiche che esso comporta. – L'ultima unità (v. 17-22) manifesta il modo storico con cui il Signore interviene (i «Medi») per porre fine a Babilonia e ridurla a un deserto.

Sotto il profilo formale e stilistico è interessante rilevare la simmetria tra la terza e la quarta unità. Entrambe si dividono in due parti (rispettivamente vv. 9-13.14-16 e 17-18.19-22). La prima parte è nei due casi introdotta con la particella «Ecco» (v. 9; v. 17) e annuncia un fatto. La seconda parte (v. 14; v. 19), che descrive le conseguenze del fatto prima annunciato, inizia in ebraico con la stessa forma macrosintattica («E avverrà»). Un altro fatto è ugualmente degno di nota. Nella terza unità la prima parte (dell'annuncio) è molto più sviluppata della seconda. Nella quarta unità, invece, le proporzioni si invertono: è ridotta la parte che indica l'intervento dei «Medi» come strumento dell'ira divina, mentre è particolarmente ampliata la seconda parte nella quale si descrive l'effetto della loro devastazione che riduce Babilonia a una rovina simile alla sorte di Sodoma e Gomorra. In questo modo la tragedia preannunciata nella seconda unità si è veramente compiuta e la parola del Signore che ha convocato i suoi soldati per attuare il giudizio si manifesta in tutta la sua potenza. La struttura appena individuata permette di cogliere il messaggio del testo nel suo sviluppo organico e profondo.

3. «consacrati»: il termine denotava i soldati delle tribù di Israele che partecipando alle battaglie di JHWH contro i nemici del suo popolo dovevano sottoporsi a determinati riti e osservare delle norme specifiche, in particolare l'astensione dai rapporti sessuali (cfr. Dt 23, 10-15; 1 Sam 21, 5-6; 2 Sam 11, 10-11). I nostro testo reinterpreta questa tradizione applicando simbolicamente il titolo «santificati» ai soldati dell'esercito convocato contro Babilonia. Il Signore combatte non solo per il suo popolo, ma anche a favore di tutti coloro che lottano per liberare il mondo dalla tirannia e dall'oppressione.

6-8. La seconda unità è un invito al lamento nazionale. Si tratta di un genere letterario che normalmente consta di tre elementi invito al lamento, il nome degli interpellati e la motivazione . Nel nostro caso manca il nome di coloro ai quali è rivolto l'invito. Dallo sviluppo del poema risulterà che i destinatai sono gli abitanti di Babilonia. La tradizione del «giorno del Signore» si era originariamente sviluppata in Israele come attesa della sua salvezza dalle potenze nemiche. Contro le deviazioni unilaterali di questa attesa illusoria combattono i profeti del sec. VII. Con essi il tema del giorno del Signore subisce una profonda reinterpretazione diventando il giorno del giudizio contro lo stesso Israele (cfr. Am 5,18-20 e Is 2,6-22). Il motivo è presente come annuncio del giudizio verso la potenza mondiale che era diventata un simbolo storico dell'opposizione al disegno di Dio e dell'oppressione dei popoli. Da questo giudizio scaturisce la salvezza degli oppressi, in particolare di Israele (cfr. 14, 1).

10-16. La dimensione cosmica, che coinvolge le stelle, il sole e la luna, ha qui la funzione di sottolineare l'intervento diretto del Signore nell'evento che si descrive (solo con l'apocalittica queste espressioni saranno lette come annuncio della fine di “questo” mondo). Effettivamente a partire dal v. 11 il Signore stesso parla in prima persona, così che la potenza del «giorno del Signore» appare tutta condensata nella sua parola. Il tremore del cielo e della terra, che deriva dalla tradizione della teofania, sottolinea nuovamente che qui non sono in gioco cause di natura intramondana, ma quanto avviene è espressione dell'ira e del furore del Signore (v. 13; cfr. Es 19,16-22).

17-22. Nell'ultima unità il discorso del Signore continua indicando nei Medi la potenza che opera, come suo strumento (cfr. v. 3), nella distruzione di Babilonia. L'obiezione che la caduta di Babilonia è dovuta ai Persiani, e non ai Medi, trascura il fatto che nell'A. T., come in Grecia e in Egitto, si parla di Medi dove, secondo le nostre categorie scientifiche si parla di Persiani.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Lode dei redenti 1Tu dirai in quel giorno: «Ti lodo, Signore; tu eri in collera con me, ma la tua collera si è placata e tu mi hai consolato. 2Ecco, Dio è la mia salvezza; io avrò fiducia, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza». 3Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza. 4In quel giorno direte: «Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere, fate ricordare che il suo nome è sublime. 5Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse, le conosca tutta la terra. 6Canta ed esulta, tu che abiti in Sion, perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele».

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Approfondimenti

Lode dei redenti 12,1-6 Il capitolo rappresenta una degna conclusione della prima sezione del libro di Isaia. Ciò risulta dal fatto che vi sono ricapitolati i grandi temi già incontrati.

  • L'espressione «la tua collera si è calmata» del v. 1b dichiara concluso il tempo dell'ira del Signore (cfr. 9,11.16.21; 10,25);
  • la locuzione «io confiderò (nel Signore)» (2b) richiama il vocabolario della fede (cfr. 7,9 e 10,20);
  • analogamente la dichiarazione «non avrò mai timore» (2b) si riallaccia tematicamente all'appello alla fiducia (cfr. 7,4; 10,24);
  • il motivo dell'acqua (v. 3) rinvia a 8,6; la solenne confessione che il nome di JHWH è eccelso (esaltato) proclama la vittoria del Signore contro ogni forma di orgoglio (cfr. 2, 17);
  • infine il titolo divino «Santo di Israele» (v. 6) rievoca anzitutto 6,3 e, quindi, 1,4; 5,19.24; 8,13; 10,17.20.

Inoltre la presenza di alcune significative parole-chiave dei cc. 40-66 costituisce un forte indizio che qui siamo alla presenza del redattore dell'intera «Visione di Isaia». Così l'affermazione «tu mi hai consolato» riproduce in questo contesto solenne il verbo fondamentale della seconda parte della «Visione» (cfr. 40, 1; 49, 13; 51; 3.12; 52,9; 57,18; 61,2; 66,13), mentre la solenne affermazione del Signore che è diventato salvezza rinvia a passi come 43,3; 45,17; 49,26; 56,1; 60,16.18.

Il capitolo presenta inoltre una struttura bipartita e simmetrica.

La prima parte inizia con una formula con cui si introduce l'istruzione all'araldo (v. 1a); continua con il inno di lode-ringraziamento (vv. 1b-2) e si conclude con il v. 3, ritenuto generalmente parte dell'inno, mentre in base alla sua forma (uguale a quella di 1a) può essere compreso solo come una promessa («Attingerete acqua con gioia...») che costituisce il fondamento dell'invito alla lode.

Analogamente la seconda parte inizia con la stessa formula introduttiva dell'istruzione all'araldo (v. 4a), prosegue con un inno costruito all'imperativo (vv. 4b-5) e termina con l'invito, rivolto a Sion, alla gioia per la presenza in mezzo ad essa del Santo di Israele (v, 6). Poiché l'esperienza gioiosa della salvezza costituisce il fondamento del canto di lode, questo versetto non può essere ritenuto parte dell'inno. Esso, come il v. 3, rappresenta il presupposto dell'inno che la comunità dei redenti è chiamata a innalzare al Signore.

È interessante anche rilevare l'interiore connessione tra i due versetti. Mentre il v. 3 annuncia un futuro nel quale la comunità attingerà con gioia alle sorgenti della salvezza, il v. 6, nella prospettiva della promessa adempiuta, invita gli abitanti di Sion alla gioia e all'esultanza per la salvezza operata meravigliosamente dal Signore.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il germoglio di Iesse 1Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. 2Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. 3Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; 4ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. 5La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. 6Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. 7La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. 8Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. 9Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.

Il giorno della salvezza 10In quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa. 11In quel giorno avverrà che il Signore stenderà di nuovo la sua mano per riscattare il resto del suo popolo, superstite dall’Assiria e dall’Egitto, da Patros, dall’Etiopia e dall’Elam, da Sinar e da Camat e dalle isole del mare. 12Egli alzerà un vessillo tra le nazioni e raccoglierà gli espulsi d’Israele; radunerà i dispersi di Giuda dai quattro angoli della terra. 13Cesserà la gelosia di Èfraim e gli avversari di Giuda saranno sterminati; Èfraim non invidierà più Giuda e Giuda non sarà più ostile a Èfraim. 14Voleranno verso occidente contro i Filistei, insieme deprederanno i figli dell’oriente, stenderanno le mani su Edom e su Moab e i figli di Ammon saranno loro sudditi. 15Il Signore prosciugherà il golfo del mare d’Egitto e stenderà la mano contro il Fiume. Con la potenza del suo soffio lo dividerà in sette bracci, così che si possa attraversare con i sandali. 16Si formerà una strada per il resto del suo popolo che sarà superstite dall’Assiria, come ce ne fu una per Israele quando uscì dalla terra d’Egitto.

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Approfondimenti

Il germoglio di Iesse 11,1-9 Il detto si articola in due unità originariamente indipendenti, ma tra loro strettamente unite in quanto la seconda (vv. 6-9) fu intesa come un ampliamento e un'eplicitazione del messaggio contenuto nella prima (vv. 1-5). I vv. 1-5 presuppongono la promessa del nuovo Davide di Ez 34,23-25. L'annuncio di Ezechiele aveva introdotto nella tradizione davidica, imperniata sulla promessa di Natan (cfr. 2Sam 7), la prospettiva di un nuovo Davide nel quale si attua e si manifesta la regalità salvifica del Signore per il suo popolo. Il profeta Zaccaria ritenne che la promessa di Ezechiele si sarebbe adempiuta con l'avvento al trono di Zorobabele (cfr. Zc 6,12-13). Tuttavia le speranze poste su questo discendente collaterale della casa di Davide non si realizzarono. Infine, con Zorobabele o con un altro davidide a noi ignoto, svanì l'occasione che promessa di Natan, che era stata più volte ripresa e attualizzata (cfr. Is 7; Is 9,1-6; Ez 34; Zc 6), sembrava naufragare, smentita dalla storia. In questo contesto l'autore dal nostro brano sviluppa una profonda reinterpretazione di Ez 34 e Zc 6, che consente di situare la promessa dell'Emmanuele in una prospettiva nuova e vitale.

1. L'immagine del «tronco di Tesse» presuppone chiaramente la fine della dinastia davidica. Per il nostro autore, però, questo tatto non significa la fine della promessa. In realtà le radici, dalle qual spunta il «germoglio», sono costituite dall'elezione del Signore e dalla sua promessa (cfr. 1Sam 16,1-13). Il fatto stesso che questo annuncio risalga fino a Iesse, padre di Davide, mostra l'intenzione del poema di prospettare un nuovo inizio reso possibile dalla fedeltà divina. Dato che la pagina di Is 7, grazie alla reinterpretazione deuteronomistica di Is 9,1-6, aveva assunto il valore di una testimonianza particolarmente solenne della promessa di Natan, si provvide a inserire in questo punto della «Visione» il presente messaggio, con il quale l'attesa del nuovo Davide diventa messianica in quanto viene sganciata da una discendenza genealogica e agganciata unicamente al Signore e alla sua promessa.

2. Sul germoglio, che «spunterà» dal tronco di Iesse, «si poserà» lo spirito del Signore (v. 2). In questa affermazione, che richiama la potenza divina dalla quale il re è abilitato alla propria missione (cfr. 1Sam 10,6.10; 11,6; 16,13.14; 19,9; 20,23), il verbo «posarsi (letteralmente “riposarsi”)» assicura che la presenza di JHwH nel germoglio non si attuerà in modo discontinuo (come nel caso di Sansone), ma sarà permanete ed esprimerà in pienezza la propria energia salvifica (cfr. Sir 24,7-8 dove il vocabolario del riposo connota la presenza permanente della sapienza nel popolo della rivelazione). Lo spirito, che sviluppa la propria forza salvifica nel germoglio, è caratterizzato da tre coppie di sostantivi che illustrano come la figura del germoglio è contemplata con gli occhi della tradizione sapenziale. Il vocabolario, che presenta notevoli affinità con la redazione finale di Proverbi (cfr. in particolare 1,1-17), suggerisce che il nostro brano è sorto nel tardo postesilio.

3-5. Lo spirito, che comunica la sapienza, rende il futuro re capace di governare (questo è il senso primario del verbo ebraico špt, generalmente tradotto con «giudicare») con giustizia ed equità, diventando così difensore dei poveri e degli «oppressi». La metafora «La sua parola sarà una verga (letteralmente “lo scettro della sua bocca”)» (v. 4b) sottolinea in particolare la potenza della parola con la quale il re esprime il suo giudizio. Grazie a questa parola efficace il germoglio libera il paese dai violenti e dai malfattori, così che il re appare rivestito di giustizia e fedeltà (v. 5).

6-9. Questi versetti sono stati uniti alla promessa del germoglio affinché il loro annuncio di pacificazione di tutte le creature apparisse come la conseguenza del regno di giustizia attuato dalla venuta del germoglio, vale a dire dall'Emmanuele, che in 9,5 è presentato con il titolo di «Principe della pace». È possibile che la descrizione si sia ispirata, più di altre, al tema mitologico di una paradisiaca “età dell'oro”. In ogni caso questo tema è stato reinterpretato dal nostro autore alla luce dell'armonia di tutti gli esseri usciti «buoni» dalle mani del creatore. Il futuro atteso non è una mitica età dell'oro, ma la piena realizzazione del disegno del creatore. Infine, con il v. 9, la pace degli animali tra di loro e dell'uomo con gli animali culmina nella contemplazione della pace tra gli uomini in seguito alla scomparsa di ogni iniquità e corruzione. Centro ideale di questo nuovo mondo, che suppone il trionfo della giustizia annunciato nei vv. 1-5, è il monte santo del Signore, da dove si irradia, sovrabbondante, la rivelazione divina.

Il giorno della salvezza 11,10-16 La sezione e costituita da varie aggiunte che hanno lo scopo di commentare l'annuncio salvifico di 11,1-5.6-9, attualizzandolo alla luce delle nuove esperienze storico-culturali del popolo di Giuda e di Gerusalemme.

10. Il versetto rappresenta un'importante reinterpretazione della promessa dei vv. 1-9. Il silenzio sul germoglio e, inoltre, l'espressione dell'ultimo stico («la sua dimora [letteralmente “il suo riposo”] sarà gloriosa») orientano a ritenere che qui non si parli del germoglio-Messia (secondo un'interpretazione assai diffusa), ma della comunità di Gerusalemme. La «radice di Iesse», di cui il detto parla riferendosi a 11,1, è dunque la comunità postesilica, dalla quale «spunterà» il germoglio. Essa, rinnovata secondo la promessa del v. 9, diventa «vessillo per i popoli», il luogo dove le genti sono chiamate a radunarsi (cfr. 18,3) per ricevere il «riposo».

11-12. Dopo l'elenco dei popoli a partire dai quali il «resto» è radunato (probabilmente opera di un glossatore che intendeva enfatizzare la diffusione della diaspora), il nostro detto si richiama al v. 10 per presentare il Signore mentre innalza «un vessillo per le nazioni (gôyim)» e raduna i dispersi di Giuda dai quattro angoli della terra (cfr. 49,12.22; 60,9).

13-14. La salvezza che il Signore realizzerà non si manifesta solo nel ritorno dei deportati, ma anche nella riconciliazione dei fratelli che si erano separati e osteggiati. Questo messaggio, che offre una consolante risposta a quanti avvertivano la ferita della separazione delle tribù (cfr. 7,17) e ne auspicavano la riunione (cfr. Ger 3,18; Ez 34,23; 37,15-28; Zc 11,7-16), descrive il superamento delle tensioni tra Efraim e Giuda. Le ostilità tra la comunità di Samaria, che culminarono nello scisma samaritano, e la comunità di Gerusalemme, rappresentano lo sfondo storico di questa sentenza.

15-16. I versetti, che si connettono con la promessa dei vv. 11-12 (formando, almeno a livello redazionale, un'inclusione), descrivono la salvezza del resto con la categoria del nuovo esodo, propria del Deuteroisaia. Una struttura chiastica (mare d'Egitto – fiume/Assiria – Egitto) conferisce al detto una costruzione armonica e solida. L'Egitto e l'Assiria sono colti in modo unitario come potenze di oppressione contro le quali il Signore interviene. In particolare si sottolinea che nei confronti del re assiro, che stese «la mano verso il monte della figlia di Sion» (cfr. 10,32), JHWH reagisce con la potenza del suo spirito (in questo modo il motivo dello spirito del Signore forma un'inclusione che racchiude tutto 1 c. 11). Con un elegante gioco di parole, presente nell'affermazione che i «sette bracci» del fiume potranno essere attraversati calzando i «sandali», l'autore proclama l'efficacia dell'azione liberatrice del Signore che rinnova le meraviglie dell'esodo aprendo ora «una strada per il resto del suo popolo» (cfr. 40,3 e, inoltre, 19,23; 49,11; 62,10).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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