AD GENTES 6-9
DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)
CAPITOLO I
PRINCIPI DOTTRINALI
L'attività missionaria della Chiesa
6 Questo compito, che l'ordine episcopale, a capo del quale si trova il successore di Pietro, deve realizzare con la collaborazione e la preghiera di tutta la Chiesa, è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo. Le differenze quindi, che pur vanno tenute presenti in questa attività della Chiesa, non nascono dalla natura intrinseca della sua missione, ma solo dalle circostanze in cui la missione stessa si esplica.
Tali condizioni dipendono sia dalla Chiesa, sia dai popoli, dai gruppi umani o dagli uomini, a cui la missione è indirizzata. Difatti la Chiesa, pur possedendo in forma piena e totale i mezzi atti alla salvezza, né sempre né subito agisce o può agire in maniera completa: nella sua azione, tendente alla realizzazione del piano divino, essa conosce inizi e gradi; anzi talvolta, dopo inizi felici, deve registrare dolorosamente un regresso, o almeno si viene a trovare in uno stadio di inadeguatezza e di insufficienza. Per quanto riguarda poi gli uomini, i gruppi e i popoli, solo gradatamente essa può raggiungerli e conquistarli, assumendoli così nella pienezza cattolica. A qualsiasi condizione o stato devono poi corrispondere atti appropriati e strumenti adeguati.
Le iniziative principali con cui i divulgatori del Vangelo, andando nel mondo intero, svolgono il compito di predicarlo e di fondare la Chiesa in mezzo ai popoli ed ai gruppi umani che ancora non credono in Cristo, sono chiamate comunemente «missioni»: esse si realizzano appunto con l'attività missionaria e si svolgono per lo più in determinati territori riconosciuti dalla santa Sede. Fine specifico di questa attività missionaria è la evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in seno a quei popoli e gruppi umani in cui ancora non è radicata (34). Così è necessario che dal seme della parola di Dio si sviluppino Chiese particolari autoctone, fondate dovunque nel mondo in numero sufficiente. Chiese che, ricche di forze proprie e di una propria maturità e fornite adeguatamente di una gerarchia propria, unita al popolo fedele, nonché di mezzi consoni al loro genio per viver bene la vita cristiana, portino il loro contributo a vantaggio di tutta quanta la Chiesa. Il mezzo principale per questa fondazione è la predicazione del Vangelo di Gesù Cristo, per il cui annunzio il Signore inviò nel mondo intero i suoi discepoli, affinché gli uomini, rinati mediante la parola di Dio (35), siano con il battesimo aggregati alla Chiesa, la quale, in quanto corpo del Verbo incarnato, riceve nutrimento e vita dalla parola di Dio e dal pane eucaristico (36).
In questa attività missionaria della Chiesa si verificano a volte condizioni diverse e mescolate le une alle altre: prima c'è l'inizio o la fondazione, poi il nuovo sviluppo o periodo giovanile. Ma, anche terminate queste fasi, non cessa l'azione missionaria della Chiesa: tocca anzi alle Chiese particolari già organizzate continuarla, predicando il Vangelo a tutti quelli che sono ancora al di fuori.
Inoltre i gruppi umani in mezzo ai quali si trova la Chiesa spesso per varie ragioni cambiano radicalmente, donde possono scaturire situazioni del tutto nuove. In questo caso la Chiesa deve valutare se esse sono tali da richiedere di nuovo la sua azione missionaria. Ed ancora, si danno a volte delle circostanze che, almeno temporaneamente, rendono impossibile l'annunzio diretto ed immediato del messaggio evangelico. In questo caso i missionari possono e debbono con pazienza e prudenza, e nello stesso tempo con grande fiducia, offrire almeno la testimonianza della carità e della bontà di Cristo, preparando così le vie del Signore e rendendolo in qualche modo presente.
È evidente quindi che l'attività missionaria scaturisce direttamente dalla natura stessa della Chiesa essa ne diffonde la fede salvatrice, ne realizza l'unità cattolica diffondendola, si regge sulla sua apostolicità, mette in opera il senso collegiale della sua gerarchia, testimonia infine, diffonde e promuove la sua santità. Così l'attività missionaria tra i pagani differisce sia dalla attività pastorale che viene svolta in mezzo ai fedeli, sia dalle iniziative da prendere per ristabilire l'unità dei cristiani. Tuttavia queste due forme di attività si ricongiungono saldamente con l'attività missionaria della Chiesa (37) la divisione dei cristiani è infatti di grave pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo a tutti gli uomini (38) ed impedisce a molti di abbracciare la fede. Così la necessità della missione chiama tutti i battezzati a radunarsi in un solo gregge ed a rendere testimonianza in modo unanime a Cristo, loro Signore, di fronte alle nazioni. Essi, se ancora non possono testimoniare pienamente l'unità di fede, debbono almeno essere animati da reciproca stima e amore.
Ragioni dell'attività missionaria 7 La ragione dell'attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio, ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, uomo anche lui, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,4-6), «e non esiste in nessun altro salvezza» (At 4,12). È dunque necessario che tutti si convertano al Cristo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, ed a lui e alla Chiesa, suo corpo, siano incorporati attraverso il battesimo (39). Cristo stesso infatti, «ribadendo espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Mc 16,16; Gv 3,5), ha confermato simultaneamente la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano, per così dire, attraverso la porta del battesimo. Per questo non possono salvarsi quegli uomini i quali, pur sapendo che la Chiesa cattolica è stata stabilita da Dio per mezzo di Gesù Cristo come istituzione necessaria, tuttavia rifiutano o di entrare o di rimanere in essa» (40). Benché quindi Dio, attraverso vie che lui solo conosce, possa portare gli uomini che senza loro colpa ignorano il Vangelo a quella fede «senza la quale è impossibile piacergli» (41), è tuttavia compito imprescindibile della Chiesa (42), ed insieme suo sacrosanto diritto, diffondere il Vangelo; di conseguenza l'attività missionaria conserva in pieno – oggi come sempre – la sua validità e necessità.
Grazie ad essa il corpo mistico di Cristo raccoglie e dirige ininterrottamente le sue forze per promuovere il proprio sviluppo (43). A svolgere questa attività le membra della Chiesa sono sollecitate da quella carità con cui amano Dio e con cui desiderano condividere con tutti gli uomini i beni spirituali della vita presente e della vita futura.
Grazie a questa attività missionaria, infine, Dio è pienamente glorificato, nel senso che gli uomini accolgono in forma consapevole e completa la sua opera salvatrice, che egli ha compiuto nel Cristo. Sempre grazie ad essa si realizza il piano di Dio, a cui Cristo in spirito di obbedienza e di amore si consacrò per la gloria del Padre che l'aveva mandato (44) che tutto il genere umano costituisca un solo popolo di Dio, si riunisca nell'unico corpo di Cristo, sia edificato in un solo tempio dello Spirito Santo; tutto ciò, mentre favorisce la concordia fraterna, risponde all'intimo desiderio di tutti gli uomini. Così finalmente si compie davvero il disegno del Creatore, che creò l'uomo a sua immagine e somiglianza, quando tutti quelli che sono partecipi della natura umana, rigenerati in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, riflettendo insieme la gloria di Dio, potranno dire: «Padre nostro» (45).
L'attività missionaria nella vita e nella storia 8 L'attività missionaria è anche intimamente congiunta con la natura umana e con le sue aspirazioni. Difatti la Chiesa, per il fatto stesso che annuncia loro il Cristo, rivela agli uomini in maniera genuina la verità intorno alla loro condizione e alla loro vocazione integrale, poiché è Cristo il principio e il modello dell'umanità nuova, cioè di quell'umanità permeata di amore fraterno, di sincerità, di spirito di pace, che tutti vivamente desiderano. Cristo e la Chiesa, che a lui con la sua predicazione evangelica rende testimonianza, superano i particolarismi di razza e di nazionalità, sicché a nessuno e in nessun luogo possono apparire estranei (46). Il Cristo è la verità e la via, che la predicazione evangelica a tutti svela, facendo loro intendere le parole da lui stesso pronunciate: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). E poiché chi non crede è già condannato (47), è evidente che le parole di Cristo sono insieme parole di condanna e di grazia, di morte e di vita. Soltanto facendo morire ciò che è vecchio possiamo pervenire al rinnovamento della vita: e questo vale anzitutto per le persone, ma vale anche per i vari beni di questo mondo, contrassegnati insieme dal peccato dell'uomo e dalla benedizione di Dio: «tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23). Ora nessuno di per se stesso e con le sue forze riesce a liberarsi dal peccato e ad elevarsi in alto, nessuno è in grado di affrancarsi dalla sua debolezza, dalla sua solitudine o dalla sua schiavitù (48) tutti han bisogno del Cristo come di un esempio, di un maestro, di un liberatore, di un salvatore, come di colui che dona la vita. Ed effettivamente nella storia umana, anche dal punto di vista temporale, il Vangelo ha sempre rappresentato un fermento di libertà e di progresso, e si presenta sempre come fermento di fraternità, di umiltà e di pace. Ben a ragione, dunque, Cristo viene esaltato dai fedeli come «l'atteso delle genti ed il loro salvatore» (49).
Carattere escatologico dell'attività missionaria 9 Pertanto, il periodo dell'attività missionaria si colloca tra la prima e la seconda venuta di Cristo, in cui la Chiesa, qual messe, sarà raccolta dai quattro venti nel regno di Dio (50). Prima appunto della venuta del Signore, il Vangelo deve essere annunziato a tutte le nazioni (51).
L'attività missionaria non è altro che la manifestazione, cioè l'epifania e la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia: con essa Dio conduce chiaramente a termine la storia della salvezza. Con la parola della predicazione e con la celebrazione dei sacramenti, di cui è centro e vertice la santa eucaristia, essa rende presente il Cristo, autore della salvezza. Purifica dalle scorie del male ogni elemento di verità e di grazia presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio e lo restituisce al suo autore, cioè a Cristo, che distrugge il regno del demonio e arresta la multiforme malizia del peccato. Perciò ogni elemento di bene presente e riscontrabile nel cuore e nell'anima umana o negli usi e civiltà particolari dei popoli, non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato per la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicità dell'uomo (52). Così l'attività missionaria tende alla sua pienezza escatologica (53) grazie ad essa, infatti, secondo il modo e il tempo che il Padre ha riservato al suo potere (54), si estende il popolo di Dio, in vista del quale è stato detto in maniera profetica: «Allarga lo spazio della tua tenda, distendi i teli dei tuoi padiglioni! Non accorciare!» (Is 54,2) (55), grazie ad essa cresce il corpo mistico fino alla misura dell'età della pienezza di Cristo (56); grazie ad essa il tempio spirituale, in cui si adora Dio in spirito e verità (57), si amplia e si edifica sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, mentre ne è pietra angolare lo stesso Cristo Gesù (cfr. Ef 2,20). _______________________ NOTE
(34) Già S. TOMMASO D’AQ. parla della missione apostolica di impiantare la Chiesa: cf. Sent. Lib. I, dist. 16, q. 1, a. 2 ad 2 e ad 4; a. 3 sol.; Summa Theol., I, q. 43, a. 7 ad 6; I-II, q. 106, a. 4 ad 4. Cf. BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 445 e 453; PIO XI, Rerum Ecclesiae, 28 feb. 1926: AAS 18 (1926), p. 74; PIO XII, 30 apr. 1939, ai Direttori delle PP. OO. MM.; ID., 24 giug. 1944, ai Direttori delle PP. OO. MM: AAS 36 (1944), p. 210; di nuovo in AAS 42 (1950), p. 727, e 43 (1951), p. 508; ID., 29 giu. 1948 al clero indigeno: AAS 40 (1948), p. 374; ID., Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507; ID., Fidei Donum, 15 genn. 1957: AAS 49 (1957), p. 236; GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 835; PAOLO VI, Om., 18 ott. 1964: AAS 55 (1964), p. 911. Sia i Sommi Pontefici che i Padri e gli Scolastici parlano della dilatazione della Chiesa: S. TOMMASO D’AQ., Comm. in Matt., 16, 28; LEONE XIII, Enc. Sancta Dei Civitas, 3 dic. 1880: ASS 13 (1880), p. 241; BENEDETTO XV, Enc. Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 442; PIO XI, Enc. Rerum Ecclesiae, 28 feb. 1926: AAS 18 (1926), p. 65.
(35) Cf. 1 Pt 1,23.
(36) Cf. At 2,42.
(37) Com’è evidente, in questa nozione di attività missionaria sono ovviamente incluse anche quelle parti dell’America Latina nelle quali non ci sono né una propria Gerarchia, né una maturità di vita cristiana, né una sufficiente predicazione del Vangelo. Che poi tali terre siano di fatto riconosciute come di missione dalla Santa Sede non dipende dal Concilio. Per questo, quanto alla connessione tra la nozione di attività missionaria e determinati territori è detto di proposito che questa attività viene svolta “per lo più” in certi territori riconosciuti dalla Santa Sede.
(38) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 1: AAS 57 (1965), p. 90 [pag. 305ss].
(39) Cf. Mc 16,16; Gv 3,5.
(40) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 14: AAS 57 (1965), p. 18 [pag. 147ss].
(41) Cf. Eb 11,6.
(42) Cf. 1 Cor 9,16.
(43) Cf. Ef 4,11-16.
(44) Cf. Gv 7,18; 8,30 e 44; 8,50; 17,1.
(45) Su questa idea sintetica vedi la dottrina di sant’IRENEO sulla Ricapitolazione. Cf. anche IPPOLITO, De Antichristo, 3: “Volendo tutti e desiderando salvare tutti, volendo essere a capo di tutti i figli di Dio e chiamando tutti i santi in un solo uomo perfetto...”: PG 10, 732; GCS Ippolito I, 2, p. 6; Benedictiones Iacob, 7: T.U., 38-1, p. 18, lin. 4ss; ORIGENE, In Ioann., Tom. I, n. 16: “Unico sarà allora l’atto di conoscere Dio di coloro che sono giunti a Dio, guidati da quel Verbo che è presso Dio, perché così tutti i figli siano pienamente formati nella conoscenza del Padre, come ora il solo Figlio conosce il Padre”: PG 14, 49; GCS Orig. IV, 20; S. AGOSTINO, De sermone Domini in monte, I, 41: “Amiamo quello che con noi può condurre a quei regni, dove nessuno dice: Padre mio, ma tutti all’unico Dio: Padre nostro”: PL 34, 1250; S. CIRILLO D’ALESS., In Ioann. I: “Siamo tutti in Cristo e il carattere comune dell’umanità rivive in lui. Perciò viene detto anche nuovo Adamo... Abitò infatti in noi colui che per natura è Figlio e Dio, per questo gridiamo nel suo Spirito: Abbà, Padre! Il Verbo abita in tutti come in un solo tempio, cioè quello che ha assunto per noi e da noi, perché, avendo tutti in se stesso, ci riconciliasse tutti in un solo corpo, come dice Paolo”: PG 73, 161-164.
(46) BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 445: “Come la Chiesa di Dio è cattolica e non è estranea a nessun popolo o nazione...”. Cf. GIOVANNI XXIII, Mater et Magistra: “La Chiesa è universale per diritto divino... Inserendosi nella vita dei popoli, non è né si sente mai una istituzione che venga imposta dal di fuori... E quanto in lui rappresenta un valore, qualunque ne sia la natura, viene riaffermato e nobilitato” (cioè, coloro che sono rinati in Cristo): 25 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 444.
(47) Cf. Gv 3,18.
(48) Cf. IRENEO, Adv. Haer., III, 15 n. 3: PG 7, 919: “Furono predicatori della verità e apostoli della libertà”.
(49) Breviario romano, Ant. O [al Magnificat] ai vespri del 23 dicembre.
(50) Cf. Mt 24,31; Didachè, 10,5: FUNK I, p. 32.
(51) Cf. Mc 13,10.
(52) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 17: AAS 57 (1965), pp. 20-21 [pag. 153ss]; S. AGOSTINO, De Civitate Dei, 19, 17: PL 41, 646; Istr. della S. C. di P. F.: Collectanea I, n. 135, p. 42.
(53) Secondo Origene, il Vangelo dev’essere predicato prima della consumazione di questo mondo: Hom. in Luc. XXI: GCS Orig. IX, 136, 21s; In Matth. comm. ser., 39: XI, 75, 25s; Hom. in Ierem., III, 2: VIII, 308, 29s; S. TOMMASO, Summ. Theol., I-II, q. 106, a. 4, ad 4.
(54) Cf. At 1,7.
(55) ILARIO DI POIT., In Ps. 14: PL 9, 301; EUSEBIO DI CESAREA, In Isaiam 54, 2-3: PG 24, 462-463; CIRILLO D’ALESS., In Isaiam V, cap. 54, 1-3: PG 70, 1193.
(56) Cf. Ef 4,13.
(57) Cf. Gv 4,23.
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Approfondimenti
La “missio Dei”: la missione appartiene a Dio La missione è opera di Dio, prima che di coloro che la servono in suo nome! Da questa affermazione traiamo due semplici conclusioni. La prima riguarda l’apertura di orizzonte che questa tesi ha comportato. La missione non è una scelta pratica per l’ampliamento della Chiesa ma è l’opera di Dio per questa umanità. Il testo di Ad Gentes 4 menziona questo fatto presentandolo come opera dello Spirito «nel mondo» già prima della Pentecoste; il n. 7 ribadisce questo agire di Dio «attraverso vie che lui solo conosce» a persone che «senza loro colpa ignorano il vangelo»: nel suo insieme, questa ripresa di Lumen Gentium 168 è di tipo concessivo e perciò limitata ma non si dovrebbe dimenticare né Gaudium et Spes al n. 22 né Redemptoris Missio ai numeri 10 e 20 che la completano. Più che un commento a questi testi può essere utile richiamare un testo di P. Evdokimov che Chiara Lubich aveva la consuetudine di citare, specie nei dialoghi interreligiosi come in quelli con il buddismo giapponese: «noi sappiamo dove è la Chiesa ma non ci è dato di giudicare e dire dove non è». Quello che i testi e le parole ricordate possono dirci è chiaro: vi è un mistero – quello dell’amore di Dio – che avvolge il mondo e la storia umana; è un mistero che non si comprende in termini puramente razionali ma che si percepisce nelle sue dinamiche di agape e di kenosis solo con una vita spirituale intensa. Non ci si impadronisce del mistero ma lo si accoglie e lo si vive come pienezza. Ma se questa è l’esperienza del nostro credere, allora non posso che condividere quanto suggerisce S. Bevans: appoggiandosi a J. Dunn e K. Kim, nella relazione tenuta al Seminario voluto dalla rivista Ad Gentes nella tarda estate del 2011, S. Bevans ha osservato che, se la missione è l’opera di Dio, «allora il primo atto missionario è il discernimento per scoprire il modo in cui lo Spirito si sta muovendo nel mondo per unirsi a quel movimento».
Questo porta in primo piano la problematica dei segni dei tempi e la questione del discernimento. Il discernimento è un interrogarsi sui cambiamenti in atto alla luce della Parola così da ritrovare al suo seguito la bellezza del disegno di Dio. In questo impegno quale il senso della missione? In termini molto generici, possiamo dire che la missione è uno sguardo positivo sulla realtà per leggerla alla luce del vangelo e per trovare in quella Parola, che è sapienza e dinamismo creativo, la forza per metterla in pratica. Ad Gentes 1 indica nella Chiesa – «sacramento universale di salvezza», «sale della terra e luce del mondo» – il vero soggetto della missione e le affida l’incarico di «salvare e rinnovare ogni creatura» riportando ogni cosa all’originario disegno divino. Si tratta di un disegno che il n. 2 descrive come centrato su «la gloria di Dio e la nostra felicità». Il n. 3 assegna alla Chiesa il compito storico di “stabilire la shalom”, descritta come comunione con Dio e fraternità umana; il nesso tra le due cose è tale che non si può rivolgersi a Dio trascurando la causa della persona umana e viceversa. Il n. 4 lega la missione allo Spirito, da sempre all’opera nella storia dell’umanità: lo Spirito «vivifica come loro anima le istituzioni ecclesiastiche, infonde nel cuore dei fedeli lo spirito missionario di Gesù e previene, accompagna e dirige l’azione apostolica».
L’azione missionaria della Chiesa è descritta su questa base ed è già molto. Va detto però che l’essere discepoli di Cristo e l’esserlo in modo missionario ci ha insegnato – in questi dopo il Concilio Vaticano II – l’impegno per la persona umana e l’attenzione ai poveri, la consapevolezza del valore della diversità e la fiducia nell’universalità dell’amore. Mentre le chiese occidentali sono alle prese con il dibattito tra fede e appartenenza, le chiese asiatiche e africane hanno preso in mano il Vangelo e, pur nella sofferenza e non di rado nel martirio, hanno cominciato a viverlo. Ci hanno offerto una testimonianza semplice e chiara, gioiosa e fresca anche nella sua ritualità, esperienziale e piena di vita anche se poco dotta. Non a caso tutti i discorsi sulla recezione del Concilio sono occidentali; le chiese del sud del mondo, più semplicemente, cercano di viverlo. L’interrogativo che ci accompagna oggi è nitido: come sarà la missione del futuro?
La “traditio fidei”: la comunicazione della fede appartiene alla Chiesa Se il cuore della missione è la missio Dei, la trasmissione della fede appartiene alla Chiesa. «Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo» (Evangelii Nuntiandi 14). La traditio fidei è espressione della missio Dei: il suo orizzonte è fissato dall’universalità dell’amore trinitario, è rivelato nella forma della kénosis di Gesù ed ha come contenuto l’agape divina. Tuttavia questa traditio è una realtà tipicamente umana che, in quanto tale, spetta alla Chiesa. Va detto subito che, poiché la fede – legata alla rivelazione divina – è struttura di verità, molte volte facciamo fatica ad accettare quelle forme di comunicazione che passano attraverso la diversità delle posizioni, il problematizzare, il dialogare, l’essere incerti, il complesso maturare delle scelte personali. Riduciamo tutto all’annunciare e all’insegnare; da poco abbiamo cominciato a porre l’accento sul testimoniare. Inoltre la comunicazione religiosa, una volta al centro delle dinamiche sociali, è oggi notevolmente ridimensionata; all’attenzione dei media, se mai, sta il papa ma non certo il parroco o il teologo. Troviamo qui uno dei punti nodali della missione: come comunicare il vangelo? con quali modalità? come mantenere alla comunicazione della fede uno spessore di senso che non l’abbandoni nel puro ambito della soggettività, della realtà virtuale, del simulacro?
Senza addentrarmi in questioni tecniche, osservo che il nostro tempo è sempre più segnato dal superamento della monodirezionalità del comunicare e dalla valorizzazione della interattività con notevoli conseguenze sul piano delle relazioni interpersonali ed interculturali. Inoltre l’appropriazione commerciale dell’altro – musica, vestiti, cibo, ciondoli – ha evidenziato una maniera di concepire le relazioni che resta di stile coloniale, senza nessuna volontà di conoscenza o di dialogo con il suo mondo. A fronte della tecnicità di queste tematiche, la missione appare una realtà quasi dilettantesca e lo stesso impegno della comunità cristiana in questo ambito appare piuttosto marginale.
Al di là di molte osservazioni, vorrei arrischiare anch’io qualche indicazione. In un libro giustamente famoso, Roger P. Schroeder e Stephen B. Bevan hanno offerto un quadro che esplicita i temi fondativi della missione, le sue costanti, il suo contesto ed anche la sua spiritualità. Al centro vi è un dialogo profetico che chiede alla Chiesa una audace umiltà. A questo lavoro ed a quello di David J. Bosch non si può che rimandare. Io vorrei semplicemente richiamare tre atteggiamenti tra i tanti che si potrebbero ricordare.
Il primo è la centralità della testimonianza. Resta fondamentale al riguardo il testo di Evangelii Nuntiandi 41, un testo più citato che praticato: «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri; […] è dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità». La testimonianza è poi completata da un insieme di atteggiamenti ben richiamati in Evangelii Gaudium 21-23: «la gioia del vangelo che riempie la vita della comunità», «la libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse» dai nostri intenti e dalle nostre previsioni ed, infine, «l’intimità itinerante» che lega la Chiesa a Gesù. Ecclesia in Asia descrive questo bisogno di valori spirituali ed, al n. 22, chiede di «dimostrare sensibilità al patrimonio religioso e culturale delle persone tra le quali vivono e che servono».
Il secondo è il coraggio di una sapienza capace di riconciliare dolori e sofferenze e di aprire nuovi orizzonti. L’umanità di Gesù è il modello di questi comportamenti: mostra a tutti un amore liberante che rivela il mistero profondo di Dio e include poveri, peccatori ed emarginati; non cuce una stoffa nuova su un vestito vecchio e non mette vino nuovo in otri vecchi ma proclama la novità del regno che è cominciato. E lo fa in comunione con tutte le persone di buona volontà, specie le persone che hanno una fede. Radicata nell’agape trinitario, la missione «sarà in grado di preservare la validità dei “fini” di tutte le religioni, rendendo al contempo un’umile testimonianza alla travolgente ricchezza del “fine” religioso cristiano dell’intima comunione con Dio, con gli altri e con la totalità del creato».
Un ultimo aspetto oggi segnato da viva riscoperta, ma ugualmente bisognoso di attenzione ed evangelizzazione, è la religiosità popolare. Non vi è dubbio infatti che, non di rado, rimanga in forme rituali prive di una autentica adesione di fede. Evangelii Nuntiandi 48 indica però tre aspetti che sarà bene tenere presenti: il primo è la manifestazione di «una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere»; il secondo riguarda il senso acuto di alcuni attributi di Dio quali «la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante» ed il terzo è l’insieme di atteggiamenti interiori non semplici quali «pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione». Non dovrebbe essere proprio della carità pastorale valorizzare queste importanti dimensioni ed aiutare a superare i rischi di deviazioni? Mantenere il vangelo di Gesù al centro della vita della Chiesa non riguarda solo la Chiesa o i missionari ma riguarda tutti noi; credo che l’augurio più bello che si può fare al termine di questa tre giorni sia alla fin fine questo: tocca a noi, a ciascuno di noi, riscoprire la bellezza del vangelo e lasciare che il vento della sua gioia ci renda felici comunicatori della grandezza rinnovante e riconciliante dell’amore di Dio.