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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO I

PRINCIPI DOTTRINALI

L'attività missionaria della Chiesa

6 Questo compito, che l'ordine episcopale, a capo del quale si trova il successore di Pietro, deve realizzare con la collaborazione e la preghiera di tutta la Chiesa, è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo. Le differenze quindi, che pur vanno tenute presenti in questa attività della Chiesa, non nascono dalla natura intrinseca della sua missione, ma solo dalle circostanze in cui la missione stessa si esplica.

Tali condizioni dipendono sia dalla Chiesa, sia dai popoli, dai gruppi umani o dagli uomini, a cui la missione è indirizzata. Difatti la Chiesa, pur possedendo in forma piena e totale i mezzi atti alla salvezza, né sempre né subito agisce o può agire in maniera completa: nella sua azione, tendente alla realizzazione del piano divino, essa conosce inizi e gradi; anzi talvolta, dopo inizi felici, deve registrare dolorosamente un regresso, o almeno si viene a trovare in uno stadio di inadeguatezza e di insufficienza. Per quanto riguarda poi gli uomini, i gruppi e i popoli, solo gradatamente essa può raggiungerli e conquistarli, assumendoli così nella pienezza cattolica. A qualsiasi condizione o stato devono poi corrispondere atti appropriati e strumenti adeguati.

Le iniziative principali con cui i divulgatori del Vangelo, andando nel mondo intero, svolgono il compito di predicarlo e di fondare la Chiesa in mezzo ai popoli ed ai gruppi umani che ancora non credono in Cristo, sono chiamate comunemente «missioni»: esse si realizzano appunto con l'attività missionaria e si svolgono per lo più in determinati territori riconosciuti dalla santa Sede. Fine specifico di questa attività missionaria è la evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in seno a quei popoli e gruppi umani in cui ancora non è radicata (34). Così è necessario che dal seme della parola di Dio si sviluppino Chiese particolari autoctone, fondate dovunque nel mondo in numero sufficiente. Chiese che, ricche di forze proprie e di una propria maturità e fornite adeguatamente di una gerarchia propria, unita al popolo fedele, nonché di mezzi consoni al loro genio per viver bene la vita cristiana, portino il loro contributo a vantaggio di tutta quanta la Chiesa. Il mezzo principale per questa fondazione è la predicazione del Vangelo di Gesù Cristo, per il cui annunzio il Signore inviò nel mondo intero i suoi discepoli, affinché gli uomini, rinati mediante la parola di Dio (35), siano con il battesimo aggregati alla Chiesa, la quale, in quanto corpo del Verbo incarnato, riceve nutrimento e vita dalla parola di Dio e dal pane eucaristico (36).

In questa attività missionaria della Chiesa si verificano a volte condizioni diverse e mescolate le une alle altre: prima c'è l'inizio o la fondazione, poi il nuovo sviluppo o periodo giovanile. Ma, anche terminate queste fasi, non cessa l'azione missionaria della Chiesa: tocca anzi alle Chiese particolari già organizzate continuarla, predicando il Vangelo a tutti quelli che sono ancora al di fuori.

Inoltre i gruppi umani in mezzo ai quali si trova la Chiesa spesso per varie ragioni cambiano radicalmente, donde possono scaturire situazioni del tutto nuove. In questo caso la Chiesa deve valutare se esse sono tali da richiedere di nuovo la sua azione missionaria. Ed ancora, si danno a volte delle circostanze che, almeno temporaneamente, rendono impossibile l'annunzio diretto ed immediato del messaggio evangelico. In questo caso i missionari possono e debbono con pazienza e prudenza, e nello stesso tempo con grande fiducia, offrire almeno la testimonianza della carità e della bontà di Cristo, preparando così le vie del Signore e rendendolo in qualche modo presente.

È evidente quindi che l'attività missionaria scaturisce direttamente dalla natura stessa della Chiesa essa ne diffonde la fede salvatrice, ne realizza l'unità cattolica diffondendola, si regge sulla sua apostolicità, mette in opera il senso collegiale della sua gerarchia, testimonia infine, diffonde e promuove la sua santità. Così l'attività missionaria tra i pagani differisce sia dalla attività pastorale che viene svolta in mezzo ai fedeli, sia dalle iniziative da prendere per ristabilire l'unità dei cristiani. Tuttavia queste due forme di attività si ricongiungono saldamente con l'attività missionaria della Chiesa (37) la divisione dei cristiani è infatti di grave pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo a tutti gli uomini (38) ed impedisce a molti di abbracciare la fede. Così la necessità della missione chiama tutti i battezzati a radunarsi in un solo gregge ed a rendere testimonianza in modo unanime a Cristo, loro Signore, di fronte alle nazioni. Essi, se ancora non possono testimoniare pienamente l'unità di fede, debbono almeno essere animati da reciproca stima e amore.

Ragioni dell'attività missionaria 7 La ragione dell'attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio, ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, uomo anche lui, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,4-6), «e non esiste in nessun altro salvezza» (At 4,12). È dunque necessario che tutti si convertano al Cristo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, ed a lui e alla Chiesa, suo corpo, siano incorporati attraverso il battesimo (39). Cristo stesso infatti, «ribadendo espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Mc 16,16; Gv 3,5), ha confermato simultaneamente la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano, per così dire, attraverso la porta del battesimo. Per questo non possono salvarsi quegli uomini i quali, pur sapendo che la Chiesa cattolica è stata stabilita da Dio per mezzo di Gesù Cristo come istituzione necessaria, tuttavia rifiutano o di entrare o di rimanere in essa» (40). Benché quindi Dio, attraverso vie che lui solo conosce, possa portare gli uomini che senza loro colpa ignorano il Vangelo a quella fede «senza la quale è impossibile piacergli» (41), è tuttavia compito imprescindibile della Chiesa (42), ed insieme suo sacrosanto diritto, diffondere il Vangelo; di conseguenza l'attività missionaria conserva in pieno – oggi come sempre – la sua validità e necessità.

Grazie ad essa il corpo mistico di Cristo raccoglie e dirige ininterrottamente le sue forze per promuovere il proprio sviluppo (43). A svolgere questa attività le membra della Chiesa sono sollecitate da quella carità con cui amano Dio e con cui desiderano condividere con tutti gli uomini i beni spirituali della vita presente e della vita futura.

Grazie a questa attività missionaria, infine, Dio è pienamente glorificato, nel senso che gli uomini accolgono in forma consapevole e completa la sua opera salvatrice, che egli ha compiuto nel Cristo. Sempre grazie ad essa si realizza il piano di Dio, a cui Cristo in spirito di obbedienza e di amore si consacrò per la gloria del Padre che l'aveva mandato (44) che tutto il genere umano costituisca un solo popolo di Dio, si riunisca nell'unico corpo di Cristo, sia edificato in un solo tempio dello Spirito Santo; tutto ciò, mentre favorisce la concordia fraterna, risponde all'intimo desiderio di tutti gli uomini. Così finalmente si compie davvero il disegno del Creatore, che creò l'uomo a sua immagine e somiglianza, quando tutti quelli che sono partecipi della natura umana, rigenerati in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, riflettendo insieme la gloria di Dio, potranno dire: «Padre nostro» (45).

L'attività missionaria nella vita e nella storia 8 L'attività missionaria è anche intimamente congiunta con la natura umana e con le sue aspirazioni. Difatti la Chiesa, per il fatto stesso che annuncia loro il Cristo, rivela agli uomini in maniera genuina la verità intorno alla loro condizione e alla loro vocazione integrale, poiché è Cristo il principio e il modello dell'umanità nuova, cioè di quell'umanità permeata di amore fraterno, di sincerità, di spirito di pace, che tutti vivamente desiderano. Cristo e la Chiesa, che a lui con la sua predicazione evangelica rende testimonianza, superano i particolarismi di razza e di nazionalità, sicché a nessuno e in nessun luogo possono apparire estranei (46). Il Cristo è la verità e la via, che la predicazione evangelica a tutti svela, facendo loro intendere le parole da lui stesso pronunciate: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). E poiché chi non crede è già condannato (47), è evidente che le parole di Cristo sono insieme parole di condanna e di grazia, di morte e di vita. Soltanto facendo morire ciò che è vecchio possiamo pervenire al rinnovamento della vita: e questo vale anzitutto per le persone, ma vale anche per i vari beni di questo mondo, contrassegnati insieme dal peccato dell'uomo e dalla benedizione di Dio: «tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23). Ora nessuno di per se stesso e con le sue forze riesce a liberarsi dal peccato e ad elevarsi in alto, nessuno è in grado di affrancarsi dalla sua debolezza, dalla sua solitudine o dalla sua schiavitù (48) tutti han bisogno del Cristo come di un esempio, di un maestro, di un liberatore, di un salvatore, come di colui che dona la vita. Ed effettivamente nella storia umana, anche dal punto di vista temporale, il Vangelo ha sempre rappresentato un fermento di libertà e di progresso, e si presenta sempre come fermento di fraternità, di umiltà e di pace. Ben a ragione, dunque, Cristo viene esaltato dai fedeli come «l'atteso delle genti ed il loro salvatore» (49).

Carattere escatologico dell'attività missionaria 9 Pertanto, il periodo dell'attività missionaria si colloca tra la prima e la seconda venuta di Cristo, in cui la Chiesa, qual messe, sarà raccolta dai quattro venti nel regno di Dio (50). Prima appunto della venuta del Signore, il Vangelo deve essere annunziato a tutte le nazioni (51).

L'attività missionaria non è altro che la manifestazione, cioè l'epifania e la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia: con essa Dio conduce chiaramente a termine la storia della salvezza. Con la parola della predicazione e con la celebrazione dei sacramenti, di cui è centro e vertice la santa eucaristia, essa rende presente il Cristo, autore della salvezza. Purifica dalle scorie del male ogni elemento di verità e di grazia presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio e lo restituisce al suo autore, cioè a Cristo, che distrugge il regno del demonio e arresta la multiforme malizia del peccato. Perciò ogni elemento di bene presente e riscontrabile nel cuore e nell'anima umana o negli usi e civiltà particolari dei popoli, non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato per la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicità dell'uomo (52). Così l'attività missionaria tende alla sua pienezza escatologica (53) grazie ad essa, infatti, secondo il modo e il tempo che il Padre ha riservato al suo potere (54), si estende il popolo di Dio, in vista del quale è stato detto in maniera profetica: «Allarga lo spazio della tua tenda, distendi i teli dei tuoi padiglioni! Non accorciare!» (Is 54,2) (55), grazie ad essa cresce il corpo mistico fino alla misura dell'età della pienezza di Cristo (56); grazie ad essa il tempio spirituale, in cui si adora Dio in spirito e verità (57), si amplia e si edifica sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, mentre ne è pietra angolare lo stesso Cristo Gesù (cfr. Ef 2,20). _______________________ NOTE

(34) Già S. TOMMASO D’AQ. parla della missione apostolica di impiantare la Chiesa: cf. Sent. Lib. I, dist. 16, q. 1, a. 2 ad 2 e ad 4; a. 3 sol.; Summa Theol., I, q. 43, a. 7 ad 6; I-II, q. 106, a. 4 ad 4. Cf. BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 445 e 453; PIO XI, Rerum Ecclesiae, 28 feb. 1926: AAS 18 (1926), p. 74; PIO XII, 30 apr. 1939, ai Direttori delle PP. OO. MM.; ID., 24 giug. 1944, ai Direttori delle PP. OO. MM: AAS 36 (1944), p. 210; di nuovo in AAS 42 (1950), p. 727, e 43 (1951), p. 508; ID., 29 giu. 1948 al clero indigeno: AAS 40 (1948), p. 374; ID., Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507; ID., Fidei Donum, 15 genn. 1957: AAS 49 (1957), p. 236; GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 835; PAOLO VI, Om., 18 ott. 1964: AAS 55 (1964), p. 911. Sia i Sommi Pontefici che i Padri e gli Scolastici parlano della dilatazione della Chiesa: S. TOMMASO D’AQ., Comm. in Matt., 16, 28; LEONE XIII, Enc. Sancta Dei Civitas, 3 dic. 1880: ASS 13 (1880), p. 241; BENEDETTO XV, Enc. Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 442; PIO XI, Enc. Rerum Ecclesiae, 28 feb. 1926: AAS 18 (1926), p. 65.

(35) Cf. 1 Pt 1,23.

(36) Cf. At 2,42.

(37) Com’è evidente, in questa nozione di attività missionaria sono ovviamente incluse anche quelle parti dell’America Latina nelle quali non ci sono né una propria Gerarchia, né una maturità di vita cristiana, né una sufficiente predicazione del Vangelo. Che poi tali terre siano di fatto riconosciute come di missione dalla Santa Sede non dipende dal Concilio. Per questo, quanto alla connessione tra la nozione di attività missionaria e determinati territori è detto di proposito che questa attività viene svolta “per lo più” in certi territori riconosciuti dalla Santa Sede.

(38) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 1: AAS 57 (1965), p. 90 [pag. 305ss].

(39) Cf. Mc 16,16; Gv 3,5.

(40) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 14: AAS 57 (1965), p. 18 [pag. 147ss].

(41) Cf. Eb 11,6.

(42) Cf. 1 Cor 9,16.

(43) Cf. Ef 4,11-16.

(44) Cf. Gv 7,18; 8,30 e 44; 8,50; 17,1.

(45) Su questa idea sintetica vedi la dottrina di sant’IRENEO sulla Ricapitolazione. Cf. anche IPPOLITO, De Antichristo, 3: “Volendo tutti e desiderando salvare tutti, volendo essere a capo di tutti i figli di Dio e chiamando tutti i santi in un solo uomo perfetto...”: PG 10, 732; GCS Ippolito I, 2, p. 6; Benedictiones Iacob, 7: T.U., 38-1, p. 18, lin. 4ss; ORIGENE, In Ioann., Tom. I, n. 16: “Unico sarà allora l’atto di conoscere Dio di coloro che sono giunti a Dio, guidati da quel Verbo che è presso Dio, perché così tutti i figli siano pienamente formati nella conoscenza del Padre, come ora il solo Figlio conosce il Padre”: PG 14, 49; GCS Orig. IV, 20; S. AGOSTINO, De sermone Domini in monte, I, 41: “Amiamo quello che con noi può condurre a quei regni, dove nessuno dice: Padre mio, ma tutti all’unico Dio: Padre nostro”: PL 34, 1250; S. CIRILLO D’ALESS., In Ioann. I: “Siamo tutti in Cristo e il carattere comune dell’umanità rivive in lui. Perciò viene detto anche nuovo Adamo... Abitò infatti in noi colui che per natura è Figlio e Dio, per questo gridiamo nel suo Spirito: Abbà, Padre! Il Verbo abita in tutti come in un solo tempio, cioè quello che ha assunto per noi e da noi, perché, avendo tutti in se stesso, ci riconciliasse tutti in un solo corpo, come dice Paolo”: PG 73, 161-164.

(46) BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 445: “Come la Chiesa di Dio è cattolica e non è estranea a nessun popolo o nazione...”. Cf. GIOVANNI XXIII, Mater et Magistra: “La Chiesa è universale per diritto divino... Inserendosi nella vita dei popoli, non è né si sente mai una istituzione che venga imposta dal di fuori... E quanto in lui rappresenta un valore, qualunque ne sia la natura, viene riaffermato e nobilitato” (cioè, coloro che sono rinati in Cristo): 25 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 444.

(47) Cf. Gv 3,18.

(48) Cf. IRENEO, Adv. Haer., III, 15 n. 3: PG 7, 919: “Furono predicatori della verità e apostoli della libertà”.

(49) Breviario romano, Ant. O [al Magnificat] ai vespri del 23 dicembre.

(50) Cf. Mt 24,31; Didachè, 10,5: FUNK I, p. 32.

(51) Cf. Mc 13,10.

(52) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 17: AAS 57 (1965), pp. 20-21 [pag. 153ss]; S. AGOSTINO, De Civitate Dei, 19, 17: PL 41, 646; Istr. della S. C. di P. F.: Collectanea I, n. 135, p. 42.

(53) Secondo Origene, il Vangelo dev’essere predicato prima della consumazione di questo mondo: Hom. in Luc. XXI: GCS Orig. IX, 136, 21s; In Matth. comm. ser., 39: XI, 75, 25s; Hom. in Ierem., III, 2: VIII, 308, 29s; S. TOMMASO, Summ. Theol., I-II, q. 106, a. 4, ad 4.

(54) Cf. At 1,7.

(55) ILARIO DI POIT., In Ps. 14: PL 9, 301; EUSEBIO DI CESAREA, In Isaiam 54, 2-3: PG 24, 462-463; CIRILLO D’ALESS., In Isaiam V, cap. 54, 1-3: PG 70, 1193.

(56) Cf. Ef 4,13.

(57) Cf. Gv 4,23.

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Approfondimenti

La “missio Dei”: la missione appartiene a Dio La missione è opera di Dio, prima che di coloro che la servono in suo nome! Da questa affermazione traiamo due semplici conclusioni. La prima riguarda l’apertura di orizzonte che questa tesi ha comportato. La missione non è una scelta pratica per l’ampliamento della Chiesa ma è l’opera di Dio per questa umanità. Il testo di Ad Gentes 4 menziona questo fatto presentandolo come opera dello Spirito «nel mondo» già prima della Pentecoste; il n. 7 ribadisce questo agire di Dio «attraverso vie che lui solo conosce» a persone che «senza loro colpa ignorano il vangelo»: nel suo insieme, questa ripresa di Lumen Gentium 168 è di tipo concessivo e perciò limitata ma non si dovrebbe dimenticare né Gaudium et Spes al n. 22 né Redemptoris Missio ai numeri 10 e 20 che la completano. Più che un commento a questi testi può essere utile richiamare un testo di P. Evdokimov che Chiara Lubich aveva la consuetudine di citare, specie nei dialoghi interreligiosi come in quelli con il buddismo giapponese: «noi sappiamo dove è la Chiesa ma non ci è dato di giudicare e dire dove non è». Quello che i testi e le parole ricordate possono dirci è chiaro: vi è un mistero – quello dell’amore di Dio – che avvolge il mondo e la storia umana; è un mistero che non si comprende in termini puramente razionali ma che si percepisce nelle sue dinamiche di agape e di kenosis solo con una vita spirituale intensa. Non ci si impadronisce del mistero ma lo si accoglie e lo si vive come pienezza. Ma se questa è l’esperienza del nostro credere, allora non posso che condividere quanto suggerisce S. Bevans: appoggiandosi a J. Dunn e K. Kim, nella relazione tenuta al Seminario voluto dalla rivista Ad Gentes nella tarda estate del 2011, S. Bevans ha osservato che, se la missione è l’opera di Dio, «allora il primo atto missionario è il discernimento per scoprire il modo in cui lo Spirito si sta muovendo nel mondo per unirsi a quel movimento».

Questo porta in primo piano la problematica dei segni dei tempi e la questione del discernimento. Il discernimento è un interrogarsi sui cambiamenti in atto alla luce della Parola così da ritrovare al suo seguito la bellezza del disegno di Dio. In questo impegno quale il senso della missione? In termini molto generici, possiamo dire che la missione è uno sguardo positivo sulla realtà per leggerla alla luce del vangelo e per trovare in quella Parola, che è sapienza e dinamismo creativo, la forza per metterla in pratica. Ad Gentes 1 indica nella Chiesa – «sacramento universale di salvezza», «sale della terra e luce del mondo» – il vero soggetto della missione e le affida l’incarico di «salvare e rinnovare ogni creatura» riportando ogni cosa all’originario disegno divino. Si tratta di un disegno che il n. 2 descrive come centrato su «la gloria di Dio e la nostra felicità». Il n. 3 assegna alla Chiesa il compito storico di “stabilire la shalom”, descritta come comunione con Dio e fraternità umana; il nesso tra le due cose è tale che non si può rivolgersi a Dio trascurando la causa della persona umana e viceversa. Il n. 4 lega la missione allo Spirito, da sempre all’opera nella storia dell’umanità: lo Spirito «vivifica come loro anima le istituzioni ecclesiastiche, infonde nel cuore dei fedeli lo spirito missionario di Gesù e previene, accompagna e dirige l’azione apostolica».

L’azione missionaria della Chiesa è descritta su questa base ed è già molto. Va detto però che l’essere discepoli di Cristo e l’esserlo in modo missionario ci ha insegnato – in questi dopo il Concilio Vaticano II – l’impegno per la persona umana e l’attenzione ai poveri, la consapevolezza del valore della diversità e la fiducia nell’universalità dell’amore. Mentre le chiese occidentali sono alle prese con il dibattito tra fede e appartenenza, le chiese asiatiche e africane hanno preso in mano il Vangelo e, pur nella sofferenza e non di rado nel martirio, hanno cominciato a viverlo. Ci hanno offerto una testimonianza semplice e chiara, gioiosa e fresca anche nella sua ritualità, esperienziale e piena di vita anche se poco dotta. Non a caso tutti i discorsi sulla recezione del Concilio sono occidentali; le chiese del sud del mondo, più semplicemente, cercano di viverlo. L’interrogativo che ci accompagna oggi è nitido: come sarà la missione del futuro?

La “traditio fidei”: la comunicazione della fede appartiene alla Chiesa Se il cuore della missione è la missio Dei, la trasmissione della fede appartiene alla Chiesa. «Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo» (Evangelii Nuntiandi 14). La traditio fidei è espressione della missio Dei: il suo orizzonte è fissato dall’universalità dell’amore trinitario, è rivelato nella forma della kénosis di Gesù ed ha come contenuto l’agape divina. Tuttavia questa traditio è una realtà tipicamente umana che, in quanto tale, spetta alla Chiesa. Va detto subito che, poiché la fede – legata alla rivelazione divina – è struttura di verità, molte volte facciamo fatica ad accettare quelle forme di comunicazione che passano attraverso la diversità delle posizioni, il problematizzare, il dialogare, l’essere incerti, il complesso maturare delle scelte personali. Riduciamo tutto all’annunciare e all’insegnare; da poco abbiamo cominciato a porre l’accento sul testimoniare. Inoltre la comunicazione religiosa, una volta al centro delle dinamiche sociali, è oggi notevolmente ridimensionata; all’attenzione dei media, se mai, sta il papa ma non certo il parroco o il teologo. Troviamo qui uno dei punti nodali della missione: come comunicare il vangelo? con quali modalità? come mantenere alla comunicazione della fede uno spessore di senso che non l’abbandoni nel puro ambito della soggettività, della realtà virtuale, del simulacro?

Senza addentrarmi in questioni tecniche, osservo che il nostro tempo è sempre più segnato dal superamento della monodirezionalità del comunicare e dalla valorizzazione della interattività con notevoli conseguenze sul piano delle relazioni interpersonali ed interculturali. Inoltre l’appropriazione commerciale dell’altro – musica, vestiti, cibo, ciondoli – ha evidenziato una maniera di concepire le relazioni che resta di stile coloniale, senza nessuna volontà di conoscenza o di dialogo con il suo mondo. A fronte della tecnicità di queste tematiche, la missione appare una realtà quasi dilettantesca e lo stesso impegno della comunità cristiana in questo ambito appare piuttosto marginale.

Al di là di molte osservazioni, vorrei arrischiare anch’io qualche indicazione. In un libro giustamente famoso, Roger P. Schroeder e Stephen B. Bevan hanno offerto un quadro che esplicita i temi fondativi della missione, le sue costanti, il suo contesto ed anche la sua spiritualità. Al centro vi è un dialogo profetico che chiede alla Chiesa una audace umiltà. A questo lavoro ed a quello di David J. Bosch non si può che rimandare. Io vorrei semplicemente richiamare tre atteggiamenti tra i tanti che si potrebbero ricordare.

Il primo è la centralità della testimonianza. Resta fondamentale al riguardo il testo di Evangelii Nuntiandi 41, un testo più citato che praticato: «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri; […] è dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità». La testimonianza è poi completata da un insieme di atteggiamenti ben richiamati in Evangelii Gaudium 21-23: «la gioia del vangelo che riempie la vita della comunità», «la libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse» dai nostri intenti e dalle nostre previsioni ed, infine, «l’intimità itinerante» che lega la Chiesa a Gesù. Ecclesia in Asia descrive questo bisogno di valori spirituali ed, al n. 22, chiede di «dimostrare sensibilità al patrimonio religioso e culturale delle persone tra le quali vivono e che servono».

Il secondo è il coraggio di una sapienza capace di riconciliare dolori e sofferenze e di aprire nuovi orizzonti. L’umanità di Gesù è il modello di questi comportamenti: mostra a tutti un amore liberante che rivela il mistero profondo di Dio e include poveri, peccatori ed emarginati; non cuce una stoffa nuova su un vestito vecchio e non mette vino nuovo in otri vecchi ma proclama la novità del regno che è cominciato. E lo fa in comunione con tutte le persone di buona volontà, specie le persone che hanno una fede. Radicata nell’agape trinitario, la missione «sarà in grado di preservare la validità dei “fini” di tutte le religioni, rendendo al contempo un’umile testimonianza alla travolgente ricchezza del “fine” religioso cristiano dell’intima comunione con Dio, con gli altri e con la totalità del creato».

Un ultimo aspetto oggi segnato da viva riscoperta, ma ugualmente bisognoso di attenzione ed evangelizzazione, è la religiosità popolare. Non vi è dubbio infatti che, non di rado, rimanga in forme rituali prive di una autentica adesione di fede. Evangelii Nuntiandi 48 indica però tre aspetti che sarà bene tenere presenti: il primo è la manifestazione di «una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere»; il secondo riguarda il senso acuto di alcuni attributi di Dio quali «la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante» ed il terzo è l’insieme di atteggiamenti interiori non semplici quali «pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione». Non dovrebbe essere proprio della carità pastorale valorizzare queste importanti dimensioni ed aiutare a superare i rischi di deviazioni? Mantenere il vangelo di Gesù al centro della vita della Chiesa non riguarda solo la Chiesa o i missionari ma riguarda tutti noi; credo che l’augurio più bello che si può fare al termine di questa tre giorni sia alla fin fine questo: tocca a noi, a ciascuno di noi, riscoprire la bellezza del vangelo e lasciare che il vento della sua gioia ci renda felici comunicatori della grandezza rinnovante e riconciliante dell’amore di Dio.

da: Ad Gentes – A. Trevisiol, 2015

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO I

PRINCIPI DOTTRINALI

La missione del Figlio 3 Questo piano universale di Dio per la salvezza del genere umano non si attua soltanto in una maniera per così dire segreta nell'animo degli uomini, o mediante quelle iniziative anche religiose, con cui essi variamente cercano Dio, nello sforzo di raggiungerlo magari a tastoni e di trovarlo, quantunque egli non sia lontano da ciascuno di noi (cfr. At 17,27): tali iniziative infatti devono essere illuminate e raddrizzate, anche se per benigna disposizione della divina Provvidenza possono costituire in qualche caso un avviamento pedagogicamente valido verso il vero Dio o una preparazione al Vangelo (8). Ma Dio, al fine di stabilire la pace, cioè la comunione con sé, e di realizzare tra gli uomini stessi – che sono peccatori – una unione fraterna, decise di entrare in maniera nuova e definitiva nella storia umana, inviando il suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro, per sottrarre a suo mezzo gli uomini dal potere delle tenebre e del demonio (9) ed in lui riconciliare a sé il mondo (10) . Colui dunque, per opera del quale aveva creato anche l'universo (11) Dio lo costituì erede di tutte quante le cose, per restaurare tutto in lui (12).

Ed in effetti Cristo Gesù fu inviato nel mondo quale autentico mediatore tra Dio e gli uomini. Poiché è Dio, in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9); nella natura umana, invece, egli è il nuovo Adamo, è riempito di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14) ed è costituito capo dell'umanità nuova. Pertanto il Figlio di Dio ha percorso la via di una reale incarnazione per rendere gli uomini partecipi della natura divina; per noi egli si è fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà (13). Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto dei molti, cioè di tutti (14). I santi Padri affermano costantemente che non fu redento quel che da Cristo non fu assunto (15). Ora egli assunse la natura umana completa, quale essa esiste in noi, infelici e poveri, ma una natura che in lui è senza peccato (16) . Di se stesso infatti il Cristo, dal Padre consacrato ed inviato nel mondo (cfr. Gv 10,36), affermò: «Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha consacrato con la sua unzione, mi ha inviato a portare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito, ad annunziare ai prigionieri la libertà ed a restituire ai ciechi la vista» (Lc 4,18); ed ancora: «Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare quello che era perduto» (Lc 19,10).

Ora tutto quanto il Signore ha una volta predicato o in lui si è compiuto per la salvezza del genere umano, deve essere annunziato e diffuso fino all'estremità della terra (17), a cominciare da Gerusalemme (18). In tal modo quanto una volta è stato operato per la salvezza di tutti, si realizza compiutamente in tutti nel corso dei secoli.

La missione dello Spirito Santo 4 Per il raggiungimento di questo scopo, Cristo inviò da parte del Padre lo Spirito Santo, perché compisse dal di dentro la sua opera di salvezza e stimolasse la Chiesa a estendersi. Indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato (19). Ma fu nel giorno della Pentecoste che esso si effuse sui discepoli, per rimanere con loro in eterno (20); la Chiesa apparve ufficialmente di fronte alla moltitudine ed ebbe inizio attraverso la predicazione la diffusione del Vangelo in mezzo ai pagani; infine fu prefigurata l'unione dei popoli nell'universalità della fede attraverso la Chiesa della Nuova Alleanza, che in tutte le lingue si esprime e tutte le lingue nell'amore intende e abbraccia, vincendo così la dispersione babelica (21). Fu dalla Pentecoste infatti che cominciarono gli «atti degli apostoli», allo stesso modo che per l'opera dello Spirito Santo nella vergine Maria Cristo era stato concepito, e per la discesa ancora dello Spirito Santo sul Cristo che pregava questi era stato spinto a cominciare il suo ministero (22). E lo stesso Signore Gesù, prima di immolare in assoluta libertà la sua vita per il mondo, organizzò il ministero apostolico e promise l'invio dello Spirito Santo, in modo che entrambi collaborassero, sempre e dovunque, nella realizzazione dell'opera della salvezza (23). Ed è ancora lo Spirito Santo che in tutti i tempi «unifica la Chiesa tutta intera nella comunione e nel ministero e la fornisce dei diversi doni gerarchici e carismatici» (24) vivificando – come loro anima – le istituzioni ecclesiastiche (25) ed infondendo nel cuore dei fedeli quello spirito missionario da cui era stato spinto Gesù stesso. Talvolta anzi previene visibilmente l'azione apostolica (26), come incessantemente, sebbene in varia maniera, l'accompagna e la dirige (27).

La missione della Chiesa 5 Il Signore Gesù, fin dall'inizio «chiamò presso di sé quelli che voleva e ne costituì dodici che stessero con lui e li mandò a predicare» (Mc 3,13; cfr. Mt 10,1-42) (28). Gli apostoli furono dunque ad un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia. In seguito, una volta completati in se stesso con la sua morte e risurrezione i misteri della nostra salvezza e dell'universale restaurazione, il Signore, a cui competeva ogni potere in cielo ed in terra (29), prima di salire al cielo (30), fondò la sua Chiesa come sacramento di salvezza ed inviò i suoi apostoli nel mondo intero, come egli a sua volta era stato inviato dal Padre (31) e comandò loro: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io vi ho comandato» (Mt 28,19-20); «Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi invece non crederà, sarà condannato » (Mc 16,15). Da qui deriva alla Chiesa l'impegno di diffondere la fede e la salvezza del Cristo, sia in forza dell'esplicito mandato che l'ordine episcopale, coadiuvato dai sacerdoti ed unito al successore di Pietro, supremo pastore della Chiesa, ha ereditato dagli apostoli, sia in forza di quell'influsso vitale che Cristo comunica alle sue membra: «Da lui infatti tutto quanto il corpo, connesso e compaginato per ogni congiuntura e legame, secondo l'attività propria di ciascuno dei suoi organi cresce e si autocostruisce nella carità» (Ef 4,16).

Pertanto la missione della Chiesa si esplica attraverso un'azione tale, per cui essa, in adesione all'ordine di Cristo e sotto l'influsso della grazia e della carità dello Spirito Santo, si fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli con l'esempio della vita, con la predicazione, con i sacramenti e con i mezzi della grazia, alla fede, alla libertà ed alla pace di Cristo, rendendo loro facile e sicura la possibilità di partecipare pienamente al mistero di Cristo.

Questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo, inviato appunto a portare la buona novella ai poveri; per questo è necessario che la Chiesa, sempre sotto l'influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, egli uscì vincitore. Proprio con questa speranza procedettero tutti gli apostoli, che con le loro molteplici tribolazioni e sofferenze completarono quanto mancava ai patimenti di Cristo a vantaggio del suo corpo, la Chiesa (32). E spesso anche il sangue dei cristiani fu seme fecondo (33). _______________________ NOTE

(8) Cf. S. IRENEO, Adv. Haer. III, 18, 1: “Il Verbo, esistente presso Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, e che era sempre vicino al genere umano...”: PG 7, 932; id. IV, 6, 7: “Infatti il Figlio, vicino fin dall’inizio alla sua creatura, rivela il Padre a tutti quelli che il Padre vuole, e quando vuole e come vuole”: ib. 990; cf. IV, 20, 6 e 7: ib. 1037; Dimostrazione n. 34: Patr. Or. XII, 773; Sources Chrét. 62, Paris 1958, p. 87; CLEMENTE D’ALESS., Protrept., 112, 1: GCS Clemens I, 79; Strom. VI, 6, 44, 1: GCS Clemens II, 453; 13, 106, 3 e 4: ibid. 485. Per la stessa dottrina cf. PIO XII, Messaggio radiofon., 31 dic. 1952; CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 16: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 151ss].

(9) Cf. Col 1,13; At 10,38.

(10) Cf. 2 Cor 5,19.

(11) Cf. Col 1,13; At 10,38.

(12) Cf. Eb 1,2; Gv 1,3 e 10; 1 Cor 8,6; Col 1,16.

(13) Cf. Ef 1,10.

(14) Cf. Mc 10,45.

(15) Cf. S. ATANASIO, Ep. ad Epictetum, 7: PG 26, 1060; S. CIRILLO DI GERUS., Catech. 4,9: PG 33, 465; MARIO VITTORINO, Adv. Arium, 3, 3,: PL 8, 1101; S. BASILIO, Epist. 261, 2: PG 32, 969; S. GREGORIO DI NAZ., Epist. 101: PG 37, 181; S. GREG. DI NISSA, Anthirreticus, Adv. Apollin., 17: PG 45, 1156; S. AMBROGIO, Epist. 48, 5: PL 16, 1153; S. AGOSTINO, In Ioan. Ev. tr. XXIII, 6: PL 35, 1585; C.Chr. 36, 236; inoltre in questo modo dimostra che lo Spirito Santo non ci ha redenti, perché non si incarnato: De Agone Christ. 22,24: PL 40, 302; S. CIRILLO DI ALESS., Adv. Nestor. I, 1: PG 76, 20; S. FULGENZIO, Epist. 17, 3, 5: PL 65, 454; Ad Trasimundum, III, 21: PL 65, 284: sulla tristezza e il timore.

(16) Cf. Eb 4,15; 9,28.

(17) Cf. At 1,8.

(18) Cf. Lc 24,47.

(19) E lo Spirito che ha parlato per mezzo dei profeti: Symb. Constantinopol.: Dz 150 (86) [Collantes 0.509]; S. LEONE MAGNO, Sermo 76: PL 54, 405-406: “Quando il giorno di Pentecoste lo Spirito Santo riempì i discepoli del Signore, non fu l’inizio della missione, ma un aumento di liberalità: perché i patriarchi, i profeti, i sacerdoti e tutti i santi, che erano vissuti nei tempi precedenti, erano stati animati dalla santificazione dello stesso Spirito..., benché la misura dei doni non fosse la stessa”. Anche Sermo 77, 1: PL 54, 412; LEONE XIII, Encicl. Divinum illud, 9 maggio 1897: ASS 29 (1897), pp. 650-651 [Dz 3329]. Anche S. GIOVANNI CRISOSTOMO, sebbene insista sull’originalità della discesa dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste: In Ef. c. 4, Om 10,1: PG 62, 75.

(20) Cf. Gv 14,16.

(21) I Ss. Padri parlano spesso della Babele e della Pentecoste: ORIGENE, In Genesim, c. 1: PG 12, 112; S. GREGORIO DI NAZ., Oratio 41, 16: PG 36, 449; S. GIOVANNI CRISOST., Hom. 2 in Pentec., 2: PG 50, 467; In Act. Apost.: PG 60,44; S. AGOSTINO, En. in Ps. 54, 11: PL 36, 636; CChr 39, 664s; Sermo 271: PL 38, 1245; S. CIRILLO DI ALESS., Glaphyra in Genesim II: PG 69, 79; S. GREGORIO MAGNO, Hom. in Evang., Lib. II, Om. 30, 4: PL 76, 1222; S. BEDA, In Hexaem., lib. III: PL 91, 125. Vedi anche il mosaico nell’atrio della Basilica di S. Marco a Venezia. La Chiesa parla tutte le lingue, e cos raccoglie tutti nella cattolicit della Fede: S. AGOSTINO, Sermones 266, 267, 268, 269: PL 38, 1225-1237; Sermo 175, 3: PL 38, 946; S. GIOVANNI CRISOST., In Ep. I ad Cor., Om. 35: PG 61, 296; S. CIRILLO DI ALESS. Fragm. in Act.: PG 74, 758; S. FULGENZIO, Sermo 8, 2-3: PL 65, 745-744. Sulla Pentecoste come consacrazione degli Apostoli alla missione cf. J.A. CRAMER, Catena in Acta SS. Apostolorum, Oxford 1838, p. 24s.

(22) Cf. Lc 3,22; 4,1; At 10,38.

(23) Cf. Gv 14-17; PAOLO VI, Discorso tenuto in Concilio il 14 sett. 1964: AAS 56 (1964), p. 807 [pag. 1215ss].

(24) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 4: AAS 57 (1965), p. 7 [pag. 119ss].

(25) S. AGOSTINO, Sermo 267, 4: PL 38, 1231: “Lo Spirito Santo adempie in tutta la Chiesa quello che adempie l’anima in tutte le membra di un solo corpo”. Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen Gentium, n. 7 (con la nota 8): AAS 57 (1965), p. 11 [pag. 125ss].

(26) Cf. At 10,44-47; 11,15; 15,8.

(27) Cf. At 4,8; 5,32; 8,26.29.39; 9,31; 10; 11,24-28; 13,2.4.9; 16,6-7; 20,22-23; 21,11 ecc.

(28) Cf. anche Mt 10,1-42.

(29) Cf. Mt 28,18.

(30) Cf. At 1,4-8.

(31) Cf. Gv 20,21.

(32) Cf. Col 1,24.

(33) TERTULLIANO, Apologeticum, 50,13: PL 1, 534; CChr I, 171.

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Approfondimenti

Contenuti principali del Decreto «Ad gentes»

Il decreto appartiene ai documenti «lunghi» del Concilio, e venne approvato come 14° dei sedici documenti. È diviso in 42 articoli, esposti in sei capitoli:

  1. I principi della dottrina missionaria,
  2. L’opera missionaria in se stessa: Testimonianza cristiana, Predicazione del Vangelo e la riunione del popolo di Dio, La formazione della comunità cristiana,
  3. Le Chiese particolari,
  4. I missionari,
  5. L’organizzazione dell’attività missionaria,
  6. La cooperazione missionaria.

È significativo il fatto che il primo capitolo sulla natura teologica delle missioni contiene più note della Scrittura e dei Padri che tutto il resto del decreto. È evidente che i Padri conciliari hanno voluto esprimere così una forte motivazione teologica della missio ad gentes. Negli altri cinque capitoli del Decreto, che espongono i temi classici, sono invece citati solo altri dieci documenti del Concilio Vaticano II già approvati, in modo speciale la Costituzione dogmatica Lumen Gentium e il Magistero ecclesiale sulle missioni degli ultimi 50 anni (prima del Concilio). Ad Gentes situa la missione nel cuore della Chiesa, e distingue chiaramente tra l’attività missionaria e lavoro ecumenico e pastorale: «Le iniziative principali con cui i divulgatori del Vangelo, andando nel mondo intero, svolgono il compito di predicarlo e di fondare la Chiesa in mezzo ai popoli e ai gruppi umani che ancora non credono in Cristo, sono chiamate comunemente ‘missioni’: esse si realizzano appunto con l’attività missionaria» (AG 6). Vediamo alcune idee forti del Decreto, che motivano la Chiesa ad essere sempre più missionaria.

Missio Dei – come motivazione di fondo.

Il ‘grande comando di Gesù’ («Andate in tutto il mondo!...» Mt 28,18-20) – che resta come la parola chiave per molti fratelli protestanti – è stato presentato in una visione più ampia e profonda. Il primo capitolo dottrinale inizia con il piano divino di salvezza che mette in evidenza che la radice originaria della missione della Chiesa è la vita trinitaria di Dio. Per mezzo del Figlio l’Amore del Padre raggiunge ogni uomo nelle forme e vie che solo Lui conosce. Compito della Chiesa è di comunicare instancabilmente questo amore divino, grazie all’azione dello Spirito Santo.

La natura missionaria della Chiesa.

L’indole missionaria viene sottolineata non tanto nel senso geografico, ma sopratutto nel senso teologico, in quanto il destinatario della «missione» non è solo il non-credente, ma anche il credente. «La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine» (AG 2). Occorre anche ricordare che alcuni si sono posti il problema (e se lo pongono tuttora) se questo allargamento del concetto missionario avesse involontariamente indebolito il significato della missione ad gentes. Riproponiamo questo «dubbio» come sollecitazione a tenere distinto e unito l’appello missionario. In effetti, anche nell’ultimo capitolo (Cooperazione) viene sottolineato il dovere di tutti e ciascuno nella Chiesa di contribuire alla missio ad gentes, secondo il proprio stato e carisma (tutti i fedeli, comunità cristiane, vescovi e sacerdoti, tutti gli istituti religiosi anche e tutti i laici.

La vocazione missionaria ad gentes (ad exteros, ad vitam).

Il decreto espone nel 4° capitolo «chi è il missionario» con tutte le implicazioni della sua formazione. La vocazione missionaria è per tutti i cristiani (AG 23). Chi è il missionario? Colui che è mandato dall’autorità ecclesiastica per proclamare il Vangelo a quelli che non conoscono ancora Gesù Cristo e fonda le nuove Chiese particolari (missionari espliciti). Nello stesso tempo però non c’è nessun cristiano che venga escluso dal compito di testimoniare Gesù, trasmettendo ad altri l’invito del Signore nella vita quotidiana e contribuendo all’attività missionaria esplicita secondo le sue possibilità.

da: Václav Klement, Ad Gentes, sull’attività missionaria della Chiesa (NPG 2012-07-75)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

PROEMIO 1 Inviata per mandato divino alle genti per essere «sacramento universale di salvezza» (1) la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità ed all'ordine specifico del suo fondatore (2), si sforza di portare l'annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. Ed infatti gli stessi apostoli, sui quali la Chiesa fu fondata, seguendo l'esempio del Cristo, « predicarono la parola della verità e generarono le Chiese» (3). È pertanto compito dei loro successori perpetuare quest'opera, perché «la parola di Dio corra e sia glorificata» (2Ts 3,1) ed il regno di Dio sia annunciato e stabilito su tutta quanta la terra.

D'altra parte, nella situazione attuale delle cose, in cui va profilandosi una nuova condizione per l'umanità, la Chiesa, sale della terra e luce del mondo (4), avverte in maniera più urgente la propria vocazione di salvare e di rinnovare ogni creatura, affinché tutto sia restaurato in Cristo e gli uomini costituiscano in lui una sola famiglia ed un solo popolo di Dio.

Pertanto questo santo Sinodo, nel rendere grazie a Dio per il lavoro meraviglioso svolto da tutta la Chiesa con zelo e generosità, desidera esporre i principi dell'attività missionaria e raccogliere le forze di tutti i fedeli, perché il popolo di Dio, attraverso la via stretta della croce possa dovunque diffondere il regno di Cristo Signore che abbraccia i secoli col suo sguardo (5), e preparare la strada alla sua venuta.

CAPITOLO I

PRINCIPI DOTTRINALI

Il piano divino di salvezza 2 La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine (6).

Questo piano scaturisce dall'amore nella sua fonte, cioè dalla carità di Dio Padre. Questi essendo il principio senza principio da cui il Figlio è generato e lo Spirito Santo attraverso il Figlio procede, per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberatrice ci crea ed inoltre per grazia ci chiama a partecipa re alla sua vita e alla sua gloria; egli per pura generosità ha effuso e continua ad effondere la sua divina bontà, in modo che, come di tutti è il creatore, così possa essere anche «tutto in tutti» (1Cor 15,28), procurando insieme la sua gloria e la nostra felicità. Ma piacque a Dio chiamare gli uomini a questa partecipazione della sua stessa vita non tanto in modo individuale e quasi senza alcun legame gli uni con gli altri, ma di riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero nell'unità (7) _______________________ NOTE

(1) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 48: AAS 57 (1965), p. 53 [pag. 233ss].

(2) Cf. Mc 16,15.

(3) S. AGOSTINO, Enarr. in Ps. 44, 23: PL 36, 508; CChr 38,150.

(4) Cf. Mt 5,13-14.

(5) Cf. Sir 36,19Vlg.

(6) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 2: AAS 57 (1965), pp. 5-6 [pag. 115ss].

(7) Cf. Gv 11,52.

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Approfondimenti

Un breve cenno storico

Il Decreto Ad gentes (De activitate missionali Ecclesiae) è il documento che ha ricevuto più voti dai vescovi al Concilio Vaticano II. Nello stesso tempo è uno dei documenti conciliari con una storia più travagliata. La Chiesa è inviata per ‘le nazioni’, ossia «ai popoli o gruppi umani non raggiunti dalla testimonianza delle comunità cristiane e dalla parola del Vangelo» (missio ad gentes). La Chiesa è per natura missionaria (AG 2), chiamata ad una missione senza limiti del tempo e fino agli estremi confini del mondo. Senza dubbio il Decreto Ad gentes ha dato una forte fondazione teologica di impronta essenzialmente missionaria alla missione evangelizzatrice e auto-coscienza ecclesiale. In parole semplici, ciò significa che tutti i fedeli sono chiamati a dare il loro contributo alla missionarietà della Chiesa cattolica. Durante il cammino conciliare, per le diverse esigenze dei Padri furono stese ben sette diverse bozze del Decreto. La presenza personale di Paolo VI nell’aula conciliare (prima presenza del Papa al Concilio durante i lavori!) all’inizio della seduta del 6 novembre 1964, quando si discuteva la sesta bozza, mostrò anche visivamente l’interesse del Papa al tema e la pregnanza di esso nella fase di ripensamento di se stessa della Chiesa. Proprio quel giorno il cardinale Grégoire-Pierre Agagiagian, Prefetto di Propaganda Fide, annunciò la visita del Papa in India come un gesto concreto del suo interesse per le missioni. Ma anche la sesta bozza fu bocciata il 10 novembre 1964, così che una Commissione apposita dovette preparare la settima bozza per l’ultima sessione del Concilio, a partire dal settembre 1965. Così la spinta dei vescovi missionari appoggiati dalle prime generazioni dei vescovi autoctoni dell’Asia e Africa contribuì alla stesura finale del decreto missionario. Nel penultimo giorno del Concilio, 7 dicembre 1965, il Decreto fu votato all’unanimità con 2394 sì e solo 5 voti contrari, risultando il documento accettato con più consenso dai Padri conciliari. Ovviamente il Decreto è solo la punta dell’iceberg dello sviluppo delle missioni cattoliche del 20° secolo. Il Concilio Vaticano II ha portato insieme per la prima volta nella storia della Chiesa un’assemblea veramente ‘cattolica’ – dei vescovi autoctoni e missionari provenienti da tutti i cinque continenti. L’enciclica Fidei donum di Pio XII (1957) aveva lanciato un appello per la globale cooperazione missionaria; e altre due encicliche importanti con taglio missionario erano state pubblicate nel periodo conciliare: Princeps Pastorum (Giovanni XXIII, 1961) e Ecclesiam suam (Paolo VI, 1964). Soprattutto la fine del periodo coloniale europeo e la sorprendente crescita delle comunità cattoliche dell’Africa, negli ultimi 15 anni prima del Concilio (da 11 milioni dei cattolici fino a 25 milioni con 3.3 milioni di catecumeni), mostrava dei cambi epocali delle dinamiche missionarie.

Il decreto «Ad gentes» nell’insieme del Concilio Vaticano II

Come nei tempi del Concilio, anche oggi viviamo in un mondo dove circa il 70% della popolazione mondiale non conosce ancora Gesù Cristo. Il Decreto Ad gentes è connesso con la nuova visione di Chiesa della Lumen Gentium: Chiesa come universale sacramento di salvezza (LG 48) condivisa anche dagli altri documenti fondamentali del Concilio, come la Gaudium et Spes (45). Le parole di Gesù, che inviò i discepoli (Mt 28,18-20), erano tra le più citate durante tutto il Concilio. Anche le prime parole del Decreto riassumono il contenuto e il senso: «Inviata per mandato divino alle genti per essere ‘sacramento universale di salvezza’ la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità e all’ordine specifico del suo fondatore, si sforza di portare l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini» (AG 1). Di certo altri tre documenti del Vaticano II possono essere definiti «missionari» per la loro prospettiva: Lumen Gentium, Gaudium et Spes e Nostra Aetate. Però Ad gentes è un documento specifico, che tratta esclusivamente dell’attività missionaria. La missio ad gentes nel mondo globalizzato pieno di profondi cambi culturali e sociali, a distanza di quasi cinquanta anni dal Vaticano II, pone ancora le stesse domande che troviamo nei principali documenti del Concilio. Che senso ha proclamare oggi Gesù Cristo quale «insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» (DV 2) nel mondo pluriculturale e plurireligioso, segnato dalla libertà religiosa? Che senso ha l’affermazione di appartenere alla Chiesa cattolica, quando «quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna» (LG 16)? Che valore hanno oggi ancora i sacramenti «che conferiscono certamente la grazia» (SC 59), quando non sono più i canali esclusivi della grazia, visto che «la verità e grazia è già presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio...» (AG 9). Ha ancora senso parlare di missionari e di ‘territori missionari’, oppure per la missio ad gentes basta che molti lavorino per il progresso umano con noi, anche se «negano facilmente Dio o la stessa religione...» (GS 7)? Durante il Concilio si è creato un consenso attorno ad una convinzione: che la missio ad gentes della Chiesa non è basata su un concetto territoriale, ma nell’essere Chiesa nello stato di missione, una Chiesa veramente missionaria. Così la missione è diventata punto centrale della vita di ogni Chiesa locale, di ogni credente. Il Decreto Ad gentes porta ad una rivoluzione copernicana teologica nelle missioni cattoliche, quando coscientemente non usa solo il termine «territori missionari» ma va più in profondità sull’impatto del Vangelo nei diversi gruppi umani e nella cultura. Al centro sta una Chiesa che testimonia e proclama Gesù morto e risorto per la salvezza di tutta l’umanità, una Chiesa «evangelizzata ed evangelizzatrice»: appunto, una Chiesa in stato di missione. Una Chiesa fedele a Gesù, il quale prima ha detto ai suoi discepoli «venite», e nell’ultima pagina dei Vangeli li invia dicendo «andate».

da: Václav Klement, Ad Gentes, sull’attività missionaria della Chiesa (NPG 2012-07-75)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

CONCLUSIONE 15 È manifesto che oggi gli esseri umani aspirano di poter professare liberamente la religione sia in forma privata che pubblica; anzi la libertà religiosa nella maggior parte delle costituzioni è già dichiarata diritto civile ed è solennemente proclamata in documenti internazionali (39).

Non mancano però regimi i quali, anche se nelle loro costituzioni riconoscono la libertà del culto religioso, si sforzano di stornare i cittadini dalla professione della religione e di rendere assai difficile e pericolosa la vita alle comunità religiose.

Il sacro Sinodo, mentre saluta con lieto animo quei segni propizi di questo tempo e denuncia con amarezza questi fatti deplorevoli, esorta i cattolici e invita tutti gli esseri umani a considerare con la più grande attenzione quanto la libertà religiosa sia necessaria, soprattutto nella presente situazione della famiglia umana.

È infatti manifesto che tutte le genti si vanno sempre più unificando, che si fanno sempre più stretti i rapporti fra gli esseri umani di cultura e religione diverse, mentre si fa ognora più viva in ognuno la coscienza della propria responsabilità personale. Per cui, affinché nella famiglia umana si instaurino e si consolidino relazioni di concordia e di pace, si richiede che ovunque la libertà religiosa sia munita di una efficace tutela giuridica e che siano osservati i doveri e i diritti supremi degli esseri umani attinenti la libera espressione della vita religiosa nella società.

Faccia Dio, Padre di tutti, che la famiglia umana, diligentemente elevando a metodo nei rapporti sociali l'esercizio della libertà religiosa, in virtù della grazia di Cristo e per l'azione dello Spirito Santo pervenga alla sublime e perenne «libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).

7 dicembre 1965 _______________________ NOTE

(39) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 295-296.

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Approfondimenti

Il cristianesimo non chiude la storia della salvezza entro i confini della storia della Chiesa. Piuttosto, nel solco della lezione del Concilio Vaticano II e nell’orizzonte dell’Enciclica Ecclesiam suam di san Paolo VI, la Chiesa apre l’intera storia umana all’azione dell’amore di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). La forma missionaria della Chiesa, iscritta nella disposizione stessa della fede, obbedisce alla logica del dono, ossia della grazia e della libertà, non a quella del contratto e dell’imposizione. La Chiesa è consapevole del fatto che, anche con le migliori intenzioni, questa logica è stata contraddetta – e sempre è a rischio di esserlo – a motivo di comportamenti difformi e incoerenti con la fede ricevuta. Nondimeno, noi cristiani professiamo con umile fermezza la nostra convinzione che la Chiesa sia sempre guidata dal Signore e sorretta dallo Spirito lungo la strada della sua testimonianza dell’azione salvifica di Dio nella vita di tutti i singoli e di tutti i popoli. E sempre nuovamente s’impegna ad onorare la sua vocazione storica, annunciando il vangelo della vera adorazione di Dio in spirito e verità. Lungo questa strada, in cui la libertà e la grazia s’incontrano nella fede, la Chiesa si rallegra di essere confermata dal Signore, che l’accompagna, e di essere sospinta dallo Spirito che la precede. Sempre di nuovo, perciò, dichiara la propria ferma intenzione di convertirsi alla fedeltà del cuore, del pensiero e delle opere che ristabiliscono la purezza della sua fede.

La testimonianza della fede cristiana abita il tempo e lo spazio della vita personale e comunitaria che sono propri della condizione umana. I cristiani sono consapevoli del fatto che questo tempo e questo spazio non sono spazi vuoti. E neppure spazi indistinti, ossia neutri e indifferenziati rispetto al senso, ai valori, alle convinzioni e ai desideri che danno forma alla cultura propriamente umana della vita. Essi sono spazi e tempi abitati dal dinamismo delle comunità e delle tradizioni, delle aggregazioni e delle appartenenze, delle istituzioni e del diritto. La più forte coscienza del pluralismo dei diversi modi di riconoscere e di attingere il senso della vita individuale e collettiva, che concorre alla formazione del consenso etico e alla manifestazione dell’assenso religioso, impegna giustamente la Chiesa nell’elaborazione di uno stile della testimonianza di fede assolutamente rispettoso della libertà individuale e del bene comune. Questo stile, lungi dall’attenuare la fedeltà all’evento salvifico, che è il tema dell’annuncio della fede, deve rendere ancora più trasparente la sua distanza da uno spirito di dominio, interessato alla conquista del potere fine a sé stesso. Proprio la fermezza con la quale il magistero definisce oggi l’uscita teologica da questo equivoco, consente alla Chiesa di sollecitare una più coerente elaborazione della dottrina politica.

Come membri del Popolo di Dio, ci proponiamo umilmente di rimanere fedeli al mandato del Signore, che invia i discepoli a tutti i popoli della terra per annunciare il Vangelo della misericordia di Dio (cf. Mt 28, 19-20; Mc 16, 15), Padre di tutti, per aprire liberamente i cuori alla fede nel Figlio, fatto uomo per la nostra salvezza. La Chiesa non confonde la propria missione con il dominio dei popoli del mondo e il governo della città terrena. Piuttosto vede nella pretesa di una reciproca strumentalizzazione del potere politico e della missione evangelica una tentazione maligna. Gesù rigettò l’apparente vantaggio di tale progetto come una seduzione diabolica (cf. Mt 4,8-10). Egli stesso respinse chiaramente il tentativo di trasformare il conflitto con i custodi della legge (religiosa e politica) in un conflitto indirizzato alla sostituzione del potere di governo delle istituzioni e della società. Gesù mise chiaramente in guardia i suoi discepoli anche sulla tentazione di conformarsi, nella cura pastorale della comunità cristiana, ai criteri e allo stile dei potenti della terra (cf. Mt 20,25; Mc 10,42; Lc 22,25). Il cristianesimo sa bene, dunque, quale significato e quale immagine deve assumere l’evangelizzazione del mondo. La sua apertura al tema della libertà religiosa è dunque una chiarificazione coerente con lo stile di un annuncio evangelico e di un appello alla fede che presuppongono l’assenza d’indebiti privilegi di certe politiche confessionali e la difesa dei giusti diritti della libertà di coscienza. Questa chiarezza, nello stesso tempo, richiede il pieno riconoscimento della dignità della professione di fede e della pratica del culto nella sfera pubblica. Nella logica della fede e della missione, la partecipazione attiva e riflessiva alla pacifica costruzione del legame sociale, come anche la generosa condivisione dell’interesse per il bene comune, sono implicazioni della testimonianza cristiana.

L’impegno culturale e sociale dell’agire credente, che si esprime anche nella costituzione di aggregazioni intermedie e nella promozione di iniziative pubbliche, è pure una dimensione di questo impegno, che i cristiani sono chiamati a condividere con ogni uomo e donna del loro tempo, indipendentemente dalle differenze di cultura e di religione. Nel dire “indipendentemente” non s’intende, naturalmente, che queste differenze devono essere ignorate e considerate insignificanti. Significa piuttosto che esse devono essere rispettate e giudicate come componenti vitali della persona e valorizzate congruamente nella ricchezza dei loro apporti alla vitalità concreta della sfera pubblica. La Chiesa non ha alcun motivo per scegliere una via della testimonianza diversa. Tutto sia fatto, raccomanda l’Apostolo Pietro, «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (1Pt 3,16). E non si vede nessun ragionevole argomento che debba imporre allo Stato di escludere la libertà della religione nel partecipare alla riflessione e alla promozione delle ragioni del bene comune nell’ambito della sfera pubblica. Lo Stato non può essere né teocratico, né ateo, né “neutro” (come indifferenza che finge l’irrilevanza della cultura religiosa e dell’appartenenza religiosa nella costituzione del soggetto democratico reale); piuttosto è chiamato a esercitare una “laicità positiva” nei confronti delle forme sociali e culturali che assicurano il necessario e concreto rapporto dello Stato di diritto con la comunità effettiva degli aventi diritto.

In questo modo il cristianesimo si dispone a sostenere la speranza di una comune destinazione all’approdo escatologico di un mondo trasfigurato, secondo la promessa di Dio (cf. Ap 21,1-8). La fede cristiana è consapevole del fatto che questa trasfigurazione è un dono dell’amore di Dio per la creatura umana e non il risultato dei propri sforzi di migliorare la qualità della vita personale o sociale. La religione esiste per tenere desta questa trascendenza del riscatto della giustizia della vita e del compimento della sua storia. Il cristianesimo, in particolare, è fondato sull’esclusione del delirio di onnipotenza di ogni messianismo mondano, laico o religioso che sia, il quale porta sempre schiavitù dei popoli e distruzione della casa comune. La cura del creato, affidato sin dall’inizio all’alleanza dell’uomo e della donna (cf. Gen 1,27-28), e l’amore del prossimo (cf. Mt 22,39), che sigilla la verità evangelica dell’amore di Dio, sono il tema di una responsabilità sulla quale tutti saremo giudicati – i cristiani per primi – alla fine del tempo donatoci da Dio per convertirci al suo amore. Il Regno di Dio è già in azione nella storia, in attesa dell’avvento del Signore, che ci introdurrà nel suo compimento. Lo Spirito che dice «Vieni!» (Ap 22,17), che raccoglie i gemiti della creazione (cf. Rom 8,22) e fa «nuove tutte le cose» (Ap 21,5) porta nel mondo il coraggio della fede che sostiene (cf. Rom 8,1-27), in favore di tutti, la bellezza della «ragione [logos] della speranza» (1Pt 3,15) che è in noi. E la libertà, per tutti, di ascoltarlo e di seguirlo.

da: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE – SOTTOCOMMISSIONE LIBERTÀ RELIGIOSA, La libertà religiosa per il bene di tutti – approccio teologico alle sfide contemporanee (2019)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

II. LA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE

La libertà della Chiesa 13 Fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell'agire goda di tanta libertà quanta le è necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani (32). È questa, infatti, la libertà sacra, di cui l'unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l'impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l'ordinamento giuridico della società Civile.

Nella società umana e dinanzi a qualsivoglia pubblico potere, la Chiesa rivendica a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino incombe l'obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura (33). Parimenti, la Chiesa rivendica a sé la libertà in quanto è una comunità di esseri umani che hanno il diritto di vivere nella società civile secondo i precetti della fede cristiana (34).

Ora, se vige un regime di libertà religiosa non solo proclamato a parole né solo sancito nelle leggi, ma con sincerità tradotto realmente nella vita, in tal caso la Chiesa, di diritto e di fatto, usufruisce di una condizione stabile per l'indipendenza necessaria all'adempimento della sua divina missione: indipendenza nella società, che le autorità ecclesiastiche hanno sempre più vigorosamente rivendicato (35). Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e la libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli esseri umani e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell'ordinamento giuridico delle società civili.

La missione della Chiesa 14 La Chiesa cattolica per obbedire al divino mandato: «Istruite tutte le genti» (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente «affinché la parola di Dio corra e sia glorificata» (2Ts 3,1).

La Chiesa esorta quindi ardentemente i suoi figli affinché « anzitutto si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti per tutti gli uomini... Ciò infatti è bene e gradito al cospetto del Salvatore e Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità» ( Tm 2, 1-4).

I cristiani, però, nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa (36). Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana. Inoltre i cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s'adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia (37) e con fortezza apostolica, fino all'effusione del sangue, « nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità» (2Cor 6,6-7).

Infatti il discepolo ha verso Cristo Maestro il dovere grave di conoscere sempre meglio la verità da lui ricevuta, di annunciarla fedelmente e di difenderla con fierezza, non utilizzando mai mezzi contrari allo spirito evangelico. Nello stesso tempo, però, la carità di Cristo lo spinge a trattare con amore, con prudenza e con pazienza gli esseri umani che sono nell'errore o nell'ignoranza circa la fede (38). Si deve quindi aver riguardo sia ai doveri verso Cristo, il Verbo vivificante che deve essere annunciato, sia ai diritti della persona umana, sia alla misura secondo la quale Dio attraverso il Cristo distribuisce la sua grazia agli esseri umani che vengono invitati ad accettare e a professare la fede liberamente. _______________________ NOTE

(32) Cf. LEONE XIII, Lettera Officio sanctissimo, 22 dic. 1887: ASS 20 (1887), p. 269; IDEM, Lettera Ex litteris, 7 aprile 1887: ASS 19 (1886), p. 465.

(33) Cf. Mc 16,15; Mt 28,18-20; PIO XII, Encicl. Summi Pontificatus, 20 ott. 1939: AAS 31 (1939), pp. 445-446.

(34) Cf. PIO XI, Lettera Firmissimam constantiam, 28 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 196.

(35) Cf. PIO XII, Discorso Ci riesce, 6 dic. 1953: AAS 45 (1953), p. 802.

(36) Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico, 23 marzo 1952: AAS 44 (1952), pp. 270-278.

(37) Cf. At 4,29.

(38) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 299-300 [in parte Dz 3996].

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Approfondimenti

La Chiesa proclama la libertà religiosa per tutti

La libertà religiosa può essere realmente garantita soltanto nell’orizzonte di una visione umanistica aperta alla cooperazione e alla convivenza, profondamente radicata nel rispetto per la dignità della persona e per la libertà della coscienza. Del resto, mutilata di quest’apertura umanistica, che opera come lievito della cultura civile, la stessa esperienza religiosa perde il suo autentico fondamento nella verità di Dio, e diventa vulnerabile alla corruzione dell’umano[86]. La sfida è alta. Gli adattamenti della religione alle forme del potere mondano, pur se giustificati in nome della possibilità di ottenere migliori vantaggi per la fede, sono una tentazione costante e un rischio permanente. La Chiesa deve sviluppare una particolare sensibilità nel discernimento di questo compromesso, impegnandosi costantemente nella sua purificazione dai cedimenti alla tentazione della “mondanità spirituale” [Cf. id., Es. Ap. Evangelii gaudium, nn. 93-97: AAS 105 (2013), 1059-1061]. La Chiesa deve esaminare sé stessa per ritrovare con sempre rinnovato slancio la via della vera adorazione di Dio «in spirito e verità» (Gv 4, 23) e dell’amore «di prima» (Ap 2, 4). Essa deve aprire, proprio attraverso questa continua conversione, l’accesso del Vangelo all’intimità del cuore umano, in quel punto in cui esso cerca – segretamente e anche inconsapevolmente – il riconoscimento del vero Dio e della religione vera. Il Vangelo è realmente capace di smascherare la manipolazione religiosa, che produce effetti di esclusione, di avvilimento, di abbandono e di separazione fra gli uomini.

In definitiva, la visione propriamente cristiana della libertà religiosa attinge la sua più profonda ispirazione alla fede nella verità del Figlio fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Per mezzo di Lui, il Padre attrae a sé tutti i figli dispersi e tutte le pecore senza pastore (cf. Gv 10, 11-16;12,32; Mt 9,36; Mc 6,34). E lo Spirito raccoglie i gemiti (cf. Rom 8, 22), anche i più confusi e impercettibili, della creatura in ostaggio delle potenze del peccato, trasformandoli in preghiera. Lo Spirito di Dio agisce comunque, liberamente e con potenza. Dove però l’essere umano è messo in grado di esprimere liberamente il suo gemito e la sua invocazione, l’azione dello Spirito diventa riconoscibile per tutti coloro che cercano la giustizia della vita. E la sua consolazione si fa testimonianza di un’umanità riconciliata. La libertà religiosa libera lo spazio per la coscienza universale di appartenere ad una comunità di origine e di destino che non vuole rinunciare a tenere viva l’attesa di una giustizia della vita che siamo in grado di riconoscere, ma incapaci di onorare con le nostre sole forze. Il mistero della ricapitolazione in Cristo di ogni cosa, custodisce, per noi e per tutti, l’amorevole attesa dei frutti dello Spirito per ognuno, e l’emozionato annuncio della venuta del Figlio, per tutti (cf. Ef 1, 3-14).

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IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

II. LA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE

Modo di agire di Cristo e degli apostoli 11 Dio chiama gli esseri umani al suo servizio in spirito e verità; per cui essi sono vincolati in coscienza a rispondere alla loro vocazione, ma non coartati. Egli, infatti, ha riguardo della dignità della persona umana da lui creata, che deve godere di libertà e agire con responsabilità. Ciò è apparso in grado sommo in Cristo Gesù, nel quale Dio ha manifestato se stesso e le sue vie in modo perfetto. Infatti Cristo, che è Maestro e Signore nostro (12), mite ed umile di cuore (13) ha invitato e attratto i discepoli pazientemente (14). Certo, ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e confortare la fede negli uditori, ma senza esercitare su di essi alcuna coercizione (15). Ha pure rimproverato l'incredulità degli uditori, lasciando però la punizione a Dio nel giorno del giudizio (16). Mandando gli apostoli nel mondo, disse loro: «Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non avrà creduto sarà condannato» (Mc 16,16). ma conoscendo che la zizzania è stata seminata con il grano, comandò di lasciarli crescere tutti e due fino alla mietitura che avverrà alla fine del tempo (17). Non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza (18) preferì essere chiamato Figlio dell'uomo che viene «per servire e dare la sua vita in redenzione di molti» (Mc 10,45). Si presentò come il perfetto servo di Dio (19) che «non rompe la canna incrinata e non smorza il lucignolo che fuma» (Mt 12,20). Riconobbe la potestà civile e i suoi diritti, comandando di versare il tributo a Cesare, ammonì però chiaramente di rispettare i superiori diritti di Dio: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). Finalmente ha ultimato la sua rivelazione compiendo nella croce l'opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà. Infatti rese testimonianza alla verità (20), però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si erige con la spada (21) ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell'amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani (22).

Gli apostoli, istruiti dalla parola e dall'esempio di Cristo, hanno seguito la stessa via. Fin dal primo costituirsi della Chiesa i discepoli di Cristo si sono adoperati per convertire gli esseri umani a confessare Cristo Signore, non però con un'azione coercitiva né con artifizi indegni del Vangelo, ma anzitutto con la forza della parola di Dio (23), Con coraggio annunziavano a tutti il proposito di Dio salvatore, «il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4); nello stesso tempo, però, avevano riguardo per i deboli, sebbene fossero nell'errore, mostrando in tal modo come «ognuno di noi renderà conto di sé a Dio» (Rm 14,12) (24) e sia tenuto ad obbedire soltanto alla propria coscienza. Come Cristo, gli apostoli hanno sempre cercato di rendere testimonianza alla verità di Dio, arditamente osando dinanzi al popolo e ai principi di «annunziare con fiducia la parola di Dio» (At 4,31) (25). Con ferma fede ritenevano che lo stesso Vangelo fosse realmente la forza di Dio per la salvezza di ogni credente (26). Sprezzando quindi tutte «le armi carnali» (27) seguendo l'esempio di mansuetudine e di modestia di Cristo, hanno predicato la parola di Dio (28) pienamente fiduciosi nella divina virtù di tale parola del distruggere le forze avverse a Dio e nell'avviare gli esseri umani alla fede e all'ossequio di Cristo (29), Come il Maestro, così anche gli apostoli hanno riconosciuto la legittima autorità civile: «Non vi è infatti potestà se non da Dio», insegna l'Apostolo, il quale perciò comanda: «Ognuno sia soggetto alle autorità in carica... Chi si oppone alla potestà, resiste all'ordine stabilito da Dio» (Rm 13,1-5) (30). Nello stesso tempo, però, non hanno avuto timore di resistere al pubblico potere che si opponeva alla santa volontà di Dio: «È necessario obbedire a Dio prima che agli uomini» (At 5,29) (31). La stessa via hanno seguito innumerevoli martiri e fedeli attraverso i secoli e in tutta la terra.

La Chiesa segue le tracce di Cristo e degli apostoli 12 La Chiesa pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell'uomo e alla rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce. Essa ha custodito e tramandato nel decorso dei secoli la dottrina ricevuta da Cristo e dagli apostoli. E quantunque nella vita del popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi ad esso contrari, tuttavia la dottrina della Chiesa, secondo la quale nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede, non è mai venuta meno.

Il fermento evangelico ha pure lungamente operato nell'animo degli esseri umani e molto ha contribuito perché gli uomini lungo i tempi riconoscessero più largamente e meglio la dignità della propria persona e maturasse la convinzione che la persona nella società deve essere immune da ogni umana coercizione in materia religiosa. _______________________ NOTE

(12) Cf. Gv 13,13.

(13) Cf. Mt 11,29.

(14) Cf. Mt 11,28-30; Gv 6,67-68.

(15) Cf. Mt 9,28-29; Mc 9,23-24; 6,5-6; PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 642-643.

(16) Cf. Mt 11,20-24; Rm 12,19-20; 2 Ts 1,8.

(17) Cf. Mt 13,30.40-42.

(18) Cf. Mt 4,8-10; Gv 6,15.

(19) Cf. Is 42,1-4.

(20) Cf. Gv 18,37.

(21) Cf. Mt 26,51-53; Gv 18,36.

(22) Cf. Gv 12,32.

(23) Cf. 1 Cor 2,3-5; 1 Ts 2,3-5.

(24) Cf. Rm 14,1-23; 1 Cor 8,9-13; 10,23-33.

(25) Cf. Ef 6,19-20.

(26) Cf. Rm 1,16.

(27) Cf. 2 Cor 10,4; 1 Ts 5,8-9.

(28) Cf. Ef 6,11-17.

(29) Cf. 2 Cor 10,3-5.

(30) Cf. 1 Pt 2,13-17.

(31) Cf. At 4,19-20.

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Approfondimenti

La libertà religiosa può essere realmente garantita soltanto nell’orizzonte di una visione umanistica aperta alla cooperazione e alla convivenza, profondamente radicata nel rispetto per la dignità della persona e per la libertà della coscienza. Del resto, mutilata di quest’apertura umanistica, che opera come lievito della cultura civile, la stessa esperienza religiosa perde il suo autentico fondamento nella verità di Dio, e diventa vulnerabile alla corruzione dell’umano [Cf. Francesco, Let. Enc. Laudato si’, nn. 115-121: AAS 107 (2015), 893-895]. La sfida è alta. Gli adattamenti della religione alle forme del potere mondano, pur se giustificati in nome della possibilità di ottenere migliori vantaggi per la fede, sono una tentazione costante e un rischio permanente. La Chiesa deve sviluppare una particolare sensibilità nel discernimento di questo compromesso, impegnandosi costantemente nella sua purificazione dai cedimenti alla tentazione della “mondanità spirituale” [Cf. id., Es. Ap. Evangelii gaudium, nn. 93-97: AAS 105 (2013), 1059-1061.]. La Chiesa deve esaminare sé stessa per ritrovare con sempre rinnovato slancio la via della vera adorazione di Dio «in spirito e verità» (Gv 4, 23) e dell’amore «di prima» (Ap 2, 4). Essa deve aprire, proprio attraverso questa continua conversione, l’accesso del Vangelo all’intimità del cuore umano, in quel punto in cui esso cerca – segretamente e anche inconsapevolmente – il riconoscimento del vero Dio e della religione vera. Il Vangelo è realmente capace di smascherare la manipolazione religiosa, che produce effetti di esclusione, di avvilimento, di abbandono e di separazione fra gli uomini.

  1. In definitiva, la visione propriamente cristiana della libertà religiosa attinge la sua più profonda ispirazione alla fede nella verità del Figlio fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Per mezzo di Lui, il Padre attrae a sé tutti i figli dispersi e tutte le pecore senza pastore (cf. Gv 10, 11-16; 12, 32; Mt 9, 36; Mc 6, 34). E lo Spirito raccoglie i gemiti (cf. Rom 8, 22), anche i più confusi e impercettibili, della creatura in ostaggio delle potenze del peccato, trasformandoli in preghiera. Lo Spirito di Dio agisce comunque, liberamente e con potenza. Dove però l’essere umano è messo in grado di esprimere liberamente il suo gemito e la sua invocazione, l’azione dello Spirito diventa riconoscibile per tutti coloro che cercano la giustizia della vita. E la sua consolazione si fa testimonianza di un’umanità riconciliata. La libertà religiosa libera lo spazio per la coscienza universale di appartenere ad una comunità di origine e di destino che non vuole rinunciare a tenere viva l’attesa di una giustizia della vita che siamo in grado di riconoscere, ma incapaci di onorare con le nostre sole forze. Il mistero della ricapitolazione in Cristo di ogni cosa, custodisce, per noi e per tutti, l’amorevole attesa dei frutti dello Spirito per ognuno, e l’emozionato annuncio della venuta del Figlio, per tutti (cf. Ef 1, 3-14).

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IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

II. LA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE

La dottrina della libertà religiosa affonda le radici nella Rivelazione 9 Quanto questo Concilio Vaticano dichiara sul diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l'esperienza dei secoli. Anzi, una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani. Quantunque, infatti, la Rivelazione non affermi esplicitamente il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa, fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà umana degli esseri umani nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di un tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione. Tutto ciò illustra i principi generali sopra cui si fonda la dottrina della presente dichiarazione sulla libertà religiosa. E anzitutto, la libertà religiosa nella società è in piena rispondenza con la libertà propria dell'atto di fede cristiana.

Libertà dell'atto di fede 10 Un elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri (8), è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà (9). Infatti, l'atto di fede è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli essere umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati (10) in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae (11) e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime di libertà religiosa contribuisce non poco a creare quell'ambiente sociale nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le manifestazioni della vita. _______________________ NOTE

(8) Cf. LATTANZIO, Divinarum Institutionum, Lib. V, 19: CSEL 19, pp. 463-464, 465; PL 6, 614 e 616 (capp. 20); S. AMBROGIO, Epistola ad Valentinianum Imp., Lett. 21: PL 16, 1005; S. AGOSTINO, Contra litteras Petiliani, lib. II, cap. 83: CSEL 52, p. 112; PL 43, 315; cf. C. 23, q. 5, c. 33 (ed. Friedberg, col. 939); IDEM, Ep. 23: PL 33, 98; IDEM, Ep. 34: PL 33,132; IDEM, Ep. 35: PL 33,135; S. GREGORIO MAGNO, Epistola ad Virgilium et Theodorum Episcopos Massiliae Galliarum, Registrum Epistolarum I, 45: MGH, Ep. I, p. 72; PL 77,510-511 (lib. I, ep. 47): IDEM, Epistola ad Iohannem Episcopum Constantinopolitanum, Registrum Epistolarum III, 52: MGH, Ep. I, p. 210; PL 77,649 (lib. III, ep. 53); cf. D. 45, c. 1 (ed. Friedberg, col. 160); SIN. DI TOLEDO IV, c. 57: MANSI 10, 633; cf. D. 45, c. 5 (ed. Friedberg, col. 161-162); CLEMENTE III: X, V, 6, 9: (ed. Friedberg, col. 774); INNOCENZO III, Epistola ad Arelatensem Archiepiscopum, X, III, 42, (ed. Friedberg, col. 646).

(9) Cf. CIC, can. 1351 [nel nuovo Codice can. 748 § 2]: PIO XII, Discorso ai Prelati Uditori e agli altri ufficiali e impiegati del Tribunale della S. Romana Rota, 6 ott. 1946: AAS 38 (1946), p. 394; IDEM, Encicl. Mystici Corporis, 29 giugno 1943: AAS 35 (1943), p. 243 [Dz 3822].

(10) Cf. Ef 1,5.

(11) Cf. Gv 6,44.

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Approfondimenti

La concezione cristiana dei diritti della persona – che troverebbe echi nell'antropologia esplicita o implicita di altre tradizioni religiose – sostiene che la libertà inerente al soggetto umano, è chiamata a vivere nella responsabilità per il bene di tutti. Tuttavia, non ha alcuna possibilità di crescere in forza e saggezza senza la mediazione di relazioni umanizzanti che aiutano questa libertà a impegnarsi, a educarsi, a rafforzarsi, e anche a trasmettersi, al di là delle alienazioni dove la pura individualità, abbassata ad individualismo, può solo vegetare. In altri termini, nessuna persona, di fatto, vive da sola nell’universo ma è sempre insieme ad altri con cui è chiamata a costituire una comunità [Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (2009), n. 41; Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, nn. 110, 149]. È stato da lungo tempo riconosciuto che non potremmo mai giudicare se una cosa sia meglio di un’altra se una consapevolezza elementare della verità non fosse già stata instillata in noi. Il giudizio della coscienza circa la giustizia dell’agire viene elaborato in base all’esperienza personale, attraverso la riflessione morale; e questo giudizio si definisce in rapporto con l’ethos comunitario che istruisce e rende apprezzabili i comportamenti virtuosi conformi alla verità dell’umano [Cf. Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale, n. 38]. In questo senso, le comunità di appartenenza (famiglia, nazione, religione) precedono l'individuo per accoglierlo e assisterlo nella grande avventura antropologica della sua personalizzazione integrale [Cf. Id., Comunione e servizio, nn. 41-45; Id., Fede e inculturazione, n. 1.6]. Qui viene verificata la forma storica e sociale di attuazione della natura umana, che comprende un movimento di reciproca integrazione tra verità e libertà.

Il riconoscimento della “pari dignità” delle persone, in ogni caso, non si risolve nella semplice formulazione giuridica degli “uguali diritti”. Una concezione troppo astratta e formale dell’uguaglianza giuridica dei singoli, nell’ambito della legalità istituzionale, tende a ignorare la ricchezza delle differenze che possono e devono essere valorizzate e messe in relazione come fonte di ricchezza umana, e non neutralizzate come se fossero, in sé stesse, fondamento di discriminazione e svuotamento dell’identità. D’altro canto, occorre distinguere le differenze che strutturano la condizione umana dall’arbitrio delle inclinazioni soggettive private. Lo Stato che si limitasse a registrare questi desideri soggettivi, trasformandoli in vincolo del diritto, senza alcun riconoscimento del suo rapporto con il bene comune, rischierebbe di indebolire il sostegno istituzionale delle ragioni etiche che proteggono il legame sociale [Cf. J. Ratzinger-Benedetto XVI, “La moltiplicazione dei diritti e la distruzione dell’idea di diritto” in: Liberare la libertà. Fede e politica nel Terzo Millennio, Cantagalli, Siena 2018, 9-15]. La tutela dell’umano, che è il nostro bene comune più prezioso, viene in tal modo esposta ad una inevitabile erosione, che finisce per danneggiare anche il singolo [In occasione del 60º anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la Santa Sede ha richiamato l’attenzione sul fatto che esiste oggi anche un problema di arbitrario riconoscimento di mere opzioni e inclinazioni, ideologicamente manipolate, che poco hanno a che fare con gli autentici diritti dell’uomo. In molti casi, l’idoneità di questi contenuti a rappresentare la dignità dell’umano universale non è realmente passata al vaglio del suo effettivo apporto al bene comune (cf. Mons. S. M. Tommasi, Intervento alla sesta sessione ordinaria del Consiglio dei diritti dell’uomo [10 dicembre 2007], Ginevra)]. In particolare, oggi lo riconosciamo con un’evidenza che in altre epoche non è stata così forte, l’uguale dignità della donna deve tradursi nel compiuto riconoscimento dei diritti umani uguali. Di fatti, «la Bibbia non dà alcun adito al concetto di una superiorità naturale del sesso maschile rispetto a quello femminile» [Commissione Teologica Internazionale, Comunione e servizio, n. 36]. Nonostante che l’uguale dignità della creatura di Dio, in virtù della quale la reciprocità deve esaltare e non mortificare la differenza del suo essere “uomo e donna”, sia chiaramente riconoscibile nel testo veterotestamentario (cf. Gen 2, 18-25), come anche nella parola e nell’atteggiamento di Gesù (cf. Mt 27, 55; 28, 1-8; Mc 7, 24-30; Lc 8, 1-3; Gv 4, 1-42; 11, 20-27; 19, 25) [Cf. san Giovanni Paolo II, Let. Ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), nn. 12-16: AAS 80 (1988), 1681-1692], l’elaborazione concreta e universale di questo principio è appena cominciata, non solo nel pensiero cristiano, ma anche nella cultura civile [Cf. Id., Es. Ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), nn. 22-24: AAS 74 (1982), 84-91; Id., Let. Ap. Mulieris dignitatem, n. 1: AAS 88 (1988), 1653-1655].

da: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE – SOTTOCOMMISSIONE LIBERTÀ RELIGIOSA, La libertà religiosa per il bene di tutti – approccio teologico alle sfide contemporanee (2019)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

I. ASPETTI GENERALI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA

La libertà dei gruppi religiosi 4 La libertà religiosa che compete alle singole persone, compete ovviamente ad esse anche quando agiscono in forma comunitaria. I gruppi religiosi, infatti, sono postulati dalla natura sociale tanto degli esseri umani, quanto della stessa religione.

A tali gruppi, pertanto, posto che le giuste esigenze dell'ordine pubblico non siano violate, deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell'aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa, nel sostenerli con il proprio insegnamento e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i principi della propria religione.

Parimenti ai gruppi religiosi compete il diritto di non essere impediti con leggi o con atti amministrativi del potere civile di scegliere, educare, nominare e trasferire i propri ministri, di comunicare con le autorità e con le comunità religiose che vivono in altre regioni della terra, di costruire edifici religiosi, di acquistare e di godere di beni adeguati.

I gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto. Però, nel diffondere la fede religiosa e nell'introdurre pratiche religiose, si deve evitare ogni modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti, specialmente nei confronti di persone prive di cultura o senza risorse: un tale modo di agire va considerato come abuso del proprio diritto e come lesione del diritto altrui.

Inoltre la libertà religiosa comporta pure che i gruppi religiosi non siano impediti di manifestare liberamente la virtù singolare della propria dottrina nell'ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività. Infine, nel carattere sociale della natura umana e della stessa religione si fonda il diritto in virtù del quale gli esseri umani, mossi dalla propria convinzione religiosa, possano liberamente riunirsi e dar vita ad associazioni educative, culturali, caritative e sociali.

La libertà religiosa della famiglia 5 Ad ogni famiglia -società che gode di un diritto proprio e primordiale- compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta il diritto di determinare l'educazione religiosa da impartire ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi deve essere dalla potestà civile riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione, e per una tale libertà di scelta non debbono essere gravati, né direttamente né indirettamente, da oneri ingiusti. Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori, o se viene imposta un'unica forma di educazione dalla quale sia esclusa ogni formazione religiosa.

Cura della libertà religiosa 6 Poiché il bene comune della società—che si concreta nell'insieme delle condizioni sociali, grazie alle quali gli uomini possono perseguire il loro perfezionamento più riccamente o con maggiore facilità —consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti della persona umana e nell'adempimento dei rispettivi doveri (5), adoperarsi positivamente per il diritto alla libertà religiosa spetta tanto ai cittadini quanto ai gruppi sociali, ai poteri civili, alla Chiesa e agli altri gruppi religiosi: a ciascuno nel modo ad esso proprio, tenuto conto del loro specifico dovere verso il bene comune.

Tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell'uomo è dovere essenziale di ogni potere civile (6). Questo deve quindi assicurare a tutti i cittadini, con leggi giuste e con mezzi idonei, l'efficace tutela della libertà religiosa, e creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa, cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà (7).

Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli nell'ordinamento giuridico di una società viene attribuita ad un determinato gruppo religioso una speciale posizione civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutti i gruppi religiosi venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa.

Infine il potere civile deve provvedere che l'eguaglianza giuridica dei cittadini, che appartiene essa pure al bene comune della società, per motivi religiosi non sia mai lesa, apertamente o in forma occulta, e che non si facciano fra essi discriminazioni.

Da ciò segue che non è permesso al pubblico potere imporre ai cittadini con la violenza o con il timore o con altri mezzi la professione di una religione qualsivoglia oppure la sua negazione, o di impedire che aderiscano ad un gruppo religioso o che se ne allontanino. Tanto più poi si agisce contro la volontà di Dio e i sacri diritti della persona e il diritto delle genti quando si usa, in qualunque modo, la violenza per distruggere o per comprimere la stessa religione o in tutto il genere umano oppure in qualche regione o in un determinato gruppo.

I limiti della libertà religiosa 7 Il diritto alla libertà in materia religiosa viene esercitato nella società umana; di conseguenza il suo esercizio è regolato da alcune norme.

Nell'esercizio di ogni libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nell'esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune. Con tutti si è tenuti ad agire secondo giustizia ed umanità.

Inoltre, poiché la società civile ha il diritto di proteggersi contro i disordini che si possono verificare sotto pretesto della libertà religiosa, spetta soprattutto al potere civile prestare una tale protezione; ciò però va compiuto non in modo arbitrario o favorendo iniquamente una delle parti, ma secondo norme giuridiche, conformi all'ordine morale obiettivo: norme giuridiche postulate dall'efficace difesa dei diritti e dalla loro pacifica armonizzazione a vantaggio di tutti i cittadini, da una sufficiente tutela di quella autentica pace pubblica che consiste in una vita vissuta in comune sulla base di una onesta giustizia, nonché dalla debita custodia della pubblica moralità. Questi sono elementi che costituiscono la parte fondamentale del bene comune e sono compresi sotto il nome di ordine pubblico. Per il resto nella società va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e la loro libertà non deve essere limitata, se non quando e in quanto è necessario.

Educazione all'esercizio della libertà 8 Nella nostra età gli esseri umani, a motivo di molteplici fattori, vivono in un'atmosfera di pressioni e corrono il pericolo di essere privati della facoltà di agire liberamente e responsabilmente. D'altra parte non sembrano pochi quelli che, sotto il pretesto della libertà, respingono ogni dipendenza e apprezzano poco la dovuta obbedienza.

Ragione per cui questo Concilio Vaticano esorta tutti, ma soprattutto coloro che sono impegnati in compiti educativi, ad adoperarsi per formare esseri umani i quali, nel pieno riconoscimento dell'ordine morale, sappiano obbedire alla legittima autorità e siano amanti della genuina libertà, esseri umani cioè che siano capaci di emettere giudizi personali nella luce della verità, di svolgere le proprie attività con senso di responsabilità, e che si impegnano a perseguire tutto ciò che è vero e buono, generosamente disposti a collaborare a tale scopo con gli altri.

La libertà religiosa, quindi, deve pure essere ordinata e contribuire a che gli esseri umani adempiano con maggiore responsabilità i loro doveri nella vita sociale. _______________________ NOTE

(5) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 417; IDEM., Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), p. 273 [Dz 3984].

(6) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 273-274 [Dz 3985]; PIO XII, Messaggio radiofonico, 1° giugno 1942: AAS 33 (1941), p. 200.

(7) Cf. LEONE XIII, Encicl. Immortale Dei, 1o nov. 1885: ASS 18 (1885), p. 161.

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Approfondimenti

Dignitatis humanae propone quattro argomenti che giustificano la scelta della libertà religiosa precisamente come un diritto che si fonda sulla dignità della persona umana (cf. DH 1-8). Questi argomenti sono ampiamente ripresi alla luce della Rivelazione divina (cf. DH 9-11), liberamente accolta nell’atto di fede (cf. DH 10), precisando anche l’esercizio che la Chiesa ne ha fatto (cf. DH 12-14).

Il primo argomento è l’integrità della persona umana, ossia l’impossibilità di separare la sua libertà interiore dalla sua manifestazione pubblica. Questo diritto di libertà non è un fatto soggettivo, ma scaturisce ontologicamente dalla natura e dalla vocazione radicale per cui ogni essere umano è persona, dotata di ragione e volontà in virtù delle quali è chiamata a entrare in una relazione esistenzialmente coinvolgente con il bene, la verità, la giustizia. In termini religiosi, questa intrinseca vocazione dell’essere personale è l’essere umano secondo l’originario disegno divino: creato come capax Dei, aperto alla trascendenza. Questo è il fondamento radicale e ultimo della libertà religiosa (cf. DH 2a, 9, 11, 12). Il punto centrale quindi è la sacrosanta libertà del singolo di non essere forzato o mortificato nell’esercizio autentico della religione. Ogni singolo, a questo riguardo, deve rispondere in maniera responsabile dei suoi atti: nella serietà della sua coscienza del bene e nella libertà della sua ricerca della verità (e giustizia; cf. DH 2, 4, 5, 8, 13).

Il secondo argomento è intrinseco al dovere di cercare la verità, che richiede e presuppone il dialogo tra esseri umani, secondo la loro indole, dunque in maniera sociale. La libertà religiosa, lungi dallo svuotare d’importanza il legame sociale, rimane condizione condivisa della ricerca della verità degna dell’uomo. Il valore del dialogo è decisivo poiché «la verità non s’impone se non in forza della verità stessa, la quale penetra lo spirito soavemente e insieme con vigore» (DH 1c). Il dialogo attivato da tale ricerca consentirà a tutti, senza discriminazioni, di esporre e argomentare la verità ricevuta e scoperta, al fine di riconoscerne l’importanza per l’intera comunità umana (cf. DH 3b)[Cf. anche Concilio Ecumenico Vaticano II, Dich. Nostra aetate (28 ottobre 1965), nn. 1, 5]. Il soggetto della libertà religiosa non è dunque soltanto il singolo, ma anche la comunità e, in particolare, la famiglia. Di qui il richiamo alla necessità dell’esercizio della libertà nella trasmissione dei valori religiosi attraverso l’educazione e l’insegnamento (cf. DH 4, 5, 13b). Per quanto riguarda la famiglia e i genitori si afferma: «Ad ogni famiglia – società che gode di un diritto proprio e primordiale – compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta il diritto di determinare l’educazione religiosa da impartire ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi deve essere riconosciuto dall’autorità civile ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione» (DH 5a).

Il terzo argomento scaturisce dalla natura della religione, che l’homo religiosus, in quanto essere sociale, vive e manifesta nella società attraverso atti interni e culto pubblico [Nel riferirsi all’ateismo il Concilio offre una descrizione esistenziale della condizione religiosa come appartenente all’esperienza comune degli uomini (cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, nn. 19-21). È una riflessione permanente nei testi ecclesiali postconciliari. Si vedano le sintesi del Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 27-30 oppure del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (2004), nn. 14-15. Anche i documenti della Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni (1997), nn. 107-108; Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza (2014), nn. 1-2]. Il diritto alla libertà religiosa si esercita, infatti, nella società umana e consente all’uomo anzitutto l’immunità da qualsiasi coercizione esterna per quanto attiene al rapporto con Dio (cf. DH 2, 3c-e, 4, 10, 11, 13). Le autorità civili e politiche, il cui fine proprio è prendersi cura del bene comune temporale, non hanno alcun diritto d’ingerirsi nelle questioni attinenti alla sfera della libertà religiosa personale che rimane intangibile nella coscienza del singolo, e al tempo stesso nella sua manifestazione pubblica, a meno che non si tratti di una questione di giusto ordine pubblico fondata, in ogni caso, su fatti accertati e corrette informazioni (cf. DH 1, 2, 5).

Il quarto argomento, infine, tocca i limiti del potere puramente umano, civile e giuridico in tema di religione. Occorre che anche la stessa religione abbia piena avvertenza della legittimità o meno delle forme della sua manifestazione pubblica. Infatti, l’esplicitazione dei limiti della libertà religiosa, in ordine alla salvaguardia della giustizia e alla custodia della pace, sono parti integranti del bene comune (cf. DH 3, 4, 7, 8) e coinvolge gli stessi credenti (cf. DH 7, 15).

da: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE – SOTTOCOMMISSIONE LIBERTÀ RELIGIOSA, La libertà religiosa per il bene di tutti – approccio teologico alle sfide contemporanee (2019)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

I. ASPETTI GENERALI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA

Oggetto e fondamento della libertà religiosa 2 Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione (2). Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società.

A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell'immunità dalla coercizione esterna. Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito.

Libertà religiosa e rapporto dell'uomo con Dio 3 Quanto sopra esposto appare con maggiore chiarezza qualora si consideri che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con sapienza e amore ordina, dirige e governa l'universo e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l'essere umano della sua legge, cosicché l'uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l'immutabile verità. Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità (3) in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza.

La verità, però, va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente, con l'aiuto dell'insegnamento o dell'educazione, per mezzo dello scambio e del dialogo con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; inoltre, una volta conosciuta la verità, occorre aderirvi fermamente con assenso personale.

L'uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio. Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso. Infatti l'esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l'essere umano si dirige immediatamente verso Dio: e tali atti da un'autorità meramente umana non possono essere né comandati, né proibiti (4). Però la stessa natura sociale dell'essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario.

Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio per gli esseri umani, quando si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia.

Inoltre gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli esseri umani con decisione interiore si dirigono a Dio, trascendono per loro natura l'ordine terrestre e temporale delle cose. Quindi la potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini, però evade dal campo della sua competenza se presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi. _______________________ NOTE

(2) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 260-261 [Dz 3961]; PIO XII, Messaggio radiofonico, Con sempre nuova freschezza, 24 dic. 1942: AAS 35 (1943), p. 19; PIO XI, Encicl. Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 160; LEONE XIII, Encicl. Libertas praestantissimum, 20 giugno 1888: Acta Leonis XIII 8 (1888), pp. 237-238 [Dz 3250-51].

(3) Cf. S. TOMMASO, Summa Theol., I-II, q. 91, a. 1; q. 93, a. 1-2.

(4) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), p. 270 [Dz 3980]; PAOLO VI, Messaggio radiofonico, 22 dic. 1964: AAS 57 (1965), pp. 181-182; S. TOMMASO, Summa Theol., I-II, q. 91, a. 4 c.

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

PROEMIO

1 Nell'età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone (1) e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà, mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive. Parimenti, gli stessi esseri umani postulano una giuridica delimitazione del potere delle autorità pubbliche, affinché non siano troppo circoscritti i confini alla onesta libertà, tanto delle singole persone, quanto delle associazioni. Questa esigenza di libertà nella convivenza umana riguarda soprattutto i valori dello spirito, e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società. Considerando diligentemente tali aspirazioni, e proponendosi di dichiarare quanto e come siano conformi alla verità e alla giustizia, questo Concilio Vaticano rimedita la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae nuovi elementi in costante armonia con quelli già posseduti.

Anzitutto, il sacro Concilio professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini, dicendo agli apostoli: « Andate dunque, istruite tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quello che io vi ho comandato » (Mt 28,19-20). E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli.

Il sacro Concilio professa pure che questi doveri attingono e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore. E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani esigono nell'adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo. Inoltre il sacro Concilio, trattando di questa libertà religiosa, si propone di sviluppare la dottrina dei sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti inviolabili della persona umana e all'ordinamento giuridico della società. _______________________ NOTE

(1) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), p. 279; ibid., p. 265; PIO XII, Messaggio radiofonico, 24 dic. 1944: AAS 37 (1945), p. 14.

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Approfondimenti

Dignitatis humanae è un testo che ha subito una trasformazione radicale nel corso di ben cinque diverse stesure prima di essere approvato. Il problema fondamentale, che creava maggiori difficoltà, era il modo di definire questa libertà. Nel secondo degli schemi preparati questa veniva presentata come un diritto positivo, come facoltà di agire e diritto a non essere impedito di agire. “Ma già nel terzo schema – ricordava il cardinale domenicano Jérôme Hamer, all’epoca uno degli esperti teologi che aveva collaborato alla stesura – l’ambiguità di una libertà religiosa definita come diritto positivo e negativo era scomparsa. Si parlava ormai di un diritto all’immunità, un diritto a non subire coercizioni da parte di qualsiasi potere umano non solo nella formazione della coscienza in materia religiosa, ma anche nel libero esercizio della religione”. Un contributo decisivo per la formulazione del documento e della definizione della libertà religiosa come immunità era arrivato da Paolo VI, che nel corso di un’udienza pubblica, il 28 giugno 1965, descrivendo la libertà religiosa aveva detto: “Voi vedrete riassunta una gran parte di questa dottrina capitale in due proposizioni famose: in materia di fede che nessuno sia impedito! Che nessuno sia costretto!”.

Il testo definitivo del documento, al paragrafo primo, recita: «E poiché la libertà religiosa… riguarda l’immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e della società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo”. L’affermazione del diritto alla libertà religiosa non equivale dunque né a mettere verità e falsità sullo stesso piano, né ad affermare indifferenza o arbitrio in ambito religioso. “Poiché rimane il dovere di formarsi una coscienza vera – ha osservato padre Gianpaolo Salvini – non c’è alcuna opposizione con la consapevolezza della Chiesa di essere l’unica vera religione… Il fondamento della libertà religiosa è espresso in modo assertivo e viene indicato nella dottrina cattolica della dignità della persona umana. Inoltre è visto in modo nuovo il rapporto con i dati biblici e con la rivelazione che, benché non parli espressamente di questo diritto (che è una determinazione civile e giuridica), tuttavia rivela la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza in modo congruo con la libertà dell’atto di fede cristiano”.

da: Andrea Tornielli, Dignitatis humanae, così il Concilio sancì il diritto alla libertà religiosa


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