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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO V

L'ORGANIZZAZIONE DELL'ATTIVITÀ MISSIONARIA

Cooperazione stabilita dalle conferenze episcopali 31 Le conferenze episcopali devono trattare in pieno accordo le questioni più gravi e i problemi più urgenti, senza trascurare però le differenze tra luogo e luogo (152) Perché poi non si utilizzino male persone e mezzi, già di per sé insufficienti, perché non si moltiplichino senza vera necessità le iniziative, si raccomanda di fondare, mettendo insieme le forze, delle opere che servano per il bene di tutti, quali ad esempio i seminari, le scuole superiori e tecniche, i centri pastorali, catechistici e liturgici, e quelli per i mezzi di comunicazione sociale. Una tale cooperazione va eventualmente instaurata anche tra diverse conferenze episcopali.

Coordinazione locale degli istituti 32 Conviene anche coordinare le attività svolte dagli istituti o dalle associazioni ecclesiatiche. Esse, di qualsiasi tipo siano, devono dipendere, per tutto quanto riguarda l'attività missionaria, dall'ordinario del luogo. A tal fine sarà utilissimo fissare delle convenzioni particolari, atte a regolare i rapporti tra l'ordinario del luogo e il superiore dell'istituto.

Allorché ad un istituto viene affidato un territorio, sarà pensiero del superiore ecclesiatico e dell'istituto stesso di indirizzare tutto a questo fine: che la nuova comunità cristiana cresca e diventi una Chiesa locale, che poi, al momento opportuno, sarà retta da un proprio pastore con clero proprio.

Cessando il mandato su un territorio, si determina una nuova situazione. Allora le conferenze episcopali e gli istituti devono emanare di comune accordo le norme che regolino i rapporti tra gli ordinari dei luoghi e gli istituti (153). Tocca però alla santa Sede fissare i principi generali, in base ai quali devono essere concluse le convenzioni in sede regionale o anche quelle di carattere particolare.

Anche se gli istituti sono pronti a continuare l'opera iniziata, collaborando nel ministero ordinario della cura d'anime, bisognerà tuttavia provvedere, man mano che cresce il clero locale, a che gli istituti, compatibilmente con il loro scopo, rimangano fedeli alla diocesi stessa, impegnandosi generosamente in opere di carattere speciale o in una qualche regione.

Coordinazione tra gli istituti 33 È poi necessario che gli istituti che attendono all'attività missionaria in uno stesso territorio trovino la giusta maniera per coordinare le loro opere. A questo proposito sono di grande utilità le conferenze di religiosi e le unioni di suore, di cui devono far parte tutti gli istituti della stessa nazione o regione. Queste conferenze devono ricercare quanto si può fare in comune, mettendo cioè insieme le forze, e mantenersi in stretto contatto con le conferenze episcopali.

Tutto questo è bene sia esteso in forma analoga anche alla collaborazione tra istituti missionari nei paesi in cui hanno avuto origine, al fine di risolvere più facilmente e con minori spese tutte le questioni ed iniziative comuni: si pensi ad esempio alla formazione dottrinale dei futuri missionari, ai corsi per missionari, alle relazioni da inviare alle pubbliche autorità o agli organismi internazionali e soprannazionali.

Coordinazione tra gli istituti scientifici 34 Poiché il retto ed ordinato esercizio della attività missionaria esige che gli operai evangelici siano scientificamente preparati ai loro doveri, in specie al dialogo con le religioni e le civiltà non cristiane, e che nella fase di esecuzione siano efficacemente aiutati, si desidera che a favore delle missioni collaborino fraternamente e generosamente tra loro tutti gli istituti scientifici che coltivano la missionologia e le altre discipline o arti utili alle missioni, come l'etnologia e la linguistica, la storia e la scienza delle religioni, la sociologia, le tecniche pastorali e simili. _______________________ NOTE

(152) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, nn. 36-38[pag. 395ss].

(153) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, nn. 35,5-6 [pag. 393].

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO V

L'ORGANIZZAZIONE DELL'ATTIVITÀ MISSIONARIA

Introduzione 28 I cristiani, avendo carismi differenti (141), devono collaborare alla causa del Vangelo, ciascuno secondo le sue possibilità, i suoi mezzi, il suo carisma e il suo ministero (142). Tutti dunque, coloro che seminano e coloro che mietono (143), coloro che piantano e coloro che irrigano, devono formare una cosa sola (144), affinché «tendendo tutti in maniera libera e ordinata allo stesso scopo» indirizzino in piena unanimità le loro forze all'edificazione della Chiesa. Per tale ragione il lavoro dei messaggeri del Vangelo e l'aiuto degli altri cristiani vanno regolati e collegati in modo che «tutto avvenga in perfetto ordine» (145) in tutti i settori dell'attività e della cooperazione missionaria.

Organizzazione generale 29 Poiché il compito di annunciare dappertutto nel mondo il Vangelo riguarda primariamente il collegio episcopale (146) il sinodo dei vescovi, cioè «la commissione permanente dei vescovi per la Chiesa universale» (147), tra gli affari di importanza generale (148) deve seguire con particolare sollecitudine l'attività missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della Chiesa (149).

Per tutte le missioni e per tutta l'attività missionaria uno soltanto deve essere il dicastero competente, ossia quello di « Propaganda Fide », cui spetta di regolare e di coordinare in tutto quanto il mondo, sia l'opera missionaria in se stessa, sia la cooperazione missionaria, nel rispetto tuttavia del diritto delle Chiese orientali (150).

Benché lo Spirito Santo susciti in diverse maniere lo spirito missionario nella Chiesa di Dio, prevenendo sovente l'azione stessa di coloro cui tocca governare la vita della Chiesa, tuttavia questo dicastero da parte sua deve promuovere la vocazione e la spiritualità missionaria, lo zelo e la preghiera per le missioni, e fornire a loro riguardo informazioni autentiche e valide. È suo compito suscitare e distribuire i missionari, secondo i bisogni più urgenti delle regioni. È suo compito elaborare un piano organico di azione, emanare norme direttive e principi adeguati in ordine all'evangelizzazione e dare l'impulso iniziale. È suo compito promuovere e coordinare efficacemente la raccolta dei sussidi, che vanno poi distribuiti tenendo conto della necessità o della utilità, nonché dell'estensione del territorio,del numero dei fedeli e degli infedeli, delle opere e delle istituzioni, dei ministri e dei missionari.

Esso, in collegamento con il segretariato per l'unità dei cristiani, deve ricercare i modi ed i mezzi con cui procurare ed organizzare la collaborazione fraterna e la buona intesa con le iniziative missionarie delle altre comunità cristiane, onde eliminare, per quanto è possibile, lo scandalo della divisione.

È necessario pertanto che questo dicastero costituisca insieme uno strumento di amministrazione ed un organo di direzione dinamica, che faccia uso dei metodi scientifici e dei mezzi adatti alle condizioni del nostro tempo, tenga conto cioè delle ricerche attuali di teologia, di metodologia e di pastorale missionaria.

Nella direzione di questo dicastero devono avere parte attiva, con voto deliberativo, dei rappresentanti scelti tra tutti coloro che collaborano all'attività missionaria: vescovi di tutto il mondo, su parere delle conferenze episcopali, e direttori degli istituti e delle opere pontificie, secondo le modalità ed i criteri che saranno stabiliti dal romano Pontefice. Tutti questi delegati verranno convocati periodicamente e reggeranno, sotto l'autorità del sommo Pontefice, la organizzazione suprema di tutta l'attività missionaria.

Lo stesso dicastero avrà a disposizione una commissione permanente di esperti consultori, veramente insigni per dottrina ed esperienza; tra le altre funzioni, essi avranno quella di raccogliere tutte le notizie utili, sia intorno alle situazioni locali delle varie regioni e alla mentalità propria dei diversi gruppi umani, sia intorno ai metodi di evangelizzazione da adottare, proponendo poi delle conclusioni scientificamente fondate per l'opera e la cooperazione missionaria.

Gli istituti di suore, le opere regionali per le missioni, le organizzazioni dei laici, in specie quelle a carattere internazionale, devono essere debitamente rappresentate.

Organizzazione locale nelle missioni 30 Perché nell'esercizio dell'attività missionaria si raggiungano quei risultati che ne costituiscono la finalità, tutti coloro che lavorano nelle missioni devono avere «un cuore solo ed un'anima sola» (At 4,32).

È compito del vescovo, come capo e centro unitario dell'apostolato diocesano, promuovere, dirigere e coordinare l'attività missionaria, in modo tale tuttavia che sia salvaguardata ed incoraggiata nella sua spontaneità l'iniziativa di coloro che all'opera stessa partecipano. Tutti i missionari, anche religiosi esenti, dipendono da lui nelle varie opere che riguardano l'esercizio dell'apostolato sacro (151). Al fine di meglio coordinare le iniziative, il vescovo costituisca, per quanto è possibile, un consiglio pastorale, di cui devono fare parte chierici, religiosi e laici attraverso delegati scelti. Provveda anche a che l'attività apostolica non resti limitata ai soli convertiti, ma che una giusta parte di operai e di sussidi sia destinata all'evangelizzazione dei non cristiani. _______________________ NOTE

(141) Cf. Rm 12,6.

(142) Cf. 1 Cor 3,10.

(143) Cf. Gv 4,37.

(144) Cf. 1 Cor 3,8.

(145) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 18: AAS 57 (1965), p. 22 [pag. 155ss].

(146) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 23: AAS 57 (1965), p. 28 [pag. 169ss].

(147) Cf. PAOLO VI, Motu proprio Apostolica Sollicitudo, 15 sett. 1965: AAS 57 (1965), p. 776.

(148) Cf. PAOLO VI, Disc. tenuto in Concilio il 21 nov. 1964: AAS 56 (1964), p. 1011 [pag. 1249ss].

(149) Cf. BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 440-445.

(150) Se per ragioni particolari alcune Missioni sono ancora temporaneamente soggette ad altri Dicasteri, è bene che quei Dicasteri siano in relazione con la Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede, perché nell’organizzazione e nella direzione di tutte le Missioni si possano avere un’indirizzo e una norma perfettamente costanti e uniformi.

(151) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, n. 35 [pag. 389ss].

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO IV

I MISSIONARI

Formazione spirituale e morale 25 Il futuro missionario deve ricevere una formazione spirituale e morale particolare per prepararsi a questo nobilissimo compito (127). Egli deve essere pronto a prendere iniziative, costante nel portarle a compimento, perseverante nelle difficoltà, paziente e forte nel sopportare la solitudine, la stanchezza, la sterilità nella propria fatica. Andrà incontro agli uomini francamente e con cuore aperto; accoglierà volentieri gli incarichi che gli vengono affidati; saprà adattarsi generosamente alla diversità di costume dei popoli ed al mutare delle situazioni; in piena armonia e con reciproca carità offrirà la sua collaborazione ai confratelli ed a tutti coloro che svolgono il suo stesso lavoro, in modo che tutti, compresi i fedeli, sull'esempio della prima comunità apostolica formino un cuore solo ed un'anima sola (128).

Tali disposizioni interne devono essere diligente mente promosse e coltivate già fin dal tempo della formazione, nonché elevate e nutrite attraverso la vita spirituale.

Il missionario, animato da viva fede e da incrollabile speranza, sia uomo di preghiera; sia ardente per spirito di virtù, di amore e di sobrietà (129); impari ad essere contento delle condizioni in cui si trova (130); porti sempre la morte di Gesù nel suo cuore con spirito di sacrificio, affinché sia la vita di Gesù ad agire nel cuore di coloro a cui viene mandato (131); nel suo zelo per le anime spenda volentieri del suo e spenda anche tutto se stesso per la loro salvezza (132), sicché « nell'esercizio quotidiano del suo dovere cresca nell'amore di Dio e del prossimo » (133). Solo così, unito al Cristo nell'obbedienza alla volontà del Padre, potrà continuare la missione sotto l'autorità gerarchica della Chiesa e collaborare al mistero della salvezza.

Formazione dottrinale e apostolica 26 Coloro che saranno inviati ai vari popoli pagani, se vogliono riuscire buoni ministri del Cristo, «siano nutriti dalle parole della fede e della buona dottrina» (1 Tm 4,6): essi le attingeranno soprattutto dalla sacra Scrittura, approfondendo quel mistero del Cristo di cui saranno poi messaggeri e testimoni.

Perciò tutti i missionari – sacerdoti, religiosi, suore e laici – debbono essere singolarmente preparati e formati, secondo la loro condizione, perché siano all'altezza del compito che dovranno svolgere (134). Fin dall'inizio la loro formazione dottrinale deve essere impostata in modo da non perdere di vista l'universalità della Chiesa e la diversità dei popoli. Ciò vale, sia per le discipline che servono a prepararli direttamente al ministero, sia per le altre scienze che possono loro riuscire utili per una conoscenza generale dei popoli, delle culture e delle religioni, orientata non soltanto verso il passato, ma soprattutto verso il presente. Chiunque infatti sta per recarsi presso un altro popolo, deve stimare molto il patrimonio, le lingue ed i costumi. È dunque indispensabile al futuro missionario attendere agli studi di missionologia, conoscere cioè la dottrina e le norme della Chiesa relative all'attività missionaria, sapere quali strade abbiano seguito nel corso dei secoli i messaggeri del Vangelo, essere al corrente della situazione missionaria attuale e dei metodi che si ritengono al giorno d'oggi più efficaci (135).

Benché questo ciclo integrale di insegnamento debba essere arricchito ed animato da zelo pastorale, bisogna dare tuttavia anche una speciale ed ordinata formazione apostolica, sia con la teoria che con le esercitazioni pratiche (136).

Il maggior numero possibile di religiosi e di suore siano ben istruiti e preparati nell'arte catechistica, onde collaborino sempre più all'apostolato. È necessario che anche coloro, i quali si impegnano solo temporaneamente nell'attività missionaria, acquistino una formazione adeguata alla loro condizione.

Tutti questi tipi di formazione poi vanno completati nei paesi nei quali sono inviati, in maniera che i missionari conoscano a fondo la storia, le strutture sociali e le consuetudini dei vari popoli, approfondiscano l'ordine morale, le norme religiose e le idee più profonde che quelli, in base alle loro tradizioni, hanno già intorno a Dio, al mondo e all'uomo (137). Apprendano le lingue tanto bene da poterle usare con speditezza e proprietà: sarà questo il modo per arrivare più facilmente alla mente ed al cuore di quegli uomini (138). Siano inoltre debitamente preparati di fronte a necessità pastorali di carattere particolare.

Alcuni di essi poi devono ricevere una più accurata preparazione presso gli istituti di missionologia o presso altre facoltà o università, per poter svolgere con maggiore efficacia dei compiti speciali (139) ed aiutare con la loro cultura gli altri missionari nell'esercizio del lavoro missionario, che specialmente ai nostri tempi presenta tante difficoltà ed insieme tante occasioni favorevoli. È inoltre auspicabile che le conferenze episcopali regionali abbiano a disposizione un buon numero di questi esperti, ed utilizzino la loro scienza ed esperienza nelle necessità del loro ministero. Non devono poi mancare gli esperti nell'uso degli strumenti tecnici e della comunicazione sociale, la cui importanza tutti devono apprezzare.

Gli istituti missionari 27 Tutto questo, benché sia indispensabile a chiunque viene inviato alle genti, in realtà molto difficilmente può essere realizzato dai singoli. Appunto perché l'opera missionaria stessa, come conferma l'esperienza, non può essere compiuta dai singoli individui, una vocazione comune li ha riuniti in istituti dove, mettendo insieme le loro forze, possono ricevere una formazione adeguata, per eseguire quell'opera a nome della Chiesa e dietro comando dell'autorità gerarchica. Per molti secoli tali istituti han portato il peso del giorno e del calore, sia che al lavoro missionario si dedicassero totalmente, sia che vi si dedicassero soltanto in parte. Spesso la santa Sede affidò loro dei territori immensi da evangelizzare, nei quali seppero riunire, per il Signore, un nuovo popolo, cioè una Chiesa locale gerarchicamente unita ai propri pastori. A queste Chiese appunto, che han fondato con il loro sudore o piuttosto con il loro sangue, essi presteranno servizio con il proprio zelo e la propria esperienza in una collaborazione fraterna, sia che esercitino la cura delle anime, sia che svolgano funzioni speciali in vista del bene comune.

Talvolta si assumeranno dei compiti più urgenti in tutto l'ambito di una determinata regione: ad esempio, l'evangelizzazione di certe categorie o di popoli che, per ragioni particolari, non hanno forse ricevuto ancora il messaggio evangelico, o ad esso han fatto finora resistenza (140). In caso di necessità, essi devono esser pronti a formare e ad aiutare con la loro esperienza coloro che si consacrano all'attività missionaria solo temporaneamente. Per tutte queste ragioni, ed anche perché molti sono ancora i popoli da condurre a Cristo, questi istituti restano assolutamente necessari. _______________________ NOTE (127) Cf. BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 448-449; PIO XII, Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507. Nella formazione dei missionari sacerdoti occorre tener conto anche di quanto è stabilito dal CONC. VAT. II, Decr. sulla Formazione Sacerdotale Optatam totius.

(128) Cf. At 2,42; 4,32.

(129) Cf. 2 Tm 1,7.

(130) Cf. Fil 4,11.

(131) Cf. 2 Cor 4,10ss.

(132) Cf. 2 Cor 12,15s.

(133) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 41: AAS 57 (1965), p. 46 [pag. 213ss].

(134) Cf. BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 440; PIO XII, Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507.

(135) BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 448; Decr. della S. C. DI P. F., 20 maggio 1923: AAS 15 (1923), pp. 369-370; PIO XII, Saeculo exeunte, 2 giu. 1940: AAS 32 (1940), p. 256; Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507; GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), pp. 843-844.

(136) CONC. VAT. II, Decr. sulla Formazione Sacerdotale Optatam totius, nn. 19-21[pag. 469ss]. Cf. anche la Cost. Apost. Sedes Sapientiae con gli Statuti Generali, 31 maggio 1956: AAS 48 (1956), pp. 354-365.

(137) PIO XII, Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), pp. 523-524.

(138) BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 448; PIO XII, Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507.

(139) Cf. PIO XII, Fidei Donum, 15 giu. 1957: AAS 49 (1957), p. 234.

(140) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul Ministero e la Vita dei Presbiteri, Presbyterorum Ordinis, n. 10, dove si tratta delle Diocesi e delle Prelature personali e di altri argomenti analoghi [pag. 801ss].

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO IV

I MISSIONARI

La vocazione missionaria 23 Benché l'impegno di diffondere la fede ricada su qualsiasi discepolo di Cristo in proporzione alle sue possibilità (113) Cristo Signore chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, per averli con sé e per inviarli a predicare alle genti (114). Perciò egli, per mezzo dello Spirito Santo, che distribuisce come vuole i suoi carismi per il bene delle anime (115), accende nel cuore dei singoli la vocazione missionaria e nello stesso tempo suscita in seno alla Chiesa quelle istituzioni (116) che si assumono come dovere specifico il compito della evangelizzazione che appartiene a tutta quanta la Chiesa.

Difatti sono insigniti di una vocazione speciale coloro che, forniti di naturale attitudine e capaci per qualità ed ingegno, si sentono pronti a intraprendere l'attività missionaria (117), siano essi autoctoni o stranieri: sacerdoti, religiosi e laici. Essi, inviati dalla legittima autorità, si portano per spirito di fede e di obbedienza presso coloro che sono lontani da Cristo, riservandosi esclusivamente per quell'opera per la quale, come ministri del Vangelo, sono stati scelti (118), « affinché l'offerta dei pagani sia ben accolta e santificata per lo Spirito Santo » (Rm 15,16) .

Spiritualità missionaria 24 Orbene, alla chiamata di Dio l'uomo deve rispondere in maniera tale da vincolarsi del tutto all'opera evangelica, « senza prender consiglio dalla carne e dal sangue » (119). Ed è impossibile dare una risposta a questa chiamata senza l'ispirazione e la forza dello Spirito Santo. Il missionario diventa infatti partecipe della vita e della missione di colui che «annientò se stesso, prendendo la natura di schiavo » (Fil 2,7); deve quindi esser pronto a mantenersi fedele per tutta la vita alla sua vocazione, a rinunciare a se stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio, ed a « farsi tutto a tutti» (120).

Annunziando il Vangelo ai pagani, deve far conoscere con fiducia il mistero del Cristo, del quale è ambasciatore: è in suo nome che deve avere il coraggio di parlare come è necessario (121), senza arrossire dello scandalo della croce. Seguendo l'esempio del suo Maestro, mite e umile di cuore, deve dimostrare che il suo giogo è soave e il suo peso leggero (122). Vivendo autenticamente il Vangelo (123), con la pazienza, con la longanimità, con la benignità, con la carità sincera (124), egli deve rendere testimonianza al suo Signore fino a spargere, se necessario, il suo sangue per lui. Virtù e fortezza egli chiederà a Dio, per riconoscere che nella lunga prova della tribolazione e della povertà profonda risiede l'abbondanza della gioia (125). E sia ben persuaso che è l'obbedienza la virtù distintiva del ministro di Cristo, il quale appunto con la sua obbedienza riscattò il genere umano.

I messaggeri del Vangelo, per non trascurare la grazia che è in loro, devono rinnovarsi di giorno in giorno interamente nel loro spirito (126). Gli ordinari ed i superiori da parte loro procurino di riunire in determinati periodi i missionari per rinvigorirli nella speranza della loro vocazione e per aggiornare il ministero apostolico, fondando anche delle case a questo scopo. _______________________ NOTE (113) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 17: AAS 57 (1965), p. 21 [pag. 153ss].

(114) Cf. Mc 3,13s.

(115) Cf. 1 Cor 12,11.

(116) Con il termine “Istituti” si intendono gli Ordini, le Congregazioni, gli Istituti e le Associazioni che lavorano nelle Missioni.

(117) Cf. PIO XI, Rerum Ecclesiae, 28 feb. 1926: AAS 18 (1926), pp. 69-71; PIO XII, Saeculo exeunte, 13 giu. 1940: AAS 32 (1940), p. 256; Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 506.

(118) Cf. At 13,2.

(119) Cf. Gal 1,16 Vlg.

(120) Cf. 1 Cor 9,22.

(121) Cf. Ef 6,19s; At 4,31.

(122) Cf. Mt 11,29s.

(123) Cf. BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 449-450.

(124) Cf. 2 Cor 6,4s.

(125) Cf. 2 Cor 8,2.

(126) Cf. 1 Tm 4,14; Ef 4,23; 2 Cor 4,16.

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO III

LE CHIESE PARTICOLARI

L'apostolato dei laici 21 La Chiesa non si può considerare realmente fondata, non vive in maniera piena, non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico. Non può infatti il Vangelo penetrare ben addentro nella mentalità, nel costume, nell'attività di un popolo, se manca la presenza dinamica dei laici. Perciò, fin dal periodo di fondazione di una Chiesa, bisogna dedicare ogni cura alla formazione di un maturo laicato cristiano.

La ragione è che i fedeli laici appartengono insieme al popolo di Dio e alla società civile. Appartengono anzitutto alla propria nazione, perché vi son nati, perché con la educazione han cominciato a partecipare al suo patrimonio culturale, perché alla sua vita si rannodano nella trama multiforme delle relazioni sociali, perché al suo sviluppo cooperano e danno un personale contributo con la loro professione, perché i suoi problemi essi sentono come loro problemi e come tali si sforzano di risolverli. Ma essi appartengono anche a Cristo, in quanto nella Chiesa sono stati rigenerati attraverso la fede e il battesimo, affinché, rinnovati nella vita e nell'opera, siano di Cristo (106), ed in Cristo tutto a Dio sia sottoposto, e finalmente Dio sia tutto in tutti (107).

Principale loro compito, siano essi uomini o donne, è la testimonianza a Cristo, che devono rendere, con la vita e con la parola, nella famiglia, nel gruppo sociale cui appartengono e nell'ambito della professione che esercitano. In essi deve realmente apparire l'uomo nuovo, che è stato creato secondo Dio in giustizia e santità della verità (108). Questa vita nuova debbono esprimerla nell'ambito della società e della cultura della propria patria, e nel rispetto delle tradizioni nazionali. Debbono perciò conoscere questa cultura, purificarla, conservarla e svilupparla in armonia con le nuove condizioni, e infine perfezionarla in Cristo, affinché la fede di Cristo e la vita della Chiesa non siano già elementi estranei alla società in cui vivono, ma comincino a penetrarla ed a trasformarla. I laici si sentano uniti ai loro concittadini da sincero amore, rivelando con il loro comportamento quel vincolo assolutamente nuovo di unità e di solidarietà universale, che attingono dal mistero del Cristo. Diffondano anche la fede di Cristo tra coloro a cui li legano vincoli sociali e professionali: questo obbligo è reso più urgente dal fatto che moltissimi uomini non possono né ascoltare il Vangelo né conoscere Cristo se non per mezzo di laici che siano loro vicini. Anzi, laddove è possibile, i laici siano pronti a cooperare ancora più direttamente con la gerarchia, svolgendo missioni speciali per annunziare il Vangelo e divulgare l'insegnamento cristiano: daranno così vigore alla Chiesa che nasce.

I ministri della Chiesa da parte loro abbiano grande stima dell'attività apostolica dei laici: li educhino a quel senso di responsabilità che li impegna, in quanto membra di Cristo, dinanzi a tutti gli uomini; diano loro una conoscenza approfondita del mistero del Cristo, insegnino loro i metodi di azione pastorale e li aiutino nelle difficoltà, secondo lo spirito della costituzione Lumen gentium e del decreto Apostolicam actuositatem.

Nel pieno rispetto dunque delle funzioni e responsabilità specifiche dei pastori e dei laici, la giovane Chiesa tutta intera renda a Cristo una testimonianza unanime, viva e ferma, divenendo così segno luminoso di quella salvezza che a noi è venuta nel Cristo.

Tradizioni particolari nell'unità ecclesiale 22 Il seme, cioè la parola di Dio, germogliando nel buon terreno irrigato dalla rugiada divina, assorbe la linfa vitale, la trasforma e l'assimila per produrre finalmente un frutto abbondante. Indubbiamente, come si verifica nell'economia dell'incarnazione, le giovani Chiese, che han messo radici in Cristo e son costruite sopra il fondamento degli apostoli, hanno la capacità meravigliosa di assorbire tutte le ricchezze delle nazioni, che appunto a Cristo sono state assegnate in eredità (109). Esse traggono dalle consuetudini e dalle tradizioni, dal sapere e dalla cultura, dalle arti e dalle scienze dei loro popoli tutti gli elementi che valgono a render gloria al Creatore, a mettere in luce la grazia del Salvatore e a ben organizzare la vita cristiana (110).

Per raggiungere questo scopo è necessario che, nell'ambito di ogni vasto territorio socio-culturale, come comunemente si dice, venga promossa una ricerca teologica di tal natura per cui, alla luce della tradizione della Chiesa universale, siano riesaminati fatti e parole oggetto della Rivelazione divina, consegnati nella sacra Scrittura e spiegati dai Padri e dal magistero ecclesiatico. Si comprenderà meglio allora secondo quali criteri la fede, tenendo conto della filosofia e del sapere, può incontrarsi con la ragione, ed in quali modi le consuetudini, la concezione della vita e la struttura sociale possono essere conciliati con il costume espresso nella Rivelazione divina. Ne risulteranno quindi chiari i criteri da seguire per un più accurato adattamento della vita cristiana nel suo complesso. Così facendo sarà esclusa ogni forma di sincretismo e di particolarismo fittizio, la vita cristiana sarà commisurata al genio e al carattere di ciascuna cultura (111), e le tradizioni particolari insieme con le qualità specifiche di ciascuna comunità nazionale, illuminate dalla luce del Vangelo, saranno assorbite nell'unità cattolica. Infine le nuove Chiese particolari, conservando tutta la bellezza delle loro tradizioni, avranno il proprio posto nella comunione ecclesiale, lasciando intatto il primato della cattedra di Pietro, che presiede all'assemblea universale della carità (112).

È dunque desiderabile, per non dire sommamente conveniente, che le conferenze episcopali si riuniscano insieme nell'ambito di ogni vasto territorio socio-culturale, per poter realizzare, in piena armonia tra loro ed in uniformità di decisioni, questo piano di adattamento.

_______________________ NOTE (106) Cf. 1 Cor 15,23.

(107) Cf. 1 Cor 15,28.

(108) Cf. Ef 4,24.

(109) Cf. Sal 2,8.

(110) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 13: AAS 57 (1965), pp. 17-18 [pag. 143ss].

(111) Cf. Disc. di PAOLO VI nella Canon. dei Ss. Mart. dell’Uganda, 18 ott. 1964: AAS 56 (1964), p. 908.

(112) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 13: AAS 57 (1965), p. 18 [pag. 143ss].

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Approfondimenti

Dal momento che la missione della Chiesa continua la missione di Gesù Cristo, la via dell’Incarnazione conduce a cercare quello che i padri chiamano l’adattamento; che è dire, la conversione al Vangelo assumendo generosamente e con attenzione le tradizioni culturali locali. Senza questo non c’è una vera Chiesa particolare; se non sotto le mentite spoglie di una «filiale» imbrigliata nelle fitte maglie della rete di certo colonialismo ecclesiastico. Ad gentes intende liberare la missione dal modulo della tabula rasa, quello che si alimenta alla convinzione che l’unità cattolica coincida con l’uniformità predatrice, insofferente per ogni alterità. Nello schema della tabula rasa c’è la persuasione che la differenza nel vivere il Vangelo sia nemico giurato dell’unità cattolica. Da qui l’imposizione dei propri modi di vivere il Vangelo come condizione cui gli altri devono sottomettersi per entrare nella comunione con il Signore. Insensibili alla discreta presenza della Parola di Dio in storie e culture, contrari a riconoscere il valore di ciascuna tradizione religiosa, le Chiese abituate a quello schema vanno a ingiungere le proprie tradizioni e la propria lingua religiosa come giogo pesante per camminare con Dio (cfr. nn. 11.22). Invece il Vangelo deve giungere a tutti, così che tutti, ciascuno nella sua lingua e secondo il proprio modo di intendere, lo accolgano e lo pratichino «inventando» la loro maniera di vivere il Vangelo e di essere Chiesa, senza dover scimmiottare in modo umiliante un unico modo di essere Chiesa (che sarebbe poi quello che abbiamo in mente noi: superbi, infantili nel presumere che il Vangelo coincida con il nostro modo di viverlo!).

Tornando al principio: «Inviata da Dio alle genti per essere “sacramento universale di salvezza” (LG 48), la Chiesa, per le esigenze più profonde della sua cattolicità e obbedendo al mandato del suo Fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini» (n. 1). Ad gentes divinitus missa. Sì, divinamente inviata: non ci basta ribadire che Dio è il mandante. Ci vien ricordato che il modo dell’invio è divino; il che non ci immette in una altezzosa sacralità, magari stravagante e fuori dal mondo… e contro le genti. Siccome siamo divinamente mandati, siamo caricati (giogo soave) della memoria del “come” Gesù mandò i suoi e anche noi. “Come il Padre mi ha mandato, così io mando voi”: il senso di quel divinamente sta qui, il modo divino dell’invio sta qui. Nell’originaria reciprocità di amore del Padre e del Figlio fiorisce l’invio del Figlio; il soffio eterno dello Spirito, custode vivace dello stare del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre, consacra il Figlio nella missione messianica e ne inventa i cammini folli e scandalosi. Allo stesso modo – questo modo divino – la Chiesa è inviata, “divinamente” appunto: principio della sua missione è il suo “stare con Gesù”, il suo venire e permanere nell’amore del Figlio godendo così dello stesso grembo del Padre, ricevendo lo Spirito per continuare nella memoria del Figlio, come memoria del Figlio e delle sue parole. Lo stare del Padre e del Figlio in noi, il nostro stare nel Figlio dentro il seno del Padre: questo fonda la missione, sempre. Questo ne è la radice, la fonte… Senza questa intimità, la missione muore.

Resisteremo nella divinità di questo invio? Onoreremo la missione “stando in Gesù”, a modo suo? Come provare che “divinamente” siamo mandati? Se stiamo a contemplare l’unzione e la missione di Gesù, dobbiamo riconoscere che l’annuncio della buona notizia ai poveri (cfr. Lc 4,18) attesta che la Chiesa è divinamente inviata: non altro.

da: Itinerario Formativo 2015/2016: «DALL’AD GENTES ALL’EVANGELII NUNTIANDI» Scheda 2 – Ad Gentes Divinitus Missa: Inviata divinamente alle genti, Ufficio per la Pastorale Missionaria dell'Arcidiocesi di Milano

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO III

LE CHIESE PARTICOLARI

Il progresso delle giovani Chiese 19 L'opera di costituzione della Chiesa in un determinato raggruppamento umano raggiunge in certa misura il suo termine, allorché la comunità dei fedeli, inserita ormai profondamente nella vita sociale e in qualche modo modellata sulla cultura locale, gode di una salda stabilità: fornita cioè di una sua schiera, anche se insufficiente, di clero locale, di religiosi e di laici, essa viene arricchendosi di quelle funzioni ed istituzioni che sono necessarie perché il popolo di Dio, sotto la guida di un proprio vescovo, conduca e sviluppi la sua vita.

In queste giovani Chiese appunto la vita del popolo di Dio deve giungere a maturità in tutti i campi della vita cristiana, che deve essere rinnovata secondo le norme di questo Concilio: ed ecco i gruppi di fedeli con crescente consapevolezza si fanno comunità viventi della fede, della liturgia e della carità; i laici, con la loro attività, che è a un tempo civica ed apostolica, si sforzano di instaurare nella città terrena un ordine di giustizia e di carità; l'uso dei mezzi di comunicazione sociale è ispirato a criteri di opportunità e prudenza; le famiglie, praticando la vera vita cristiana, diventano fonte dell'apostolato dei laici e vivaio di vocazioni sacerdotali e religiose. La fede infine è oggetto di insegnamento catechistico appropriato, trova la sua espressione in una liturgia rispondente all'indole del popolo, e viene introdotta, grazie ad un'adeguata legislazione canonica, nelle sane istituzioni umane e nelle consuetudini locali.

I vescovi poi, ciascuno con il proprio presbiterio, approfondendo sempre meglio in se stessi il senso di Cristo e della Chiesa, devono essere in unità di pensieri e di vita con la Chiesa universale. Ed intima resti la comunione delle giovani Chiese con tutta quanta la Chiesa, la cui tradizione esse devono saper collegare in tutti i suoi elementi con la propria cultura, sicché ne risulti, come per uno scambio reciproco di energie, una crescita nella vita del corpo mistico (102). Siano pertanto curati quegli elementi teologici, psicologici ed umani che si rivelano atti ed efficaci per lo sviluppo di questo senso di comunione con la Chiesa universale.

Queste stesse Chiese, che si trovano quasi sempre nelle regioni economicamente depresse del mondo, soffrono per lo più per grave scarsezza di sacerdoti e per mancanza di mezzi materiali. È quindi assolutamente indispensabile che l'azione missionaria continua di tutta la Chiesa fornisca loro quegli aiuti che servano soprattutto allo sviluppo della Chiesa locale e alla maturità della vita cristiana. Questa azione missionaria deve estendere il soccorso anche a quelle Chiese che, pur esistendo da antica data, si trovano, per così dire, in fase di regresso o in uno stato di debolezza.

Tuttavia queste Chiese devono organizzare il lavoro pastorale comune creando opere adatte perché le vocazioni che interessano il clero diocesano o gli istituti religiosi crescano di numero, vengano vagliate con maggiore sicurezza e coltivate con migliore riuscita (103) così, a poco a poco, saranno in grado di provvedere a se stesse e di portare aiuto alle altre.

L'attività missionaria delle Chiese particolari 20 La Chiesa particolare, dovendo riprodurre il più perfettamente possibile la Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere inviata anche a coloro che non credono in Cristo e vivono nel suo stesso territorio, al fine di costituire, con la testimonianza di vita dei singoli fedeli e della comunità tutta, il segno che addita loro il Cristo (104).

È inoltre necessario il ministero della parola, perché il messaggio evangelico giunga a tutti. Il vescovo deve essere essenzialmente il messaggero di fede che porta nuovi discepoli a Cristo. Per rispondere bene a questo nobilissimo compito deve conoscere a fondo sia le condizioni del suo gregge, sia la concezione che di Dio hanno i suoi concittadini, tenendo conto esattamente anche dei mutamenti introdotti dalla cosiddetta urbanizzazione, dal fenomeno della emigrazione e dall'indifferentismo religioso.

I sacerdoti locali attendano con molto zelo all'opera di evangelizzazione nelle giovani Chiese, collaborando attivamente con i missionari di origine straniera, con i quali costituiscono un unico corpo sacerdotale riunito sotto l'autorità del vescovo: ciò non solo per pascere i propri fedeli e per celebrare il culto divino, ma anche per predicare il Vangelo a coloro che stanno fuori. Perciò dimostrino prontezza e, all'occasione, si offrano generosamente al proprio vescovo per iniziare l'attività missionaria nelle zone più lontane ed abbandonate della propria diocesi o anche di altre diocesi.

Dello stesso zelo siano animati i religiosi e le religiose, ed anche i laici verso i propri concittadini, specie quelli più poveri.

Le conferenze episcopali procurino che periodicamente si tengano corsi di aggiornamento biblico, teologico, spirituale e pastorale, allo scopo di consentire al clero, di fronte al variare incessante delle situazioni, di approfondire la conoscenza della teologia e dei metodi pastorali.

Quanto al resto, si osservino religiosamente tutte le disposizioni che questo Concilio ha emanato, specialmente quelle del decreto relativo al ministero ed alla vita sacerdotale.

Una Chiesa particolare, per poter realizzare la propria opera missionaria, ha bisogno di ministri adatti, che vanno preparati tempestivamente in maniera rispondente alle condizioni di ciascuna di esse. E poiché gli uomini tendono sempre più a riunirsi in gruppi, è sommamente conveniente che le conferenze episcopali concordino una comune linea di azione, in ordine al dialogo da stabilire con tali gruppi. Se però in certe regioni esistono dei gruppi di uomini, che sono distolti dall'abbracciare la fede cattolica dall'incapacità di adattarsi a quella forma particolare che la Chiesa ha assunto in mezzo a loro, è senz'altro desiderabile che si provveda ad una tale situazione con misure particolari (105) finché non si arrivi a riunire tutti i cristiani in un'unica comunità. Se poi la santa Sede dispone di missionari preparati a questo scopo, pensino i singoli vescovi a chiamarli nelle proprie diocesi o li accolgano ben volentieri, favorendo efficacemente le loro iniziative.

Perché questo zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria, è altresì conveniente che le giovani Chiese partecipino quanto prima effettivamente alla missione universale della Chiesa, inviando anch'esse dei missionari a predicare il Vangelo dappertutto nel mondo, anche se soffrono di scarsezza di clero. La comunione con la Chiesa universale raggiungerà in un certo senso la sua perfezione solo quando anch'esse prenderanno parte attiva allo sforzo missionario diretto verso le altre nazioni.

_______________________ NOTE (102) Cf. GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 838.

(103) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul Ministero e la Vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 11 [pag. 803ss]; Decr. sulla Formazione Sacerdotale Optatam totius, n. 2 [pag. 441ss].

(104) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 25: AAS 57 (1965), p. 29 [pag. 191ss].

(105) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul Ministero e la Vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 10, dove per rendere più facili le opere pastorali particolari per le diverse classi sociali si prevede la costituzione di Prelature personali, in quanto il corretto esercizio dell’apostolato lo avrà richiesto [pag. 801ss].

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Approfondimenti

Il 21 aprile 1957 – giorno di Pasqua – Pio XII promulgava un’enciclica che avrebbe suscitato in tutto il mondo un incredibile movimento missionario. Da allora il titolo del documento, Fidei Donum, il dono della fede, indica un tipo particolare di sacerdote: quello che, rimanendo prete diocesano, sente la vocazione missionaria e parte, inviato dal suo vescovo e dalla sua Chiesa, come “dono di fede” alle terre di missione. I fidei donum non vanno confusi con i missionari religiosi perché restano diocesani e – dopo un periodo più o meno lungo – tornano in patria per “contagiare” le Chiese d’origine con la loro esperienza missionaria.

L’enciclica di Pacelli è decisamente profetica, perché anticipa uno dei “pilastri” del Concilio Vaticano II (1962-65), cioè lo spirito missionario che deve animare tutta la Chiesa e ogni battezzato, anche se l’impianto concettuale e il linguaggio non sono certo conciliari. Il documento indica come terra di missione soprattutto l’Africa, investita dalla ventata di indipendenza che porta, con sanguinose rivolte e guerre, alla fine del colonialismo e alla nascita di molti nuovi Stati.

In realtà sono molto più numerosi i preti partiti per l’America Latina; seguono l’Africa e, in misura marginale, l’Asia e l’Oceania. Il concetto di Pio XII sarà approfondito e sviluppato dal Concilio, da Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, che nell’enciclica Redemptoris missio del 1990 afferma: «I presbiteri evidenziano in modo singolare il vincolo di comunione tra le Chiese, danno un prezioso apporto alla crescita di comunità ecclesiali bisognose, mentre attingono da esse freschezza e vitalità di fede».

L’ispirazione di fondo del fenomeno è lo scambio di doni, ma ora lo scenario è totalmente mutato. Numerose diocesi faticano a garantire una normale attività evangelizzatrice e pastorale per la carenza di sacerdoti, per l’età sempre più avanzata e per la mancanza di vocazioni, fenomeni ancora più accentuati nelle congregazioni religiose. In cinquant’anni la situazione si è ribaltata: nell'ottobre 2007 i fidei donum italiani nel mondo sono 575, mentre i preti “importati” dal Terzo Mondo sono 1800.

La 57ª assemblea della Cei, svoltasi in Vaticano dal 21 al 25 maggio 2007, ha riletto in una chiave ecclesiale e missionaria più vasta l’entusiasmante storia dei fidei donum.

La prima fase (1957-1968) registra una partenza molto stentata: nel 1968 in Africa operano solo 40 preti.

La seconda fase (1969-1985) è molto vivace: il Concilio rilancia decisamente la missio ad gentes, c’è un forte aumento dei missionari e dei fidei donum (nel 1975 salgono a 108 e nel 1979 a 143). La novità è la partenza dei laici, in special modo coppie di sposi. A metà degli anni Ottanta la maggior presenza: circa 700 unità.

La terza fase (1986-2006) registr un lento e inarrestabile calo: dai 713 del 1996 ai 575 del 2006 (dati CEI).

In cinquant’anni, dal 1957 al 2007, i fidei donum sono stati circa 2000. Un numero limitato, ma un fenomeno sorprendente per i risultati maturati nelle comunità: nessun altro soggetto missionario ha portato la cooperazione tra le Chiese nell’esperienza delle persone, delle parrocchie, delle diocesi. Attorno a questi protagonisti della missione si è creata una vasta rete di rapporti personali, familiari, parrocchiali, ecclesiali, con un’incredibile capillarità di iniziative e una galassia di amici, sostenitori, volontari.

Più dei missionari e delle missionarie degli istituti religiosi, rimasti lontani dalle Chiese di origine nella formazione e nel servizio, i fidei donum conservano costanti rapporti con le comunità che hanno visto crescere la loro vocazione e in cui hanno esercitato il ministero. Confratelli, parrocchie e fedeli imparano a conoscere la missione proprio grazie ai fidei donum. Corrispondenza, viaggi e Internet favoriscono i contatti e lo scambio. Spesso le diocesi valorizzano l’esperienza come espressione del protagonismo missionario e i vescovi conoscono le giovani Chiese visitando i loro preti e accogliendo vescovi e sacerdoti delle diocesi “gemellate”. È, insomma, un “ponte tra le Chiese”.

Ci sono state anche grosse difficoltà. All’inizio un certo stile “colonialistico” dei preti in missione; le remore di vescovi, preti e fedeli dei Paesi ospitanti ad accettare il “dono della fede”; l’eccessivo isolamento e l’incapacità di lavorare in équipes tra preti di continenti e Paesi diversi; la difficoltà di imparare le lingue e i dialetti. Tuttavia, scrive monsignor Moacyr Grechi, vescovo in Amazzonia dal 1972, «tra i fidei donum ho incontrato alcuni tra i migliori preti della mia lunga vita di vescovo e ho apprezzato la loro disponibilità a lavorare nei luoghi più difficili». Ben 25 fidei donum sono stati nominati vescovi e ben più di un centinaio ricoprono o hanno ricoperto compiti delicati e importanti: vicari generali, vicari episcopali per la pastorale, rettori e padri spirituali nei Seminari, parroci delle cattedrali.

da: L’enciclica “Fidei donum” del 1957 UN PONTE TRA LE CHIESE, di Pier Giuseppe Accornero

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Art. 3 – La formazione della comunità cristiana

Il clero indigeno 16 La Chiesa si rallegra vivamente e ringrazia per il dono inestimabile della vocazione sacerdotale che Dio ha concesso a tanti giovani in mezzo a popoli convertiti di recente al cristianesimo. È indubbio che la Chiesa mette più profonde radici in un gruppo umano qualsiasi, quando le varie comunità di fedeli traggono dai propri membri i ministri della salvezza, che nell'ordine dei vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi servono ai loro fratelli, sicché le nuove Chiese acquistano a poco a poco la struttura di diocesi, fornite di clero proprio.

Quanto dunque questo Concilio ha deciso intorno alla vocazione ed alla formazione sacerdotale, deve essere religiosamente osservato dove la Chiesa viene stabilita per la prima volta e nelle giovani Chiese. Soprattutto va tenuto presente quel che è stato affermato a proposito della formazione spirituale e della sua stretta coordinazione con quella dottrinale e pastorale, della vita da condurre secondo l'ideale evangelico senza riguardo all'interesse proprio o familiare, nonché della necessità di approfondire il senso del mistero della Chiesa. Da questi principi i sacerdoti impareranno magnificamente a dedicarsi senza riserve al servizio del corpo di Cristo ed al lavoro evangelico, a restare uniti come cooperatori fedeli al proprio vescovo, ad offrire la propria collaborazione ai confratelli (92).

Per il raggiungimento di questo fine generale, l'intero ciclo di formazione degli alunni deve essere ordinato alla luce del mistero della salvezza come è presentato nella sacra Scrittura. Essi devono scoprire questo mistero del Cristo e della salvezza umana presente nella liturgia e viverlo (93).

Tali esigenze comuni della preparazione sacerdotale, anche di ordine pastorale e pratico, indicate dal Concilio (94), vanno armonizzate con la preoccupazione di adeguarsi al particolare modo di pensare e di agire della propria nazione. Bisogna dunque aprire ed affinare lo spirito degli alunni, perché conoscano bene e possano valutare la cultura del loro paese; nello studio delle discipline filosofiche e teologiche essi debbono scoprire quali rapporti intercorrono tra tradizioni e religione nazionale e la religione cristiana (95). Analogamente, la preparazione al sacerdozio deve tenere presenti le necessità pastorali della regione: gli alunni devono apprendere la storia, la finalità e il metodo dell'azione missionaria della Chiesa, nonché le particolari condizioni sociali, economiche e culturali del proprio popolo. Vanno anche educati allo spirito ecumenico e preparati al dialogo fraterno con i non cristiani (96). Tutto questo suppone che gli studi preparatori al sacerdozio si compiano, per quanto è possibile, mantenendo ciascuno il più stretto contatto con la propria nazione (97). E si abbia anche cura di formare alla esatta amministrazione ecclesiastica, anche in senso economico.

Si devono scegliere inoltre dei sacerdoti capaci, perché dopo un certo periodo di pratica pastorale, perfezionino i loro studi superiori nelle università anche straniere, specie in quelle di Roma, ed in altri istituti scientifici, di modo che, come elementi del clero locale con dottrina ed esperienza congrue possano aiutare efficacemente le nuove Chiese nell'adempimento delle funzioni ecclesiastiche più alte.

Laddove le conferenze episcopali lo riterranno opportuno, si restauri l'ordine diaconale come stato permanente, secondo le disposizioni della costituzione sulla Chiesa (98). È bene infatti che gli uomini, i quali di fatto esercitano il ministero di diacono, o perché come catechisti predicano la parola di Dio, o perché a nome del parroco e del vescovo sono a capo di comunità cristiane lontane, o perché esercitano la carità attraverso opere sociali e caritative, siano fortificati dall'imposizione delle mani, che è trasmessa fin dagli apostoli, e siano più saldamente congiunti all'altare per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l'aiuto della grazia sacramentale del diaconato.

Catechisti 17 Degna di lode è anche quella schiera, tanto benemerita dell'opera missionaria tra i pagani, che è costituita dai catechisti, sia uomini che donne. Essi, animati da spirito apostolico e facendo grandi sacrifici, danno un contributo singolare ed insostituibile alla propagazione della fede e della Chiesa.

Nel nostro tempo poi, in cui il clero è insufficiente per l'evangelizzazione di tante moltitudini e per l'esercizio del ministero pastorale, il compito del catechista è della massima importanza. Pertanto è necessario che la loro formazione sia perfezionata e adeguata al progresso culturale, in modo che, come validi cooperatori dell'ordine sacerdotale, possano svolgere nella maniera migliore il loro compito, che si va facendo sempre più vasto e impegnativo. Si devono quindi moltiplicare le scuole diocesane e regionali nelle quali i futuri catechisti apprendano sia la dottrina cattolica – specialmente quella che ha per oggetto la Bibbia e la liturgia –, sia anche il metodo catechetico e la tecnica pastorale, e ricevano un'autentica formazione morale cristiana (99) in uno sforzo costante per coltivare la pietà e la santità della vita . Si tengano inoltre dei convegni o corsi periodici per aggiornare i catechisti nelle discipline e tecniche utili al loro ministero e per alimentare e rinvigorire la loro vita spirituale. Inoltre, a quelli che si dedicano completamente a quest'opera bisogna garantire un decoroso tenore di vita e la sicurezza sociale, corrispondendo loro un giusto compenso (100).

È desiderabile che alla formazione ed al sostentamento dei catechisti si provveda convenientemente con sussidi speciali della sacra Congregazione di Propaganda Fide. Se apparirà necessario ed opportuno, si fondi un'opera per i catechisti.

Le Chiese inoltre devono sentire e dimostrare gratitudine per l'opera generosa dei catechisti ausiliari, il cui aiuto sarà loro indispensabile. Sono essi che nelle loro comunità presiedono alla preghiera ed impartiscono l'insegnamento. Ci si deve debitamente preoccupare anche della loro formazione dottrinale e spirituale. È altresì auspicabile che ai catechisti convenientemente formati sia conferita, riconoscendosene l'opportunità, la missione canonica nella pubblica celebrazione della liturgia, perché siano al servizio della fede con maggiore autorità agli occhi del popolo.

Promozione della vita religiosa 18 La vita religiosa deve essere curata e promossa fin dal periodo iniziale della fondazione della Chiesa, perché essa non solo è fonte di aiuti preziosi e indispensabili per l'attività missionaria, ma attraverso una più intima consacrazione a Dio fatta nella Chiesa manifesta anche chiaramente e fa comprendere l'intima natura della vocazione cristiana (101).

Gli istituti religiosi che lavorano alla fondazione della Chiesa, impregnati dei mistici tesori di cui è ricca la tradizione religiosa ecclesiale, devono sforzarsi di metterli in luce e di trasmetterli secondo il genio e il carattere di ciascuna nazione. E devono anche considerare attentamente in che modo le tradizioni di vita ascetica e contemplativa, i cui germi talvolta Dio ha immesso nelle antiche culture prima della predicazione del Vangelo, possano essere utilizzate per la vita religiosa cristiana.

Nelle giovani Chiese bisogna promuovere la vita religiosa nelle sue varie forme, perché essa mostri i diversi aspetti della missione di Cristo e della vita ecclesiale, si consacri alle varie attività pastorali e prepari i propri membri ad esplicarle come si conviene. I vescovi tuttavia in sede di conferenza episcopale facciano attenzione perché non si moltiplichino, danneggiando la vita religiosa e l'apostolato, le congregazioni aventi identica finalità apostolica.

Meritano speciale considerazione le varie iniziative destinate a stabilire la vita contemplativa. Certi istituti, mantenendo gli elementi essenziali della istituzione monastica, tendono a impiantare la ricchissima tradizione del proprio ordine; altri cercano di ritornare alla semplicità delle forme del monachesimo primitivo. Tutti comunque devono cercare un reale adattamento alle condizioni locali. Poiché la vita contemplativa interessa la presenza ecclesiale nella sua forma più piena, è necessario che essa sia costituita dappertutto nelle giovani Chiese.

_______________________ NOTE (92) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla Formazione Sacerdotale Optatam totius, nn. 4, 8, 9 [pag. 447ss].

(93) Cf. CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 17: AAS 56 (1964), p. 105 [pag. 29].

(94) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla Formazione Sacerdotale Optatam totius, n. 1 [pag. 441].

(95) Cf. GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 843-844.

(96) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 4: AAS 57 (1965), pp. 94-96 [pag. 315].

(97) Cf. GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 842.

(98) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 29: AAS 57 (1965), p. 36 [pag. 191ss].

(99) Cf. GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), pp. 855.

(100) Si tratta dei cosiddetti “catechisti a tempo pieno”.

(101) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 31, 44: AAS 57 (1965), pp. 37, 50-51 [pag. 193ss, 227ss].

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Approfondimenti

Il Concilio Vaticano II afferma che il Popolo di Dio «costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da Lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti, e, quale luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo» (Lumen Gentium, 9), che la Chiesa è missionaria, per sua natura e per mandato (Ad gentes divinitus, 2, 35), e pertanto il dovere missionario concerne tutti e ciascuno dei suoi membri e tutte e ciascuna delle sue Chiese e comunità locali (Lumen Gentium, 9).

Tale dovere riguarda primariamente e immediatamente il Papa e i Vescovi (Ad gentes divinitus, 29, 38), e in modo particolare i sacerdoti, i religiosi e le religiose, per la loro consacrazione a servizio di Dio e della Chiesa (bid. 39, 40); ma nessun fedele cristiano deve credersi esonerato da questo dovere, poiché mediante il battesimo è stato incorporato in una Chiesa essenzialmente missionaria (Ibid. 36). Effettivamente, tutti i cristiani sono obbligati a cooperare per le missioni a seconda delle proprie capacità: alcuni potranno farlo con la parola, altri con la penna, questi con il danaro, quelli con il lavoro manuale, altri, infine, dedicheranno alle missioni il loro tempo. A tutti si presenta l’opportunità di offrire per le missioni le loro preghiere, le loro tribolazioni, le loro gioie, i loro dolori.

Ed è così chiara questa universalità del dovere missionario che il Concilio, trattando dell’iniziazione cristiana fra i catecumeni, dispone che questi, prima di ricevere il battesimo, «imparino a cooperare attivamente all’evangelizzazione e all’edificazione della Chiesa» (Ad gentes divinitus, 14).

Riguardo alle Chiese giovani, poi, che in quanto tali sono generalmente molto povere di personale e di mezzi, il Concilio aggiunge essere conveniente che «partecipino quanto prima e di fatto alla missione universale della Chiesa... La comunione con la Chiesa universale raggiungerà in un certo senso la sua perfezione solo quando anche esse prenderanno parte attiva allo sforzo missionario diretto verso le altre nazioni» (Ibid. 20).

Questo dovere di cooperazione all’opera delle missioni potrebbe sembrare a qualcuno – dato l’annunzio di una Giornata Annuale delle Missioni – che si debba compiere soltanto un giorno all’anno. Tutt’altro. Non si tratta di una raccomandazione marginale, ma di un dovere fondamentale del Popolo di Dio, inerente alla natura stessa dell’essere cristiano (Ibid. 36); il «dovere più alto e più sacro della Chiesa» (Ibid. 29).

Come la respirazione non può mai interrompersi, pena la morte, così l’ansia missionaria non può limitarsi ad una sola Giornata Annuale, se non si vuol correre il rischio di compromettere l’avvenire della Chiesa e la nostra stessa esistenza cristiana. Per tale motivo, nell’importante documento Post-conciliare Ecclesiae Sanctae (Ecclesiae Sanctae, III, 3), con cui si applicano alla pastorale pratica le norme conciliari, si afferma che la Giornata Missionaria Mondiale deve essere l’espressione spontanea di uno spirito missionario, tenuto vivo tutti i giorni mediante orazioni e sacrifici quotidiani. L’asfissia spirituale, nella quale oggi tristemente si dibattono in seno alla Chiesa cattolica tanti individui e istituzioni, non avrà forse la sua origine nella prolungata assenza di un autentico spirito missionario?

Problemi a volte immediati, di trascendenza molto limitata, fanno dimenticare il formidabile problema della missione universale della Chiesa.

Quante tensioni interne, che debilitano e lacerano alcune Chiese e Istituzioni locali, scomparirebbero di fronte alla ferma convinzione che la salvezza delle comunità locali si conquista con la cooperazione all’opera missionaria, perché questa sia estesa sino ai confini della terra! (Ad gentes divinitus, 37).

Vi è un’affermazione del Concilio Vaticano II che desideriamo sia meditata attentamente: «È tanta l’armonia e la compattezza delle membra (nel Corpo mistico di Cristo), che un membro il quale non operasse per la crescita del corpo secondo la propria energia, dovrebbe dirsi inutile per la Chiesa e per se stesso» (Apostolicam Actuositatem, 2).

Esiste una circostanza che rende ancora più urgente e grave questa responsabilità missionaria del Popolo di Dio. Ci riferiamo alle molteplici possibilità che offre il mondo odierno per una penetrazione universale e simultanea del Messaggio evangelico. Noi vediamo felicemente convertita in realtà la presenza storica della Chiesa fra tutti i popoli. Nonostante vi siano paesi che si chiudono volontariamente al Vangelo, è un fatto evidente che tutti i popoli si vanno sempre più cercando fra di loro, e si mettono pertanto anche in relazione con la Chiesa.

Questa nuova e provvidenziale situazione della Chiesa nel mondo ci fa comprendere i grandi doveri e vantaggi che oggi ci si offrono nel campo della cooperazione missionaria per una diffusione su scala mondiale dell’ideale missionario e per un aiuto di vaste dimensioni a tutte le missioni della Chiesa.

dal: MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PAOLO VI PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 1972

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Art. 3 – La formazione della comunità cristiana

La comunità cristiana 15 Lo Spirito Santo, che mediante il seme della parola e la predicazione del Vangelo chiama tutti gli uomini a Cristo e suscita nei loro cuori l'adesione alla fede, allorché rigenera a nuova vita in seno al fonte battesimale i credenti in Cristo, li raccoglie nell'unico popolo di Dio, che è « stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo di redenti » (81).

Perciò i missionari, come cooperatori di Dio (82), devono dar vita a comunità di fedeli che, seguendo una condotta degna della vocazione alla quale sono state chiamate (83), siano tali da esercitare quella triplice funzione sacerdotale, profetica e regale che Dio ha loro affidata. In questo modo la comunità cristiana diventa segno della presenza divina nel mondo: nel sacrificio eucaristico, infatti, essa passa incessantemente al Padre in unione con il Cristo (84), zelantemente alimentata con la parola di Dio (85) rende testimonianza al Cristo (86) e segue la via della carità, ricca com'è di spirito apostolico (87).

Fin dall'inizio la comunità cristiana deve essere formata in modo che possa provvedere da sola, per quanto è possibile, alle proprie necessità. Un tal gruppo di fedeli, in possesso del patrimonio culturale della nazione cui appartiene, deve mettere profonde radici nel popolo: da esso germoglino famiglie dotate di spirito evangelico (88) e sostenute da scuole appropriate; si costituiscano associazioni e organismi, per mezzo dei quali l'apostolato dei laici sia in grado di permeare di spirito evangelico l'intera società. Risplenda infine la carità tra cattolici appartenenti a diversi riti (89).

Anche lo spirito ecumenico deve essere favorito tra i neofiti, nella chiara convinzione che i fratelli che credono in Cristo sono suoi discepoli, rigenerati nel battesimo e compartecipi di moltissimi tesori del popolo di Dio. Nella misura in cui lo permette la situazione religiosa, va promossa un'azione ecumenica tale che i cattolici, esclusa ogni forma di indifferentismo, di sincretismo e di sconsiderata concorrenza, attraverso una professione di fede – per quanto possibile comune – in Dio ed in Gesù Cristo di fronte ai non credenti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati, secondo le norme del decreto sull'ecumenismo. Collaborino soprattutto per la causa di Cristo, che è il loro comune Signore: sia il suo nome il vincolo che li unisce! Questa collaborazione va stabilita non solo tra persone private, ma anche, secondo il giudizio dell'ordinario del luogo, a livello delle Chiese o comunità ecclesiali, e delle loro opere.

I fedeli, che da tutti i popoli sono riuniti nella Chiesa, «non si distinguono dagli altri uomini né per territorio né per lingua né per istituzioni politiche» (90) perciò debbono vivere per Iddio e per il Cristo secondo le usanze e il comportamento del loro paese: come buoni cittadini essi debbono coltivare un sincero e fattivo amor di patria, evitare ogni forma di razzismo e di nazionalismo esagerato e promuovere l'amore universale tra i popoli.

Grande importanza hanno per il raggiungimento di questi obiettivi, e perciò vanno particolarmente curati, i laici, cioè i fedeli che, incorporati per il battesimo a Cristo, vivono nel mondo. Tocca proprio a loro, penetrati dello Spirito di Cristo, agire come un fermento nelle realtà terrene, animandole dall'interno ed ordinandole in modo che siano sempre secondo il Cristo (91).

Non basta però che il popolo cristiano sia presente ed organizzato nell'ambito di una nazione; non basta che faccia dell'apostolato con l'esempio: esso è costituito ed è presente per annunziare il Cristo con la parola e con l'opera ai propri connazionali non cristiani e per aiutarli ad accoglierlo nella forma più piena.

Inoltre, per la costituzione della Chiesa e lo sviluppo della comunità cristiana, sono necessari vari tipi di ministero, che, suscitati nell'ambito stesso dei fedeli da una aspirazione divina, tutti debbono diligentemente promuovere e rispettare: tra essi sono da annoverare i compiti dei sacerdoti, dei diaconi e dei catechisti, e l'Azione cattolica. Parimenti i religiosi e le religiose, per stabilire e rafforzare il regno di Cristo nelle anime, come anche per estenderlo ulteriormente, svolgono un compito indispensabile sia con la preghiera, sia con l'attività esterna. _______________________ NOTE (81) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 9: AAS 57 (1965), p. 13 [pag. 133ss].

(82) Cf. 1 Cor 3,9.

(83) Cf. Ef 4,1.

(84) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 10, 11, 34: AAS 57 (1965), pp. 10-17, 39-40 [pag. 137ss, 199ss].

(85) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, n. 21: AAS 58 (1966), p. 827 [pag. 543ss].

(86) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 12, 35: AAS 57 (1965), pp. 16, 40-41 [pag. 141ss, 201ss].

(87) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium nn. 23, 36: AAS 57 (1965), pp. 28, 41-42 [pag. 169ss, 203ss].

(88) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 11, 35, 41: AAS 57 (1965), pp. 15-16, 40-41, 47 [pag. 139ss, 201ss, 213ss].

(89) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulle Chiese Cattoliche Orientali, Orientalium Ecclesiarum, n. 4: AAS 57 (1965), pp. 77-78 [pag. 283ss].

(90) Epist. ad Diognetum, 5: PG 2, 1173; cf. Conc. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 38: AAS 57 (1965), p. 43 [pag. 209].

(91) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium n. 32: AAS 57 (1965), p. 38 [pag. 195ss]; Decr. sull’Apostolato dei Laici Apostolicam Actuositatem, nn. 5-7 [pag. 571ss].

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Approfondimenti

Nata come forma della comunità cristiana in grado di comunicare e far crescere la fede nella storia e di realizzare il carattere comunitario della Chiesa, la parrocchia ha cercato di dare forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana. Essa è la figura più conosciuta della Chiesa per il suo carattere di vicinanza a tutti, di apertura verso tutti, di accoglienza per tutti. Nel cattolicesimo, in particolare in quello italiano, le parrocchie hanno indicato la “vita buona” secondo il Vangelo di Gesù e hanno sorretto il senso di appartenenza alla Chiesa. Con la sua struttura flessibile, la parrocchia è stata in grado, sia pure a volte con fatica, di rispondere alle trasformazioni sociali e alle diverse sensibilità religiose. A livello di parrocchia si coglie la verità di quanto afferma il Concilio Vaticano II, e cioè che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena» [CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 40].

Oggi, però, questa figura di parrocchia si trova minacciata da due possibili derive: da una parte la spinta a fare della parrocchia una comunità “autoreferenziale”, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti; dall’altra la percezione della parrocchia come “centro di servizi” per l’amministrazione dei sacramenti, che dà per scontata la fede in quanti li richiedono. La consapevolezza del rischio non ci fa pessimisti: la parrocchia nel passato ha saputo affrontare i cambiamenti mantenendo intatta l’istanza centrale di comunicare la fede al popolo. Ciò tuttavia non è sufficiente ad assicurarci che anche nel futuro essa sarà in grado di essere concretamente missionaria.

Perché ciò accada, dobbiamo affrontare alcuni snodi essenziali. Il primo riguarda il carattere della parrocchia come figura di Chiesa radicata in un luogo: come intercettare “a partire dalla parrocchia” i nuovi “luoghi” dell’esperienza umana, così diffusi e dispersi? Altrettanto ci interroga la connotazione della parrocchia come figura di Chiesa vicina alla vita della gente: come accogliere e accompagnare le persone, tessendo trame di solidarietà in nome di un Vangelo di verità e di carità, in un contesto di complessità sociale crescente? E ancora, la parrocchia è figura di Chiesa semplice e umile, porta di accesso al Vangelo per tutti: in una società pluralista, come far sì che la sua “debolezza” aggregativa non determini una fragilità della proposta? E, infine, la parrocchia è figura di Chiesa di popolo, avamposto della Chiesa verso ogni situazione umana, strumento di integrazione, punto di partenza per percorsi più esigenti: ma come sfuggire al pericolo di ridursi a gestire il folklore religioso o il bisogno di sacro? Su questi interrogativi dobbiamo misurarci per riposizionare la parrocchia in un orizzonte più spiccatamente missionario.

da: IL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MONDO CHE CAMBIA, Nota pastorale della C.E.I. (2004)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Art. 2 – La predicazione del Vangelo e la riunione del popolo di Dio

Evangelizzazione e conversione 13 Ovunque Dio apre una porta della parola per parlare del mistero del Cristo (64), ivi a tutti gli uomini (65), con franchezza (66) e con perseveranza deve essere annunziato (67) il Dio vivente e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo (68). Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo (69), crederanno e liberamente si convertiranno al Signore, e sinceramente aderiranno a colui che, essendo «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), risponde a tutte le attese del loro spirito, anzi le supera infinitamente.

Una tale conversione va certo intesa come un inizio: eppure è sufficiente perché l'uomo avverta che, staccato dal peccato, viene introdotto nel mistero dell'amore di Dio, che lo chiama a stringere nel Cristo una relazione personale con lui. Difatti, sotto l'azione della grazia di Dio, il neo-convertito inizia un itinerario spirituale in cui, trovandosi già per la fede in contatto con il mistero della morte e della risurrezione, passa dall'uomo vecchio all'uomo nuovo che in Cristo trova la sua perfezione (70). Questo passaggio, che implica un progressivo cambiamento di mentalità e di costumi, deve manifestarsi nelle sue conseguenze di ordine sociale e svilupparsi progressivamente nel tempo del catecumenato. E poiché il Signore in cui si crede è segno di contraddizione (71), non di rado chi si è convertito va incontro a rotture e a distacchi, ma anche a gioie, che Dio generosamente concede (72).

La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo in cui rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia distolto dalla fede stessa (73).

Secondo una prassi antichissima nella Chiesa, i motivi della conversione vanno bene esaminati, e, se è necessario, purificati.

Catecumenato e iniziazione cristiana 14 Coloro che da Dio, tramite la Chiesa, hanno ricevuto il dono della fede in Cristo (74), siano ammessi nel corso di cerimonie liturgiche al catecumenato. Questo, lungi dall'essere una semplice esposizione di verità dogmatiche e di norme morali, costituisce una vera scuola di formazione, debitamente estesa nel tempo, alla vita cristiana, in cui appunto i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza ed alla pratica della morale evangelica, e mediante dei riti sacri, da celebrare successivamente (75), siano introdotti nella vita religiosa, liturgica e caritativa del popolo di Dio.

In seguito, liberati grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana dal potere delle tenebre (76), morti e sepolti e risorti insieme con il Cristo (77), ricevono lo Spirito di adozione a figli (78) e celebrano il memoriale della morte e della resurrezione del Signore con tutto il popolo di Dio.

È auspicabile una riforma della liturgia del tempo quaresimale e pasquale, perché sia in grado di preparare l'anima dei catecumeni alla celebrazione del mistero pasquale, durante le cui feste essi per mezzo del battesimo rinascono in Cristo.

Questa iniziazione cristiana nel corso del catecumenato non deve essere soltanto opera dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità dei fedeli, soprattutto dei padrini, in modo che i catecumeni avvertano immediatamente di appartenere al popolo di Dio. Essendo la vita della Chiesa apostolica, è necessario che essi imparino a cooperare attivamente all'evangelizzazione ed alla edificazione della Chiesa con la testimonianza della vita e con la professione della fede.

Infine, nel nuovo Codice dovrà essere più esattamente definito lo stato giuridico dei catecumeni. Essi infatti sono già uniti alla Chiesa (79), appartengono già alla famiglia del Cristo (80), e non è raro che conducano già una vita ispirata alla fede, alla speranza ed alla carità. _______________________ NOTE (64) Cf. Col 4,3.

(65) Cf. Mc 16,15.

(66) Cf. At 4,13.29.31; 9,27-28; 13,46; 14,3; 19,8; 26,26; 28,31; 1 Ts 2,2; 2 Cor 3,12; 7,4; Fil 1,20; Ef 3,12; 6,19-20.

(67) Cf. 1 Cor 9,15; Rm 10,14.

(68) Cf. 1 Ts 1,9-10; 1 Cor 1,18-21; Gal 3,1; At 14,15-17; 17,22-31.

(69) Cf. At 16,14.

(70) Cf. Col 3,5-10; Ef 4,20-24.

(71) Cf. Lc 2,34; Mt 10,34-39.

(72) Cf. 1 Ts 1,6.

(73) Cf. CONC. VAT. II, Dich. sulla Libertà Religiosa Dignitatis humanae, nn. 2, 4, 10 [pag. 627ss, 633, 641ss]; Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 21 [pag. 847].

(74) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium,, n. 17: AAS 57 (1965), pp. 20-21 [pag. 153ss].

(75) Cf. CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 64-65: AAS 56 (1964), p. 117 [pag. 55].

(76) Cf. Col 1,13. Su questa libertà dalla schiavitù del demonio e delle tenebre nel Vangelo cf. Mt 12,28; Gv 8,44; 12,31 (cf. 1 Gv 3,8; Ef 2,1-2). Nella Liturgia del Battesimo cf. Rit. Rom.

(77) Cf. Rm 6,4-11; Col 2,12-13; 1 Pt 3,21-22; Mc 16,16.

(78) Cf. 1 Ts 3,5-7; At 8,14-17.

(79) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 14: AAS 57 (1965), p. 19 [pag. 147ss].

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Approfondimenti

Il popolo di Dio ha come primo inderogabile impegno il primo annuncio, la parola della salvezza, l’annuncio di Dio che ci ama fino a mandare il suo Figlio per salvarci e farci vivere la pienezza dell’umanità. Questo annuncio, offerto da una Chiesa caratterizzata dalla gioia che le viene dalla missione, è ciò che si aspetta oggi la gente. Essa ha bisogno di un orientamento, un senso per la vita in un tempo di confusione; essa ha bisogno di trovare ascolto, accoglienza, misericordia e tenerezza. Questo è il primo annuncio che deve essere offerto prima con i gesti che con le prediche.

Bisogna andare al di là della «nuova evangelizzazione», segno caratteristico della missione del tempo di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, per offrire «la Bellezza che salverà il mondo» (Dostoevskij). Il mondo oggi attende un annuncio e insieme una comunità che irradino gioia e attraggano coloro che la incontrano: «La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione» (EG 14).

Questa parola del Papa Benedetto ripresa con insistita frequenza da Francesco, ha “sconvolto” la tradizionale missione ad gentes. Essa sembra squalificare il nostro fare. Non è vero, essa punta all’anima della missione: non sono più le grandi opere che attirano, ma la testimonianza della gioia dei cristiani che mostrano di aver trovato la gioia e la piena umanizzazione nel vangelo del Signore Gesù.

Dall’urgenza del primo annuncio, viene l’impegno della Chiesa missionaria di aprire a tutti i fedeli i tesori della Parola di Dio e di permettere ai fedeli di leggerla, gustarla e trasformarla in vita vissuta.

Senza pretendere dei metodi rigidi, è importante far giungere i fedeli alla lettura spirituale della Parola, quella che si chiama comunemente la lectio divina.

È molto bello vedere i catecumeni e i neofiti desiderare di leggere la Parola, e di rendersi conto che essa è la sorgente da cui sgorga la ricchezza del catechismo, una specie di roadmap per la vita cristiana e per la vita tout court, parola che aiuta a interpretare la propria storia alla luce della storia della salvezza. Compito molto impegnativo per i pastori, imprescindibile tuttavia, quello di aprire e far conoscere la Scrittura, compito che forma insieme i pastori e il popolo di Dio.

La missione ad gentes ci insegna che oggi la Chiesa nella sua azione evangelizzatrice deve cambiare il passo: la proclamazione della Parola deve ormai passare attraverso il dialogo. Chi annuncia il Vangelo non può più continuare a considerarsi il maestro che insegna, ma si dovrà fare amico dell’altro e mettersi a servizio della verità e dell’altro per poter condividere con lui la sua fede e la sua visione della vita.

Anche qui la Chiesa si ritrova davanti una società non più cristiana (la cristianità) con la quale deve fare i conti mettendosi in paziente e cordiale ascolto per aprire con essa il dialogo.

Le nostre comunità nelle città, ma anche fuori di esse, sono ormai comunità poliedriche, composte di elementi non omogenei dove si trovano gomito a gomito cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, persone di religioni diverse.

Finito ogni complesso di superiorità, ci sentiamo, come gli altri, cercatori di Dio, che devono fare i conti con l’alterità culturale e religiosa ed evangelizzare in umiltà, senza pretese di assolutezza, ma riconoscendo di essere noi stessi alla ricerca delle tracce di Dio ovunque nella storia e nelle religioni.

Questa che, di primo colpo, potrebbe sembrare una de-missione, è invece una situazione nuova che può rivelarsi un’opportunità che permette alla Chiesa missionaria di ripartire con un passo più evangelico nel rispetto e nell’umile ascolto dell’altro. Questa rivoluzione del dialogo è un dono di Paolo VI con l’enciclica Ecclesiam suam (1964), ha tracciato per il Concilio il cammino della missione: «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (n. 67).

Il dialogo è l’espressione dell’amore della Chiesa per il mondo, non ritenuto più il nemico della Chiesa, ma il partner di una relazione di amicizia che la Chiesa cerca di aprire e intrattenere con tutti nella sincerità della ricerca della verità di Dio.

Da parte dei cristiani legati alla tradizione, si teme che il dialogo comprometta la proclamazione del Vangelo e l’offerta del Battesimo. Noi missionari siamo coscienti che ci sono ambienti in cui l’evangelizzazione non può portare al Battesimo e all'entrata nella Chiesa (cf. Redemptoris missio 10). Non per questo verrà meno la proclamazione del Vangelo, ma, attraverso la testimonianza dei valori evangelici, noi possiamo far maturare la fede e la pratica religiosa dei non cristiani.

Quello che non è lecito è abbandonare questi fratelli che non possono diventare cristiani, perché anch’essi sono fratelli con i quali possiamo vivere quei «valori del regno» che anche Gesù ha promosso nella sua evangelizzazione. E questi sono quei valori che lo Spirito Santo ha seminato nella storia prima dell’arrivo dei missionari ai quali tocca di scoprirli laete et reverenter (con letizia e senso di adorazione, Ad gentes 11), coltivarli e portarli a maturazione.

Come Gesù, anche noi possiamo dire: «Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare» (Gv 10,16) e affidare allo Spirito di Gesù che ha strade che noi non conosciamo (cf. Gaudium et spes 22) per farle giungere al mistero pasquale.

Certamente il nostro obiettivo inderogabile è far entrare tutti nella comunione con Dio nella Chiesa, anche se qualche volta l’ordine dei tempi si rovescia, secondo il principio scolastico: primum in intentione, ultimum in executione.

da una meditazione di padre Gabriele Ferrari al clero della diocesi di Trento (Tavernerio, 12 novembre 2019)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Introduzione 10 La Chiesa, che da Cristo è stata inviata a rivelare ed a comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini ed a tutti i popoli, comprende che le resta ancora da svolgere un'opera missionaria ingente. Ben due miliardi di uomini infatti – ed il loro numero cresce di giorno in giorno – uniti in grandi raggruppamenti e determinati da vincoli culturali stabili, da tradizioni religiose antiche o da salde relazioni sociali, o non hanno ancora o hanno appena ascoltato il messaggio evangelico. Di essi alcuni seguono una delle grandi religioni, altri restano ancora estranei all'idea stessa di Dio, altri ne negano dichiaratamente l'esistenza, anzi talvolta l'avversano. La Chiesa quindi, per essere in grado di offrire a tutti il mistero della salvezza e la vita che Dio ha portato all'uomo, deve cercare di inserirsi in tutti questi raggruppamenti con lo stesso movimento con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò a quel certo ambiente socio-culturale degli uomini in mezzo ai quali visse.

Art. 1 – La testimonianza cristiana

Testimonianza di vita e dialogo 11 È necessario che la Chiesa sia presente in questi raggruppamenti umani attraverso i suo}figli, che vivono in mezzo ad essi o ad essi sono inviati. Tutti i cristiani infatti, dovunque vivano, sono tenuti a manifestare con l'esempio della loro vita e con la testimonianza della loro parola l'uomo nuovo, di cui sono stati rivestiti nel battesimo, e la forza dello Spirito Santo, da cui sono stati rinvigoriti nella cresima; sicché gli altri, vedendone le buone opere, glorifichino Dio Padre (58) e comprendano più pienamente il significato genuino della vita umana e l'universale legame di solidarietà degli uomini tra loro.

Ma perché essi possano dare utilmente questa testimonianza, debbono stringere rapporti di stima e di amore con questi uomini, riconoscersi come membra di quel gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prender parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell'umana esistenza, alla vita culturale e sociale. Così debbono conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti; debbono seguire attentamente la trasformazione profonda che si verifica in mezzo ai popoli, e sforzarsi perché gli uomini di oggi, troppo presi da interessi scientifici e tecnologici, non perdano il contatto con le realtà divine, ma anzi si aprano ed intensamente anelino a quella verità e carità rivelata da Dio. Come Cristo stesso penetrò nel cuore degli uomini per portarli attraverso un contatto veramente umano alla luce divina, così i suoi discepoli, animati intimamente dallo Spirito di Cristo, debbono conoscere gli uomini in mezzo ai quali vivono ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e comprensivo, affinché questi apprendano quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ed insieme devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo, di liberarle e di ricondurle sotto l'autorità di Dio salvatore.

Presenza della carità 12 La presenza dei cristiani nei gruppi umani deve essere animata da quella carità con la quale Dio ci ha amato: egli vuole appunto che anche noi reciprocamente ci amiamo con la stessa carità (59). Ed effettivamente la carità cristiana si estende a tutti, senza discriminazioni razziali, sociali o religiose, senza prospettive di guadagno o di gratitudine. Come Dio ci ha amato con amore disinteressato, così anche i fedeli con la loro carità debbono preoccuparsi dell'uomo, amandolo con lo stesso moto con cui Dio ha cercato l'uomo. Come quindi Cristo percorreva tutte le città e i villaggi, sanando ogni malattia ed infermità come segno dell'avvento del regno di Dio (60), così anche la Chiesa attraverso i suoi figli si unisce a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri ed ai sofferenti, prodigandosi volentieri per loro (61). Essa infatti condivide le loro gioie ed i loro dolori, conosce le aspirazioni e i problemi della vita, soffre con essi nell'angoscia della morte. A quanti cercano la pace, essa desidera rispondere con il dialogo fraterno, portando loro la pace e la luce che vengono dal Vangelo.

I fedeli debbono impegnarsi, collaborando con tutti gli altri, alla giusta composizione delle questioni economiche e sociali. Si applichino con particolare cura all'educazione dei fanciulli e dei giovani nei vari ordini di scuole, che vanno considerate non semplicemente come un mezzo privilegiato per la formazione e lo sviluppo della gioventù cristiana, ma insieme come un servizio di primaria importanza per gli uomini e specialmente per le nazioni in via di sviluppo, in ordine all'elevazione della dignità umana ed alla preparazione di condizioni più umane. Portino ancora i cristiani il loro contributo ai tentativi di quei popoli che, lottando contro la fame, l'ignoranza e le malattie, si sforzano per creare migliori condizioni di vita e per stabilire la pace nel mondo. In questa attività ambiscano i fedeli di collaborare intelligentemente alle iniziative promosse dagli istituti privati e pubblici, dai governi, dagli organismi internazionali, dalle varie comunità cristiane e dalle religioni non cristiane.

La Chiesa tuttavia, non desidera affatto intromettersi nel governo della città terrena. Essa non rivendica a se stessa altra sfera di competenza, se non quella di servire gli uomini amorevolmente e fedelmente, con l'aiuto di Dio (62).

I discepoli di Cristo, mantenendosi in stretto contatto con gli uomini nella vita e nell'attività, si ripromettono così di offrir loro un'autentica testimonianza cristiana e di lavorare alla loro salvezza, anche là dove non possono annunciare pienamente il Cristo. Essi infatti non cercano il progresso e la prosperità puramente materiale degli uomini, ma intendono promuovere la loro dignità e la loro unione fraterna, insegnando le verità religiose e morali che Cristo ha illuminato con la sua luce, e così gradualmente aprire una via sempre più perfetta verso il Signore. In tal modo gli uomini vengono aiutati a raggiungere la salvezza attraverso la carità verso Dio e verso il prossimo; comincia allora a risplendere il mistero del Cristo, in cui appare l'uomo nuovo, creato ad immagine di Dio (63), ed in cui si rivela la carità di Dio. _______________________ NOTE

(58) Cf. Mt 5,16.

(59) Cf. 1 Gv 4,11.

(60) Cf. Mt 9,35ss; At 10,38.

(61) Cf. 2 Cor 12,15.

(62) Cf. Mt 20,26; 23,11; Disc. di PAOLO VI pronunciato in Concilio il 21 nov. 1964: AAS 56 (1964), p. 1013 [pag. 1255s].

(63) Cf. Ef 4,24.

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Approfondimenti

Al centro della missione cristiana vi è il Vangelo di Gesù Cristo, e, di conseguenza, la dinamica missionaria rimane in vita solo se nasce dalla gioia del Vangelo e la testimonia, per il desiderio di condividere con gli altri il dono inestimabile che Dio ci ha fatto. Nella fede, i cristiani ritengono che già la prima parola con la quale inizia la storia della salvezza nel Nuovo Testamento è una parola di gioia, vale a dire il saluto rivolto a Maria dall’Arcangelo Gabriele: “Chaire – rallegrati!” (Lc 1, 28). La gioia è il contenuto centrale del messaggio di Dio, che si chiama “vangelo”. La gioia non solo è contenuta nella parola “evangelium”, ma contagia tutti coloro che ascoltano, annunciano e vivono il Vangelo. Il fatto che la prima parola del Vangelo sia una parola di gioia dimostra chiaramente che il cristianesimo, nella sua più intima essenza, è gioia, ovvero è potenziamento alla gioia operato da Dio.

Il cristianesimo è la religione della gioia, perché annuncia in primo luogo la gioia di Dio per la sua creazione. Da ciò deriva la gioia che noi cristiani possiamo avere nei confronti di Dio. Annunciare questa gioia per Dio è la missione più importante del cristianesimo odierno, come Papa Benedetto XVI ha ripetutamente ricordato: “Risvegliare la gioia per Dio, la gioia per la rivelazione di Dio e per l’amicizia con Dio mi sembra un compito urgente della Chiesa nel nostro secolo. Anche per noi oggi sono assolutamente pertinenti le parole rivolte dal sacerdote Esdra al popolo scoraggiato dopo l’esilio: ‘la gioia del Signore è la nostra forza’ (Nee 8,10).”[40] Anche per Papa Francesco la gioia è una parola chiave, che egli ha fatto risuonare già nella sua prima esortazione apostolica: “Evangelii gaudium”. Di fatti, Papa Francesco è convinto che con Gesù Cristo “sempre nasce e rinasce la gioia” e che quindi abbiamo bisogno di una “nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia” [Francesco, Evangelii gaudium, n. 1].

La gioia è il motore più profondo della missione della Chiesa. La più semplice dimostrazione di ciò è il detto tedesco tratto dalla saggezza popolare che afferma: “La bocca trabocca perché il cuore è pieno di gioia”. Di questa verità facciamo noi stessi esperienza: quando le persone vivono qualcosa di molto bello, come ad esempio delle splendide vacanze, non c’è proprio bisogno di far loro domande o di spingerle a raccontare quello che hanno sperimentato: lo faranno spontaneamente. A volte le parole escono entusiaste dalla bocca, rendendoci partecipi delle esperienze altrui. “La bocca trabocca perché il cuore è pieno di gioia”: questa verità è ancora più valida per la fede cristiana quando riempie il cuore dei fedeli, tanto che essi iniziano spontaneamente ad annunciare il Vangelo, a parlare ad altri di Dio e a trasmettere la gioia di cui sono colmi.

La missione cristiana oggi non è dunque portata avanti mediante campagne pubblicitarie rivolte al consumatore, tramite montagne di documenti o attraverso i mass media. Lo strumento migliore per diffondere Dio sono i credenti stessi, che vivono la loro fede in modo credibile e conferiscono al Vangelo un volto personale. Se Cristo davvero ci illumina come luce del mondo, noi stessi brilleremo, saremo cristiani luminosi, come quelle famose candele finlandesi che bruciano dall’interno verso l’esterno per dare luce [Vgl. K. Kardinal Koch, Das Gute selbst ist kommunikativ – „bonum diffusivum sui“. Evangelisierung als Wirkung eines strahlenden Glaubens, in: G. Augustin (Hrsg.), Die Strahlkraft des Glaubens. Identität und Relevanz des Christseins heute (Freiburg i. Br. 2016) 45-67]. Un cristianesimo missionario ha bisogno soprattutto di battezzati i cui cuori siano stati aperti da Dio e la cui ragione sia stata illuminata dalla luce di Dio, affinché i loro cuori possano toccare i cuori degli altri e la loro ragione possa parlare alla ragione degli altri. Solo attraverso persone che si lasciano toccare da Dio, Dio può arrivare oggi alle persone.

Oggi abbiamo bisogno di un nuovo slancio missionario, al quale Papa Francesco ad esempio ha contribuito quando, in occasione del centenario della Lettera apostolica di Papa Benedetto XV “Maximum illud” sull’attività svolta dai missionari in tutto il mondo, ha proclamato il Mese Missionario Straordinario nell’ottobre del 2019, al fine di “risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale”. A questo appello possiamo rispondere solo tornando al fondamentale compito missionario dei cristiani e della Chiesa, che consiste nella testimonianza della fede e della vera gioia cristiana donataci dal Vangelo di Gesù Cristo.

da: I FONDAMENTI DELLA VALIDITÀ PERMANENTE DELLA MISSIO AD GENTES – Kurt card. Koch, 2019

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