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DIARIO DI LETTURA: Regole; a Diogneto ● PROFETI ● Concilio Vaticano II ● NUOVO TESTAMENTO

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane NOSTRA AETATE (28 ottobre 1965)

Fraternità universale

5 Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L'atteggiamento dell'uomo verso Dio Padre e quello dell'uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: « Chi non ama, non conosce Dio » (1 Gv 4,8).

Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano.

In conseguenza la Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione. E quindi il sacro Concilio, seguendo le tracce dei santi apostoli Pietro e Paolo, ardentemente scongiura i cristiani che, «mantenendo tra le genti una condotta impeccabile» (1 Pt 2,12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini (14), affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli (15).

Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto, sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.

Roma, presso San Pietro, 28 ottobre 1965. _______________________ NOTE

(14) Cf. Rm 12,18.

(15) Cf. Mt 5,45.

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Approfondimenti

L’orizzonte dell’unità e della fraternità Il testo si introduce con una significativa evocazione del “nostro tempo”: indicazione che lo apparenta subito al preludio della Gaudium et Spes, in cui la Chiesa si pone con atteggiamento di attenzione e apertura nei confronti del mondo contemporaneo, cercando di intercettarne attese e speranze alla luce dei “segni dei tempi”. Di questo nostro tempo la Nostra Aetate mette a fuoco soprattutto il fenomeno della spinta verso l’unità. Non è usata la parola oggi in voga di “globalizzazione”, ma è descritto efficacemente il processo secondo cui «il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l’interdipendenza tra i vari popoli» (EV I,523).

Questo dato, di per sé sociologico, si unisce alla prospettiva valoriale della “fraternità universale”, a cui il documento dedica le battute conclusive del numero 5, formando così una grande inclusione testuale. Il dato sociologico è letto con la cifra teologica dell’universale relazione di figliolanza degli uomini nei confronti dell’unico Dio, con le conseguenze che ne derivano per un’etica dell’amore senza confini e della lotta a tutte le possibili discriminazioni per motivi di razza o di colore, di condizione sociale o di religione. Un forte monito è indirizzato ai cattolici perché siano uomini e donne di pace secondo la beatitudine evangelica “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,45).

da: Domenico Sorrentino, NOSTRA AETATE – Senso e prospettive della Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane NOSTRA AETATE (28 ottobre 1965)

La religione musulmana 3 La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra (5), che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.

Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.

La religione ebraica 4 Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo.

La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti.

Essa confessa che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede (6), sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell'esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l'Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell'ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvatico che sono i gentili (7). La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso (8). Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell'apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe: « ai quali appartiene l'adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine.

Essa ricorda anche che dal popolo ebraico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo.

Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata (9); gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione (10). Tuttavia secondo l'Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento (11). Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e « lo serviranno sotto uno stesso giogo » (Sof 3,9) (12).

Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.

E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (13), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.

E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.

La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la croce di Cristo come segno dell'amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia. _______________________ NOTE

(5) Cf. S. GREGORIO VII, Epist., III, 21, ad Anazir (Al-Nãþir), regem Mauritaniae, ed. E. CASPAR in MGH, Ep. sel. II, 1920, I, p. 288, 11-15; PL 148, 451A.

(6) Cf. Gal 3,7.

(7) Cf. Rm 11,17-24.

(8) Cf. Ef 2,14-16.

(9) Cf. Lc 19,44.

(10) Cf. Rm 11,28.

(11) Cf. Rm 11,28-29; CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 151ss].

(12) Cf. Is 66,23; Sal 64,4; Rm 11,11-32.

(13) Cf. Gv 19,6.

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Approfondimenti

Cristiani – musulmani: dimenticare il passato: voltare pagina! Si potrebbe sintetizzare così il n.3 della Nostra Aetate. Dietro questa dichiarazione ci sono secoli di diffidenza, di paure, di crociate, fino alle più recenti espressioni di una incomprensione storica che conosce forme aggressive, che certo non esprimono, né sul versante musulmano né su quello cristiano, il migliore e più autorevole volto delle due religioni. La breve descrizione che il Concilio fa dell’islam, dichiarando la sua stima per i musulmani, parte dalla visione di Dio, continua con il senso dell’islam come sottomissione ai decreti di Dio sull’esempio di Abramo. Si rintracciano anche due elementi di incontro nella venerazione di Gesù come profeta e nell’onore che i musulmani riservano a Maria. Altrettanto si rileva per l’escatologia e l’impegno nella vita morale. Rimane confermato, in questo quadretto, il principio ermeneutico della ricerca di ciò che è comune, al di là di ciò che divide.

Il paragrafo sugli ebrei è quello più corposo della NAe. E non a caso, dato che il documento stesso si era delineato e sviluppato a partire da questo interesse specifico. Com’era da attendersi, è soprattutto questo lo spazio dei frequenti rimandi biblici. La storia di una lunga antitesi, iniziata fin dalla prima ora dei rapporti tra ebrei e giudeo-cristiani, anticipata in qualche modo dalle polemiche di Gesù con farisei, scribi e l’establishment sacerdotale e culminata con la sua morte, dopo duemila anni che hanno visto i pogrom e la shoah, torna ad una pacata rilettura della storia della salvezza e dei testi neotestamentari. Il nuovo clima di dialogo – direi l’imperativo del dialogo – aiuta a ricercare, tra i testi, quelli che meglio possono favorire l’incontro. Ma non è questione di pura etica di un rapporto che vuol tornare ad essere di buon vicinato e quindi opta per le buone maniere! È, piuttosto, e più fondamentalmente, una vera e propria questione di identità che riguarda i discepoli di Cristo. Il cristianesimo del Vaticano II si riscopre radicato nell’humus ebraico con una relazione che non si pone soltanto nel passato, dunque come qualcosa di “archiviabile”, ma è piuttosto un obiettivo, costitutivo e insuperabile rapporto. Lo sviluppo evidente di quel primo rapporto non può essere inteso come una totale alternativa, una “sostituzione” del cristianesimo all’ebraismo, ma piuttosto come una crescita. Riprendendo le affermazioni di Paolo in Rm 11, 17-24, la Chiesa del Vaticano II dichiara di «nutrirsi della radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i popoli pagani». Certo, essa verrebbe meno alla sua identità se non facesse proprio il dolore di Gesù su Gerusalemme, per il fatto che “non ha conosciuto il tempo quando è stata visitata” (cf Lc 19,44). È un dato innegabile, semplicemente storia, che «gli ebrei, in gran parte, non hanno accettato il vangelo e anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione». E tuttavia, continua la dichiarazione, «gli ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui chiamata sono senza pentimento (Rm 11, 28-29)». Chiesa ed ebrei condividono pertanto un “patrimonio comune”, che chiede reciproca conoscenza e stima. Parole inequivocabili, che spazzano via secoli di ostilità. Di portata storica è poi il superamento di quella “vulgata” del popolo “deicida” che ha favorito, se non fomentato, un secolare antisemitismo aperto o strisciante nel mondo cristiano e cattolico. La verità è finalmente ristabilita: se le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (Gv 19,6), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo. Un impegno nuovo è quello che assume così la catechesi ecclesiale a dare una versione rispettosa dei fatti, nella consapevolezza, peraltro sempre coltivata nei secoli, che la vera causa della passione di Cristo è stato il peccato di tutti gli uomini. Di qui la deplorazione ed esecrazione di tutti gli odi, le persecuzioni e le manifestazioni di antisemitismo “dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque”. La dichiarazione NAe fa qui, se non una rivoluzione copernicana, una svolta storica: il mistero dell’elezione torna ad essere un mistero di misericordia per tutti e non più una infinita contesa di primogenitura.

da: Domenico Sorrentino, NOSTRA AETATE – Senso e prospettive della Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane NOSTRA AETATE (28 ottobre 1965)

Introduzione 1 Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l'interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l'unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino.

I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra (1) hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti (2) finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce (3).

Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo.

Le diverse religioni 2 Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre. Questa sensibilità e questa conoscenza compenetrano la vita in un intimo senso religioso.

Quanto alle religioni legate al progresso della cultura, esse si sforzano di rispondere alle stesse questioni con nozioni più raffinate e con un linguaggio più elaborato. Così, nell'induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia; cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza. Nel buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per mezzo dei propri sforzi o con l'aiuto venuto dall'alto. Ugualmente anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l'inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri.

La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.

Tuttavia essa annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è « via, verità e vita » (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose (4).

Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi. _______________________ NOTE

(1) Cf. At 17,26.

(2) Cf. Sap 8,1; At 14,17; Rm 2,6-7; 1 Tm 2,4.

(3) Cf. Ap 21,23-24.

(4) Cf. 2 Cor 5,18-19.

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Approfondimenti

La dichiarazione Nostra Aetate, approvata il 28 ottobre 1965, è il più breve documento del Concilio Vaticano II. Ma è forse il più gravido di novità, nell’ambito dell’autocomprensione della Chiesa, del suo rapporto con le altre religioni, delle conseguenze socioculturali e religiose che ne possono derivare per la storia dell’umanità. Una dichiarazione sentita come “scandalosa” da quei cattolici tradizionalisti che hanno preso le distanze dal Concilio e vedono in questo documento uno dei principali “tradimenti” della fede cattolica.

Occorre riconoscere che l’impostazione della Nostra Aetate rappresenta uno dei punti del Concilio in cui è più visibile il progresso dottrinale, sino ad apparire in alcuni aspetti, senza tuttavia essere in alcun modo un tradimento, più in discontinuità che in continuità con la teologia e il magistero precedente. In questo senso il documento può favorire quella cosiddetta “ermeneutica della discontinuità” che ha finito talvolta per incoraggiare innovazioni post-conciliari spinte ben oltre il dettato conciliare, in nome dello “spirito” del Concilio contrapposto alla sua lettera, ritenuta frutto spurio di compromessi tra contrastanti posizioni teologiche. È noto che questa problematica ha dato vita a un corposo dibattito interpretativo. Alla stigmatizzazione dell’ermeneutica della discontinuità ha provveduto vigorosamente papa Benedetto XVI.

«L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l'intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito» (Cf BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005).

Preoccupazione, quella di papa Ratzinger, comprensibile di fronte alla marcata tendenza a un riduzionismo conciliare a vantaggio esclusivo dei suoi aspetti innovativi e a fondamento di tesi non giustificabili con le posizioni del Concilio. Ma che la dichiarazione Nostra Aetate esprima un rinnovamento quanto meno audace è indiscutibile: basterebbe a suggerirlo il non piccolo indizio che, a fronte delle numerose citazioni bibliche, quelle del magistero si riducono a due: una di esse è interna al Vaticano II, essendo tratta dalla Lumen Gentium a proposito della irrevocabilità dei doni di Dio per gli ebrei; l’altra rinvia a una pagina interessante quanto peregrina di Gregorio VII, una sua lettera ad Al Nasir re della Mauritania, in cui il Papa si mostra convinto che cristiani e musulmani credano “in un unico Dio, anche se in modo differente”.

In realtà basta poco a notare come, rispetto a una tradizione che, dalla Sacra Scrittura ai due millenni di storia cristiana, ha conosciuto più la psicologia della contrapposizione che quella della “composizione” nel rapporto del cristianesimo con la fenomenologia religiosa universale, queste sobrie ma ariose pagine del Vaticano II inaugurano un tempo nuovo. Quanto questo volesse dire, dal punto di vista operativo, divenne chiaro soprattutto ad Assisi, il 27 ottobre del 1986, quando, per la prima volta nella storia, si vide un Papa, san Giovanni Paolo II, pregare per la pace insieme con i rappresentanti non solo delle diverse confessioni cristiane ma delle principali religioni del mondo. Quell’evento, ormai legato allo slogan “spirito di Assisi”, è la divulgazione e la traduzione operativa più clamorosa della Nostra Aetate, non senza strascichi polemici che continuano ad avvelenare il mondo cattolico .

da: Domenico Sorrentino, NOSTRA AETATE – Senso e prospettive della Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

Le scuole superiori 10 Analogamente la Chiesa ha grande cura delle scuole di grado superiore specialmente delle università e delle facoltà. Anzi, in tutte quelle che da essa dipendono, mira organicamente a che le varie discipline siano coltivate secondo i propri principi e il proprio metodo, con la libertà propria della ricerca scientifica, in maniera che se ne abbia una sempre più profonda comprensione e, indagando accuratamente le nuove questioni e ricerche suscitate dai progressi dell'epoca moderna, si colga più chiaramente come fede e ragione si incontrano nell'unica verità, seguendo le orme dei dottori della Chiesa, specialmente di S. Tommaso d'Aquino (31). In tal modo si realizzerà come una presenza pubblica, costante ed universale del pensiero cristiano in tutto lo sforzo dedicato a promuovere la cultura superiore; inoltre questi istituti devono formare in tal guisa tutti i loro studenti, che essi diventino uomini veramente insigni per sapere, pronti a svolgere compiti impegnativi nella società e a testimoniare la loro fede di fronte al mondo (32).

Nelle università cattoliche in cui manchi la facoltà teologica dovrà esserci un istituto o cattedra di teologia, in cui si tengano lezioni adatte anche per gli studenti laici. E poiché le scienze progrediscono essenzialmente grazie alle ricerche specializzate di maggiore importanza scientifica, nelle università e facoltà cattoliche dovranno essere soprattutto curati quegli istituti il cui scopo primo è quello di promuovere la ricerca scientifica.

Il sacro Sinodo raccomanda vivamente di sviluppare le università e le facoltà cattoliche, distribuendole convenientemente nelle diverse parti del mondo; ma esse, più che per il numero, dovranno distinguersi per l'impegno culturale. Ad esse abbiano facile accesso gli alunni che offrono buone speranze di riuscita, anche se di modeste condizioni economiche, specialmente quelli che provengono dalle giovani nazioni.

Essendo l'avvenire della società e della stessa Chiesa intimamente connesso con lo sviluppo intellettuale dei giovani che compiono studi superiori (33) i pastori della Chiesa non devono preoccuparsi soltanto della vita spirituale degli alunni delle università cattoliche, ma, solleciti della formazione spirituale di tutti i loro figli, attraverso opportune intese tra vescovi, devono provvedere affinché anche presso le università non cattoliche esistano convitti e centri universitari cattolici, dove sacerdoti, religiosi e laici, accuratamente scelti e preparati, possano offrire in permanenza alla gioventù universitaria un'assistenza spirituale e intellettuale. Quanto poi ai giovani più capaci delle università cattoliche o delle altre università, che si dimostrino adatti all'insegnamento ed alla ricerca, essi devono essere oggetto di cura particolare ed avviati alla carriera universitaria.

Le facoltà di teologia 11 Molto si attende la Chiesa dall'attività delle facoltà di scienze sacre (34). È ad esse infatti che affida il compito importantissimo di preparare i propri alunni non solo al ministero sacerdotale, ma soprattutto all'insegnamento nelle cattedre di studi ecclesiastici superiori o al lavoro scientifico personale o allo svolgimento delle forme più alte di apostolato intellettuale. È pure compito di queste facoltà approfondire i vari settori delle scienze sacre, in modo che si abbia una intelligenza sempre più piena della rivelazione divina, sia meglio esplorato il patrimonio della sapienza cristiana trasmesso dalle generazioni passate, sia favorito il dialogo con i fratelli separati e con i non cristiani, e si risponda ai problemi emergenti dal progresso delle scienze (35).

Per queste ragioni le facoltà ecclesiastiche, dopo aver sottoposto a opportuna revisione le loro costituzioni, promuovano vigorosamente lo sviluppo delle scienze sacre e delle altre ad esse connesse, e, adottando anche metodi e sussidi più moderni, addestrino i propri studenti alle ricerche più profonde.

La coordinazione delle scuole cattoliche 12 Essendo anche in campo scolastico sommamente necessaria quella cooperazione, che per la sua urgenza va sempre più affermandosi a livello diocesano, nazionale e internazionale, bisogna fare ogni sforzo per coordinare convenientemente tra loro le scuole cattoliche e per favorire tra esse e le altre scuole quella collaborazione richiesta dal bene della comunità umana universale (36).

Da questo maggiore coordinamento e da questo lavoro fatto insieme si raccoglieranno i migliori frutti specialmente nell'ambito degli istituti accademici. Perciò in ogni università le diverse facoltà, nella misura che lo consente la loro materia, devono aiutarsi vicendevolmente. Così pure le stesse università devono agire in piena intesa e in stretta unione tra loro, promuovendo insieme dei convegni internazionali, tenendosi reciprocamente informate circa le loro ricerche scientifiche, comunicandosi le nuove scoperte, scambiandosi i docenti per determinati periodi e sviluppando quelle iniziative che incrementano la loro collaborazione.

CONCLUSIONE Il sacro Sinodo esorta vivamente anche i giovani perché, convinti della eccellenza del compito educativo, siano generosamente pronti ad intraprenderlo, specie in quelle regioni dove lo scarso numero di maestri mette in pericolo l'educazione della gioventù.

Parimenti il Sinodo, nell'esprimere la sua gratitudine ai sacerdoti, religiosi, religiose e laici che in spirito di dedizione evangelica svolgono la nobile opera educativa e didattica di qualsiasi tipo e grado, li esorta a perseverare con generosità nel compito intrapreso, sforzandosi di distinguersi nella formazione degli alunni allo spirito di Cristo, nell'arte pedagogica e nello studio scientifico, in modo che promuovano non solo il rinnovamento della Chiesa all'interno, ma anche ne mantengano e ne accentuino la benefica presenza nel mondo moderno, specie in quello intellettuale. _______________________ NOTE

(31) Cf. PAOLO VI, Discorso davanti al VI Congresso Tomistico Internazionale, 10 sett. 1965: AAS 57 (1965), pp. 788-792.

(32) Cf. PIO XII, Discorso agli insegnanti e agli alunni degli Istituti Superiori Cattolici di Francia, 21 sett. 1950: Discorsi e Radiomessaggi, XII, pp. 219-221; Lett. al XXII Congresso “Pax Romana”, 12 ag. 1952: Discorsi e Radiomessaggi, XIV, pp. 567-569. GIOVANNI XXIII, Discorso alla Federazione delle Università Cattoliche, 1° apr. 1959: Discorsi, Messaggi, Colloqui, I, Roma 1960, pp. 226-229. PAOLO VI, Discorso al Senato Accademico dell’Università Cattolica di Milano, 5 apr. 1964: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, II, Roma 1964, pp. 438-443.

(33) Cf. PIO XII, Discorso al Senato Accademico e agli alunni dell’Università di Roma, 15 giugno 1952: Discorsi e Radiomessaggi, XIV, p. 208: “La direzione della società di domani è principalmente riposta nella mente e nel cuore degli universitari di oggi”.

(34) Cf. PIO XI, Cost. Apost. Deus Scientiarum Dominus, 24 maggio 1931: AAS 23 (1931), pp. 245-247.

(35) Cf. PIO XII Encicl. Humani Generis, 12 ag. 1950: AAS 42 (1950), pp. 568s. [in parte Dz 3886-87; Collantes 7.203-04 e 2.076], 578. PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam suam, Parte III, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 637-659. CONC. VAT. II, Decreto sull’Ecumenismo Unitatis Redintegratio: AAS 57 (1965), pp. 90-107.

(36) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), p. 284 [Dz 3989] e passim.

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Approfondimenti

Il documento del Vaticano II afferma dunque che tutti i cristiani possiedono il diritto a ricevere un’educazione cristiana, che è volta a far raggiungere ai giovani la maturità umana e a conoscere il mistero della salvezza all’interno del quale sono stati inseriti. Per tale ragione gli allievi devono avere la possibilità di crescere nella fede che hanno ricevuto, e di offrire culto a Dio conducendo una vita di giustizia e santità nella collaborazione all’espansione del Regno di Dio. In tal modo i laici si rendono consapevoli della vocazione ricevuta per modellare cristianamente il mondo nella loro posizione sociale e nel loro apporto. Ciò presuppone il farsi carico dei valori naturali, considerando integralmente l’uomo redento grazie al sacrificio di Cristo. Essendo i cristiani educati e agendo secondo la legge della libertà cristiana, cooperano allo sviluppo della società terrena e lavorano per il regno di Dio al quale sono stati chiamati

da: Tutta l’attualità della dichiarazione “Gravissimum educationis”


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

La scuola non cattolica 7 La Chiesa inoltre, consapevole del dovere gravissimo di curare diligentemente l'educazione morale e religiosa di tutti i suoi figli, deve rendersi presente con un affetto speciale e con il suo aiuto ai moltissimi suoi figli che vengono educati nelle scuole non cattoliche. Essa assicura questa presenza sia attraverso la testimonianza della vita data dai loro maestri e superiori, sia attraverso l'azione apostolica dei condiscepoli (23), sia soprattutto attraverso il ministero dei sacerdoti e dei laici che insegnano loro la dottrina della salvezza, con metodo adeguato all'età ed alle altre circostanze, ed offrono loro l'aiuto spirituale per mezzo di iniziative opportune secondo le condizioni di tempo e di luogo.

Essa rammenta poi il grave dovere che incombe ai genitori di tutto predisporre o anche di esigere, perché i loro figli possano usufruire di quegli aiuti ed in armonia con la formazione profana progrediscano in quella cristiana. Perciò la Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché l'educazione dei loro figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie (24).

La scuola cattolica 8 La presenza della Chiesa in campo scolastico si rivela in maniera particolare nella scuola cattolica Al pari delle altre scuole, questa persegue le finalità culturali proprie della scuola e la formazione umana dei giovani. Ma suo elemento caratteristico è di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità crescano insieme secondo quella nuova creatura che essi sono diventati mediante il battesimo, e di coordinare infine l'insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita, dell'uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede (25). Solo così la scuola cattolica, mentre – come è suo dovere – si apre alle esigenze determinate dall'attuale progresso, educa i suoi alunni a promuovere efficacemente il bene della città terrena ed insieme li prepara al servizio per la diffusione del regno di Dio, sicché attraverso la pratica di una vita esemplare ed apostolica diventino come il fermento di salvezza della comunità umana.

Perciò la scuola cattolica, essendo in grado di contribuire moltissimo allo svolgimento della missione del popolo di Dio e di servire al dialogo tra la Chiesa e la comunità degli uomini con loro reciproco vantaggio, conserva la sua somma importanza anche nelle circostanze presenti. Pertanto questo santo Sinodo ribadisce il diritto della Chiesa a fondare liberamente e a dirigere le scuole di qualsiasi ordine e grado, diritto già dichiarato in tanti documenti del magistero (26) esso ricorda che l'esercizio di un tale diritto contribuisce moltissimo anche alla tutela della libertà di coscienza e dei diritti dei genitori, come pure allo stesso progresso culturale.

Da parte loro gli insegnanti ricordino che dipende essenzialmente da loro che la scuola cattolica sia in grado di realizzare i suoi scopi e le sue iniziative (27). Essi dunque devono prepararsi scrupolosamente, per essere forniti della scienza sia profana che religiosa, attestata dai relativi titoli di studio, e ampiamente esperti nell'arte pedagogica, aggiornata con le scoperte del progresso contemporaneo. Stretti tra loro e con gli alunni dal vincolo della carità e ricchi di spirito apostolico, essi devono dare testimonianza sia con la vita sia con la dottrina all'unico Maestro che è Cristo. Collaborino anzitutto con i genitori; insieme con essi tengano debito conto, in tutto il ciclo educativo, della differenza di sesso e del fine particolare che all'uno e all'altro sesso la divina Provvidenza ha stabilito nella famiglia e nella società; si sforzino di stimolare l'azione personale dei loro alunni e continuino, una volta che questi abbiano terminato i loro studi, ad assisterli con il loro consiglio e con la loro amicizia, anche fondando associazioni di ex alunni, in cui aleggi il vero spirito ecclesiale. E ci tiene il sacro Sinodo a dichiarare che il ministero di questi maestri è autentico apostolato, sommamente conveniente e necessario anche nei nostri tempi, ed è insieme reale servizio reso alla società. Ai genitori cattolici ricorda poi l'obbligo di affidare, secondo le concrete circostanze di tempo e di luogo, i loro figli alle scuole cattoliche, di aiutarle secondo le loro possibilità e di collaborare con esse per il bene dei loro figli (28).

Differenti forme di scuola cattolica 9 A questo ideale di scuola cattolica devono sforzarsi di conformarsi tutte le scuole che, a qualunque titolo, dipendono dalla Chiesa, anche se la scuola cattolica in base alle situazioni locali può assumere varie forme (29). S'intende che la Chiesa ha sommamente a cuore anche quelle scuole cattoliche le quali, specie nei territori di missione, son pure frequentate da alunni non cattolici.

Del resto, nella costituzione e nell'ordinamento delle scuole cattoliche bisogna guardare alle necessità dell'evoluzione del nostro tempo. A tale fine, fermo restando l'impegno di promuovere le scuole di grado elementare e secondario, in quanto costituiscono il fondamento dell'educazione, si deve fare gran conto di quelle che sono particolarmente richieste dalle condizioni attuali. Tali sono quelle che vanno sotto il nome di scuole professionali (30) e tecniche, gli istituti destinati all'alfabetizzazione degli adulti, allo sviluppo dei servizi sociali ed a coloro che per difetti naturali abbisognano di assistenza particolare, ed anche le scuole di formazione per maestri sia per l'insegnamento religioso che per le altre forme di educazione.

Il sacro Sinodo esorta vivamente i pastori della Chiesa e i fedeli tutti a non risparmiare sacrificio alcuno nell'aiutare le scuole cattoliche, ad assolvere sempre meglio il loro compito ed a venire incontro soprattutto alle necessità di coloro che non hanno mezzi economici o sono privi dell'aiuto e dell'affetto della famiglia o sono estranei al dono della fede.

_______________________ NOTE

(23) La Chiesa dà grande valore all’azione apostolica che i maestri e i condiscepoli cattolici possono svolgere anche in queste scuole.

(24) Cf. PIO XII, Discorso all’Associazione Maestri Cattolici di Baviera, 31 dic. 1956: Discorsi e Radiomessaggi XVIII, p. 745s.

(25) Cf. SIN. PROV. DI WESTMINSTER I del 1852: Collectio Lacensis III, col. 1334, ab. PIO XI, Encicl. DDivini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 77s. PIO XII, Discorso all’Associazione Maestri cattolici di Baviera, 31 dic. 1956: Discorsi e Radiomessaggi, XVIII, p. 746. PAOLO VI, Discorso ai membri della F.I.D.A.E. (Federazione Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica), 30 dic. 1963: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, I, Roma 1964, p. 602s.

(26) Cf. anzitutto i documenti citati alla nota 1; questo diritto della Chiesa è inoltre proclamato da molti Sinodi provinciali e in recentissime Dichiarazioni di parecchie Conferenze Episcopali. (27) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 80s. PIO XII, Discorso all’Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi (U.C.I.I.M.), 5 genn. 1954: Discorsi e Radiomessaggi, XV, pp. 551-556. GIOVANNI XXIII, Discorso al VI Congresso dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (A.I.M.C.), 5 sett. 1959: Discorsi, Messaggi, Colloqui, I, Roma 1960, pp. 427-431.

(28) Cf. PIO XII, Discorso all’Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi (U.C.I.I.M.), 5 genn. 1954: l.c., p. 555.

(29) Cf. PAOLO VI, Discorso all’Ufficio Internazionale dell’Educazione Cattolica (O.I.E.C.), 25 febbr. 1964: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, II, Roma 1964, p. 232.

(30) Cf. PAOLO VI, Discorso all’Associazione Cristiana Lavoratori Italiani (A.C.L.I.), 6 ott. 1963: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, I, Roma 1964, p. 229.

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Approfondimenti

La funzione dello stato in materia di educazione

Sono molteplici i motivi che giustificano l’interesse dei poteri pubblici per l’insegnamento. Dal punto di vista pratico, è un fatto verificato a livello internazionale che, per l’effettiva crescita della libertà e del progresso socio-economico delle società, è necessario che i pubblici poteri garantiscano un certo livello culturale della popolazione. Infatti una società complessa potrà funzionare correttamente soltanto se c’è un’adeguata distribuzione dell’informazione e delle conoscenze che poi debbono essere gestite; e inoltre, se c’è una sufficiente comprensione per le virtù e per le norme che rendono possibile la convivenza civile e condizionano i comportamenti individuali e collettivi.

Basti pensare, per esempio, quanto sia importante combattere l’analfabetismo per migliorare la giustizia sociale, e capire così come lo Stato detenga poteri, funzioni e diritti inderogabili in materia di promozione e diffusione dell’educazione, di cui ogni persona ha un diritto inalienabile [Cfr. Giovanni Paolo II, Allocuzione all’Unesco , 2-VI-1980; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Libertatis conscientia , n. 92].

Questo giustifica, come concreta esigenza del bene comune, che l’ordinamento statale stabilisca livelli adeguati d’insegnamento il cui efficace profitto possa legittimamente preparare per accedere a determinati corsi universitari o ad altri tipi di attività professionali.

In tale situazione ci si può chiedere se le competenze dei genitori e quelle dello Stato sono in disaccordo o incompatibili, o se invece possono diventare complementari. In ogni caso, ci si deve chiedere: come si possono rapportare l’un l’altro? Fino a che punto lo Stato può legiferare senza soppiantare i diritti dei genitori? Quando potrebbe intervenire per garantire i diritti dei bambini di fronte ai genitori?

In realtà si tratta di questioni che non riguardano la funzione che nel campo dell’insegnamento, di per sé, spetta allo Stato. Tuttavia, contrariamente a ciò che sarebbe desiderabile, si osserva nei poteri pubblici una tendenza, che si va manifestando in molti Paesi almeno dal XVIII secolo: avocare a sé in modo sempre più esclusivo la funzione educativa, raggiungendo in certi casi pressoché totali livelli di monopolio nella scuola.

Alla radice di questo interesse c’è la pretesa di estendere a tutte le persone un’etica unica, che corrisponderebbe a una morale civica, il cui contenuto sarebbe formato da alcuni principi etici minimi di validità universale e condivisi da tutti. In tal modo, nei casi più estremi, si è caduti in una concezione quasi totalitaria, perché mira a sostituirsi al cittadino nella responsabilità di esercitare un proprio giudizio di moralità e di coscienza, impedendo altri progetti o stili di vita che non siano quelli promossi dall’opinione pubblica creata e sostenuta dallo Stato.

Lo strumento per diffondere questi obiettivi è stato la difesa a oltranza dell’insegnamento neutro nella scuola pubblica, l’isolamento o il soffocamento economico delle iniziative di insegnamento nate in seno alla società civile o, in modo indiretto, la prescrizione da parte della legislazione statale di requisiti di omologazione o programmazione generale, con un tale grado di concretezza ed esaustività da eliminare in pratica le possibilità di specificità delle alternative di carattere sociale, dando luogo di fatto a un monopolio sull’educazione o alla esistenza puramente formale del pluralismo scolastico.

In tale contesto si può affermare che la pretesa neutralità dei programmi statali è soltanto apparente, perché essi implicano una precisa posizione ideologica. Inoltre in Occidente si può constatare che le iniziative di questo tipo di solito sono unite al desiderio di affrancare la cultura umana da ogni concezione religiosa, o all’intento di relativizzare alcuni beni morali che sono fondamentali, come il senso dell’affettività e dell’amore, della maternità, il diritto alla vita dal primo istante del concepimento sino alla morte naturale...

Negli ultimi anni questa posizione è stata rafforzata applicando alla scuola alcuni principi più consoni all’ambito universitario, come la libertà di cattedra e di espressione di chi si dedica alla funzione di docente. In questo modo la libertà educativa si restringe alla presunta libertà che avrebbe l’insegnante per esprimere le proprie idee e formare a suo capriccio i propri alunni, come una concessione che lo Stato gli ha delegato.

Al fondo di questi modi di concepire la libertà si nota un profondo pessimismo intorno alle possibilità della persona umana e della capacità dei genitori, e della società in generale, di garantire ai figli una formazione nella virtù e nella responsabilità civica.

Le difficoltà si superano quando si considera che la scuola compie una funzione di supplenza nei riguardi dei genitori e che «i pubblici poteri hanno il dovere di garantire tale diritto dei genitori e di assicurare le condizioni concrete per poterlo esercitare» [Catechismo della Chiesa Cattolica , n. 2229], ossia, devono essere guidati dal principio di sussidiarietà.

da: Il diritto dei genitori di educare i propri figli (II)


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

Vari mezzi al servizio dell'educazione cristiana 4 Nell'assolvere il suo compito educativo la Chiesa utilizza tutti i mezzi idonei, ma si preoccupa soprattutto di quelli che sono i mezzi suoi propri. Primo tra questi è l'istruzione catechetica (16), che dà luce e forza alla fede, nutre la vita secondo lo spirito di Cristo, porta a partecipare in maniera consapevole e attiva al mistero liturgico (17), ed è stimolo all'azione apostolica. La Chiesa valorizza anche e tende a penetrare del suo spirito e ad elevare gli altri mezzi che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al perfezionamento morale ed alla formazione umana, quali gli strumenti di comunicazione sociale (18), le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le associazioni giovanili e in primo luogo le scuole.

La scuola 5 Tra tutti gli strumenti educativi un'importanza particolare riveste la scuola (19), che in forza della sua missione, mentre con cura costante matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di carattere e condizione sociale diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca. Essa inoltre costituisce come un centro, alla cui attività ed al cui progresso devono insieme partecipare le famiglie, gli insegnanti, i vari tipi di associazioni a finalità culturali, civiche e religiose, la società civile e tutta la comunità umana.

È dunque meravigliosa e davvero importante la vocazione di quanti, collaborando con i genitori nello svolgimento del loro compito e facendo le veci della comunità umana, si assumono il compito di educare nelle scuole. Una tale vocazione esige speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento.

Diritti e doveri dei genitori 6 I genitori, avendo il dovere ed il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza (20).

D'altra parte, tocca allo Stato provvedere perché tutti i cittadini possano accedere e partecipare in modo conveniente alla cultura e si preparino adeguatamente all'esercizio dei doveri e dei diritti civili. Sempre lo Stato dunque deve tutelare il diritto dei fanciulli ad una conveniente educazione scolastica, vigilare sulla capacità degli insegnanti e sulla serietà degli studi, provvedere alla salute degli alunni ed in genere promuovere tutto l'ordinamento scolastico tenendo presente il principio della sussidiarietà ed escludendo quindi ogni forma di monopolio scolastico. Tale monopolio infatti contraddice ai diritti naturali della persona umana, allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini ed anche al pluralismo, che è oggi la regola in moltissime società (21).

Il sacro Sinodo esorta dunque i fedeli a collaborare generosamente sia nella ricerca dei metodi educativi idonei e dell'ordine degli studi, sia nella formazione dei maestri che sappiano bene educare i giovani e, soprattutto attraverso le associazioni tra genitori, ad aiutare positivamente e costantemente il compito della scuola e in particolare quell'educazione morale, che essa deve fornire (22).

_______________________ NOTE

(16) Cf. PIO XI, Motu proprio Orbem catholicum, 29 giugno 1923: AAS 15 (1923), pp. 327-329; Decr. Provido sane, 12 genn. 1935: AAS 27 (1935), pp. 145-152. CONC. VAT. II, Decr. sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, nn. 13 e 14[pag. 361ss].

(17) Cf. CONC. VAT. II, Costit. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 14: AAS 56 (1964), p. 104 [pag. 28ss].

(18) Cf. CONC. VAT. II, Decreto sugli strumenti di comunicazione sociale Inter mirifica, nn. 13 e 14: AAS 56 (1964), p. 149s [pag. 105ss].

(19) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 76; PIO XII, Discorso all’Associazione dei Maestri Cattolici della Baviera, 31 dic. 1956: Discorsi e Radiomessaggi XVIII, p. 746.

(20) Cf. SIN. PROV. DI CINCINNATI III del 1861: Collectio Lacensis, III, col. 1240, cd; PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], pp. 60, 63s [in parte Dz 3693-95].

(21) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 63; Encicl. Non abbiamo bisogno, 29 giugno 1931: AAS 23 (1931), p. 305. PIO XII, Lett. della Segreteria di Stato alla XXVIII Settimana Soc. Ital., 20 sett. 1955: L’Osservatore Romano, 29 sett. 1955. PAOLO VI, Discorso all’Associazione Cristiana Lavoratori Italiani (A.C.L.I.), 6 ott. 1963: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, I, Roma 1964, p. 230.

(22) Cf. GIOVANNI XXIII, Messaggio per il trentesimo anniversario dell’emanazione dell’Enc. Divini Illius Magistri, 30 dic. 1959: AAS 52 (1960), p. 57.

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Approfondimenti

I genitori e le scuole

La scuola dev’essere considerata in questo contesto: come una istituzione destinata a collaborare con i genitori nel loro lavoro educativo. Prendere coscienza di questa realtà appare più urgente se consideriamo che attualmente sono numerosi i motivi che possono indurre i genitori – a volte senza esserne interamente consapevoli – a non comprendere l’ampiezza del meraviglioso lavoro di loro competenza, rinunciando in pratica al ruolo di educatori integrali.

L’emergenza educativa, tante volte evidenziata da Benedetto XVI, affonda le radici in questo disorientamento: «L’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere» [Benedetto XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma , 11-VI-2007] ; in tal modo i giovani «si sentono alla fine lasciati soli davanti alle grandi domande che nascono inevitabilmente dentro di loro» [Benedetto XVI, Discorso alla Conferenza Episcopale italiana , 29-V-2008] , alla mercé di una società e una cultura che ha fatto del relativismo il proprio credo.

Alle prese con queste possibili difficoltà, e come conseguenza del loro diritto naturale, i genitori devono rendersi conto che la scuola è, in certo qual modo, un prolungamento della loro famiglia: uno strumento del loro compito personale di genitori e non soltanto un luogo dove viene fornita ai figli una serie di conoscenze.

Come primo requisito, lo Stato deve salvaguardare la libertà delle famiglie, in modo che possano scegliere a ragion veduta la scuola o i centri d’insegnamento da essi giudicati più convenienti per l’educazione dei propri figli. Non c’è dubbio che nel suo ruolo di tutela del bene comune lo Stato può vantare alcuni diritti e alcuni doveri nell’educazione, ma su questo punto ritorneremo in un prossimo articolo. In ogni caso, tale intervento non può scontrarsi con la legittima pretesa dei genitori di educare i propri figli in armonia con i beni che essi stessi sostengono e praticano, e che ritengono capaci di arricchire la loro discendenza.

Come insegna il Concilio Vaticano II, il potere pubblico – sia pure solo per una questione di giustizia distributiva – deve offrire i mezzi e le condizioni favorevoli perché i genitori possano «scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza» [Concilio Vaticano II, dich. Gravissimum educationis , n. 6] . Per questo è così importante che coloro che lavorano nell’ambito politico o in un altro campo collegato con l’opinione pubblica si adoperino perché tale diritto sia salvaguardato e, per quanto possibile, sostenuto.

L’interesse dei genitori per l’educazione dei figli si deve manifestare in mille dettagli. A prescindere dalla istituzione nella quale studiano i figli, è naturale che i genitori s’interessino dell’aria che vi si respira e dei contenuti che lì si trasmettono.

Viene tutelata così la libertà degli alunni , il diritto che non si deformi la loro personalità e non si annullino le loro attitudini, il diritto a ricevere una formazione sana, senza che si abusi della loro naturale docilità imponendo opinioni o criteri umani di parte. Così si permette e si stimola che i ragazzi sviluppino un sano spirito critico, e nello stesso tempo si dimostra che l’interesse dei genitori in questo campo va oltre i risultati scolastici.cati dai genitori, che non perdono mai di vista ciò che si aspettano da costoro e stanno attenti a che rispondano alle loro intenzioni e aspettative.

La comunicazione fra i genitori e i figli è altrettanto importante di quella che si stabilisce fra i genitori e gli insegnanti. Una chiara conseguenza di concepire la scuola come uno strumento in più della propria attività educativa è la collaborazione che i genitori offrono alle iniziative dell’istituto e al suo progetto educativo.

In questo senso è importante partecipare alle attività promosse dalle scuole: per fortuna sempre più spesso esse, indipendentemente dal fatto di essere di iniziativa pubblica o privata, organizzano con una certa cadenza le giornate delle porte aperte , incontri sportivi o riunioni informative di taglio più accademico. Soprattutto a quest’ultimo tipo di incontri è bene che vadano, se possibile, entrambi i coniugi, anche nel caso in cui questo richieda un certo sacrificio di tempo o di organizzazione: in questo modo si fa capire con i fatti al figlio che i due genitori considerano la scuola un elemento di rilievo nella vita familiare.

In tale contesto, lasciarsi coinvolgere nelle associazioni di genitori – collaborando alla organizzazione di eventi, facendo proposte positive, o anche partecipando negli organi di governo – apre tutta una serie di possibilità educative. Non c’è dubbio che svolgere correttamente una funzione di questo tipo richiede un notevole spirito di sacrificio: è necessario dedicare tempo per instaurare un rapporto con altre famiglie, conoscere gli insegnanti, partecipare alle riunioni...

Tuttavia queste difficoltà sono ampiamente compensate – soprattutto per un’anima innamorata di Dio e desiderosa di servire – dall’apertura di un campo apostolico, la cui ampiezza non è possibile misurare: anche se gli statuti della scuola, in genere, non permettono di intervenire direttamente in alcuni aspetti dei programmi educativi, si è nelle condizioni di coinvolgere e spingere gli insegnanti e i dirigenti affinché l’insegnamento trasmetta virtù, bene e bellezza.

Gli altri genitori saranno le prime persone ad apprezzare tale impegno, e per essi un genitore inserito nell’attività della scuola – o perché detiene tale incarico o perché di propria iniziativa mostra di adoperarsi a favore del clima che s’instaura nella classe – diventa un punto di riferimento: una persona da interpellare per la sua esperienza o a cui chiedere consiglio nell’educazione dei propri figli.

Si fa strada così un’amicizia personale, e con essa una possibilità apostolica che finisce per fare del bene a tutte le persone dell’ambito educativo nel quale crescono i figli.

da: Il diritto dei genitori di educare i propri figli (I)


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

L'educazione cristiana 2 Tutti i cristiani, in quanto rigenerati nell'acqua e nello Spirito Santo, son divenuti una nuova creatura (8), quindi sono di nome e di fatto figli di Dio, e hanno diritto a un'educazione cristiana. Essa non mira solo ad assicurare quella maturità propria dell'umana persona, di cui si è ora parlato, ma tende soprattutto a far si che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto; imparino ad adorare Dio Padre in spirito e verità (cfr. Gv 4,23) specialmente attraverso l'azione liturgica; si preparino a vivere la propria vita secondo l'uomo nuovo, nella giustizia e santità della verità (cfr. Ef 4,22-24), e cosi raggiungano l'uomo perfetto, la statura della pienezza di Cristo (cfr. Ef 4,13), e diano il loro apporto all'aumento del suo corpo mistico. Essi inoltre, consapevoli della loro vocazione, debbono addestrarsi sia a testimoniare la speranza che è in loro (cfr. 1 Pt 3,15), sia a promuovere la elevazione in senso cristiano del mondo, per cui i valori naturali, inquadrati nella considerazione completa dell'uomo redento da Cristo, contribuiscano al bene di tutta la società (9). Pertanto questo santo Sinodo ricorda ai pastori di anime il dovere gravissimo di provvedere a che tutti i fedeli ricevano questa educazione cristiana, specialmente i giovani, che sono la speranza della Chiesa (10).

I genitori, primi educatori 3 I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa (11). Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell'atmosfera vivificata dall'amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l'educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società. Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e delle esigenze del matrimonio sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo, e ad amare il prossimo, conformemente alla fede che han ricevuto nel battesimo; lì anche fanno la prima esperienza di una sana società umana e della Chiesa; sempre attraverso la famiglia, infine, vengono pian piano introdotti nella comunità degli uomini e nel popolo di Dio. Perciò i genitori si rendano esattamente conto della grande importanza che la famiglia autenticamente cristiana ha per la vita e lo sviluppo dello stesso popolo di Dio (12).

Il compito educativo, come spetta primariamente alla famiglia, così richiede l'aiuto di tutta la società. Perciò, oltre i diritti dei genitori e di quelli a cui essi affidano una parte del loro compito educativo, ci sono determinati diritti e doveri che spettano alla società civile, poiché questa deve disporre quanto è necessario al bene comune temporale. Rientra appunto nelle sue funzioni favorire in diversi modi l'educazione della gioventù: cioè difendere i doveri e i diritti dei genitori e degli altri che svolgono attività educativa e dar loro il suo aiuto; in base al principio della sussidiarietà, laddove manchi l'iniziativa dei genitori e delle altre società, svolgere l'opera educativa, rispettando tuttavia i desideri dei genitori, fondare inoltre, nella misura in cui lo richieda il bene comune, scuole e istituzioni educative proprie (13).

Infine, ad un titolo tutto speciale, il dovere di educare spetta alla Chiesa: non solo perché essa va riconosciuta anche come società umana capace di impartire l'educazione, ma soprattutto perché essa ha il compito di annunciare a tutti gli uomini la via della salvezza e di comunicare ai credenti la vita di Cristo, aiutandoli con sollecitudine incessante a raggiungere la pienezza di questa vita (14). A questi suoi figli, dunque, la Chiesa come madre deve dare un'educazione tale, che tutta la loro vita sia penetrata dello spirito di Cristo; ma nel contempo essa offre la sua opera a tutti i popoli per promuovere la perfezione integrale della persona umana, come anche per il bene della società terrena e per la edificazione di un mondo più umano (15).

_______________________ NOTE

(8) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 83.

(9) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 36: AAS 57 (1965), p. 41s [pag. 203ss].

(10) Cf. CONC. VAT. II, Decreto sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, nn. 12-14[pag. 359ss].

(11) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 7], p. 59s; Encicl. Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 164s. PIO XII, Discorso al primo Congresso nazionale dell’Associazione Italiana Maestri cattolici (A.I.M.C.), 8 sett. 1946: Discorsi e Radiomessaggi, VIII, p. 218.

(12) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 11 e 35: AAS 57 (1965), pp. 16 e 40s. [pag. 139ss e 201ss].

(13) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 7] p. 63s. [Dz 3692-94]. PIO XII, Messaggio radiofonico trasmesso il 1° giugno 1941: AAS 33 (1941), p. 200; Discorso al primo Congresso nazionale dell’Associazione Italiana Maestri cattolici, 8 sett. 1946: Discorsi e Radiomessaggi, VIII, p. 218. Circa il principio di sussidiarietà cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), p. 294 [Dz 3994-95].

(14) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 7] pp. 53s [Dz 3685-86], 56s [in parte Dz 3688]. Encicl. Non abbiamo bisogno, 29 giugno 1931, AAS 23 (1931), p. 311s. PIO XII, Lett. della Segreteria di Stato alla XXVIII Settimana Soc. Ital., 20 sett. 1955: L’Osservatore Romano, 29 sett. 1955.

(15) La Chiesa loda quelle autorità civili, locali, nazionali e internazionali che, coscienti delle più urgenti necessità del nostro tempo, applicano le loro forze perché tutti i popoli possano essere partecipi di una educazione completa e di una cultura umana. Cf. PAOLO VI, Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, 4 ott. 1965: AAS 57 (1965), pp. 877-885].

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Approfondimenti

Il diritto dei genitori di educare i propri figli

Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo attualmente in vigore, l’articolo 26 mette in evidenza il diritto dei genitori di scegliere l’educazione che preferiscono per i propri figli [Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, 10-XII-1948, n. 26], ed è molto significativo il fatto che i firmatari abbiano incluso questo principio tra quelli fondamentali che uno Stato non può negare o manipolare.

Fa parte della natura umana che l’uomo sia un essere intrinsecamente sociale e dipendente, con una dipendenza ancora più evidente negli anni dell’infanzia; fa parte dell’essere umano che tutti debbano ricevere un’educazione, crescere in una società, acquisire una cultura e una serie di conoscenze.

In realtà un figlio non è soltanto una creatura che i genitori mettono al mondo: in ogni persona umana c’è una stretta relazione tra procreazione ed educazione, fino al punto che quest’ultima è considerata come un prolungamento e un complemento della generazione. Ogni figlio ha diritto all’educazione, indispensabile perché possa sviluppare le proprie capacità; a tale diritto dei figli corrisponde il diritto-dovere dei genitori di educarli.

Una manifestazione dell’amore di Dio

Questa realtà è compresa nella etimologia della parola “educazione”. Il termine educare significava all’origine l’azione e l’effetto di alimentare o nutrire la prole. Un’alimentazione che, evidentemente, non si deve limitare al piano materiale, ma comprende anche la sollecitudine per le facoltà spirituali dei figli: intellettuali e morali, fra cui le virtù e le norme di urbanità.

Figlio e genitore sono, rispettivamente, l’educando e l’educatore per natura, e ogni altro tipo di educazione lo è soltanto in un senso analogo: l’educazione riguarda la persona in quanto figlio o figlia, vale a dire, in quanto dipendente dai genitori.

Per questo il diritto all’educazione si fonda nella natura umana e affonda le sue radici in quelle realtà che sono simili a tutte le persone e, in fin dei conti, sono il fondamento della società stessa. Per questo i diritti a educare e a essere educati non dipendono dal fatto che siano elencati in una norma positiva, né sono una concessione della società o dello Stato: sono diritti primari, nel senso più profondo che si può dare al termine.

Così il diritto dei genitori di educare i figli è in funzione del diritto che i figli hanno di ricevere un’educazione adeguata alla loro dignità umana e alle loro necessità: è quest’ultimo che costituisce la base del primo. Gli attentati a questo diritto dei genitori costituiscono, in sostanza, un attentato al diritto del figlio, che per giustizia deve essere riconosciuto e sostenuto dalla società.

Tuttavia, che il diritto del figlio ad essere educato sia basilare, non significa che i genitori possano rinunciare a essere educatori, magari con il pretesto che altre persone o istituzioni potrebbero educarlo meglio. Il figlio è anzitutto figlio; per la sua crescita e maturazione è della massima importanza che sia accolto come tale in seno alla famiglia.

È la famiglia il luogo naturale nel quale i rapporti di amore, di servizio e di donazione reciproca che configurano la parte più intima della persona si scoprono, si apprezzano e si apprendono. Ecco perché, salvo i casi di impossibilità, ogni persona dovrebbe essere educata dai propri genitori in seno alla famiglia, sia pure con la collaborazione – nei loro diversi ruoli – di altre persone: fratelli, nonni, zii...

Alla luce della fede, la generazione e l’educazione acquistano una dimensione nuova: il figlio è chiamato all’unione con Dio e appare agli occhi dei genitori un dono, che è, contemporaneamente, una manifestazione dell’amore coniugale.

Quando nasce un nuovo figlio, i genitori ricevono una nuova chiamata divina: il Signore si aspetta che essi lo educhino nella libertà e nell’amore e lo portino un po’ alla volta verso di Lui; si aspetta che il figlio trovi, nell’amore e nella cura che riceve dai genitori, un riflesso dell’amore e della cura che Dio stesso gli dedica. È proprio per questo che, per un padre cristiano, il diritto e il dovere di educare un figlio è irrinunciabile per motivi che vanno al di là di un certo senso di responsabilità: è irrinunciabile anche perché fa parte della sua risposta alla chiamata divina ricevuta nel battesimo.

Ebbene, se l’educazione è un’attività paterna e materna originaria, qualunque altro agente educativo lo è per delega dei genitori e a loro subordinato. «I genitori sono i primi e principali educatori dei propri figli ed hanno anche in questo campo una fondamentale competenza: sono educatori perché genitori. Essi condividono la loro missione educativa con altre persone e istituzioni, come la Chiesa e lo Stato; ciò tuttavia deve sempre avvenire nella corretta applicazione del principio di sussidiarietà» [Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie , 2-II-1994, n. 16].

Logicamente, è legittimo che i genitori cerchino aiuti per educare i propri figli: l’acquisizione di competenze culturali e tecniche, i rapporti con persone al di fuori dell’ambito familiare, ecc., sono elementi necessari per una corretta crescita della persona, che i genitori da soli non potrebbero soddisfare adeguatamente. Ne consegue che «ogni altro partecipante al processo educativo non può che operare a nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura, persino su loro incarico» [Ibid.]: tali aiuti sono cercati dai genitori, che non perdono mai di vista ciò che si aspettano da costoro e stanno attenti a che rispondano alle loro intenzioni e aspettative.

da: Il diritto dei genitori di educare i propri figli (I)


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

PROEMIO L'estrema importanza dell'educazione nella vita dell'uomo e la sua incidenza sempre più grande nel progresso sociale contemporaneo sono oggetto di attenta considerazione da parte del sacro Concilio ecumenico (1). In effetti l'educazione dei giovani, come anche una certa formazione permanente degli adulti, sono rese insieme più facili e più urgenti dalle circostanze attuali. Gli uomini, avendo una più matura coscienza della loro dignità e della loro responsabilità, desiderano partecipare sempre più attivamente alla vita sociale, specie in campo economico e politico (2) d'altra parte gli sviluppi meravigliosi della tecnica e della ricerca scientifica, i nuovi mezzi di comunicazione sociale danno loro la possibilità, anche perché spesso hanno più tempo libero a disposizione, di accostarsi più facilmente al patrimonio culturale e spirituale dell'umanità e di arricchirsi intrecciando tra i gruppi e tra i popoli più strette relazioni.

Per questo dappertutto sorgono iniziative atte a promuovere sempre più l'attività educativa; si definiscono e si pubblicano con documenti solenni i diritti fondamentali in ordine alla educazione degli uomini, ed in particolare quelli dei fanciulli e dei genitori (3); crescendo rapidamente il numero degli alunni, si moltiplicano e si perfezionano le scuole, come pure si fondano altre istituzioni educative; attraverso nuove esperienze si perfezionano i metodi educativi e didattici, e si fanno sforzi davvero grandiosi per educare ed istruire tutti gli uomini, anche se è vero che moltissimi sono ancora i fanciulli e i giovani che mancano dell'istruzione di base e tanti altri non hanno quell'educazione completa che sviluppa insieme la verità e la carità.

Da parte sua la santa madre Chiesa, nell'adempimento del mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cristo, ha il dovere di occuparsi dell'intera vita dell'uomo, anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione soprannaturale (4); essa perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso ed allo sviluppo della educazione. Per questo il sacro Sinodo dichiara alcuni principi fondamentali intorno all'educazione cristiana, soprattutto nelle scuole. Toccherà poi ad una speciale commissione post-conciliare svilupparli ulteriormente, ed alle conferenze episcopali applicarli alle diverse situazioni locali.

Il diritto di ogni uomo all'educazione 1 Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona hanno il diritto inalienabile ad una educazione (5), che risponda alla loro vocazione propria (6) e sia conforme al loro temperamento, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, ed insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari gruppi di cui l'uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere.

Pertanto, i fanciulli ed i giovani, tenuto conto del progresso della psicologia, della pedagogia e della didattica, debbono essere aiutati a sviluppare armonicamente le loro capacità fisiche, morali e intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo senso di responsabilità, nello sforzo sostenuto per ben condurre la loro vita personale e la conquista della vera libertà, superando con coraggio e perseveranza tutti gli ostacoli. Debbono anche ricevere, man mano che cresce la loro età, una positiva e prudente educazione sessuale. Debbono inoltre essere avviati alla vita sociale, in modo che, forniti dei mezzi ad essa necessari ed adeguati, possano attivamente inserirsi nei gruppi che costituiscono la comunità umana, siano disponibili al dialogo con gli altri e contribuiscano di buon grado all'incremento del bene comune.

Analogamente il sacro Sinodo dichiara che fanciulli e giovani hanno diritto di essere aiutati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia alla conoscenza approfondita ed all'amore di Dio. Perciò chiede e raccomanda a quanti governano i popoli o presiedono all'educazione di fare in modo che mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto. Esorta poi i figli della Chiesa a lavorare generosamente in tutti i settori dell'educazione, al fine specialmente di una più rapida estensione dei grandi benefici dell'educazione e dell'istruzione a tutti, nel mondo intero (7).

_______________________ NOTE

(1) Tra i molti documenti che illustrano l’importanza dell’educazione cf. soprattutto: BENEDETTO XV, Lett. Apost. Communes Litteras, 10 apr. 1919: AAS 11 (1919), p. 172. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, 31 dic. 1929: AAS 22 (1930), pp. 49-86 [in parte Dz 3685-98]. PIO XII, Discorso ai Giovani dell’A.C.I, 20 apr. 1946: Discorsi e Radiomessaggi, VIII, pp. 53-57. – Discorso ai Padri di famiglia di Francia, 18 sett. 1951: Discorsi e Radiomessaggi, XIII, pp. 241-245. GIOVANNI XXIII, Messaggio per il trentesimo anniversario dell’emanazione dell’Encicl. Divini Illius Magistri, 30 dic. 1959: AAS 52 (1960), pp. 57-59. PAOLO VI, Discorso ai membri della F.I.D.A.E. (Federazione Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica), 30 dic. 1963: Encicliche e Discorsi di S. S. Paolo VI, I, Roma 1964, pp. 601-603. Inoltre si consultino gli Acta et Documenta Concilii Oecumenici Vaticani II apparando, serie I, Antipreparatoria, vol. III, pp. 363-364, 370-371, 373-374.

(2) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), pp. 413, 415-417, 424 [in parte Dz 3943 e 3948]. – Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), p. 278s [in parte Dz 3986].

(3) Cf. la Dichiarazione Universale dei diritti umani (Déclaration des droits de l’homme), ratificata il 10 dic. 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; e cf. la Dichiarazione dei diritti del bambino, 20 nov. 1959; Protocollo aggiunto alla convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Parigi, 20 marzo 1952; circa questa Dichiarazione Universale dei diritti umani cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), p. 295s.

(4) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 402. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 17: AAS 57 (1965), p. 21 [pag. 153ss].

(5) Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico Con sempre nuova freschezza, trasmesso il 24 dic. 1942: AAS 35 (1943), pp. 12, 19. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 259s [Dz 3960]. Cf. anche la Dichiarazione dei diritti dell’uomo citata alla nota 3.

(6) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, 31 dic. 1929: AAS 22 (1930), p. 50s.

(7) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 441s.

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Approfondimenti

Il Concilio Vaticano II ha trattato l’importanza dell’educazione e la sua grande influenza nel progresso dei popoli nella dichiarazione Gravissimum educationis. In questo testo si constatava come l’educazione fosse sempre più urgente, il che era stato fatto presente e scritto soltanto nella Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU del 1948. È pertanto dal secolo scorso che si impone una riflessione profonda sui metodi pedagogici. Riprendiamo alcune dichiarazioni dei padri conciliari in questo testo così importante e così poco conosciuto.

Tra le prime questioni trattate c’è quella relativa al significato di una “educazione adeguata”: essa è l’educazione che stimola simultaneamente la verità e la carità, cioè l’amore per la verità e la ricerca del vero bene (proemio). L’educazione, quindi, non si riduce ad una mera trasmissione di informazioni, come quando inseriamo dei dati nel computer, ma è piuttosto un compito essenzialmente umano ed un mezzo per la formazione di uomini integri. Tutto ciò è possibile soltanto grazie alla collaborazione dell’intelligenza e della libertà dell’educatore e dell’educando. Un primo requisito allora per un’autentica educazione è quello di considerare ogni allievo come una persona unica e irripetibile, e non come una frazione all’interno di un gruppo. Ciò implica lo sforzo verso la conoscenza di ogni alunno mediante il proprio nome al fine di uscire dall’anonimato della massa. Perciò è necessario far appello alla propria responsabilità personale, stimolando il giovane affinché si sforzi di sviluppare le sue capacità di cui è stato naturalmente dotato.

La successiva importante sfida dell’educazione è quella nei confronti dell’integrazione dei diversi saperi nell’unità della vita personale. Se ciò non accade, diversi settori della conoscenza verranno a disputarsi per primeggiare gli uni sugli altri (matematica, fisica, psicologia, storia, sociologia, economia, ecc.), proprio come accade dall’inizio dell’era moderna. L’immediata conseguenza di ciò è quella di scorgere negli allievi un senso di confusione e di mancanza di stimoli alla conoscenza stessa. In effetti la conoscenza trasmessa deve poter essere assimilata e integrata, giacché la persona è sempre una realtà sola e mai frammentata o frammentaria. Quando l’integrazione si verifica, emerge la maturazione delle persone nel loro percorso educativo e scolastico, pronte poi ad affrontare la vita sociale e a lavorare per il bene comune con un vero spirito e un autentico dialogo (n. 1). La Chiesa ha assunto questa missione di annunciare il mistero della salvezza e di riportare tutte le cose in Cristo, elevando tutto ciò che è umano a livello divino. Per questo la Chiesa cerca di custodire e di curare ogni singola vita umana, avendo assunto dalla sua origine il compito proprio di diffondere e sviluppare il progresso delle persone, formandole secondo i principi propri della persona stessa (proemio).

Un principio affermato dell’educazione cristiana è quello relativo all’inalienabile diritto di ogni uomo all’educazione. Ciò prova e comprova la dignità propria di ogni persona e da cui proviene la stessa educazione, non essendo questa una concessione statale o di un gruppo sociale (n. 1).

Un altro importante principio si riferisce al fatto che l’educazione deve corrispondere al fine stesso e proprio del’uomo: la sua vita in comunione con Dio e con il prossimo. La vera educazione sviluppa l’integrale formazione della persona rispetto al suo fine ultimo che non esclude affatto, quanto piuttosto racchiude e ingloba il bene delle società terrene (n. 1). Peraltro difficilmente si potrebbe parlare di un’etica senza un’esplicita relazione con Dio. Gli attuali modelli etici, basati sul sedicente “pensiero debole” riescono al massimo ad elaborare un minimo codice di condotta, una specie di “morale di base” che eviti scontri frontali tra le libertà umane. Resta però il fatto che tale “pensiero” si modelli come incapace a soddisfare le domande più profonde e radicate, oltre che radicali, del cuore umano. Un’etica soddisfatrice deve articolarsi intorno alla domanda sul vero bene, ossia su ciò che si dovrebbe fare per essere buoni e raggiungere il fine ultimo. Se così non fosse, ci si può rifare a meri codici di condotta, peraltro anche più o meno arbitrari, senza infine condurre realmente la vita umana verso la sua piena realizzazione.

Quindi affinché l’educazione sia effettiva, dice ancora il Concilio, è doveroso considerare i contributi delle diverse scienze (innanzitutto psicologia e pedagogia), in modo che i giovani siano aiutati nello sviluppo armonico delle proprie qualità fisiche, intellettuali e morali, conquistando gradualmente il senso della responsabilità per la propria vita oltre che una conoscenza dell’autentica libertà (n. 1). L’educazione deve pertanto aiutare ad apprezzare e a praticare i giusti valori morali, configurandosi il principale di questi nel conoscere ed amare Dio che ha creato l’uomo per esserne suo interlocutore. Dio ha creato l’uomo liberamente, cioè per amore e per amare, e su ciò si fonda la libertà umana. Gli Stati, pertanto, non possono negare ai giovani il “sacro diritto” di essere educati secondo i valori morali e religiosi propri e familiari.

da: Tutta l’attualità della dichiarazione “Gravissimum educationis”


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

CONCLUSIONE

Compiti dei singoli fedeli e delle Chiese particolari 91 Quanto viene proposto da questo santo Sinodo fa parte del tesoro dottrinale della Chiesa e intende aiutare tutti gli uomini del nostro tempo -sia quelli che credono in Dio, sia quelli che esplicitamente non lo riconoscono – affinché, percependo più chiaramente la pienezza della loro vocazione, rendano il mondo più conforme all'eminente dignità dell'uomo, aspirino a una fratellanza universale poggiata su fondamenti più profondi, e possano rispondere, sotto l'impulso dell'amore, con uno sforzo generoso e congiunto agli appelli più pressanti della nostra epoca.

Certo dinanzi alla immensa varietà delle situazioni e delle forme di civiltà, questa presentazione non ha volutamente, in numerosi punti, che un carattere del tutto generale; anzi, quantunque venga presentata una dottrina già comune nella Chiesa, siccome non raramente si tratta di realtà soggette a continua evoluzione, l'insegnamento presentato qui dovrà essere continuato ed ampliato.

Tuttavia confidiamo che le molte cose che abbiamo esposto, basandoci sulla parola di Dio e sullo spirito del Vangelo, possano portare un valido aiuto a tutti, soprattutto dopo che i cristiani, sotto la guida dei pastori, ne avranno portato a compimento l'adattamento ai singoli popoli e alle varie mentalità.

Il dialogo fra tutti gli uomini 92 La Chiesa, in forza della missione che ha di illuminare tutto il mondo con il messaggio evangelico e di radunare in un solo Spirito tutti gli uomini di qualunque nazione, razza e civiltà, diventa segno di quella fraternità che permette e rafforza un sincero dialogo.

Ciò esige che innanzitutto nella stessa Chiesa promuoviamo la mutua stima, il rispetto e la concordia, riconoscendo ogni legittima diversità, per stabilire un dialogo sempre più fecondo fra tutti coloro che formano l'unico popolo di Dio, che si tratti dei pastori o degli altri fedeli cristiani. Sono più forti infatti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono; ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Ad Petri Cathedram, 29 giugno 1959].

Il nostro pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità, memori che l'unità dei cristiani è oggi attesa e desiderata anche da molti che non credono in Cristo.

Quanto più, in effetti, questa unità crescerà nella verità e nell'amore, sotto la potente azione dello Spirito Santo, tanto più essa diverrà per il mondo intero un presagio di unità e di pace. Perciò, unendo le nostre energie ed utilizzando forme e metodi sempre più adeguati al conseguimento efficace di così alto fine, nel momento presente, cerchiamo di cooperare fraternamente, in una conformità al Vangelo ogni giorno maggiore, al servizio della famiglia umana che è chiamata a diventare in Cristo Gesù la famiglia dei figli di Dio.

Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità.

Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora l'autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere.

Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace.

Un mondo da costruire e da condurre al suo fine 93 I cristiani, ricordando le parole del Signore: «in questo conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo. Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua forza, uniti con tutti coloro che amano e praticano la giustizia, hanno assunto un compito immenso da adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a colui che tutti giudicherà nell'ultimo giorno.

Non tutti infatti quelli che dicono: «Signore, Signore», entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fanno la volontà del Padre e coraggiosamente agiscono [Cf. Mt 7,21]. Perché la volontà del Padre è che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con la parola e con l'azione, rendendo così testimonianza alla verità, e comunichiamo agli altri il mistero dell'amore del Padre celeste.

Così facendo, risveglieremo in tutti gli uomini della terra una viva speranza, dono dello Spirito Santo, affinché alla fine essi vengano ammessi nella pace e felicità somma, nella patria che risplende della gloria del Signore. «A colui che, mediante la potenza che opera in noi, può compiere infinitamente di più di tutto ciò che noi possiamo domandare o pensare, a lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen» (Ef 3,20-21).

Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.

Roma, presso San Pietro

7 dicembre 1965.

Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica

Seguono le firme dei Padri.

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Approfondimenti

La conclusione della Gaudium et spes, declinata in tre paragrafi, appare di grandissima importanza per il suo altissimo valore pastorale. Volutamente i Padri chiudono il documento con una riflessione di ampio respiro che coinvolge argomentazioni di natura antropologica perché si fondano sulle conseguenze della dignità della persona umana e religiosa, perché richiamano agli impegni che la fede in Cristo richiede nei confronti degli uomini e delle donne della propria realtà contemporanea come conseguenza coerente della sequela di Cristo.

L’atteggiamento di fondo dei Padri trova esplicitazione definitiva nelle ultime righe del documento conciliare: la Chiesa, nel suo interesse per le cose del mondo è mossa dall’esigenza, che è anche compito, di rendere concreto l’amore di Dio per tutta l’umanità. Un amore che non è teorico, non è un’idea, ma deve avere risvolti pratici, evidenti, concreti senza i quali vano sarebbe stato il sacrificio di Cristo.

Tale impostazione di fondo è semplice e limpida; da questa nascono l’onestà e l’umiltà della Gaudium et spes che si pone come una sorta di apripista per tutte le riflessioni che successivamente la Chiesa avrebbe potuto rivolgere alla realtà contemporanea (cosa di fatto accaduta: l'Italia, da questo punto di vista, è un esempio emblematico).

Il Concilio richiama i credenti al fatto che quando si abbia a che fare con le questioni della vita ordinaria sia importante porsi onestamente di fronte alla circostanza che non tutto si possa comprendere, non tutto si possa approfondire, e umilmente di fronte alla consapevolezza che a volte non sia possibile offrire più di un aiuto.

La riflessione sul mondo, dice il Concilio, non ha soluzioni di continuità, non può avere una parola definitiva sulle situazioni che lo caratterizzano, ma è necessario che di volta in volta sia riadattata, completata, integrata con tutti gli elementi emergenti dai cambiamenti che a vari livelli lo scuotono costantemente. Per questo il Concilio parla, proprio in chiusura della costituzione, di costruzione del mondo e di condurlo al suo fine. Non si tratta infatti di plasmarne l’impostazione culturale e sociale sullo stampo del cristianesimo, come se intervenisse dal di fuori. Si tratta piuttosto di modificare l’assetto della mentalità contemporanea dall’interno, dal di dentro, nello stesso modo in cui il lievito fa fermentare la pasta, secondo la similitudine evangelica.

I Padri conciliari chiudono il documento indicando la straordinaria ampiezza e profondità della vocazione cristiana nel mondo contemporaneo.

da: Catechesi Comunitaria – La costituzione pastorale Gaudium et Spes


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE II – CAPITOLO V – LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

Sezione 2: La costruzione della comunità internazionale

La cooperazione internazionale e l'accrescimento demografico 87 La cooperazione internazionale è indispensabile soprattutto quando si tratta dei popoli che, fra le molte altre difficoltà, subiscono oggi in modo tutto speciale quelle derivanti da un rapido incremento demografico. È urgente e necessario ricercare come, con la cooperazione intera ed assidua di tutti, specie delle nazioni più favorite, si possa procurare e mettere a disposizione dell'intera comunità umana quei beni che sono necessari alla sussistenza e alla conveniente istruzione di ciascuno. Alcuni popoli potrebbero migliorare seriamente le loro condizioni di vita se, debitamente istruiti, passassero dai vecchi metodi di agricoltura ai nuovi procedimenti tecnici di produzione, applicandoli con la prudenza necessaria alla situazione propria e se instaurassero inoltre un migliore ordine sociale e attuassero una più giusta distribuzione della proprietà terriera.

Nei limiti della loro competenza, i governi hanno diritti e doveri per ciò che concerne il problema demografico della nazione; come, ad esempio, per quanto riguarda la legislazione sociale e familiare, le migrazioni dalla campagna alle città, o quando si tratta dell'informazione relativa alla situazione e ai bisogni del paese. Oggi gli animi sono molto agitati da questi problemi. Si deve quindi sperare che cattolici competenti in tutte queste materie, in particolare nelle università, proseguano assiduamente gli studi già iniziati e li sviluppino maggiormente.

Poiché molti affermano che l'accrescimento demografico nel mondo, o almeno in alcune nazioni, debba essere frenato in maniera radicale con ogni mezzo e con non importa quale intervento dell'autorità pubblica, il Concilio esorta tutti ad astenersi da soluzioni contrarie alla legge morale, siano esse promosse o imposte pubblicamente o in privato. Infatti, in virtù del diritto inalienabile dell'uomo al matrimonio e alla generazione della prole, la decisione circa il numero dei figli da mettere al mondo dipende dal retto giudizio dei genitori e non può in nessun modo essere lasciata alla discrezione dell'autorità pubblica. Ma siccome questo giudizio dei genitori suppone una coscienza ben formata, è di grande importanza dare a tutti il modo di accedere a un livello di responsabilità conforme alla morale e veramente umano, nel rispetto della legge divina e tenendo conto delle circostanze. Tutto ciò esige un po' dappertutto un miglioramento dei mezzi pedagogici e delle condizioni sociali, soprattutto una formazione religiosa o almeno una solida formazione morale. Le popolazioni poi siano opportunamente informate sui progressi della scienza nella ricerca di quei metodi che potranno aiutare i coniugi in materia di regolamentazione delle nascite, una volta che sia ben accertato il valore di questi metodi e stabilito il loro accordo con la morale.

Il compito dei cristiani nell'aiuto agli altri paesi 88 I cristiani cooperino volentieri e con tutto il cuore all'edificazione dell'ordine internazionale, nel rispetto delle legittime libertà e in amichevole fraternità con tutti. Tanto più che la miseria della maggior parte del mondo è così grande che il Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Si eviti questo scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abitanti per la maggior parte si dicono cristiani, godono d'una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta di miserie. Lo spirito di povertà e d'amore è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo.

Sono, pertanto, da lodare e da incoraggiare quei cristiani, specialmente i giovani, che spontaneamente si offrono a soccorrere gli altri uomini e le altre nazioni. Anzi spetta a tutto il popolo di Dio, dietro la parola e l'esempio dei suoi vescovi, sollevare, nella misura delle proprie forze, la miseria di questi tempi; e ciò, secondo l'antico uso della Chiesa, attingendo non solo dal superfluo, ma anche dal necessario.

Le collette e la distribuzione dei soccorsi materiali, senza essere organizzate in una maniera troppo rigida e uniforme, devono farsi secondo un piano diocesano, nazionale e mondiale; ovunque la cosa sembri opportuna, si farà in azione congiunta tra cattolici e altri fratelli cristiani. Infatti lo spirito di carità non si oppone per nulla all'esercizio provvido e ordinato dell'azione sociale e caritativa; anzi l'esige. È perciò necessario che quelli che vogliono impegnarsi al servizio delle nazioni in via di sviluppo ricevano una formazione adeguata in istituti specializzati.

Efficace presenza della Chiesa nella comunità internazionale 89 La Chiesa, in virtù della sua missione divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le genti. Contribuisce così a rafforzare la pace in ogni parte del mondo, ponendo la conoscenza della legge divina e naturale a solido fondamento della solidarietà fraterna tra gli uomini e tra le nazioni. Perciò la Chiesa dev'essere assolutamente presente nella stessa comunità delle nazioni, per incoraggiare e stimolare gli uomini alla cooperazione vicendevole. E ciò, sia attraverso le sue istituzioni pubbliche, sia con la piena e leale collaborazione di tutti i cristiani animata dall'unico desiderio di servire a tutti.

Per raggiungere questo fine in modo più efficace, i fedeli stessi, coscienti della loro responsabilità umana e cristiana, dovranno sforzarsi di risvegliare la volontà di pronta collaborazione con la comunità internazionale, a cominciare dal proprio ambiente di vita. Si abbia una cura particolare di formare in ciò i giovani, sia nell'educazione religiosa che in quella civile.

La partecipazione dei cristiani alle istituzioni internazionali 90 Indubbiamente una forma eccellente d'impegno per i cristiani in campo internazionale è l'opera che si presta, individualmente o associati, all'interno degli istituti già esistenti o da costituirsi, con il fine di promuovere la collaborazione tra le nazioni. Inoltre, le varie associazioni cattoliche internazionali possono servire in tanti modi all'edificazione della comunità dei popoli nella pace e nella fratellanza. Perciò bisognerà rafforzarle, aumentando il numero di cooperatori ben formati, con i necessari sussidi e mediante un adeguato coordinamento delle forze. Ai nostri giorni, infatti, efficacia d'azione e necessità di dialogo esigono iniziative collettive. Per di più simili associazioni giovano non poco a istillare quel senso universale, che tanto conviene ai cattolici, e a formare la coscienza di una responsabilità e di una solidarietà veramente universali.

Infine è auspicabile che i cattolici si studino di cooperare, in maniera fattiva ed efficace, sia con i fratelli separati, i quali pure fanno professione di carità evangelica, sia con tutti gli uomini desiderosi della pace vera. Adempiranno così debitamente al loro dovere in seno alla comunità internazionale. Il Concilio, poi, dinanzi alle immense sventure che ancora affliggono la maggior parte del genere umano, ritiene assai opportuna la creazione d'un organismo della Chiesa universale, al fine di fomentare dovunque la giustizia e l'amore di Cristo verso i poveri. Tale organismo avrà per scopo di stimolare la comunità cattolica a promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni.

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Approfondimenti

Comunità internazionale e valori

433 La centralità della persona umana e la naturale attitudine delle persone e dei popoli a stringere relazioni tra loro sono gli elementi fondamentali per costruire una vera Comunità internazionale, la cui organizzazione deve tendere all'effettivo bene comune universale [Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1911]. Nonostante sia ampiamente diffusa l'aspirazione verso un'autentica comunità internazionale, l'unità della famiglia umana non trova ancora realizzazione, perché ostacolata da ideologie materialistiche e nazionalistiche che negano i valori di cui è portatrice la persona considerata integralmente, in tutte le sue dimensioni, materiale e spirituale, individuale e comunitaria. In particolare, è moralmente inaccettabile ogni teoria o comportamento improntati al razzismo e alla discriminazione razziale [Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Nostra aetate, 5; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 63, Lett. apost. Octogesima adveniens, 16; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, L'Eglise face au racisme. Contribution du Saint-Siège à la Conférence mondiale contre le Racisme, la Discrimination raciale, la Xénophobie et l'intolérance qui y est associée, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2001].

La convivenza tra le Nazioni è fondata sui medesimi valori che devono orientare quella tra gli esseri umani: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris]. L'insegnamento della Chiesa, sul piano dei principi costitutivi della Comunità internazionale, chiede che le relazioni tra i popoli e le comunità politiche trovino la loro giusta regolazione nella ragione, nell'equità, nel diritto, nella trattativa, mentre esclude il ricorso alla violenza e alla guerra, a forme di discriminazione, di intimidazione e di inganno [Cfr. Paolo VI, Discorso alle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), 2].

434 Il diritto si pone come strumento di garanzia dell'ordine internazionale, [Cfr. Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus] ovvero della convivenza tra comunità politiche che singolarmente perseguono il bene comune dei propri cittadini e che collettivamente devono tendere a quello di tutti i popoli, [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 52] nella convinzione che il bene comune di una Nazione è inseparabile dal bene dell'intera famiglia umana [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris].

Quella internazionale è una comunità giuridica fondata sulla sovranità di ogni Stato membro, senza vincoli di subordinazione che ne neghino o ne limitino l'indipendenza [Cfr. Pio XII, Allocuzione natalizia (24 dicembre 1939); Id., Discorso ai Giuristi Cattolici sulle Comunità di Stati e di popoli (6 dicembre 1953); Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris] Concepire in questo modo la comunità internazionale non significa affatto relativizzare e vanificare le differenti e peculiari caratteristiche di ogni popolo, ma favorirne l'espressione [Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 9-10]. La valorizzazione delle differenti identità aiuta a superare le varie forme di divisione che tendono a separare i popoli e a farli portatori di un egoismo dagli effetti destabilizzanti.

435 Il Magistero riconosce l'importanza della sovranità nazionale, concepita anzitutto come espressione della libertà che deve regolare i rapporti tra gli Stati [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terria; Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 15]. La sovranità rappresenta la soggettività [Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 15] di una Nazione sotto il profilo politico, economico, sociale e anche culturale. La dimensione culturale acquista uno spessore particolare come punto di forza per la resistenza agli atti di aggressione o alle forme di dominio che condizionano la libertà di un Paese: la cultura costituisce la garanzia di conservazione dell'identità di un popolo, esprime e promuove la sua sovranità spirituale [Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'UNESCO (2 giugno 1980), 14].

La sovranità nazionale non è però un assoluto. Le Nazioni possono rinunciare liberamente all'esercizio di alcuni loro diritti in vista di un obiettivo comune, nella consapevolezza di formare una «famiglia», [Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 14; cfr. anche Id., Discorso al Corpo Diplomatico (13 gennaio 2001), 8] dove devono regnare reciproca fiducia, sostegno vicendevole e mutuo rispetto. In tale prospettiva, merita attenta considerazione la mancanza di un accordo internazionale che affronti in modo adeguato «i diritti delle Nazioni», [Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 6] la cui preparazione potrebbe affrontare opportunamente le questioni relative alla giustizia e alla libertà nel mondo contemporaneo.

dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa


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